L’influenza che la regolazione dei mercati sta avendo sul diritto privato ha stimolato un dibattito sull’emergere di un “diritto privato regolatorio”.
Se si guarda al problema della regolazione come alla disciplina delle attività economiche affidata a organismi indipendenti, può dirsi che il diritto privato regolatorio consiste nella conformazione dei relativi mercati per il tramite di regole dettate da authority indipendenti.
Dopo aver ripercorso brevemente l’iter storico attraverso il quale si è pervenuti all’attuale conformazione del diritto privato regolatorio nel contesto europeo, il presente contributo propone un primo tentativo di conferire alla materia unicità organica, identificando, nei diversi mercati regolamentati (da quello creditizio e finanziario a quelli relativi ai servizi di interesse economico generale), tratti comuni costanti e ricorrenti, ma anche le differenti finalità perseguite e gli strumenti al fine adoperati.
Market regulation is having a significative impact on private law. Such circumstance has generated an intense debate on the emerging “Regulatory Private Law”.
As the regulation is considered on the perspective of the economic activities subject to indipendet authorities, the regulatory private law shall be defined as the rules as such generated by these authorities and then governing the specific market.
After a brief summary on the historical process that led to the current asset of Regulatory Private Law, this essay propose a first attempt to develop an organic vision to the topic, enlighting, in the different markets (from credit and financial markets to services of general interest markets), costant and recurring features, common traits and differences.
Keywords: Regulation – Markets – Private Law
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1. Il diritto privato regolatorio - 2. I mercati regolati - 3. I modi di esplicazione del diritto privato regolatorio - 4. Il diritto privato regolatorio e i rimedi. In particolare, sulla funzione regolatoria dei sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie - 5. Quasi una conclusione. Dal diritto privato regolatorio al diritto privato salvatore? - NOTE
Il diritto privato, in quanto diritto, regola. Regola, attraverso norme ma non solo, i comportamenti degli uomini (sia singoli, sia associati tra loro), stabilendo poteri e facoltà, prescrivendo obblighi, oneri e soggezioni.
Ma la suggestiva formula “diritto privato regolatorio”, recentemente rievocata nel dibattito dottrinale [1] e che sarà oggetto delle considerazioni che seguiranno, non allude certamente alla ontologica natura regolante del diritto e del diritto privato in particolare. L’aggettivo “regolatorio”, infatti, è qualcosa di diverso dal participio “regolante”. “Diritto privato regolatorio” è, invece, una formula che direttamente allude alla regolazione dei mercati ed alla regolazione attuata – fenomeno non così scontato – tramite il diritto privato. Non è così scontato perché il diritto privato assolve a una funzione regolatoria solo in un modello di Stato ben definito e storicamente dato: il modello, appunto, dello Stato regolatore (v. infra, § 3.5).
Chiarito, in limine, che “diritto privato regolatorio” è formula evocante l’uso, da parte dello Stato regolatore, del diritto privato in funzione di regolazione dei mercati, occorre tuttavia un chiarimento che vale, al contempo, come delimitazione del concetto e del campo di indagine.
In termini generalissimi, il mercato altro non è che un insieme, attuale o potenziale, di contratti; e siccome il contratto è il diritto privato, la questione si potrebbe pure chiudere qui. Il sillogismo è servito: il diritto privato disciplina il contratto; il mercato è un insieme di contratti; il diritto privato regola i mercati [2]. Ma la conclusione cui questo sillogismo conduce non aiuta a cogliere la differentia specifica del diritto privato regolatorio rispetto al diritto privato patrimoniale.
Il diritto privato può disciplinare il contratto di compravendita di un gioiello prezioso o di un quadro d’autore guardandosi bene dall’intervenire sul suo contenuto e lasciando, in particolare, che il prezzo venga fuori dall’incrocio tra la domanda e l’offerta; o può, all’opposto, disciplinare il contratto di locazione di un appartamento destinato ad abitazione “regolandone” la durata minima, il canone, l’entità massima del deposito cauzionale, il regime delle spese, e via discorrendo. È sempre diritto privato, ma fa due mestieri diversi.
Anche nel caso del mercato delle locazioni ad uso abitativo, sebbene il diritto privato sia abbondantemente regolante e il mercato sia abbondantemente regolato, non si è ancora al cospetto di un diritto privato “regolatorio”.
Per discorrere, con maggior precisione, di diritto privato regolatorio occorre ancora qualcosa in più, che, per essere rintracciato, richiede ovviamente di soffermarsi sulla seconda parte della locuzione, ovverosia sul concetto di “regolazione”.
Anche questo concetto può accogliere una pluralità di possibili significati, che oscillano tra una latitudine massima, secondo cui la regolazione “comprende – oltre alle regolamentazioni (di varia natura e livello) ed alle funzioni di controllo – altri tipi di atti e di procedimenti: gli atti di indirizzo politico e le programmazioni e pianificazioni” [3] e latitudini più ristrette, secondo cui la regolazione si dà quando la disciplina delle attività economiche è affidata a organismi indipendenti con caratteristiche specifiche: i) strutture tecniche composte da esperti; ii) i cui indirizzi non sono determinati con atti normativi primari ma da provvedimenti delle singole autorità; iii) con propri, ben definiti, settore di competenza e ambiti di operatività; iv) che curano non interessi pubblici ma interessi collettivi; v) che definiscono le condizioni per lo svolgimento delle attività private, ma non i fini per cui queste devono essere svolte; vi) che, pur facendo regolazioni pubbliche, “entrano in rapporti interprivati” [4].
L’accezione di regolazione implicita nella locuzione “diritto privato regolatorio” è, a mio modo di vedere, quella più ristretta e lo è, in particolare, in virtù dell’ultima caratteristica evidenziata: pur facendo regolazioni pubbliche, “le autorità indipendenti entrano in rapporti interprivati”.
Così ristretto l’ambito problematico della formula, è relativamente facile trascorrere dal “cosa” al “dove” del diritto privato regolatorio. I luoghi della sua emersione si rintracciano infatti agevolmente nei mercati il cui funzionamento è controllato e indirizzato – in una parola, regolato – da un’autorità amministrativa indipendente. Il riferimento corre naturalmente al mercato del credito, al mercato mobiliare e al mercato assicurativo, ma anche al mercato elettrico, al mercato del gas e al mercato idrico, o ancora al mercato delle telecomunicazioni: ovverosia a tutti quei mercati in cui le imprese che vi operano sono sottoposte alla vigilanza continua di un’autorità indipendente che si esplica non solo per il tramite del controllo sui soggetti del mercato, ma anche per il tramite del controllo sull’oggetto del mercato: ovverosia sui contratti. Non a caso il sintagma “contratto amministrato” è divenuto il titolo di una recente monografia [5] e, procedendo più a ritroso nella letteratura, fino a tornare ai grandi classici, nel volume di Messineo sul Contratto in generale si rintraccia uno spunto interessantissimo, nel quale si accenna a un contratto “regolato”: “epiteto, nel quale si compendiano le innovazioni, introdotte con le norme privatistiche, e, altresì, l’incidenza dell’attività del potere pubblico sulla disciplina del medesimo e, di riflesso, sulla volontà delle parti” [6].
Il diritto privato regolatorio consta, dunque, di quelle regole che trovano prevalente fonte nei provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti e che conformano i mercati regolati attraverso strumenti e tecniche del diritto privato per raggiungere scopi di interesse generale [7].
Le radici del diritto privato regolatorio Definito il concetto di diritto privato regolatorio, credo non sia inopportuno indugiare sulle sue origini, sia di tipo strettamente giuridico, sia di natura più prettamente ideologica.
2.1. Volgendo lo sguardo leggermente all’indietro è indubbio che il diritto privato regolatorio rappresenta un’epifania dell’affermazione, sulle due sponde dell’atlantico, della c.d. controrivoluzione liberista, la quale segnò l’inizio dello smantellamento dello stato sociale e la riappropriazione, da parte del mercato e per il mezzo delle liberalizzazioni, di vaste aree dell’economia, per lunghi tratti del Novecento presidiate da imprese pubbliche. Le regolazioni sono – secondo la communis opinio – conseguenza diretta delle liberalizzazioni. L’incalzante processo di comunitarizzazione dell’ordinamento giuridico, fattosi sempre più pressante dopo l’approvazione dell’Atto unico europeo e del Trattato di Maastricht, ha decretato la fine della stagione dell’intervento pubblico nell’economia [8]. Il diritto privato regolatorio è dunque l’immagine riflessa del nuovo paradigma dello Stato “regolatore”.
2.2. Volgendo lo sguardo ancora più indietro, è assai opportuno notare che, in Europa, l’apertura dei mercati è legata in modo strettissimo, già nelle rivendicazioni tedesche della fine degli anni ’40, al timore che l’affermazione di misure interventiste e protezionistiche potesse fungere da sifone per la riespansione del ruolo ipertrofico dello Stato tipico delle esperienze totalitarie: era questo, in definitiva, lo scopo della proposta politica ordoliberale, il cui rilievo nella tessitura dell’ordito comunitario non ha bisogno di sottolineature [9]: restituire legittimità allo Stato, dopo la barbarie nazionalsocialista, attraverso il mercato.
Il mercato ha la priorità sullo Stato perché è l’economia che produce legittimità per la politica e non viceversa. Nelle parole non di un giurista, ma di un filosofo dal profondissimo pensiero, il percorso è così descritto: «lo stato ritrova la sua legge – la sua legge giuridica – e il suo fondamento reale, nell’esistenza e nella pratica della libertà economica» [10]. La scommessa degli ordoliberali si gioca sullo sconfinato tavolo dell’«esercizio globale del potere politico in base ai principi di un’economia di mercato» [11]: per vincerla, occorre formalizzare un concetto di concorrenza pura, che la faccia apparire come un dato primitivo e naturale. La concorrenza pura, però, è un’esigenza puramente ideale, priva di riscontro nella realtà. È un obiettivo per raggiungere il quale si devono rimuovere gli ostacoli che, in ogni esperienza storica, impediscono alla concorrenza di operare in modo naturale, “primitivo”: perché il meccanismo puro della concorrenza operi liberamente, occorre intervenire in modo permanente.
2.3. Da quanto appena illustrato discende un corollario, che rappresenta un’indispensabile premessa per articolare un discorso compiuto sul diritto privato regolatorio. La necessità che il mercato non sia lasciato in balìa dei costanti intralci che la concretezza della realtà sociale frappone al suo funzionamento produce, quasi per paradosso, una straordinaria quantità di regole, deputate però a intervenire dall’esterno (e, soprattutto, ex ante), sui suoi meccanismi: per questa ragione, a un basso grado di interventismo economico si contrappone un alto grado di interventismo giuridico che assume ora la forma della normazione puntuale e dettagliata (quindi in qualche misura una forma opposta rispetto all’idea di legge generale e astratta di matrice illuministica), ora la forma dell’interventismo giudiziario, poiché all’idea del diritto come forma generale di svolgimento del gioco economico segue, per intuibile conseguenza, un aumento della domanda di giustizia. Rispetto al diritto privato del welfare state [12], dal punto di vista della quantità della regolazione il tasso di normazione degli scambi di mercato, più che diminuire, cambia semplicemente fonte, perché al declino della legge si contrappone l’ascesa degli atti amministrativi, con ovvi precipitati – su cui non a caso nell’ultimo decennio s’è registrato un ampio dibattito sia tra i pubblicisti, sia tra i privatisti – sul rispetto del principio di legalità [13].
2.4. In questo cono d’ombra si coglie anche la peculiarità dell’esperienza europea delle autorità amministrative indipendenti, il cui modello, che pur storicamente ha visto la luce per la prima volta negli Stati uniti d’America, si è tuttavia colorato, nella storia delle istituzioni di questa parte dell’Oceano, di tratti diversi e peculiari che rimandano proprio all’economia sociale di mercato. È stato osservato che “l’adozione dell’istituto dell’autorità amministrativa indipendente non sia dovuta solo all’emulazione dell’esperienza americana. Infatti, se si guarda all’esperienza di idee e di proposte che è maturata nella cultura politica europea, si può trovare una diversa fonte di ispirazione della creazione di autorità amministrative indipendenti [proprio in] quella corrente di pensiero che è solitamente definita come «Scuola di Friburgo» o come pensiero «ordoliberale», che si è poi evoluta nella dottrina politica della «economia sociale di mercato» e che storicamente è stata, com’è noto, una delle fonti principali di ispirazione del Trattato istitutivo della Comunità Europea, mezzo secolo fa” [14]. Le authority europee di regolazione si inscrivono dunque entro questa cornice ordinamentale, nella quale il potere politico che stabilisce le regole deve limitarsi a fissare i principi fondamentali, restando distante dai conflitti di interesse quotidiani (che, come si usa dire, pongono forti rischi di “cattura”) e lasciando ad altri soggetti, tecnicamente più attrezzati e sciolti dai condizionamenti dei giochi elettorali, il potere di regolare i mercati [15].
2.5. È possibile, adesso, riannodare i fili del discorso e tentare una prima conclusione. Il diritto privato regolatorio, che trova la propria legittimazione culturale nelle riflessioni alte degli ordoliberali tedeschi, esplode come fenomeno di sistema fin dagli anni ’80 del secolo scorso, quando, sulla scia dell’esperienza anglosassone e sotto l’influsso del diritto di matrice comunitaria, si afferma anche in Italia il paradigma dello Stato regolatore.
Il processo è esemplificato, e chiarito nei suoi corollari, in modo magistrale nel volume di Cassese intitolato a La nuova costituzione economica, dal quale ho già attinto la definizione di regolazione secondo me più utile per discutere di diritto privato regolatorio. Aggiungo che, per avere una rappresentazione plastica, quasi sinottica, del mutamento di paradigma, basta confrontare La nuova costituzione economica con la prima edizione del Diritto pubblico dell’economia di Giannini [16], libro che meglio d’ogni altro (e pur con approccio sempre critico) descrive per così dire dall’interno “un modello di Stato ormai prossimo al declino” [17].
È stato Guido Alpa a tratteggiare, con la chiarezza che gli è propria, il profilo del diritto privato regolatorio. In un contributo invero non troppo noto [18], l’insigne autore ha osservato che le leggi istitutive di alcune autorità amministrative indipendenti prevedono che l’esercizio dei poteri di regolamentazione non sia circoscritto soltanto alla disciplina dei rapporti interni e, in particolare, all’individuazione di regole di comportamento dei soggetti vigilati, ma comprenda anche poteri di regolamentazione degli atti compiuti dai soggetti vigilati con i terzi; dopo aver giustamente rilevato come la semplice individuazione, e la raccolta di queste disposizioni, sia tutt’altro che agevole, ha concluso che “in fin dei conti si tratta di vedere come vengano introdotte nell’ordinamento regole che non dovrebbero avere tenore generale, riservato di norma ai codici civili o alle leggi speciali, e tuttavia finiscono per essere estese a tutti i contratti (speciali, legalmente o socialmente tipici o atipici) che appartengono al settore in cui le Autorità considerate decidono di operare” [19].
Si tratta di regole che investono trasversalmente il campo del diritto contrattuale, considerato che incidono:
iii) sulla presentazione del regolamento (modalità di redazione delle clausole, chiarezza e comprensibilità);
Procedendo per tipi di problemi ed esemplificazioni normative, è utile indugiare su alcune disposizioni, a mio avviso emblematiche del modus operandi del diritto privato regolatorio.
Attingendo alla fondamentale distinzione tra servizi di interesse economico generale e non [20] e allo scopo di enucleare una tassonomia delle modalità di esplicazione del diritto privato nei diversi settori regolati, verranno enumerate disposizioni tratte dalla legislazione creditizia e disposizioni tratte dalla legislazione in materia di servizi essenziali.
3.1. Nella legislazione creditizia, tra le varie disposizioni rilevanti, si segnalano le seguenti.
3.1.1 – L’art. 38 TUB, che, dopo aver dettato al comma 1 la nozione di credito fondiario [21], prescrive, al comma 2, che “la Banca d’Italia, in conformità alla deliberazioni del CICR, determina l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione di finanziamenti”.
3.1.2. – L’art. 69-duodecies TUB, introdotto in attuazione della direttiva BRRD, che istituisce la categoria degli accordi di sostegno finanziario tra banche appartenenti al medesimo gruppo, possibili quali misure casi di c.d. intervento precoce sulla crisi della banca sovvenuta. Tali accordi possono assumere in concreto varie forme (dal finanziamento alla prestazione di garanzia alla messa a disposizione di beni o attività da utilizzare come garanzie reali o finanziarie), devono essere autorizzati dalla Banca d’Italia e, se autorizzati, devono essere trasmessi all’autorità di risoluzione. Gli accordi di sostegno finanziario non sono soggetti, tra l’altro, alle azioni revocatorie ordinarie e fallimentari e non espongono gli organi della società eventualmente fallita ai reati di bancarotta fraudolenta e semplice (oggi artt. 322 e 323 c.c.i.).
3.1.3. – L’art. 6, comma 1, legge n. 40/2007, di conversione del d.l. n. 7/2007 (c.d. decreto Bersani), che prescrive la nullità di “qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, ivi incluse le clausole penali, con cui si convenga che il mutuatario, che richieda l’estinzione anticipata o parziale di un contratto di mutuo per l’acquisto o per la ristrutturazione di unità immobiliari adibite ad abitazione ovvero allo svolgimento della propria attività economica o professionale da parte di persone fisiche, sia tenuto ad una determinata prestazione a favore del soggetto mutuante”, soggiungendo, al comma 2, che “le clausole apposte in violazione del divieto di cui al comma 1 sono nulle di diritto e non comportano la nullità del contratto”.
3.1.4. – L’art. 117, comma 8, TUB, che prevede la possibilità, per la Banca d’Italia, di “prescrivere che determinati contratti, individuati attraverso una particolare denominazione o sulla base di specifici criteri qualificativi, abbiano un contenuto tipico determinato. I contratti difformi sono nulli”. In attuazione di questa disposizione, le Istruzioni di vigilanza per le banche del 29 luglio 2009 [22], hanno dettato regole sulla forma e sul contenuto minimo dei contratti, che si applicano a tutte le operazioni e a tutti i servizi bancari e finanziari (incluso il credito al consumo) offerti dalle banche in Italia.
Un classico esempio di contratto dal contenuto tipico determinato è oggi offerto dal conto corrente semplice. Banca d’Italia ha previsto la facoltà per gli intermediari di offrire, ai soli consumatori, un conto corrente modellato sulle loro esigenze “di base”, consistente nella fruizione di un rapporto di conto corrente con un numero predeterminato di operazioni di scritturazione e di servizi, dietro corresponsione di un canone annuo omnicomprensivo (liberamente determinabile da ciascun intermediario), e con il divieto per quest’ultimo di applicare ulteriori commissioni, oneri o spese [23].
3.2. Sulla legislazione in materia di servizi di interesse economico generale occorre un discorso più ampio. Nel mercato energetico e del gas l’obiettivo principale è la creazione di un mercato interno efficiente e aperto, ma, accanto a questo obiettivo, se ne affiancano altri: i) la fornitura dell’accesso alla rete senza discriminazioni, in modo trasparente e a prezzi ragionevoli, ii) la garanzia di elevati livelli di tutela dei consumatori, iii) la garanzia dell’effettiva libertà di scelta del fornitore e del diritto di essere riforniti di energia elettrica e di gas di una qualità specifica a prezzi facilmente comparabili, trasparenti e ragionevoli [24].
In questi settori, quindi, il diritto privato regolatorio non serve solo ad aprire alla concorrenza ma è chiamato anche a dare attuazione al diritto di accesso al servizio e al diritto alla scelta del fornitore; e, per farlo, può spingersi fino al cuore economico dell’operazione, regolando i prezzi e imponendo la parità di trattamento.
Il diritto di accesso al servizio si attua ponendo un obbligo di contrarre a carico del fornitore, al quale non è consentito opporre un arbitrario rifiuto [25].
Il diritto alla scelta dell’operatore si attua accordando al cliente un diritto di recesso gratuito [26] o, in alcuni settori come quello delle telecomunicazioni, un diritto alla portabilità del numero telefonico [27].
La regolazione dei prezzi finali è stata attuata, nelle telecomunicazioni, passando da un iniziale principio di copertura dei costi totali dell’operatore, con largo impiego di sussidi incrociati per assicurarne l’universalità, a un progressivo orientamento ai costi dei singoli servizi delle tariffe, pur mitigate da meccanismi di price cap.
La parità di trattamento, infine, trova positivo riscontro nel codice delle comunicazioni elettroniche [28] ma è reputata principio generale anche nel mercato dell’energia elettrica e del gas.
3.3. Le norme e i princìpi appena richiamati non si lasciano ricondurre a un’unica ratio regolatoria per la semplice ma inoppugnabile ragione che non tutte le regolazioni mirano agli stessi obiettivi.
Il diritto privato regolatorio si avvale infatti di un ampio ventaglio di princìpi e strumenti, alcuni comuni a tutti i settori regolati e altri, invece, tipici di alcuni settori soltanto. Tali tecniche e strumenti — generali o particolari —risentono, ovviamente, delle finalità della regolazione e del tasso di maturità concorrenziale raggiunto da ciascun mercato regolato.
Tra i princìpi comuni ai vari settori regolati c’è sicuramente la trasparenza (concetto da intendersi in senso ampio, comprensivo degli obblighi di informazione, di chiarezza, di comprensibilità, e da riferirsi tanto all’offerta quanto al singolo contratto) e, tra gli strumenti comuni, c’è sicuramente il recesso determinativo: entrambi ispirati, in tutti i settori regolati, a scopi di apertura dei mercati.
Tra gli strumenti specifici ai vari settori regolati è necessario distinguere.
Nei servizi finanziari riscontriamo strumenti che (i) o derogano al diritto comune (es.: art. 69 duodecies TUB) o (ii) pongono limiti imperativi all’autonomia privata (es.: art. 38 TUB), ma la cui ratio, comunque, riposa direttamente su finalità macroprudenziali come la stabilità del sistema finanziario. Questa finalità ispira anche la gran parte delle norme che regolano i limitrofi (quando non sovrapposti) comparti del mercato mobiliare e del mercato assicurativo, come si evince dalla sintomatica sintonia di ispirazione che emerge dalla lettura degli artt. 5 TUB, 5 TUF e 3 CAP, tutti orientati a individuare nel criterio della sana e prudente gestione “il veicolo per assicurare adeguata protezione ai consumatori, nonché per realizzare un mercato stabile, efficiente e competitivo” [29].
Nei servizi di interesse economico generale si riscontrano, invece, princìpi direttamente improntati a rationes solidaristiche, quali la non discriminazione e l’accessibilità universale.
Non mancano, infine, ibridazioni di finalità e conseguenti circolazioni degli strumenti privatistici tra i settori regolati. Così, ad esempio, la tipizzazione, da parte del regolatore, del conto corrente semplice o la recente introduzione, per via legislativa (artt. 126-noviesdecies e ss. TUB), dell’obbligo per gli intermediari di consentire alla clientela la stipula di “conti di base” (ma le cui condizioni e la cui eventuale gratuità sono determinate da un decreto del MEF, emesso dopo aver udito la Banca d’Italia), rispecchiano chiaramente un contesto sociale nel quale la cittadinanza attiva passa sempre più per l’inclusione finanziaria delle persone.
Quanto appena osservato dà probabilmente ragione all’intuizione di chi, già da anni, teorizza un modello di access justice che implica l’abbattimento delle barriere all’accesso al mercato, non solo dei servizi economici di interesse generale, ma anche dei servizi finanziari e postula un enforcement di tale modello che ne assicuri il raggiungimento delle finalità di giustizia sostanziale [30]. Non casualmente, infatti, si ritiene in dottrina che l’inadempimento dell’obbligo di stipulare un contratto di conto corrente di base posso essere oggetto di una domanda ex art. 2932 c.c. finalizzata a ottenere una sentenza che costituisca il rapporto [31]; e, d’altro canto, il legislatore ha previsto, all’art. 126-vicies, comma 2, TUB, che il rifiuto di apertura del conto di base possa essere oggetto di un reclamo innanzi all’ABF.
Quanto appena osservato apre un ulteriore spazio di riflessione, che spinge a interrogarsi su un aspetto di assoluta centralità per la comprensione del diritto privato regolatorio e che trae spunto da una caratteristica pressoché costante dei mercati regolati, ovverosia la previsione di sistemi ad hoc per la risoluzione delle controversie tra operatori e utenti, tesi a garantire decisioni rapide assunte da organismi tecnicamente specializzati. Le ADR rappresentano, dunque, un ulteriore tassello del mosaico diritto privato regolatorio, che potremmo definire di regolazione contrattuale by litigation [32].
Un’analisi di questa particolare forma di regolazione evidenzia che, in modo più o meno esplicito, le decisioni – ancor prima che esser rese secondo diritto – sono rese in coerenza con le finalità e gli obiettivi della regolazione. È intuitivo, infatti, che anche lì dove non sia espressamente previsto, gli organi giustiziali amministrati dai regolatori abbiano una naturale inclinazione ad assecondare le policies regolatorie, assumendole come fonti del diritto cui i destinatari devono essere compliant. Un tale atteggiamento è facilmente comprensibile, se si considera che parti di queste liti sono gli stessi operatori di mercato ai quali le direttive dei regolatori sono dirette: sì che, nel momento in cui sorgono contestazioni da parte degli utenti circa le loro condotte, il regolatore tradirebbe sé stesso se non tenesse conto, anche per il tramite della sua propaggine giustiziale, delle proprie direttive al mercato. Siamo al cospetto, insomma, di un ovvio omaggio alla regola che vieta, anche al regolatore, di venire contra factum proprium. A ciò si aggiunga che i sistemi di ADR amministrati dai regolatori consentono a questi ultimi di fare vigilanza per così dire dal basso, lasciando che siano gli stessi utenti a segnalare, a costi ridottissimi e con modalità di accesso alla lite semplificate, le condotte asseritamente illecite delle imprese vigilate [33]. In questo quadro, è emblematica l’analisi della c.d. giurisprudenza ABF, la quale, in tante e note circostanze (usura sopravvenuta, preavviso di iscrizione in centrale rischi, etc.), si discosta dalla giurisprudenza statale, anche di legittimità, poiché assume come non imputabile agli intermediari tutto ciò che consegue alle Istruzioni di Banca d’Italia cui gli stessi si sono mostrati compliant [34].
Le considerazioni svolte descrivono una funzione storicamente assunta dal diritto privato in un’epoca certamente non breve, che – pur affondando le proprie radici ideologiche nelle riflessioni ordoliberali della metà del Novecento – si può, con ovvio tasso di approssimazione, far risalire alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo.
Anche sul modello del diritto privato regolatorio, coessenziale al paradigma dello Stato regolatore, è tuttavia precipitata la crisi: che, com’è stato detto, non è stata soltanto finanziaria e poi economica, ma anche scientifica [35]. La crisi ha fatto irruzione sulle strutture portanti del modello di cui si è fin qui discusso con una violenza tale da porre la questione di un nuovo, repentino, cambio di paradigma: questa volta, dallo Stato regolatore allo Stato “salvatore” [36].
Si tratta di una questione a tutt’oggi discussa e su cui è impossibile offrire risposte certe, ma quanto accaduto nell’ultimo decennio di sicuro non sembra una parentesi nella storia delle istituzioni giuridiche e del diritto privato. Nei periodi di transizione, qual è indubbiamente quello in corso, più che in fisionomie definite è facile imbattersi in sistemi ibridi, in cui pezzi di vecchio si mischiano con pezzi di nuovo: così, se da un lato tanti ritengono che, dopo una prima reazione – lo Stato salvatore – dettata da motivazioni contingenti, il ruolo dello Stato regolatore sia uscito addirittura rafforzato dalla crisi, poiché l’ambito geografico di intervento degli organismi regolatori si sarebbe ampliato, estendendosi a livello sovranazionale: l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), l’Autorità bancaria europea (EBA) e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) non avrebbero forse visto la luce – certamente non così rapidamente – se la crisi non avesse sollecitato un ripensamento profondo dell’architettura europea della vigilanza e della regolazione [37], d’altro lato alcune vicende recenti aprono alla suggestione che anche il diritto privato, come lo Stato, possa assumere in taluni casi i panni del salvatore, rimediando ex post a fallimenti del mercato cui, ex ante, non erano state in grado di porre rimedio le authorities.
Il riferimento corre al caso “Tercas” e all’uso del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) in funzione di strumento di salvataggio delle banche in crisi, appena qualche giorno fa tornato agli onori della cronaca in relazione al salvataggio di Banca Carige [38]. Com’è noto, dopo un’iniziale presa di posizione contraria della Commissione Europea [39], la quale aveva ritenuto che l’intervento del FITD nel salvataggio delle banche costituisse un aiuto di Stato vietato dai Trattati, il Tribunale di I istanza [40] ha rovesciato il piano del ragionamento, annullando la decisione della Commissione sul presupposto che il FITD sia un organismo di diritto privato che opera soltanto, in chiave mutualistica, con risorse proprie delle banche aderenti. In quanto organismo di diritto privato – nella specie, un consorzio – che non attinge, neppure indirettamente, a risorse pubbliche, può ben adoperarsi, in conformità ai propri scopi statutari, per salvare banche in difficoltà, allo scopo di fugare il rischio di effetto domino che tipicamente accompagna le crisi bancarie a salvaguardare la stabilità del sistema finanziario e la fiducia dei risparmiatori [41].
Che il diritto privato, più che regolatorio, stia diventando salvatore?
Difficile rispondere: la storia non è finita; siamo tutti noi immersi in un flusso di avvenimenti in così rapido e continuo cambiamento, che probabilmente solo gli studiosi futuri, guardando i fenomeni attuali dalla giusta distanza, sapranno ridurre a un quadro organico [42].
[1] Da F. Sartori, Disciplina dell’impresa e statuto contrattuale: il criterio della “sana e prudente gestione”, in BBTC, 2017, I, p. 131, spec. p. 135 ss., secondo il quale la formula sarebbe stata coniata da A. Frignani, Diritto della concorrenza. L’insufficienza dei modelli sanzionatori classici e obiettivi dei nuovi modelli, in Dir. comm. int., 2008, p. 111.
[2] Meno generica, ma comunque inidonea a fungere da concetto delimitante la nozione di diritto privato regolatorio, è l’idea di V. Roppo, I paradigmi di comportamento del consumatore, del contraente debole e del contraente professionale nella disciplina del contratto, in G. Rojas Elgueta-N. Vardi (a cura di), Oltre il soggetto razionale, http://romatrepress.uniroma3.it/ojs/index.php/
oltre/article/view/75/74, p. 27, secondo cui “il diritto dei contratti costruito dalle discipline di regolazione del mercato risponde offrendo al contraente debole un arsenale di strumenti ben caratterizzati” per reagire ai fallimenti del mercato.
[3] In questo senso, di recente, S. Amorosino, Imprese e mercati tra autonomia privata e regolazioni pubbliche. Appunti per una lezione inaugurale, in Riv. dir. banc., 1/2019, p. 3 s., da cui la citazione testuale che precede.
[4] S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, 2007, p. 35, cui si devono anche i precedenti cinque punti della tassonomia.
[5] C. Solinas, Il contratto “amministrato”. La conformazione dell’operazione economica privata agli interessi generali, Napoli, 2018.
[6] F. Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, vol. XXI, t. I, diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1968, p. 50.
[7] Sotto questo profilo, le condizioni d’uso qui proposte della formula “diritto privato regolatorio” mi sembrano più ampie di quelle implicite nella proposta di F. Sartori, Disciplina dell’impresa e statuto contrattuale, p. 137, che al diritto privato regolatorio riconduce invece le regole privatistiche che si edificano “intorno ai valori della concorrenza, dell’efficienza, della stabilità del mercato, nonché della sana e prudente gestione dei soggetti vigilati”, escludendo, dunque, le regole che si edificano intorno ai principi dell’accessibilità e della parità di trattamento, ovverosia le regole che conformano i contratti tramite cui si accede ai servizi di interesse economico generale (su cui v. invece infra nel testo, § 4.2).
[8] Questo passaggio, davvero cruciale, è colto con acutezza dalla dottrina, la quale, verso la metà degli anni ’90 dello scorso secolo, avvertì lo spostamento dell’intervento pubblico «dalla funzione programmatoria alla funzione di rimozione degli ostacoli al funzionamento ottimale del mercato» (L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in BBTC, 1997, I, p. 1 ss., che cito tuttavia da Id., Scritti I. Metodo e teoria giuridica, a cura di Castronovo-Albanese-Nicolussi, Milano, 2011, p. 103).
[9] Da ultimo, Pitruzzella, L’Europa del mercato e l’Europa dei diritti, in Federalismi.it, marzo 2019, p. 6: “L’obiettivo della politica della concorrenza dell’ordoliberalismo – scolpito nelle pagine di Eucken, Rüstow, Röpke, Böhm – consisteva nel preservare una società libera. Per raggiungere quest’obiettivo occorreva perseguire la sistematica eliminazione della concentrazione del potere economico privato attraverso la garanzia di una completa competizione nel mercato. La struttura pienamente concorrenziale doveva servire non soltanto a realizzare l’efficiente allocazione delle risorse, ma soprattutto, e questo era di centrale importanza nel pensiero ordoliberale, a garantire una società libera in cui lo Stato non cada preda degli interessi riferibili alle grandi concentrazioni di potere economico”.
[10] M. Foucalt, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), tr. it. Milano, 2005, p. 83.
[11] M. Foucalt, Nascita della biopolitica, cit., p. 115.
[12] La cui crisi è oggi anzitutto fiscale, sia per la carenza delle risorse deputate al finanziamento dei diritti sociali, sia per i vincoli imposti dall’esterno alla possibilità di indebitamento dello Stato e degli altri enti territoriali. Sul punto, di recente, F. Gallo, Il futuro non è un vicolo cieco, Palermo, 2019, p. 60.
[13] Tra i pubblicisti, in luogo di tanti, F. Merusi, Il potere normativo delle autorità indipendenti, in G. Gitti (a cura di), L’autonomia privata e le autorità indipendenti, Bologna, 2006, p. 45; tra i privatisti, in luogo di tanti e per una visione opposta, M. Maugeri, Autorità indipendenti e contratto, in Studi in onore di Antonino Cataudella, t. II, Napoli, 2013, p. 1309.
[14] M. Libertini, Autorità indipendenti, mercati e regole, in Riv. it. scienze giur., 2010, p. 64, che, seppure a piè di pagina, in nota 3, evidenzia pure che “per la verità, nel patrimonio di idee dell’ordoliberalismo e dell’ESM vi è anche quella per cui le istituzioni pubbliche, per potere realizzare efficacemente i loro obiettivi, devono essere a loro volta condizionate da una società civile partecipativa e fornita di solidi valori comuni. Accade così di vedere sottolineata – a lato del valore dell’indipendenza di alcune pubbliche autorità – l’esigenza di indipendenza (dagli interessi delle imprese) di «istituzioni» non autoritative, come le Università o l’editoria giornalistica”.
[15] Anche questo modello, oggi, è tuttavia sottoposto a fortissime torsioni e vacilla ogni giorno di più sotto i colpi di ideologie populiste e “sovraniste”: v. M. Clarich, Populismo, sovranismo e Stato regolatore: verso il tramonto di un modello?, in questa Rivista, 1/2018, p. 2.
[16] M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1977.
[17] Così M. Clarich, La “mano visibile” dello Stato nella crisi economica e finanziaria, in questa Rivista, 2/2015, p. 3. Sull’importanza del volume di Giannini, in un’ottica più generale, G. Amato, Giannini e il diritto pubblico dell’economia, in Rivista italiana delle scienze giuridiche, 2015, p. 367 ss.
[18] G. Alpa, I poteri regolamentari delle autorità indipendenti e la disciplina dei contratti, in S. Amorosino-G. Morbidelli-M. Morisi (a cura di), Istituzioni Mercato e Democrazia. Liber amicorum per gli ottanta anni di Alberto Predieri, Torino, 2002, p. 11.
[19] G. Alpa, I poteri regolamentari delle autorità indipendenti e la disciplina dei contratti, cit., p. 12.
[20] Cfr. F. Cafaggi, Il diritto dei contratti nei mercati regolati. Ripensare il rapporto tra parte generale e parte speciale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 98.
[21] Ovverosia il credito che “ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”.
[22] in G.U. n. 217 del 18 settembre 2009, in vigore dal 3 ottobre 2009.
[23] Il numero di operazioni di scritturazione e di servizi è stato determinato con accordo siglato in data 26 ottobre 2009 da ABI e le principali associazioni dei consumatori appartenenti al CNCU, e recepito da Banca d’Italia con provvedimento del 17 novembre 2009, con il quale quest’ultima ha provveduto ad integrare la disciplina già contenuta nelle Disposizioni di Vigilanza del luglio 2009, stabilendo, in particolare: i) che il contratto relativo al “conto corrente semplice” riporti l’indicazione del numero di operazioni di scritturazione e di servizi indicati nell’accordo ABI-CNCU, sì da rendere possibile al consumatore un confronto sulle offerte dei vari intermediari; ii) che gli intermediari possano chiedere il pagamento di compensi ulteriori rispetto al canone annuo, qualora il cliente effettui operazioni in misura superiore al numero indicato; iii) che tali ulteriori compensi siano in linea con quelli previsti per i conti correnti offerti ai consumatori con esigenze di base e siano preventivamente indicati nel foglio informativo, nel documento di sintesi e nel contratto; iv) che l’intermediario segnali, nell’informativa periodica al cliente, il superamento del numero di operazioni previste per il “conto corrente semplice”.
[24] Cfr. considerando 6, 19, 20, 31 direttiva (CE) n. 54/2003 e, analogamente, considerando 7, 18, 22, 26, 30 direttiva (CE) n. 55/2003.
[25] Cfr. direttiva (CE) servizio universale n. 22/2002 (art. 20(2) e art. 4(1)) e direttiva sul mercato dell’elettricità n. 2003/54 (art. 3(3) e allegato A).
[26] Sul tema v. C. Artizzu, Diritto privato e regolazione proconcorrenziale: il diritto di recesso dai contratti di fornitura nei settori dell’energia e delle comunicazioni elettroniche, in questa Rivista, 1/2015, p. 116.
[27] Cfr. art. 30 direttiva servizio universale e art. 80 codice delle comunicazioni elettroniche. Sul tema M. Libertini, Regolazione e concorrenza nel settore delle comunicazioni elettroniche, in Giorn. dir. amm., 2005, p. 195, spec. p. 203 s.
[28] Cfr. art. 4, comma 1, e quale “criterio-guida” per l’imposizione di obblighi alle imprese che forniscono reti e servizi di comunicazione elettronica art. 4, comma 2.
[29] F. Sartori, Disciplina dell’impresa e statuto contrattuale, cit., p. 139.
[30] H. Micklitz, Social justice and Access Justice in Private Law, Eui Working Paper Law, 2011/02 (2011), p. 22 s., in SSRN: https:// papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1824
225&download=yes.
[31] V. Meli, Il conto corrente di base tra inclusione finanziaria e controllo della circolazione della ricchezza, in BBTC, 2014, I, p. 56.
[32] Sul tema M. Ramajoli, Tutele differenziate nei settori regolati, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1/2015, p. 6 ss.
[33] Riferimenti in F. Auletta, La giustizia interna al sistema di vigilanza: funzioni e forme dell’Arbitro, in A. Barenghi (a cura di), La trasparenza bancaria, venticinque anni dopo, Napoli, 2018, p. 409 ss.
[34] Sul tema P. Sirena, Il ruolo dell’Arbitro Bancario Finanziario nella regolazione del mercato creditizio, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2017, p. 3.
[35] S. Grundmann, L’unità del diritto privato. Da un concetto formale a un concetto sostanziale di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2010, I, p. 602.
[36] Per riprendere la locuzione utilizzata da G. Napolitano, Il nuovo Stato salvatore: strumenti di intervento e assetti istituzionali, in Giornale dir. amm., 2008, p. 1083 ss.
[37] V., ad es., L. Torchia, Politica industriale e regolazione, in Rivista della Regolazione dei mercati, 1/2015, M. Clarich, La “mano visibile” dello Stato, cit., p. 8: “Lo Stato regolatore non solo ha mantenuto inalterati le regole e gli apparati organizzativi portanti (…) ma si è anzi arricchito di numerosi nuovi attori, sotto forma di agenzie ed organi che replicano su scala ancora più vasta il modello”.
[38] https://www.italiaoggi.it/news/banca-carige-si-del-fitd-a-blackrock-201905061642452681.
[39] Decisione (UE) n. 1208/2016 della Commissione, del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas (GU 2016, L 203, pag. 1).
[40] Trib. UE 19 marzo 2019, cause riunite T-98/16, Italia / Commissione, T-196/16, Banca Popolare di Bari SCPA, già Tercas-Cassa di risparmio della provincia di Teramo SpA (Banca Tercas SpA) / Commissione, e T-198/16, Fondo interbancario di tutela dei depositi / Commissione.
[41] Per un primo commento v. G. Brancadoro, La sentenza Tercas in tema di aiuti di Stato: è necessaria una rilevazione di dati concreti e univoci nelle operazioni sotto esame, in Federalismi.it, 17 aprile 2019.
[42] Sul tema ancora M. Clarich, Populismo, sovranismo e Stato regolatore: verso il tramonto di un modello?, cit.