Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Scelte di politica industriale e sociale, regolazione e mercato. Il caso della unificazione delle reti fisse di comunicazione elettronica (di Eugenio Bruti Liberati)


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SOMMARIO:

1.Politica industriale e sociale, regolazione indipendente e mercato - 2. La strategia italiana per lo sviluppo della banda ultra-larga e il ruolo di Open Fiber. I vantaggi legati alla presenza di un’im­pre­sa pubblica wholesale only incaricata di una specifica missione di sviluppo infrastrutturale - 3. Il tema dell’unificazione delle reti di TIM e di Open Fiber: efficienza gestionale e propensione all’investimento infrastrutturale - 4. Il regolatore indipendente di fronte alle scelte di politica industriale di Governo e Parlamento - 5. Conclusioni - NOTE


1.Politica industriale e sociale, regolazione indipendente e mercato

Il settore delle comunicazioni elettroniche italiane è in questi mesi interessato dalla querelle relativa alla possibile unificazione della rete fissa, e in particolare delle reti di proprietà dello storico incumbent TIM e di quelle recentemente realizzate (o in corso di realizzazione) da parte del nuovo operatore pubblico Open Fiber. Al di là delle questioni più specificamente settoriali, la vicenda appare di grande interesse anche in una prospettiva più generale, perché offre spunti utili per riflettere sul modo in cui oggi si atteggia la politica industriale e sociale nei settori dei servizi di interesse economico generale e sul suo intreccio con gli interventi di regolazione affidati ad un’autorità indipendente. Se è indubbio, contrariamente a quanto da molti ritenuto nella diversa stagione degli anni novanta e dei primi anni di questo secolo [1], che l’apertura alla concorrenza di un mercato e la creazione di un regolatore indipendente ad esso preposto non implicano una sostanziale preclusione per gli Stati ad intervenire direttamente o comunque finalisticamente in quel settore [2], è però anche certo che tanto la scelta di liberalizzare un mercato quanto quella di affidarne la regolazione ad un’autorità indipendente restringono da diversi punti di vista i margini di manovra di governi e parlamenti. La sottoposizione di un’attività ad un regime di mercato comporta notoriamente, infatti, che gli interventi di politica industriale e sociale debbano rispettare – tra l’altro – i limiti derivanti dall’art. 106, comma 2, e 107 TFUE [3]; e, d’al­tra parte, l’istituzione di un’autorità nazionale di regolamentazione preclude ai governi e in una certa misura anche ai legislatori di interferire con le competenze e con le prerogative di indipendenza dei medesimi [4]. Il dibattito giurisprudenziale e dottrinale su tali vincoli e sui complessi problemi (anche) di regime giuridico che sollevano, rimasto a lungo sotto traccia a causa del discredito che nel ventennio 1990-2008 ha colpito le politiche di intervento pubblico nell’economia, non può ora non riprendere con forza [5]; e non può ovviamente non tenere conto del fatto che il contesto politico e culturale, oltre che normativo, nel quale va oggi collocata la questione è assai differente da quello [continua ..]


2. La strategia italiana per lo sviluppo della banda ultra-larga e il ruolo di Open Fiber. I vantaggi legati alla presenza di un’im­pre­sa pubblica wholesale only incaricata di una specifica missione di sviluppo infrastrutturale

Per quanto non manchino talune minoritarie voci critiche, appare indubbio che gli interventi di politica infrastrutturale realizzati a partire dalla Strategia ita­liana per la banda ultra-larga approvata nel marzo 2015 [7] abbiano determinato una svolta o comunque una forte accelerazione nel processo di sviluppo delle reti di telecomunicazione di nuova generazione [8]. Ovviamente, i risultati di questa svolta potranno essere meglio valutati quan­do il processo si sarà concluso e tutte le nuove reti o larga parte delle stesse saranno diventate operative, ma già ora si può dire che, nonostante alcuni ritardi rispetto ai tempi inizialmente programmati, l’insieme degli strumenti introdotti da Governo e Parlamento [9] ha prodotto risultati sostanzialmente apprezzabili [10]. Come recentemente rilevato anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, “in pochi anni, con una decisa accelerazione successiva all’entrata sul mercato di Open Fiber, si è realizzata una progressione della copertura della popolazione con reti fisse a banda ultra-larga” [11]. Il ruolo positivo svolto in questo processo dalla presenza sul mercato di un’impresa al contempo pubblica, e dunque impegnata a dare attuazione alle linee strategiche definite in sede governativa, e wholesale only, e pertanto interessata solo allo sviluppo della rete e al potenziamento dell’offerta di servizi di accesso all’ingrosso (e non alla competizione con i fornitori di servizi al dettaglio), appare evidente [12], e conferma la necessità di guardare in modo non ideologico al tema dell’impresa pubblica e dell’intervento diretto dello Stato nei processi economici, ovviamente non dimenticando i ben noti problemi del passato ma senza preclusioni pregiudiziali [13]. La realtà è che, come mostrano analisi sia teoriche che empiriche, quando si tratta di investimenti da valutare in un orizzonte temporale medio-lungo e che rispondano anche a finalità di carattere sociale – e così è certamente per gli investimenti infrastrutturali in aree poco sviluppate – confidare solo nelle dinamiche di mercato, anche se finalisticamente orientate da aiuti pubblici, può rivelarsi illusorio [14]. Del resto, anche prescindendo da esperienze storiche emblematiche ma as­sai risalenti e controverse (come quella della [continua ..]


3. Il tema dell’unificazione delle reti di TIM e di Open Fiber: efficienza gestionale e propensione all’investimento infrastrutturale

Nel dibattito relativo all’unificazione delle reti fisse di telecomunicazione viene spesso sottolineato che essa porterebbe in ogni caso vantaggi molto significativi in termini di efficienza. Non sembra peraltro che tale dato, in sé difficilmente contestabile, possa assumere un rilievo realmente risolutivo rispetto alle scelte da assumere al riguardo. Una rilevanza almeno equivalente, e forse maggiore, sembra infatti dover essere riconosciuta alla circostanza che il soggetto al quale spetterebbe la proprietà e la gestione della rete eventualmente unificata abbia oggettivamente una propensione adeguata ad investire nello sviluppo della rete – anche nelle aree meno redditizie – e a fornire servizi di accesso all’ingrosso indistintamente a tutti gli operatori [17]. Una scelta che non tenesse sufficientemente conto di tale elemento, del resto, non potrebbe che apparire contraddittoria rispetto agli interventi di politica industriale e sociale, sopra richiamati, volti appunto a promuovere i suddetti investimenti infrastrutturali per finalità di sviluppo economico e anche di coesione sociale. Deve dunque evidenziarsi che, per le ragioni che si sono in precedenza accennate, un operatore pubblico wholesale only sembra poter oggettivamente garantire una maggiore inclinazione ad attuare incisivi e tempestivi interventi di ulteriore sviluppo della rete unificata, tanto più se in aree economicamente depresse. Laddove invece, qualora il proprietario dell’infrastruttura unica fosse un operatore verticalmente integrato – come ad esempio una società partecipata congiuntamente da TIM e da Open Fiber –, tale inclinazione non potrebbe che apparire più dubbia, anche alla luce dell’esperienza maturata in questi anni non solo nel settore delle comunicazioni elettroniche ma anche in quelli dell’elettricità e del gas naturale. Nello stesso senso, d’altronde, depongono anche le indicazioni risultanti dalle norme europee e nazionali che hanno recentemente previsto significativi vantaggi regolatori e tariffari a favore di operatori wholesale only [18]: norme che costituiscono segnali chiari della preferenza anche da parte del legislatore per una soluzione considerata evidentemente più idonea a garantire la propensione ad investire e la terzietà dell’operatore. Né sembra possibile ritenere che una qualche forma di separazione [continua ..]


4. Il regolatore indipendente di fronte alle scelte di politica industriale di Governo e Parlamento

Rispetto agli interventi di sviluppo delle reti di nuova generazione l’Autorità di regolazione settoriale ha compiti rilevanti, che attengono innanzitutto – com’è ben noto – alla definizione delle condizioni economiche e tecniche per l’accesso alle diverse tipologie di rete [22]. Si pone quindi il problema di stabilire come AGCOM deve operare a fronte delle scelte di politica infrastrutturale compiute da Governo e Parlamento, alla luce delle eventuali indicazioni esplicitamente formulate dagli stessi e comunque rispetto all’aspettativa che le sue determinazioni siano pienamente coerenti con gli obiettivi perseguiti in sede politica. Che tale aspettativa vi sia è ovvio, e del resto emerge in modo chiaro, ad esempio, da alcune pagine della Strategia italiana per la banda ultra-larga del marzo 2015, in cui si illustra puntualmente il regime regolatorio considerato più adeguato rispetto alla finalità di incentivare gli investimenti [23]. La questione che ovviamente va considerata è come si concilino tali indicazioni, e più in generale il ruolo che Governo e Parlamento vorrebbero venisse svolto dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con l’indipendenza anche funzionale che l’ordinamento europeo e nazionale inequivocabilmente riconoscono alle autorità nazionali di regolamentazione. In che misura l’Autorità è tenuta, se è tenuta, a dare attuazione alle scelte strategiche operate negli atti legislativi e governativi nei termini indicati o auspicati dagli stessi? È bene ricordare che, per esplicita prescrizione della normativa europea, le autorità nazionali di regolamentazione, nell’esercizio delle loro funzioni di regolazione, “non possono sollecitare né accettare istruzioni” dal governo e nem­meno dal legislatore [24]. E occorre anche sottolineare che, in almeno due rilevanti occasioni, la Corte di Giustizia ha mostrato di presidiare con estremo rigore il rispetto da parte dei legislatori nazionali dell’indipendenza funzionale dei regolatori [25]. In tale contesto, sembra corretto ritenere, anche alla luce della logica di fondo che ispira i rapporti tra autorità indipendenti e organi di direzione politica [26], che AGCOM, mentre è vincolata a tenere ben presenti nelle sue scelte gli obiettivi definiti da legislatore [continua ..]


5. Conclusioni

.  Conclusioni Le vicende relative all’epidemia di coronavirus confermano che il potenziamento e lo sviluppo di reti di comunicazione di nuova generazione rispondono ad esigenze prioritarie di carattere non solo economico ma anche sociale. Gli inevitabili cambiamenti che la necessità di contenere i contagi produrrà nella nostra organizzazione di vita e di lavoro rendono indispensabile che tutte le persone – oltre che tutte le imprese – possano disporre di un’adeguata connessione alle reti di nuova generazione e che, superando le incertezze sin qui emerse, il relativo servizio sia configurato come universale [31]. Non è un caso, del resto, che un’ulteriore sollecitazione allo sviluppo di tali reti sia stata inserita anche nel recente d.l. 17 marzo 2020, n. 18, recante “Misure di potenziamento del sistema sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” [32]. In questo contesto l’intervento pubblico di promozione e di sostegno, ma anche di diretta realizzazione di nuove infrastrutture per il tramite di imprese pubbliche come Open Fiber, risulta ulteriormente legittimato. L’oggettiva esigenza di evitare che il potenziamento delle reti sia condizionato da calcoli – in sé legittimi – attinenti alle più complessive convenienze aziendali di operatori verticalmente integrati giustifica e anzi richiede, come si è visto, l’operare di un’impresa pubblica wholesale only specificamente dedicata a tale missione. Dovrebbe pertanto risultare chiaro che l’eventuale decisione di unificare le reti fisse sotto il controllo di uno o più operatori verticalmente integrati non sarebbe apprezzabile per il suo ovvio conflitto con quella oggettiva esigenza. Né sembra che tale eventuale decisione potrebbe essere legittimata evocando la necessità di tornare in tempi brevi alle ordinarie dinamiche di mercato o addirittura sostenendo l’anomalia di un’impresa pubblica che opera in un contesto concorrenziale (ma) attuando (o, meglio, contribuendo ad attuare) linee di politica industriale e sociale definite in sede politica. Tale anomalia non è infatti tale: è pacifico, in forza dell’art. 106 TFUE, che un’impresa possa essere chiamata ad adempiere ad una missione di interesse economico generale anche [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020