Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Concorrenza, norme deontologiche e decoro della professione. Note a margine di Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2015 n. 238 (di Stefania Vasta)


Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 gennaio 2015, n.

Pres. Baccarini – Est. Giovagnoli

«Non si può ritenere che la regola deontologica che impone di praticare compensi commisurati al decoro della professione possa trovare una copertura normativa nell’art. 2233, comma 2, cod. civ. che, occupandosi del contratto d'opera intellettuale, prevede espressamente che “in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione”. Tale norma, contenuta nel codice civile, si indirizza, infatti, al singolo professionista, disciplinando i suoi rapporti con il cliente nell'ambito del singolo rapporto contrattuale, senza attribuire alcun potere di vigilanza agli Ordini in merito alle scelte contrattuali dei propri iscritti.»

«Le regole deontologiche secondo cui a garanzia della qualità delle prestazioni il geologo deve sempre commisurare il compenso al decoro professionale sono restrittive della concorrenza e non possono essere considerate necessarie al perseguimento di legittimi obiettivi collegati alla tutela del consumatore.»

«L'obbligo di commisurare il compenso al decoro professionale si traduce, nella prassi, in una surrettizia reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così l'abolizione degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27), con i conseguenti effetti restrittivi della concorrenza.»

«L'obbligo contenuto nei codici deontologici di rispettare il decoro della professione nella determinazione del compenso induce di fatto, e per prassi consolidata, gli iscritti a ritenere vincolanti le tariffe professionali.»

   

SOMMARIO:

1. Inquadramento - 2. Ordini professionali e concorrenza - 3. Requisiti metagiuridici e parametri di valutazione della concorrenza: il ruolo degli ordini professionali - NOTE


1. Inquadramento

La decisione del Consiglio di Stato, VI, 22 gennaio 2015, n. 238 offre l’opportunità di soffermarsi nuovamente su un tema già da tempo discusso in giurisprudenza: il rapporto tra mercato e professioni regolamentate ovvero tra tutela della concorrenza e regole deontologiche. In questo panorama, la sentenza in commento apporta un tassello ulteriore al superamento della tradizionale antinomia tra dinamica concorrenziale e statica delle regole deontologiche. Essa, infatti, contribuisce a chiarire i confini del rapporto che intercorre tra esercizio di professione intellettuale e regole concorrenziali. La vicenda processuale prende avvio nel 2009 con l’impugnazione avanti il Tar del Lazio-Roma, da parte del Consiglio nazionale dei geologi, della deliberazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con la quale quest’ultima aveva censurato come restrittive della concorrenza alcune norme deontologiche concernenti la determinazione del compenso [1], ordinando di assumere misure atte a far cessare l’illecito [2]. Secondo l’orientamento dell’Autorità, in forza di queste norme i professionisti sarebbero indotti ad assumere condotte non autonome nell’individuazione delle tariffe professionali – e precisamente a non calcolare le parcelle sotto i minimi tariffari – per non incorrere in sanzioni disciplinari per violazione del canone del decoro della professione, prescritto dalle citate regole deontologiche. Tale circostanza determinerebbe una illecita restrizione della concorrenza, in violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Con sentenza n. 1767/2011 il Tar Lazio-Roma ha accolto la tesi prospettata dall’Autorità garante [3]. Avverso la decisione hanno proposto appello sia l’Autorità garante (limitatamente a un capo della sentenza) che il Consiglio nazionale dei geologi, il quale ultimo, unitamente alla riformulazione delle censure di primo grado, ha presentato istanza di rinvio pregiudiziale avanti la Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 del Trattato. Il giudice adito ha quindi disposto la rimessione con ordinanza n. 1244/2012, sottoponendo alla Corte di giustizia una serie di quesiti, compreso il problema qui discusso: se sia in contrasto con la disciplina comunitaria e con l’art. 101 del Trattato il riferimento, contenuto nelle norme del codice [continua ..]


2. Ordini professionali e concorrenza

La decisione in commento esprime una generale censura di anticoncorrenzialità alle regole deontologiche esaminate: censure che concernono l’ordine dei geologi, ma che, in un discorso più generale, possono applicarsi alle professioni intellettuali regolamentate in genere [5]. Più nel dettaglio, si intende qui soffermarsi solo su alcuni passaggi della sentenza che, per la prospettiva analizzata, appaiono di maggiore interesse. A questo fine, è opportuno partire dal presupposto logico da cui muove la sentenza. Secondo il ragionamento condotto dal Consiglio di Stato, facendo proprie le conclusioni della sentenza Corte di giustizia 18 luglio 2013, in C-136/12, costituiscono premessa logica della decisione la circostanza che gli ordini professionali debbano essere intesi come associazioni di imprese, ai sensi dell’art. 101 del Trattato, nonché l’ulteriore circostanza, coerente con la prima, secondo cui l’esercizio di una professione intellettuale debba essere inquadrata nell’alveo della nozione di impresa ai fini comunitari [6]. Il Consiglio di Stato considera, altresì, come le regole deontologiche abbiano carattere vincolante per gli iscritti, per i quali incombe, nel caso di omessa applicazione delle prescrizioni deontologiche, ivi comprese quelle che stabiliscono i criteri per il calcolo delle parcelle, la concreta possibilità di essere destinatari di sanzioni deontologiche. In altri termini, anche la sola possibilità di incorrere in un illecito disciplinare indurrebbe in concreto i professionisti ad attuare comportamenti suscettibili di essere qualificati come illeciti anticoncorrenziali. Ciò posto come premessa logica, il Consiglio di Stato ha appurato come, nel caso specifico della prassi applicativa delle regole che concernono il calcolo della parcella professionale, si realizzino realmente effetti restrittivi della concorrenza. Tali regole, infatti, non paiono orientate a realizzare finalità ultronee a quella della quantificazione del compenso; ipotesi che invece le renderebbe idonee a giustificare la loro esistenza sul piano concorrenziale (cosa che avverrebbe, per esempio, ove fossero finalizzate al perseguimento di una maggiore garanzia di qualità della prestazione professionale). La sentenza si sofferma, piuttosto, nel chiarire che non si ravvisa alcuna connessione tra la qualità della prestazione e la [continua ..]


3. Requisiti metagiuridici e parametri di valutazione della concorrenza: il ruolo degli ordini professionali

All’esito dell’esame della sentenza 22 gennaio 2015, n. 238, residuano alcune osservazioni da svolgere. La decisione si pone sicuramente come un apprezzabile superamento della tradizionale antinomia tra concorrenza e professioni intellettuali o, meglio, tra concorrenza e regole deontologiche espresse dagli ordini professionali [14]. È di comune esperienza, infatti, il rilievo che vi sia stata una prassi diffusa da parte degli ordini professionali a far prevalere le regole deontologiche, anche in virtù di un restrittivo potere di vigilanza sui propri iscritti, a discapito delle aperture concorrenziali. Ciò ha comportato ipotesi, come quella esaminata, di ampliamento dei confini della legittimazione degli ordini, al fine di esercitare un potere di censura sui propri iscritti, anche disattendendo l’impulso voluto dal legislatore interno e comunitario all’ampliamento della concorrenza. In questa prospettiva, la sentenza si colloca quindi come un necessario ridimensionamento del potere di vigilanza degli ordini professionali, i quali, in funzione della tutela della concorrenza tra i propri iscritti, non paiono legittimati da alcuna fonte giuridica, né comunitaria né interna, a imporre surrettiziamente l’applicazione di minimi tariffari. Il dato è di sicuro rilievo. La sentenza, infatti, non esclude dal novero dei parametri di valutazione delle tariffe il requisito del decoro della professione, che, in virtù dell’art. 2233 c.c., continua a essere vigente nell’ordinamento e quindi applicabile per tutte le professioni intellettuali. La sentenza esclude, invece, la titolarità in capo all’ordine professionale del potere di esercitare vigilanza, e conseguente censura, circa l’applicazione di tale parametro da parte degli iscritti. In altri termini, limitatamente a tale ambito di analisi, il Consiglio di Stato priva l’ordine professionale di legittimazione. A ben guardare, infatti, non viene censurato il requisito del decoro della professione in sé, ma l’applicazione che, per prassi, ne viene fatta dall’ordine dei geologi o, in una prospettiva più generale, dagli ordini professionali. Rimane infatti sempre operante l’art. 2233 c.c., il quale continua a costituire disciplina vigente. Non essendo però titolato l’ordine di appartenenza a svolgere tale verifica, perché le regole [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2015