Le disposizioni costituzionali dedicate ai rapporti economici ricorrono frequentemente a clausole generali (“utilità sociale”, “fini sociali”, “funzione sociale” e “utilità generale”). In questa maniera la Costituzione mostra capacità di flessibilità e adattamento a nuovi scenari, economici, sociali e giuridici, specialmente dovuti all’influenza del diritto dell’Unione europea. La Corte costituzionale ha riconosciuto al legislatore ordinario ampi margini di discrezionalità nel riempimento delle clausole generali, ma al tempo stesso ne ha limitato i confini a fini di garanzia, imponendo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, come quelli di ragionevolezza e di proporzionalità. Anche le norme di rango primario che attribuiscono poteri alle autorità indipendenti sono costellate da clausole generali, perché la complessità e la rapida evoluzione dei mercati in cui agiscono queste amministrazioni rendono difficile al Parlamento prefigurare un sistema completo ed esaustivo di puntuali regole di disciplina. L’apprezzamento delle clausole generali o dei concetti giuridici indeterminati contenuti in norme di legge che è effettuato dalle amministrazioni è ricondotto da dottrina e giurisprudenza alla categoria delle valutazioni tecniche complesse. Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa di concretizzazione delle clausole generali in materia economica si presenta problematico ed è possibile individuare diversi orientamenti giurisprudenziali, a livello sia nazionale, sia europeo, in relazione agli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, di regolazione e di garanzia espressivi di valutazioni contraddistinte da opinabilità. In questo contesto di estrema incertezza si ritiene che la contestualizzazione o concretizzazione della disposizione normativa contenente clausole generali o concetti giuridici indeterminanti sia un’operazione che attiene ad una quaestio juris, come tale pienamente sottoposta al sindacato giurisdizionale.
Constitutional provisions concerning economic relations frequently rely to general clauses (“social utility,” “social ends,” “social function,” and “general utility”). In this way, the Constitution has shown capacity for flexibility and adaptation to new economic, social and legal scenarios, especially due to the influence of European Union law. The Constitutional Court has granted the policy maker wide margins of discretion filling in the general clauses, but, at the same time, the Court has specifically required compliance with the general principles of the legal system, such as those of reasonableness and proportionality. Even primary legislation granting powers to independent authorities refers to general clauses, because the complexity and rapid evolution of the markets, in which those administrations operate, make it difficult for Parliament to prefigure a complete and exhaustive system of timely regulation. The interpretation of general clauses or indeterminate legal concepts (contained in rules of law and carried out by administrations) is referred by doctrine and jurisprudence to the category of complex technical assessments. Judicial review of the administrative action in applying general clauses to economic matters is problematic. Different jurisprudential orientations, both at the national and European levels, could be identified in relation to acts carried out by supervisory, regulatory and guarantee authorities that are expressive of evaluations marked by opinability. In this context of extreme uncertainty, the contextualization or concretization of the regulatory provision containing general clauses or indeterminate legal concepts is an operation that pertains to a quaestio juris, as such fully subject to judicial review.
1. Premessa - 2. Le clausole generali nella Costituzione: a) l’utilità sociale e la discrezionalità legislativa; b) la dialettica tra legislatore e Corte costituzionale nell’attività d’integrazione valutativa - 3. Le clausole generali nella legislazione: rules e standards nella disciplina antitrust - 4. Le clausole generali nella giurisprudenza amministrativa: all’interno della spirale ermeneutica tra fatto, tecnica e diritto - NOTE
Le clausole generali presentano alcuni caratteri costanti e stabili relativi alla loro funzione e alla loro struttura. Ciò indipendentemente dal settore giuridico considerato e ferma restando la vaghezza della relativa nozione [1]. Dal punto di vista funzionale il ricorso alle clausole generali garantisce elasticità all’ordinamento, il quale, per un verso, si mantiene attuale nonostante il trascorrere del tempo e, per altro verso, si adatta più facilmente alle circostanze concrete. La clausola generale assolve a una funzione di “adeguamento permanente dell’ordinamento allo sottostante realtà socio-economica” e pertanto vale a “supplire alle lacune” di una normativa che tutto non può prevedere [2]. Emblematicamente la dottrina ha qualificato le clausole generali come “finestre aperte sulla società” [3], “organi respiratori” del diritto [4], “polmoni della vita giuridica” [5].
L’evocata flessibilità si ottiene mediante una determinata struttura normativa. Dal punto di vista strutturale le clausole generali sono formule lessicali aperte, indeterminate e incomplete (“gravi ed eccezionali ragioni”, “buona fede”, “sana e prudente gestione”, “giusta causa” e così via), che comportano una particolare delega all’interprete del potere di concretizzazione della disposizione che le contiene. La norma in cui è racchiusa una clausola generale non descrive la fattispecie astratta in modo tassativo ed esaustivo, ma rinvia all’interprete per il completamento e la specificazione della clausola stessa [6].
Vero è che ogni disposizione normativa presenta di regola un certo qual grado di indeterminatezza. Ritenere che nel campo giuridico esista sempre un significato oggettivo preesistente che l’interprete sarebbe chiamato a svelare è costruzione artificiosa, non corrispondente alla realtà. Come ben precisato da Mortara, la concretizzazione di una norma non è un’operazione riconducibile all’automaticità di una sussunzione logica, perché la commisurazione dei fatti ad una norma astratta è un processo complesso nel quale la norma costituisce criterio di selezione dei fatti, mentre i fatti sono criterio di individuazione della norma e di chiarimento del suo significato [7]. Detto ciò, l’attività di applicazione di una disposizione che include una clausola generale presenta però una peculiarità: il contenuto della norma elastica necessita non solo d’essere interpretato, ma anche integrato. Più precisamente, nel caso di norme contenenti clausole generali l’indeterminatezza deve essere colmata attraverso una “integrazione valutativa” [8].
Il ricorso alle clausole generali, se è idoneo a garantire l’adattamento del diritto a tempi diversi e situazioni differenziate, nondimeno porta con sé un “costo sociale” [9] in termini di possibile incertezza e imprevedibilità degli atti giuridici interpretativi delle clausole stesse [10]. I criteri di valutazione da utilizzare per dare contenuto alle clausole generali sono controversi. Sia le clausole generali che esprimono “concetti empirici” riferiti al modo di essere di una situazione di fatto apprezzabile facendo ricorso a nozioni della scienza e della tecnica (ad esempio, un “abuso” di “posizione dominante” su una “parte rilevante” del mercato nazionale), sia le clausole generali che esprimono “concetti valoriali” facenti rinvio a parametri di tipo etico o alla c.d. coscienza sociale (ad esempio, il limite all’iniziativa economica privata dato dalla tutela dell’ambiente “anche nell’interesse delle future generazioni”), poggiano su criteri e parametri che forniscono risposte opinabili e non oggettive. La relatività e la soggettività delle interpretazioni portano con sé anche il problema del grado di deferenza del giudice nei confronti delle valutazioni previamente compiute per dare attuazione alla clausola generale, con risvolti delicati in tema di divisione dei poteri dello Stato. Conseguentemente, sul piano processuale risultano mobili i confini del controllo giurisdizionale sull’attività integrativa e di completamento della norma giuridica [11].
L’ordinamento giuridico ha cercato di introdurre alcuni presidi per garantire che l’uso delle clausole generali non metta a repentaglio vuoi il principio di legalità, vuoi la certezza del diritto, vuoi la separazione dei poteri dello Stato. Tali presidi assumono una particolare coloritura nel caso in cui le clausole generali trovano applicazione nel diritto pubblico dell’economia [12]. Per procedere alla loro analisi occorre preliminarmente individuare il titolare, o, meglio, i titolari del potere di concretizzazione delle clausole generali quando la descritta tecnica di redazione degli enunciati normativi sia impiegata per disciplinare i molteplici territori d’intervento del diritto pubblico d’economia. Si tratta di soggetti istituzionali che occupano posizioni diverse all’interno dell’ordinamento giuridico e la loro competenza è legata al rango della fonte del diritto contenente la clausola generale. Se è la formulazione di un articolo della Costituzione a prevedere una clausola generale, il titolare del potere di concretizzazione è anzitutto il legislatore e il controllo sulla sua attività interpretativa e attuativa è demandato alla Corte costituzionale; se invece la clausola generale è contenuta in una norma primaria che disciplina le relazioni tra autorità amministrativa e privati l’opera di integrazione valutativa spetta all’amministrazione e in tal caso sarà il giudice amministrativo ad effettuare il relativo sindacato giurisdizionale [13].
Le clausole generali costellano la Costituzione, che ben si presta ad accogliere questa tecnica normativa. Le Costituzioni moderne, a differenza di quelle d’epoca liberale, offrono un quadro pluralista di interessi e valori antagonisti, che non sono composti secondo un preciso e già predeterminato criterio di priorità. La loro composizione è rinviata a momenti successivi e demandata al potere costituito e alla giurisprudenza costituzionale. Questi soggetti istituzionali riscrivono “interpretativamente” la Costituzione e così determinano e modificano i punti di equilibrio tra principi enunciati, interessi concorrenti e valori contrapposti. In questa logica le clausole generali si rivelano una risorsa preziosa per la loro attitudine a “tenere costantemente in moto la Costituzione” e ad assicurarne “la incessante ed adeguata rigenerazione interna” [14].
La tecnica normativa delle clausole generali è ampiamente utilizzata nel Titolo III della Parte I, dedicata ai rapporti economici. Gli articoli ivi contenuti sono tutti costruiti intorno clausole generali; basti pensare alla “utilità sociale” e ai “fini sociali” che compaiono rispettivamente al secondo e al terzo comma dell’art. 41, oppure alla “funzione sociale” della proprietà privata prevista al secondo comma dell’art. 42, o ancora alla “utilità generale” contemplata all’art. 43. È proprio grazie a queste clausole generali che le disposizioni costituzionali in materia economica hanno mantenuto vitalità e conservato elasticità nel corso del tempo, anche nel dialogo sempre più fitto con il diritto dell’Unione europea. Ne è prova tangibile la clausola generale dell’utilità sociale, tanto criticata in Assemblea costituente da Einaudi per la sua “pericolosa genericità” [15], ma che ha in realtà rappresentato uno straordinario strumento di adattamento dell’ordinamento giuridico al continuo evolversi della vita politica, sociale ed economica [16].
Nel caso della libertà d’iniziativa economica si ricorre alla tecnica delle clausole generali perché la compressione della sfera d’autonomia privata è costituzionalmente legittima solo se è preordinata a consentire il soddisfacimento di interessi rilevanti che vengono espressi ricorrendo a formule aperte. Lo schema fatto proprio dall’art. 41 Cost., da leggere attualmente anche alla luce dei Trattati europei, risponde a quello consueto della relazione-contrapposizione tra libertà e autorità: mentre si garantisce una posizione giuridica individuale si ammette che ad essa possano venire apportate limitazioni a tutela di interessi generali [17]. Non è possibile aspettarsi che lo schema contenuto all’art. 41 Cost. esprima una regola univoca e ben definita. Esso non si impone alla realtà come la volontà sovrana del legislatore, ma ne accompagna il corso operando dall’interno. La sua incidenza si coglie solo nello sviluppo storico della totalità dei fattori che compongono l’ordinamento e il giudizio di legittimità costituzionale può essere considerato come il principale momento di emersione di questo operare.
Così la Corte costituzionale ha affermato che le ragioni riconducibili alle clausole generali non devono necessariamente risultare da “esplicite dichiarazioni del legislatore” [20]. È principio ripetutamente affermato quello secondo cui il giudizio in ordine all’utilità sociale concerne solo “la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine” e “la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo” [21]. Tuttavia, la riconosciuta discrezionalità legislativa e quindi l’ampio potere di cui dispone l’interprete della clausola generale incontrano alcuni paletti individuati dalla medesima giurisprudenza costituzionale. L’attività d’integrazione valutativa da parte del legislatore soggiace al limite “insuperabile” dell’arbitrarietà e dell’incongruenza – e quindi dell’irragionevolezza – delle misure restrittive adottate per assicurare l’utilità sociale o i fini sociali [22]. Nel dare un significato alla clausola generale la legge è tenuta al rispetto dei principi generali dell’ordinamento, primi tra tutti quelli di ragionevolezza e di proporzionalità, su cui veglia la Corte stessa. Così i limiti alla libertà d’iniziativa economica non devono essere tali da renderne impossibile o estremamente difficoltoso l’esercizio e parimenti i programmi e i controlli imponibili alla attività economica privata non devono sopprimere l’iniziativa individuale, potendo essi soltanto tendere ad indirizzarla ed a condizionarla [23].
Questa giurisprudenza costituzionale consente di percepire chiaramente la differenza tra clausole generali e principi generali. I principi generali rappresentano i “valori fondativi di un ordinamento o di una sua parte”, mentre le clausole generali non coincidono con i suddetti principi, “anzi sono destinate ad operare nell’ambito segnato dai principi”. In altri termini, i principi generali possono essere intesi anche come “un limite all’andamento elastico del sistema” o, meglio, “come la condizione concreta della sua elasticità”, tant’è che si è parlato di elasticità delle clausole generali orientata dai principi [24].
È pacifico – come già accennato – che la Corte costituzionale non è legittimata a svolgere un sindacato sostitutivo nei confronti delle scelte effettuate dal legislatore con la sua attività di integrazione valutativa. Tuttavia, merita di essere sottolineato un aspetto della dinamica tra sfera riservata alla discrezionalità legislativa e sindacato costituzionale che evidenzia il ruolo accorto e sottile di autonoma integrazione valutativa della Consulta e, a monte, l’estrema flessibilità delle clausole generali. Infatti, in talune occasioni la Corte costituzionale ha anticipato le concrete scelte del legislatore nel colmare l’indeterminatezza propria delle clausole generali dell’utilità sociale e dei fini sociali, sfruttandone l’intrinseca elasticità. Ciò è avvenuto, ad esempio, con riferimento sia alla tutela ambientale, sia alla tutela della concorrenza in senso oggettivo.
Come è noto, la legge Cost. n. 1/2022 ha modificato, assieme all’art. 9 Cost., anche l’art. 41 Cost., integrando il catalogo dei limiti alla libertà di iniziativa economica privata, che non è più tenuta a rispettare solo l’utilità sociale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana, ma anche la salute e l’ambiente (comma 2), e riservando alla legge la possibilità di indirizzare e coordinare l’attività economica, pubblica e privata a fini ambientali, oltre che ai tradizionali fini sociali (comma 3). Nondimeno, già da tempo la Corte costituzionale era giunta a precisare che la clausola generale dell’utilità sociale fosse idonea ad includere anche la protezione dell’ambiente, in quanto interesse fondamentale della collettività [33]. La Consulta ha quindi valorizzato al massimo grado la clausola generale, arricchendone il contenuto e rivestendo un ruolo antesignano nel chiarire che l’utilità sociale altro non è che l’utilità della società intera, la quale si proietta su un largo orizzonte di rapporti, primo tra tutti sul rapporto tra persona umana e ambiente, da concepire pure in una dimensione intergenerazionale [34].
Stesso discorso – forse ancora più interessante – vale con riferimento alla tutela della concorrenza. È altrettanto risaputo che la legge Cost. n. 3/2001 ha introdotto espressamente nella Carta la “tutela della concorrenza”, riconoscendola come materia riservata in via esclusiva alla legislazione statale (art. 117, comma 2, lett. e). Ma anche in questo caso la Corte aveva riconosciuto l’autonoma rilevanza positiva del mercato per l’interesse generale ben prima della riforma normativa. Infatti, come sopra precisato, la giurisprudenza costituzionale aveva da decenni identificato l’utilità sociale (anche) con l’assetto concorrenziale del mercato in termini oggettivi, o, con parole diverse, con la difesa del mercato dai rischi insiti nella sua logica interna.
In questa maniera la clausola generale manifesta tutta la sua capacità di flessibilità e di adattamento a nuovi scenari, non solo economici e sociali, ma anche giuridici, principalmente dovuti all’influenza dell’ordinamento dell’Unione europea, mediante il quale penetrano i valori e la cultura del mercato [35]. Nei suoi giudizi in ordine alla violazione dell’art. 41 la Corte spesso ha guardato nella direzione dell’instaurazione di un compiuto sistema di mercato, sottolineando la dimensione evolutiva e storica dei processi economici. Più precisamente, la Corte non ha appiattito la propria considerazione sugli interessi politici contingenti che costituiscono spesso la vera causa degli interventi legislativi, ma ha cercato di evidenziare ragioni strutturali a fondamento delle misure normative da vagliare. Essa si è sforzata di ricollegare le misure sottoposte al suo esame all’esigenza di sostenere e conservare il processo economico, in un’insistita sottolineatura del carattere evolutivo e adattativo dei fenomeni di mercato, che si compendia nella necessità di tenere conto della lunga durata e del costo sociale necessario per riequilibrare le loro tendenze spontanee [36].
Così, in modo sottile e tacito, la Consulta ha provveduto essa stessa a far emergere un autonomo contenuto della clausola dell’utilità sociale, diverso da quello dato originariamente dal legislatore, talvolta maggiormente in linea con lo spirito dei tempi e in ogni caso proiettato sul lungo periodo. Infatti, l’efficacia delle pronunce della Corte non si riduce affatto agli effetti immediati del suo dispositivo, ma comprende tutte le sue possibili ripercussioni, di natura informale, sui processi di produzione e applicazione del diritto ben al di là del singolo caso deciso [37].
Con una precisazione d’obbligo. Questo sindacato formalmente estrinseco, ma sostanzialmente sostitutivo, non è mai stato effettuato dalla Corte per censurare la valutazione integrativa della clausola generale effettuata dalla legge al fine di dichiararne l’incostituzionalità, quanto piuttosto allo scopo diametralmente opposto di salvare la legittimità costituzionale della legge fornendo essa stessa una nuova, diversa e più aggiornata valutazione integrativa della clausola generale.
Scendendo al livello della normazione primaria il ricorso da parte del legislatore a clausole generali o concetti giuridici indeterminati [38] è particolarmente frequente nel caso di attribuzione di poteri alle autorità indipendenti. Vero è che clausole generali come ordine pubblico, oppure necessità e urgenza caratterizzano da tempo immemorabile le norme attributive del potere delle amministrazioni tradizionali, specie operanti nel settore della sicurezza pubblica [39]. Tuttavia, in ambito economico e segnatamente nei settori regolati il fenomeno in questione si presenta con tratti ancora più accentuati, quasi da essere considerato tipico e qualificante. Ciò per molteplici ragioni e in primo luogo perché la complessità e la rapida evoluzione dei settori in cui agiscono le amministrazioni indipendenti, nonché l’atipicità e la fantasia delle condotte imprenditoriali rendono arduo al Parlamento prefigurare un sistema completo ed esaustivo di puntuali regole di disciplina [40].
L’attenzione dottrinale e giurisprudenziale si è concentrata in particolare modo su una tra le implicazioni della tecnica legislativa delle clausole generali quando chiamate a darvi attuazione siano quelle particolari amministrazioni indipendenti che sono le autorità di regolazione. La premessa è tracciata in maniera suggestiva da una nota decisione del Consiglio di Stato del 2005. Secondo il giudice amministrativo i poteri delle autorità di regolazione sono attribuiti da “leggi d’indirizzo che poggiano su prognosi incerte”, “rinvii in bianco all’esercizio futuro del potere, inscritto in clausole generali o concetti indeterminati che spetta all’Autorità concretizzare” [41]. Più di recente sempre il Consiglio di Stato ha parlato di “clausole aperte da implementare in base al prudente apprezzamento dell’Autorità a seconda degli scopi di tutela da raggiungere” [42].
Se questa è la premessa, è la conseguenza ultima tratta dal particolare dettato normativo ad apparire meritevole di riflessione. Infatti, gli atti delle Autorità, “pur talvolta non rinvenendo immediatamente nel proprio sistema se non clausole generali e non anche un puntuale fondamento nelle norme primarie (europee e nazionali) di settore”, sono reputati legittimi nella misura in cui “perseguano obiettivi comunque coerenti con quelli fissati nelle suddette normative primarie, tali da poterne costituire continuazione ideale” [43]. Si parla a tal riguardo di poteri impliciti, fenomeno approfonditamente indagato dalla dottrina e talvolta da quest’ultima criticato, in ragione del fatto che solleva un problema di rispetto del principio di legalità da parte delle amministrazioni [44].
Ma l’uso da parte del legislatore di clausole generali nell’ambito del diritto pubblico dell’economia genera non solo il problema – patologico – dei poteri impliciti delle Autorità di regolazione, bensì anche altre questioni, che sono fisiologiche e sulle quali è possibile ragionare prendendo le mosse dalla disciplina antitrust. Infatti, la legislazione a tutela della concorrenza e del mercato, sia europea, sia nazionale, fa un ampio ricorso alle clausole generali. Questa tecnica legislativa è particolarmente congeniale visto che, come già sottolineato, formule normative ampie e flessibili evitano i rischi di una rapida obsolescenza connessi a disposizioni troppo rigide e minuziose, permettono l’adattamento della disciplina a tempi diversi nonché a mercati in evoluzione e consentono margini di elasticità nella valutazione delle fattispecie in sede applicativa [45].
Proprio il dettato normativo antitrust aiuta ad effettuare qualche differenziazione all’interno della categoria delle clausole generali, che altrimenti rischia di rimanere indistintamente considerata. Il diritto positivo fa emergere che non tutte le clausole generali sono uguali tra loro. La loro diversificazione non è una questione meramente terminologica – e quindi formale –, ma illumina le diverse modalità di integrazione valutativa e il successivo controllo giurisdizionale.
Anzitutto il legislatore, europeo e nazionale, ricorre a clausole generali nel descrivere le fattispecie imprenditoriali da vietare (“intesa restrittiva della concorrenza”, “posizione dominante”, “abuso” della stessa) e, al tempo stesso, accompagna a questa tecnica normativa la tipizzazione di alcune fattispecie imprenditoriali particolari, tramite un elenco esemplificativo e non tassativo di specifiche azioni vietate. La tipizzazione legislativa ha lo scopo non solo di identificare con certezza alcune condotte pacificamente illecite, ma anche di fornire un ausilio nel rendere la stessa clausola generale meno preda dell’imprevedibilità nei casi non tipizzati. Basti pensare al sintagma indeterminato del divieto di abuso di posizione dominante e al modo in cui è stato strutturato dal legislatore: non viene descritto con precisione un elemento della fattispecie, ma quest’ultima è individuata facendo riferimento a una valutazione affidata all’interprete che è guidato nella sua attività da alcune esemplificazioni normative (art. 102 T.F.U.E. e art. 3 della legge n. 287/1990).
Vi sono poi altri strumenti giuridici idonei a facilitare l’applicazione in concreto della normativa e quindi a fornire un criterio d’interpretazione da utilizzare con riferimento a fattispecie atipiche, al fine di ottenere un buon grado di certezza in concreto, nonché di oggettività e di trasparenza delle decisioni. La prima qualificazione e integrazione dei “sintagmi” che compongono le regole di concorrenza avviene ad opera della Commissione europea, che specifica le clausole generali mediante quegli atti di soft law che sono le sue Comunicazioni [46]. Anche a livello nazionale si rinvengono atti di autolimitazione che introducono criteri e parametri generali in via sub-legislativa ad opera dell’Autorità antitrust [47]. Un ruolo decisivo di integrazione del significato della clausola generale è stato anche assegnato all’”accumulo di precedenti giurisprudenziali”, nonché “di contributi di contorno della dottrina” [48]. Lo scopo di questi vari presidi è di tipo orientativo rispetto al singolo processo di specificazione della clausola generale, che in concreto avviene attraverso il ricorso a particolari discipline, prime tra tutte quelle economiche e finanziarie [49].
Viene così in rilievo uno dei profili più dibattuti in materia di clausole generali: l’individuazione dei parametri di riferimento, altrimenti definiti standards, che – al pari dei principi generali [50] – fungono da guida per l’interprete nell’esercizio dell’attività integrativa di cui necessita il testo normativo in ragione della sua indeterminatezza [51]. Si pensi ancora alla clausola generale dell’abuso di posizione dominante in una parte rilevante del mercato nazionale. Il suo accertamento in concreto richiede di “andare alla ricerca della concorrenza virtuale”, ossia di quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo, definendo il mercato di riferimento, la sua estensione geografica e l’area di sostituibilità dei prodotti e dei servizi [52].
L’apprezzamento delle clausole generali o dei concetti giuridici indeterminati è ricondotto da dottrina e giurisprudenza alla categoria delle “valutazioni tecniche complesse”, ossia a quel particolare tipo di giudizio che implica “l’apprezzamento di una serie di elementi di fatto – definiti nella loro consistenza storica o naturalistica – in relazione fra di loro ed alla stregua di regole che non hanno il carattere di leggi scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili” [53]. Si tratta dunque di un’attività che comporta la conoscenza e la valutazione di fatti concreti mediante l’impiego di regole che nel campo qui preso in considerazione sono proprie di scienze prevalentemente economiche, finanziarie o sociali, le quali non sono idonee a dare risposte univoche. Sono le scienze a fornire gli standards valutativi, definibili come i criteri di giudizio per mezzo dei quali si determina il significato della clausola generale, risolvendo l’indeterminatezza che le contraddistingue. Pertanto, l’integrazione valutativa è traducibile nella “scelta dello standard operata dall’interprete tra i criteri concorrenti” [54].
Il descritto procedimento intellettivo è quello consueto laddove vengano in rilievo clausole generali, da chiunque applicate. La Cassazione, ragionando in generale su tale procedimento intellettivo, ha parlato di una “spirale ermeneutica tra fatto e diritto”. All’interno di questo vortice l’interprete è chiamato a integrare il contenuto della disposizione dando concretezza a quella parte mobile della norma elastica che il legislatore ha lasciato indeterminata per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori e per farlo esprime un giudizio di valore necessario ad integrare il parametro generale contenuto nella norma stessa [55].
Di peculiare nelle ipotesi qui in esame è che l’interprete è una pubblica amministrazione, i cui atti sono sindacati dal giudice amministrativo, e non un giudice di merito, i cui atti sono invece sindacati dalla Corte di Cassazione, oppure il legislatore, i cui atti sono vagliati dalla Corte costituzionale. Il secondo elemento di specificità attiene parimenti al soggetto titolare del potere di concretizzazione della clausola generale. Nel diritto dell’economia l’amministrazione-interprete della clausola generale non presenta i tratti dell’autorità tradizionale, ma è un’autorità indipendente, contraddistinta da una particolare composizione e qualificazione e da un elevato grado di autonomia, o, utilizzando le espressioni del Consiglio di Stato, è un soggetto che si caratterizza per l’esercizio di poteri neutrali, la cui indipendenza costituisce una diretta conseguenza della neutralità [56]. Il che, come si avrà modo di constatare al paragrafo successivo, non è privo di ripercussioni sul piano del sindacato giurisdizionale.
Si è accennato al fatto che le clausole generali non sono tutte uguali tra di loro. Sempre ricorrendo a fini esemplificativi alla disciplina antitrust, accanto alle menzionate clausole generali che descrivono fattispecie imprenditoriali da vietare è dato rinvenire la ben diversa tipologia di clausole generali introdotte nel caso di autorizzazioni in deroga al divieto generale di intese e concentrazioni restrittive della concorrenza. Per rilasciare le autorizzazioni in deroga l’Autorità deve verificare la sussistenza di alcune condizioni indicate vuoi dal legislatore nel caso di intese, vuoi dal Governo nel caso di concentrazioni, che fanno perno su clausole generali del tutto peculiari, come lo sono i “rilevanti interessi generali dell’economia nazionale”, oppure “ragioni essenziali di economia nazionale” (art. 25, commi 1 e 2 della legge n. 287/1990).
È evidente che in questo caso l’interprete della clausola generale dispone di un vero e proprio potere di scelta valoriale, sotteso alla ponderazione di tutti gli interessi in gioco: emergono qui, assieme a valutazioni tecniche complesse, profili di vera e propria discrezionalità amministrativa [57]. Nondimeno, ciò non significa una piena delega in bianco e il riconoscimento di un potere arbitrario all’interprete e quindi alla pubblica amministrazione. Due sono i paletti che s’impongono all’autorità amministrativa. Da un lato, il discorso si presenta simile a quanto già notato con riferimento alla discrezionalità legislativa alle prese con le clausole generali contenute nella Costituzione: nel nostro ordinamento giuridico l’esercizio di qualsivoglia potere discrezionale è sempre vincolato al rispetto dei principi generali, ragionevolezza e proporzionalità in primis, a fini di garanzia. Dall’altro, nel caso di clausole generali da rapportare a una reale situazione di fatto, come è il caso di qualsiasi clausola generale la cui concretizzazione spetti a un’amministrazione, non è possibile negare la giuridicità del fatto qualificato, pur imprecisamente, dalla legge. In altri termini, anche se all’interprete è assegnato un potere di valutazione comparativa di concreti interessi contrapposti, l’esercizio di questo potere reclama la conoscenza e l’apprezzamento dei fatti concreti, che debbono essere sussunti nel perimetro di estensione della clausola generale [58].
Il sindacato giurisdizionale sull’attività amministrativa di concretizzazione delle clausole generali in materia economica si presenta problematico. È possibile individuare due orientamenti giurisprudenziali, a livello non solo nazionale, ma anche europeo, in relazione agli atti posti in essere dalle Autorità di vigilanza, di regolazione e di garanzia espressivi di valutazioni contraddistinte da opinabilità [59].
L’identificazione di questi due filoni pretori ha comunque alle spalle un’attività di loro schematizzazione e semplificazione, visto che la giurisprudenza non è sempre lineare e talvolta si registra una discrasia tra affermazioni di principio contenute nelle decisioni e sindacato concretamente effettuato. Inoltre, anche se la giurisprudenza è ormai solita sostenere che il giudice amministrativo non è vincolato alla rappresentazione del fatto data nell’atto amministrativo oggetto di impugnativa e dispone di un pieno accesso al fatto stesso, nondimeno risulta controverso proprio il sindacato sul confronto tra i fatti accertati con il parametro normativo contestualizzato.
a) Secondo un primo orientamento il procedimento di integrazione della clausola generale è scomponibile al suo interno: “un conto è l’accertamento del fatto storico (che precede ogni valutazione)” e “un conto è la contestualizzazione del concetto giuridico indeterminato richiamato dalla norma”. Quest’ultimo è “fuori dall’accertamento del fatto e rientra nel suo apprezzamento, questo sì, sottratto alla completa sostituibilità della valutazione del giudice a quella dell’amministrazione”[60].
Il controllo del giudice amministrativo sulle valutazioni economiche complesse è simile a quello svolto nei riguardi delle valutazioni di opportunità e contraddistinto da deferenza nei riguardi dell’amministrazione: una verifica esterna e indiretta secondo lo schema dell’eccesso di potere, un riscontro del rispetto delle norme di procedura e di motivazione e dell’insussistenza di manifesta irragionevolezza o di palese travisamento dei fatti, un controllo estrinseco sulla ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione [61]. La giurisprudenza ha coniato a tal proposito il principio di “ragionevolezza tecnica”: di fronte ad atti posti in essere dalle Autorità di regolazione, di garanzia e di vigilanza applicativi di clausole generali il giudice amministrativo ha solo il potere di verificare la ragionevolezza del criterio accolto dall’amministrazione, la completezza e la serietà dell’istruttoria, l’adeguatezza della motivazione fornita ma non può stabilire se la valutazione dell’amministrazione sia giusta, condivisibile, appropriata o comunque concretamente preferibile. Data una valutazione opinabile, qualora sia stata riscontrata una corretta applicazione della regola tecnica prescelta dall’amministrazione nei riguardi del caso di specie, il giudice deve fermarsi se il risultato al quale è giunta l’amministrazione è “uno di quelli resi possibili dall’opinabilità della scienza” e ciò “anche se esso non è quello che l’organo giudicante avrebbe privilegiato” [62].
Si tratta di un orientamento condiviso allo stato anche dalle sezioni unite della Cassazione, secondo cui il giudice di merito “deve arrestarsi sul limite oltre il quale la stessa opinabilità dell’apprezzamento operato dall’amministrazione impedisce d’individuare un parametro giuridico che consenta di definire quell’apprezzamento illegittimo”; nonché da (buona parte della) Corte di giustizia, a detta della quale “il controllo che i giudici dell’Unione esercitano sulle valutazioni economiche complesse condotte dalla Commissione si limita necessariamente alla verifica dell’osservanza delle regole procedurali e di motivazione, nonché all’esattezza materiale dei fatti, all’assenza di manifesti errori di valutazione dei fatti e di sviamento di potere” [63].
Un sindacato giurisdizionale di tal genere poggia su molteplici giustificazioni. Alcune ricorrono in ogni settore dell’agire amministrativo, come l’osservanza del principio di separazione dei poteri dello Stato e il conseguente carattere riservato della valutazione, altre invece sono specifiche dell’agire delle autorità indipendenti, come la posizione d’indipendenza di queste ultime oppure la loro qualificata competenza tecnica [64]. Si afferma, ad esempio, che il sindacato sugli atti dell’Autorità Garante delle Comunicazioni deve essere limitato in considerazione del fatto che essa opera in “materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l’autorità detta, appunto, le regole del gioco” [65]. La stessa argomentazione ricorre nel caso di valutazioni rimesse alla Banca d’Italia, il cui sindacato “incontra il limite della specifica competenza tecnica (e) della posizione di indipendenza” [66].
Con riferimento specifico ed esclusivo all’attività svolta dall’Autorità antitrust è stato lo stesso legislatore a (cercare di) positivizzare l’orientamento giurisprudenziale in esame. L’art. 7 del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, stabilisce infatti che il sindacato del giudice amministrativo in materia riguarda “i profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità”, o, capovolgendo la costruzione sintattica, non può spingersi sino a controllare gli aspetti oggettivamente opinabili, che costituiscono un limite al potere cognitorio e decisorio del giudice. Se una parte della giurisprudenza successiva all’intervento normativo ha interpretato letteralmente la disposizione, affermando che “l’individuazione del mercato rilevante implica un accertamento di fatto che non di rado presenta margini di opinabilità, sui quali il giudice amministrativo non può intervenire, sostituendosi alle valutazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a meno che queste non risultino viziate sotto il profilo del travisamento dei fatti, della violazione di legge e della irragionevolezza” [67], altra parte della giurisprudenza si è emancipata dallo stretto dato testuale e si è posta lungo la scia del secondo orientamento giurisprudenziale [68].
b) Il secondo filone giurisprudenziale, che si oppone a quello più tradizionale, nasce proprio nelle ipotesi di clausole generali la cui integrazione valutativa è stata demandata alle autorità indipendenti e solo successivamente è stato via via esteso ad altri settori dell’agire amministrativo, come, ad esempio, alla materia ambientale o al campo dei beni culturali[69]. Quest’ultimo orientamento non è ancora consolidato[70], sta tuttora procedendo per progressivi aggiustamenti e risulta oltretutto articolato al suo interno. Esso reputa che le valutazioni effettuate dall’amministrazione, per quanto opinabili, non rappresentino un limite intrinseco al sindacato del giudice amministrativo, partendo dal presupposto che il procedimento di integrazione valutativa delle clausole generali debba essere ricostruito in maniera differente rispetto a quanto fa il primo orientamento.
Si ritiene infatti che la sussunzione delle circostanze di fatto “nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati” costituisca un’attività intellettiva “ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa”. Questo perché “il tratto libero dell’apprezzamento tecnico si limita qui a riflettere esclusivamente l’opinabilità propria di talune valutazioni giuridiche, tecniche ed economiche” [71]. La sussunzione, anche qualora si svolga attraverso valutazioni opinabili, presenta carattere esclusivamente giuridico, nel senso che la valutazione di fatti complessi nel prisma delle clausole generali è un giudizio compiuto alla stregua di un criterio giuridico [72].
Pertanto, in presenza di norme che “rinviano a nozioni scientifiche e tecniche controvertibili o non scientificamente verificabili” il mancato confronto tra soluzioni tecniche impedisce di verificare la bontà della soluzione tecnico-scientifica adottata dall’amministrazione. Il giudice deve quindi entrare nel merito delle questioni economiche e procedere ad una compiuta e diretta disamina della fattispecie, o, con parole differenti, compiere una “piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità (per quanto, in senso epistemologico, controvertibile)” [73]. Al tradizionale “sindacato (non sostitutivo) di attendibilità” viene contrapposto un “sindacato pieno di maggiore attendibilità”: il giudice non deve limitarsi a verificare se la valutazione tecnica compiuta dall’autorità rientri nella gamma di soluzioni intrinsecamente attendibili, ma può spingersi oltre per accertare se essa è anche la valutazione maggiormente attendibile [74].
Ciò non significa che il giudice sostituisca aprioristicamente la propria valutazione a quella dell’amministrazione, ma che quest’ultima è messa su un piano di tendenziale parità rispetto alle valutazioni fornite dal ricorrente, con la conseguenza che il giudice, confrontando valutazioni non coincidenti, è chiamato a stabilire quella che pare meglio argomentata, oppure basata su dati empirici più solidi o sulla letteratura scientifica più accreditata [75].
Il ricorrente ha così non solo la facoltà di censurare il rispetto delle garanzie formali e procedimentali strumentali e gli indici di eccesso di potere, ma anche l’onere, qualora intenda contestare il nucleo intrinseco dell’apprezzamento complesso, “di metterne seriamente in discussione l’attendibilità tecnico-scientifica” [76]. Di conseguenza, qualora quest’ultimo onere non venga assolto e si fronteggino solo opinioni divergenti, che paiano tutte parimenti plausibili, il giudice “deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito … della competenza ad adottare la decisione” [77].
Questo orientamento giurisprudenziale si diversifica poi al suo interno, a seconda che il giudice ricorra o meno alla consulenza tecnica d’ufficio, giungendo talvolta ad apprezzare direttamente, senza alcun ausilio, i fatti da valutare affrontando direttamente la questione tecnico-scientifica [78], altre volte ritenendo che la soluzione debba necessariamente passare attraverso il vaglio delle risultanze dell’organo verificatore o del consulente tecnico d’ufficio, garantendo il contraddittorio tra i consulenti delle parti in sede processuale [79].
Nella specifica prospettiva qui considerata, che ha riguardo alle clausole generali, sono interessanti alcune delle ragioni addotte a favore del sindacato maggiormente esteso in materia. Si tralasciano quindi sia le argomentazioni che poggiano sui canoni europei della full jurisdiction [80], sia i rilievi critici mossi, sul piano pratico, all’orientamento contrapposto, il quale spingerebbe, per un verso, l’amministrazione a focalizzarsi sulla forma e sulla regolarità del suo procedimento a discapito della bontà del risultato, e, per altro verso, i privati a precostituirsi elementi in vista di possibile futuro contenzioso a discapito di una effettiva collaborazione procedimentale utile all’emanazione di una buona decisione [81]. Entrambi i profili infatti assumono una valenza di carattere generale, che trascende il particolare ambito qui considerato. L’attenzione va dunque rivolta alle motivazioni che fanno leva sulle caratteristiche proprie del procedimento di integrazione valutativa del concetto giuridico indeterminato e, quindi, sulla già menzionata spirale ermeneutica tra fatto, tecnica e diritto.
Si è già sottolineato che la sussunzione da parte delle amministrazioni delle circostanze di fatto all’interno dei concetti giuridici indeterminati viene qui concepita come attività interpretativa. Questa posizione del giudice amministrativo presenta notevoli affinità con la posizione attuale delle Sezioni Unite della Cassazione in merito al proprio sindacato sulle sentenze del giudice di merito applicative di clausole generali. Se originariamente tale giudizio era reputato incensurabile in sede di legittimità purché sorretto da una motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici [82], a poco a poco è emersa la tendenza da parte della Cassazione a considerare il giudizio di merito applicativo di norme elastiche pienamente soggetto al proprio controllo di legittimità, al pari di ogni altro giudizio fondato su qualsiasi norma di legge [83]. In questa evoluzione giurisprudenziale si trova un eco delle tesi della dottrina processual-civilistica favorevole a ritenere che tutto ciò che riguarda l’applicazione di norme giuridiche inerisce al giudizio di diritto, “indipendentemente dal carattere di maggiore o minore determinatezza del contenuto della disposizione” [84].
La dottrina pubblicistica maggiormente attenta all’effettività della tutela giurisdizionale e alla parità delle parti processuali ha suggerito di trarre ispirazione dall’evoluzione registrata in Cassazione, che dimostrerebbe come “l’elasticità della norma, l’indeterminatezza del concetto” non siano sufficienti a “degradare il giudizio di diritto in giudizio di fatto”. Sempre e in ogni caso si tratta di stabilire se una certa situazione, “di cui sia stata definita la verità materiale”, rientri o meno nella fattispecie contemplata dalla norma, a prescindere dalla puntualità o meno della fattispecie nella norma stessa [85]. La valutazione incerta, ma pur sempre applicativa di un criterio preciso, deve essere suscettibile di un sindacato pieno: la contestualizzazione o concretizzazione della disposizione normativa contenente clausole generali o concetti giuridici indeterminati è un’operazione che attiene ad una quaestio juris, come tale pienamente sottoposta al sindacato giurisdizionale [86].
In particolare, si è evidenziato che la contrapposta giurisprudenza che attribuisce rilievo, per limitare il proprio sindacato, alla “convinzione che la scienza economica non sia in grado di fornire un quadro univoco di soluzione” finisce per identificare l’inesattezza “con l’impossibilità di escludere alla radice ogni soluzione alternativa”, includendo quindi tra le valutazioni riservate all’amministrazione “qualsiasi scienza che utilizzi criteri statistici o si basi su logiche probabilistiche” [87]. Sottesa a questa impostazione vi è l’infondato presupposto che la ricostruzione tecnico-scientifica dell’autorità sia sostenuta da “una presunzione di esattezza”, nel senso che il giudice “si attiene ad essa se non sia stata smentita, e non invece a condizione che sia stata verificata con esito positivo” [88]. È chiaro qui l’accostamento di questa presunzione di esattezza con la risalente e ormai superata idea della presunzione di legittimità del provvedimento amministrativo [89]. In questa maniera, “l’affermazione dell’opinabilità, nella giurisprudenza italiana, non è un risultato finale, ma è un dato di partenza”, perché al riscontro della possibilità di margini di opinabilità nell’attività amministrativa si fa corrispondere, in via di principio, l’esclusione di un confronto tra diverse soluzioni [90].
A scompaginare ulteriormente le carte generate dai due opposti orientamenti giurisprudenziali vi è la circostanza, già sottolineata, che esistono tipologie di clausole generali, come ad esempio quella facente riferimento a “ragioni essenziali di economia nazionale”, che delegano il suo interprete a compiere una scelta connotata da una ponderazione di tutti gli interessi in gioco. Nondimeno, anche rispetto a queste clausole generali la tutela dell’interesse individuale dovrebbe comportare un riesame degli apprezzamenti compiuti dall’amministrazione, per lo meno con riferimento ai fatti contestati, evitando di riconoscere un potere di riempimento della clausola generale integralmente e indistintamente riservato all’amministrazione stessa. Ma la questione è ancora più complessa in ragione del fatto che non sempre è agevole individuare ipotesi connotate da quella politicità intrinseca propria nel bilanciamento di interessi da contrapporre ad ipotesi che si limitano a prevedere margini di opinabilità, o, in altri termini, le valutazioni tecniche talvolta non sono chiaramente separabili dalle valutazioni di opportunità [91].
Un esempio per tutti è dato dal sindacato effettuato, anche in tempi recenti, dal giudice amministrativo in relazione alla clausola generale di “sana e prudente gestione” (art. 5 TUB). Tale clausola attraversa in vari punti la disciplina bancaria, al punto da essere stata definita una clausola generale dell’intero settore, e rappresenta un presupposto, indeterminato, per l’emanazione di molti provvedimenti di competenza della Banca d’Italia [92]. Tra i poteri che traggono fondamento dalla tutela della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati rientrano alcune misure di intervento precoce, c.d. di removal, adottabili nello stato embrionale della crisi degli istituti, al fine di scongiurare il definitivo deterioramento della situazione aziendale e di prevenire gli effetti sistemici che tale crisi genera sulla stabilità del sistema bancario, imponendo l’estromissione degli organi responsabili del declino (artt. 69-bis ss. TUB).
Il Consiglio di Stato, nel considerare i presupposti per l’adozione di una misura di removal [93], ha sostenuto che nelle valutazioni complesse cui è chiamata la Banca d’Italia si registra “una contestualità cronologica ed una parziale sovrapposizione logica tra il momento della valutazione tecnica e la ponderazione dell’interesse pubblico” e, più in generale, “la fusione dei due momenti in un procedimento logico unitario”. Questa affermata attrazione del momento dell’apprezzamento tecnico nell’orbita della ponderazione degli interessi porta il Consiglio di Stato ad estendere i confini della riserva di valutazione dell’amministrazione e, conseguentemente, del sindacato estrinseco sulle clausole generali, potendo il giudice amministrativo in queste ipotesi intrecciate (altrimenti dette di discrezionalità mista) verificare solamente “la logicità, la congruità, ragionevolezza ed adeguatezza del provvedimento e della sua motivazione, la regolarità del procedimento e la completezza dell’istruttoria, l’esistenza e l’esattezza dei presupposti di fatto posti a fondamento della deliberazione” [94]. Si torna così, se si vuole in via indiretta, a un sindacato integralmente e completamente estrinseco.
L’esempio mostra come siano proprio le clausole generali a mettere a dura prova la tenuta della distinzione tra valutazioni tecniche complesse e valutazioni in ordine alla tutela dell’interesse istituzionalmente demandato all’amministrazione, come pure il confine tra giudizio di fatto e giudizio di diritto rilevante per il controllo in Cassazione [95]. Tuttavia, in questo quadro incerto e problematico non va dimenticato che, dal punto di vista sostanziale, la valutazione di fattispecie determinate con criteri estremamente elastici comporta sempre un’attività interpretativa da condurre alla stregua di determinati standards da verificare, mentre, dal punto di vista processuale, il giudice deve essere sempre super partes, come impone l’art. 111 Cost., con la conseguenza che sono per lui irrilevanti la particolare autorevolezza e la specifica qualificazione tecnica di una delle parti, per quanto essa sia titolare, in prima battuta, del potere di concretizzazione della clausola generale.
[1] Sul punto cfr., per tutti, M. Clarich, in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali: un dialogo, Pisa, 2021, p. 9 ss.
[2] Corte cost., 20 dicembre 1996, n. 399, con riferimento alla “integrità fisica” e alla “personalità morale” dei prestatori di lavoro di cui all’art. 2087 c.c.; sulla funzione assolta dalle clausole generali e per un completo quadro dottrinale cfr. E. Fabiani, voce Clausola generale, in Enc. dir., Annali, vol. V, 2012, pp. 183 ss., 191.
[3] S. Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in AA.VV., Il principio di buona fede, Milano, 1987, 261.
[4] P. Calamandrei, Opere giuridiche, VII, La Cassazione civile, parte seconda, riedizione a cura di RomaTrePress, 2019, p. 82.
[5] A. Trabucchi, Significato e valore del principio di legalità nel moderno diritto civile, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978, p. 2087.
[6] Per la giurisprudenza amministrativa cfr. Cons. Stato, sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231; Cons. Stato, sez. III, 23 novembre 2017, n. 5467; TAR Lombardia, sez. I, 14 maggio 2020, n. 811.
[7] L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile (1889), vol. I, IV ed., Milano, 1909, p. 75 ss.
[8] K. Engisch, Introduzione al pensiero giuridico, tr. it. Milano, 1970, 172 ss.; V. Velluzzi, Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano, 2010, p. 39 ss.
[9] Di costo sociale parla M. Libertini, Ancora a proposito di principi e clausole generali, a partire dall’esperienza del diritto commerciale, in Orizzonti del diritto commerciale, 2, 2018, 1 ss., ora anche in Passato e presente del diritto commerciale, Torino, 2023, pp. 179-180.
[10] Che possono essere atti giuridici interpretativi molto diversi tra loro quanto a natura, forma e forza, spaziando dalle leggi ai provvedimenti amministrativi per arrivare alle sentenze.
[11] Per la distinzione tra clausole generali che esprimono concetti empirici e clausole generali che esprimono concetti valoriali si veda M. Clarich, in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., pp. 20-21. Sul rapporto tra scienza e diritto sollevato dalle clausole generali cfr. L. Violini, Le clausole generali nel diritto costituzionale: note a margine del saggio di Antonio Ruggeri, in R. Sacchi (a cura di), Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, Milano, 2021, 311 ss., spec. 321 ss.; cfr. altresì A. Morone, Ubi scientia ibi iura, in Consulta Online, n. 6/2014; A. Travi, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, 439 ss.; in generale, sul problema di divisione dei poteri, messo a repentaglio dal ricorso alla coscienza sociale da parte dell’interprete della clausola generale, cfr. N. Zanon, Corte costituzionale, evoluzione della “coscienza sociale”, interpretazione della Costituzione e diritti fondamentali: questioni e interrogativi a partire da un caso paradigmatico, in www.rivistaaic.it, n. 4/2017.
[12] Sulla a-temporalità o, se si preferisce, sulla perdurante attualità dell’espressione “diritto pubblico dell’economia” cfr. F. Trimarchi Banfi, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, Torino, 2021, VII ed.
[13] A differenza di quanto accade nell’universo civilistico in cui si svolgono relazioni inter-private, ove la clausola generale prevista in una legge è concretizzata dal giudice ordinario di merito, le cui decisioni soggiacciono al giudizio di legittimità della Corte di Cassazione. Sul punto cfr. infra, par. 4.
[14] Così A. Ruggeri, Le clausole generali in diritto costituzionale: risorsa o problema?, in R. Sacchi (a cura di), Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, cit., pp. 271 ss., 307. Del “moto” della Costituzione ha parlato M. Luciani, Dottrina del moto delle Costituzioni e vicende della Costituzione repubblicana, in www.rivistaaic.it, n. 1/2013. Sul fatto che le Costituzioni adottino linguaggi politici, per loro stessa natura imprecisi, cfr. M.S. Giannini, Relazione di sintesi, in (a cura di) M. D’Antonio, La Costituzione economica. Prospettive di riforma dell’ordinamento economico, Milano, 1985, pp. 19 ss., 20. Sul ruolo della Corte costituzionale quale “ponte necessario tra il corpus iuris e la mutevole realtà” cfr., per tutti, T. Ascarelli, Norma giuridica e realtà sociale, in Problemi giuridici, Milano, 1959, p. 69 ss.
[15] “Una norma la quale non ha significato è una norma per definizione anticostituzionale ed arbitraria. Qualunque interpretazione darà il legislatore futuro alla norma, essa sarà valida. Nessuna Corte giudiziaria potrà negarle validità, perché tutte le leggi di interpretazione saranno conformi a ciò che non esiste”; così l’intervento di Luigi Einaudi nella seduta del 13 maggio 1947, in A.C., II, 39337-38.
[16] Cfr. A. Baldassarre, voce Iniziativa economica privata, in Enc. dir., vol. XXI, Milano, 1971, 582 ss., spec. 604 ss.; L. Elia, Costituzione e poteri legislativi decentrati, in Scritti in onore di C. Mortati, Milano, 1977, vol. IV, p. 378; sul ruolo “pivotale” del limite dell’utilità sociale per l’interpretazione del rapporto fra Costituzione ed economia cfr. M. Luciani, La produzione economica privata nel sistema costituzionale, Padova, 1983, 71 ss.; cfr. altresì, sempre con particolare riguardo alla Costituzione economica, P. Perlingieri-P. Femia, Realtà sociale e ordinamento giuridico, in P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, Napoli, 2000, p. 21.
[17] Questa dialettica è riscontrabile in tutte le norme costituzionali che disciplinano i rapporti economici (dall’art. 41 all’art. 47), strutturate con l’affermazione di una regola garantistica del privato e di una regola di disciplina pubblica della materia; in questo senso M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977, p. 126. Sulla necessità di considerare unitariamente i tre commi dell’art. 41 Cost. cfr. già C. Esposito, I tre commi dell’art. 41 della Costituzione, in Giur. cost., 1962, p. 37 ss.
[18] Si veda, da ultimo, la giurisprudenza costituzionale illustrata da L. Cassetti, Diritto costituzionale e teorie economiche: dal confronto dottrinale “a distanza” alla decisione interpretativa sulle clausole economiche e finanziarie, in Associazione italiana dei costituzionalisti, Annuario 2021. Scienza costituzionalistica e scienze umane, Napoli, 2022, p. 115 ss.
[19] Il giudice costituzionale “deve arrestarsi di fronte alla valutazione che il legislatore ha fatto degli elementi del problema e che lo hanno portato a ritenere l’esistenza e congruità dei motivi posti a fondamento della sua statuizione... solo al legislatore spetta un’eventuale nuova valutazione complessiva di tutti quegli elementi, anche emersi... nel giudizio” (Corte Cost., n. 190/2001, in Giur. cost., 2001, 1462, con nota di A. Morrone, Libertà d’impresa nell’ottica del controllo sull’utilità sociale).
[20] Corte Cost., n. 46/1963, che richiama anche le sentenze n. 5 e n. 54/1962.
[21] Corte Cost., n. 94/2013, n. 388/1992, n. 63/1991 e n. 446/1988.
[22] Trattasi di giurisprudenza costante e consolidata. Cfr. Corte Cost., n. 218/2021, n. 56/2015, n. 94/2013, n. 244/2011, n. 247 e n. 152/2010, n. 167/2009 e n. 428/2008, n. 548/1990. Spesso è resa esplicita la correlazione tra gli artt. 3 e 41 Cost., con l’affermazione della necessità che le misure attuative delle clausole generali limitative della libertà imprenditoriale non siano idonee a realizzare una ingiustificata disparità di trattamento. In questo senso Corte Cost., n. 270/2010, n. 440/2006, n. 207/2001, sentenze tutte intese a censurare segmentazioni territoriali del mercato oppure trattamenti differenziati ratione loci, lesivi, oltre che il principio della parità di trattamento, del principio dell’uniformità di disciplina nei confronti degli operatori economici su tutto il territorio nazionale.
[23] “La libertà d’impresa non può subire infatti, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe nel caso di un completo sacrificio della facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative che costituiscono tipico oggetto della stessa attività d’impresa” (Corte Cost., n. 218/2021). Sulla garanzia di un contenuto minimo dell’iniziativa economica privata cfr. G. Morbidelli, voce Iniziativa economica privata, in Enc. giur., vol. XVII, Roma, pp. 4-5.
[24] Così S. Rodotà, Le clausole generali, in AA. VV., I contratti in generale, diretto da G. Alpa-M. Bessone, I, Torino, 1991, 399 ss.; parimenti per M. Luciani, Certezza del diritto e clausole generali, in Quest. giust., n. 1/2020, p. 67 ss, i principi “non sono necessariamente costruiti come le clausole generali, né ne posseggono le caratteristiche”.
[25] Corte Cost., n. 50/1957.
[26] Corte Cost., n. 316/1990.
[27] Corte Cost., n. 20/1980.
[28] Corte Cost., n. 63/1991.
[29] Corte Cost., n. 64/2007.
[30] Corte Cost., n. 94/2013; n. 439/1991.
[31] Corte Cost., n. 85/2020.
[32] Corte Cost., n. 218/2021, ma cfr. anche n. 168/2020.
[33] Così già Corte Cost., ord. n. 184/1983; ma cfr. altresì Corte Cost., n. 127/1990; n. 196/1998; n. 190/2001; n. 151/2018; n. 218/2021.
[34] Su questo specifico punto cfr. M. Delsignore-A. Marra-M. Ramajoli, La riforma costituzionale e il nuovo volto del legislatore nella tutela dell’ambiente, in Riv. giur. amb., 2022, p. 1 ss.
[35] Cfr., per tutti, G. Amato, Il mercato nella Costituzione, in Quad. cost., 1992, p. 7 ss., pp. 17-19, secondo cui la Costituzione è un “contenitore adatto per la stessa cultura del mercato, capace oggi di entrarvi e di dare alle sue norme significati sicuramente diversi da quelli a cui pensarono i suoi autori”.
[36] Sul punto, con una esemplificazione di ipotesi concrete in cui il fenomeno descritto si è verificato cfr., se si vuole, M. Ramajoli, La regolazione amministrativa dell’economia e la pianificazione economica nell’interpretazione dell’art. 41 della Costituzione, in Dir.amm., 2008, p. 121 ss.
[37] Ci si permette di rinviare ancora a M. Ramajoli, La regolazione amministrativa, cit.
[38] Sull’equivalenza tra i due termini cfr. M. Clarich, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., 9; M. Luciani, Certezza del diritto, cit., p. 67 ss.
[39] In tema cfr. B. Tonoletti, voce Ordine e sicurezza pubblica, in Enc. dir., I tematici. Funzioni amministrative, Milano, 2022, p. 791 ss., spec. p. 794 ss.
[40] M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, 2005, p. 155 ss.
[41] Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2005, n. 5827.
[42] Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 879; in senso analogo, sempre sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972.
[43] Ancora Cons. Stato, sez. VI, n. 879/2020. Per quanto riguarda la giurisprudenza di primo grado cfr. Tar Lombardia, 20 marzo 2023, n. 697; 10 luglio 2023, n. 1774.
[44] Sul fenomeno si rinvia a N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001; G. Morbidelli, Il principio di legalità e i c.d. poteri impliciti, in Dir. amm., 2007, p. 703 ss.; Id., Ricordando Nicola Bassi nella sua ricerca della legalità in difficile coabitazione con i poteri impliciti, in questa Rivista., 2017, p. 263 ss.; E. Bruti Liberati, Gli interventi diretti a limitare il potere di mercato degli operatori e il problema dei poteri impliciti dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, in E. Bruti Liberati-F. Donati (a cura di), Il nuovo diritto dell’energia tra regolazione e concorrenza, Torino, 2007, p. 165 ss.
[45] In tema cfr., se si vuole, M. Ramajoli, voce Concorrenza (tutela della), in Enciclopedia del diritto. I tematici, Funzioni amministrative, cit., 292 ss.; cfr. altresì L. Kaplow, Rules versus Standards: an Economic Analysis, in 42 Duke Law Journal, 1992, p. 557 ss.; D.A. Crane, Rules Versus Standards in Antitrust Adjudication, in Wash. And Lee Law Review, 2007, p. 49 ss.
[46] Per una puntuale illustrazione di queste Comunicazioni si veda F. Munari, Il ruolo delle clausole generali nel diritto dell’Unione europea, in R. Sacchi (a cura di), Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, cit., p. 161 ss., spec. pp. 176-178. Talvolta negli stessi atti di soft law è possibile rinvenire, oltre ad enunciati diretti a esplicitare il senso delle clausole generali contenute in fonti vincolanti, anche concetti che costituiscono a loro volta clausole generali; si pensi, in materia di aiuti di Stato alle banche, alla “condivisione degli oneri” (o burden sharing), condizione individuata dalla Commissione nella Comunicazione sul settore bancario del 1° agosto 2013 e successivamente evoluta nel criterio del bail-in, previsto dalla direttiva 2014/59/UE e dal Regolamento n. 806/2014. Sul punto cfr. C. Amalfitano-F. Croci, Identificazione e ruolo delle clausole generali nell’ordinamento dell’Unione europea, ivi, p. 179 ss., pp. 206-207.
[47] Sul tema, ampiamente, M. Clarich, in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., p. 32 ss.
[48] M. Libertini, Ancora a proposito di principi, cit., 188; cfr. altresì F. Cintioli, Orizzonti della concorrenza in Italia, Scritti sulle istituzioni di tutela della concorrenza, Torino, 2019, p. 15 ss.
[49] Di “spirale ermeneutica (tra fatto e diritto)” parla Cassazione civile sez. lav., 25 giugno 2020, n. 12714; in senso analogo Cassazione civile, sez. un., 22 febbraio 2012, n. 2572.
[50] Cfr. supra, paragrafo precedente.
[51] Per tutti cfr. L. Mengoni, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, pp. 5 ss., 18; E. Fabiani, voce Clausola generale, cit., p. 216 ss.
[52] Così, con particolare chiarezza, Cass., sez. I, 4 giugno 2015, n. 11564.
[53] Così Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2022, n. 6254; 19 luglio 2022, n. 6254; in dottrina cfr., per tutti, M. Clarich, in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit.
[54] Così V. Velluzzi, Le clausole generali, cit., 65 ss.; cfr. anche G. Oppo, Sui principi generali del diritto privato, in Riv. dir. civ., 1991, I, p. 475 ss., 475, che definisce gli standards valutativi come la “misura sociale” dell’applicazione delle clausole generali.
[55] Di “spirale ermeneutica (tra fatto e diritto)” discorre la Cassazione civile, sez. lav., 25 giugno 2020, n. 12714; in senso analogo Cassazione civile, sez. un., 22 febbraio 2012, n. 2572.
[56] Cons. Stato, sez. VI, 1° ottobre 2002, n. 5156.
[57] La distinzione, pubblicistica, tra norme contenenti clausole generali che reclamano valutazioni tecniche e norme contenenti clausole generali che invocano discrezionalità amministrativa presenta numerose similitudini con la distinzione che la dottrina privatistica ha tracciato tra norme a contenuto indeterminato composte di fattispecie e disciplina (come, ad esempio, il divieto di abuso di posizione dominante) e norme a contenuto indeterminato comportanti delega all’interprete di un bilanciamento tra interessi concreti in conflitto e della conseguente previsione della regola del caso concreto (come, ad esempio, l’art. 844 c.c., che prevede il limite della “normale tollerabilità” per le immissioni nei rapporti di vicinato); così M. Libertini, Ancora, cit., p. 188 ss.
[58] A. Travi, Giurisdizione e amministrazione, in F. Manganaro-A. Romano Tassone-F. Saitta, Sindacato giurisdizionale e «sostituzione» della pubblica amministrazione (atti del convegno di Copanello, 1-2 luglio 2011), Milano, 2013, p. 3 ss.
[59] In tema cfr. A. Moliterni, Le disavventure della discrezionalità tecnica tra dibattito dottrinario e concrete dinamiche dell’ordinamento, in Id. (a cura di), Le valutazioni tecnico-scientifiche tra amministrazione e giudice. Concrete dinamiche dell’ordinamento, Napoli, 2021; F. Sclafani, Il sindacato giurisdizionale sui provvedimenti sanzionatori delle autorità indipendenti: l’attendibilità delle scelte tecniche tra legittimità e merito, in questa Rivista, 2021, p. 148 ss.; L. Galli, Il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica: pienezza e bilanciamento del controllo, in Dir. proc. amm., 2014, 1359 ss.; per quanto riguarda il livello europeo in ambito concorrenziale cfr. la giurisprudenza riportata da F. Ghezzi-G. Olivieri, Diritto antitrust, Torino, 2019, II ed., p. 12 ss.
[60] Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 2022, n. 9800, in tema di valutazione delle offerte tecniche nei contratti pubblici, a testimonianza del carattere generale e trasversale del trend giurisprudenziale.
[61] Il giudice “deve solo stabilire se la valutazione complessa operata nell’esercizio del potere debba essere ritenuta corretta, sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della concorrenza che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato”. “Anche l’apporto conoscitivo tecnico, conseguito tramite apporti scientifici, non è ex se dirimente allorché soccorrono dati ulteriori, di natura più strettamente giuridica, che limitano il sindacato in sede di legittimità ai soli casi di risultati abnormi, ovvero manifestamente illogici” (Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4322).
[62] Tra le tantissime cfr., di recente, Cons. Stato, sez. VI, 16 luglio 2021, n. 5374; 15 dicembre 2020, n. 8061; 30 gennaio 2020, n. 779; 6 marzo 2019, n. 1550; TAR Lombardia, sez. II, 7 febbraio 2020, n. 271.
[63] Rispettivamente Cass., sez. un., 7 maggio 2019, n. 11929, relativa a una sanzione irrogata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e Corte di giustizia, 7 maggio 2020, C-148/19 P, con riguardo a una decisione della Commissione europea in tema di aiuti di Stato, entrambe richiamate da M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Bologna, 2023, II ed., pp. 263-264.
[64] Cons. Stato, sez. VI, n. 19 marzo 2020, n. 1957; 11 novembre 2019, n. 7719; 2 settembre 2019, n. 6022; 5 agosto 2019, n. 5559.
[65] Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2013, n. 1645.
[66] Cons. Stato, sez. VI, 6 agosto 2013, n. 4113.
[67] TAR Lazio, sez. I, 17 maggio 2021, n. 5801.
[68] In ciò sostenuto da una parte della dottrina; cfr. G. Greco, L’illecito anticoncorrenziale, il sindacato del giudice amministrativo e i profili tecnici opinabili, in Riv.it.dir.pubbl.com., 2021, p. 469 ss.; F. Goisis, L’efficacia di accertamento autonomo del provvedimento AGCM: profili sostanziali e processuali, in Dir. proc. amm., 2020, p. 45 ss., spec. p. 76 ss. In senso parzialmente diverso, cfr. F. Cintioli, Giusto processo, sindacato sulle decisioni antitrust e accertamento dei fatti (dopo l’effetto vincolante dell’art. 7, D.Lgs. 19 gennaio 2017, n. 3), ivi, 2018, p. 1209 ss., p. 1221 ss.; S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sule valutazioni tecniche: il curioso caso degli atti della autorità indipendenti, in Dir. amm., 2020, 97 ss. 109, in part. nota 35.
[69] Leading case è Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990, in tema di divieto di intesa restrittiva della concorrenza; l’indirizzo ha poi trovato applicazione anche altrove; ad esempio, in materia di realizzazione di impianti di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili (Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167) e di diniego di autorizzazione paesaggistica (Cons. Stato, sez. VI, 5 dicembre 2022, n. 10624).
[70] Anche se, da ultimo, si veda il cospicuo pacchetto di decisioni del Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2023, n. 3312; 29 marzo 2023, n. 3280, n. 3281, n. 3282, tutte in tema antitrust.
[71] Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2414.
[72] B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, Padova, 2001, p. 321 ss.
[73] Cons. Stato, sez. VI, n. 10624/2022, cit.
[74] Così Cons. Stato, sez. VI, n. 4990/2019, cit.; a livello europeo emblematica è la sentenza resa in Trib. UE, T-342/99, Airtours Plc, nella quale il Tribunale ha di fatto “annientato” (così F. Ghezzi-G. Olivieri, Diritto antitrust, cit., p. 12 ss.) la teoria della posizione dominante collettiva proposta dalla Commissione al fine di valutare le concentrazioni nei mercati oligopolistici, dettando alcune condizioni alternative che la Commissione stessa avrebbe dovuto seguire per apprezzare l’impatto di tali operazioni sul mercato.
[75] M. Clarich, in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo, cit., pp. 26-27.
[76] Cons. Stato, sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8167.
[77] Cons. Stato, Sez. VI, n. 10624/2022, cit.
[78] Cons. Stato, sez. VI, n. 4990/2019, cit.; a tal riguardo si vedano le osservazioni critiche di M. Delsignore, I controversi limiti del sindacato sulle sanzioni AGCM: molto rumore per nulla?, in Dir. proc. amm., 2020, p. 740 ss.
[79] Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4465, sulla quale cfr. S. Rodolfo Masera, Verificazioni e valutazioni tecniche: la “dimensione” processuale del problema, in questa Rivista, 2021, 406 ss.
[80] Su cui si rinvia a F. Goisis, La full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzione e nodi irrisolti, in Dir. proc. amm., 2015, 546 ss.; Id., L’efficacia del provvedimento autonomo AGCM: profili sostanziali e processuali, cit., 45 ss.; M. Allena, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche complesse: orientamenti tradizionali versus obblighi internazionali, ivi, 2012, p. 1589 ss.
[81] L. Torchia, Il giudice amministrativo e l’amministrazione: controllo, guida, indifferenza, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, p. 189 ss., p. 192.
[82] Per le numerosissime sentenze in tal senso si rinvia ad E. Fabiani, Clausole generali e sindacato della Cassazione, Torino, 2003, p. 163 ss.
[83] Così E. Fabiani, voce Clausola generale, cit. 230, analizzando le sentenze della Cassazione relative al concetto di “giusta causa di licenziamento”, emanate a partire dalla fine del secolo scorso (Cass., 22 ottobre 1998, n. 10514 e Cass., 18 gennaio 1999, n. 434), secondo cui l’applicazione di una norma elastica integra un giudizio di diritto e non di fatto, perché la sussunzione di un fatto materiale in una norma giuridica è questione di legittimità e non di merito.
[84] Così M. Taruffo, Il vertice ambiguo, Bologna, 1991, p. 118 ss.; Id., La prova de fatti giuridici. Nozioni generali, Milano, 1992, 67 ss.; in senso del tutto analogo E. Fabiani, Clausole generali e sindacato della Cassazione, cit.; A. Travi, Il giudice amministrativo, cit., 439 ss.; B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, cit., p. 320 ss.
[85] A. Travi, Recensione a Ernesto Fabiani, Clausole generali e sindacato della Cassazione, con prefazione di Michele Taruffo, in Dir. pubbl., 2005, p. 663 ss.
[86] F.G. Scoca, Giudice amministrativo ed esigenze del mercato, in Dir. amm., 2008, pp. 257 ss., 261 e 267.
[87] A. Travi, Il giudice amministrativo, cit., p. 439 ss.
[88] A. Travi, op. ult. cit.; dello stesso Autore cfr. altresì Sindacato debole e giudice deferente: una giustizia amministrativa?, in Giorn. dir. amm., 2006, p. 304 ss.
[89] B. Tonoletti, Norme imprecise, qualificazione dei fatti ed estensione della cognizione del giudice amministrativo, in E. Bruti Liberati-M. Clarich (a cura di), Per un diritto amministrativo coerente con lo Stato costituzionale di diritto. L’opera scientifica di Aldo Travi, Pisa, 2022, p. 145 ss., p. 156, nt. 25.
[90] Così A. Travi, Per una revisione dei limiti del sindacato giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti amministrativi, in Aa.Vv., La protección de los derechos frente al poder de la administracion. Libro homenaje al Profesor Eduardo García de Enterría, Caracas, 2014, 755 ss.; “che l’opinabilità debba essere reale e debba rappresentare non il complesso della valutazione amministrativa, ma soltanto un suo margine residuale è premessa necessaria e sufficiente … per consentire un sindacato non meramente estrinseco da parte del giudice amministrativo” (B. Tonoletti, Norme imprecise, cit., p. 166).
[91] “La distinzione tra accertamenti e valutazioni di opportunità non (è) sempre netta e sicura, perché le norme sono dettate in vista di esigenze pratiche, senza tener conto spesso delle ragioni della certezza del diritto”; così B. Tonoletti, L’accertamento amministrativo, cit., p. 324.
[92] M. Stella Richter, I sistemi di controllo delle banche tra ordinamento di settore e diritto comune. Notazioni preliminari, in Riv. soc., 2018, 320, la definisce “una endiadi o un ossimoro”. In senso analogo cfr. F. Sartori, Disciplina dell’impresa a statuto contrattuale: il criterio della sana e prudente gestione, in Banca borsa tit. cred., 2017, II, p. 131 ss.; P. Montalenti, Nuove clausole generali nel diritto commerciale tra civil law e common law, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2015, p. 133 ss.
[93] Si tratta delle misure previste dall’art. 69-vicies-semel TUB, tra cui la rimozione di tutti i componenti del consiglio di amministrazione, del collegio sindacale e del direttore generale.
[94] “È evidente il carattere spiccatamente discrezionale del provvedimento in esame, volendosi con ciò sottolineare come l’autorità vigilanza, una volta accertata l’esistenza dei presupposti oggettivi enunciati dall’art. 69-octiesdecies, comma1, lett. b), TUB, sia chiamata a stabilire, sulla base di una valutazione di opportunità, se disporre la rimozione collettiva degli organi sociali, ovvero se, nello specifico caso, siano prospettabili soluzioni meno gravose (o se in ipotesi sia invece necessaria una misura ancora più incisiva)”; così Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2022, n. 6254, in Giur. comm., 2023, p. 389 ss., con note di R. Piselli, I poteri in intervento precoce di Banca d’Italia: spigolature di diritto commerciale, e di G. Fidone, Sulla qualificazione del potere di removal della Banca d’Italia, sulla natura del potere esercitato e sul correlato sindacato del Giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato compie un altro passo verso la full jurisdiction.
[95] Sulla linea di facile trapasso tra valutazioni tecniche e discrezionalità amministrativa cfr. E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica, politica e democrazia, Torino, 2019, spec. 75 ss.; per quanto attiene al sindacato in Cassazione si rinvia a L. Salvaneschi, Il confine incerto tra giudizio di fatto e giudizio di diritto nell’uso delle clausole generali e il controllo della Cassazione, in R. Sacchi (a cura di), Il ruolo delle clausole generali in una prospettiva multidisciplinare, cit., p. 483 ss., spec. p. 486 ss.; S. De Matteis, Il sindacato della Cassazione sulle clausole generali, tra fatto e diritto, in Giust. civ., 2022, II, p. 265 ss.