Il contributo ha ad oggetto la compatibilità con il diritto UE dell’attuazione nell’ordinamento italiano della direttiva 2014/24/UE, con specifico riferimento all’istituto del ravvedimento operoso o self-cleaning. Tale istituto, com’è noto, è stato introdotto nella disciplina UE in materia di appalti e concessioni dalla novella del 2014 ed è stato recentemente oggetto di alcune importanti pronunce della Corte di Giustizia UE che ne hanno chiarito il valore prescrittivo e l’efficacia interna. Più in particolare, l’indagine verte sul disposto dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici – e segnatamente sul motivo di esclusione facoltativo consistente nell’iscrizione nel casellario informatico ANAC – e sulla consolidata prassi regolatoria e giurisprudenziale sviluppatasi a tale riguardo. Quanto precede viene messo a raffronto con la normativa UE rilevante nel settore degli appalti e delle concessioni, per come interpretata dalla Corte di Giustizia. Vengono in rilievo, più nel dettaglio: il principio di tassatività dei motivi di esclusione; il divieto di sovra-regolamentazione (o gold plating); il diritto al/l’obbligo di self-cleaning; le norme sul diritto di stabilimento, sulla libera prestazione dei servizi, sulla libera concorrenza; i diritti fondamentali; i principi generali del diritto UE. Particolare attenzione è dedicata ai rimedi esperibili per ricomporre l’antinomia tra ordinamento UE e ordinamento italiano. Viene sostenuto, infatti, che l’attuazione dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE in Italia, per come si declina nel codice dei contratti pubblici, solleva molteplici criticità, dal punto di vista della sua legittimità “comunitaria”, esacerbate dalla già menzionata prassi regolatoria e giurisprudenziale. A quest’ultimo riguardo, sviluppi degni di nota sembrano delinearsi in alcune recentissime pronunce del Consiglio di Stato e del TAR Bologna.
The article analyses the compatibility with EU law of the implementation of Directive 2014/24/EU in the Italian legal system, with specific regard to self-cleaning. Introduced into the EU public procurement law by the 2014 directives, its prescriptive character and legal effects in the national legal system have been recently clarified by the Court of Justice of the EU. More specifically, the study focuses on Article 80 of the so-called Codice dei contratti pubblici – in relation to which significant attention is devoted to the discretionary ground of exclusion consisting in the registration in the electronic register kept by ANAC – and the well-established regulatory and case law practice developed in this respect. The foregoing is assessed in light of the EU primary and secondary law relevant to this enquiry, as interpreted by the Court of Justice: namely, the numerus clausus of the exclusion grounds, the prohibition of gold plating, the right to/obligation to self-cleaning, the right of establishment, the freedom to provide services, free competition and some fundamental rights and general principles of EU law. Special attention is devoted to the remedies that can be used to bridge the gap between EU law and its implementation in the Italian legal system. Indeed, it is argued that the implementation of Article 57 of Directive 2014/24/EU in Italy, as it is declined in the Codice dei contratti pubblici, raises several issues exacerbated by the already mentioned regulatory and case law practice. In this latter respect, significant developments seem to emerge from rulings recently rendered by the Consiglio di Stato and the TAR Bologna.
Key Words: Public procurement – Directive 2014/24/EU – Exclusion grounds – Gold plating – Self-cleaning – Direct effect – Consistent interpretation – Disapplication
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1. Introduzione - 2. I punti fermi circa l’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, alla luce della giurisprudenza UE: il suo carattere self-executing e la natura tassativa dei motivi di esclusione (parr. 1 e 4) - 3. Segue: il valore prescrittivo e l’efficacia interna del diritto al self-cleaning (par. 6) - 4. I punti relativamente fermi circa l’art. 80, commi 1, 5, 7-8, 12 del d.lgs. n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici): incompatibilità con il diritto UE e conseguente disapplicazione? - 5. La prassi regolatoria e giurisprudenziale italiana in merito all’interdizione delle imprese dalla partecipazione alle procedure di gara, oggi - 6. Segue: l’incompatibilità con il diritto UE, tra interpretazione conforme e rinvio pregiudiziale - 7. Considerazioni conclusive sul recepimento della direttiva 2014/ 24/UE e sui possibili rimedi di ricomposizione del conflitto offerti dal diritto UE: la violazione palese e reiterata dell’ordinamento dell’Unione da parte delle autorità amministrative e giurisdizionali italiane e la necessità di un radicale mutamento di prospettiva - Addendum. Le ordinanze della sezione V del Consiglio di Stato del 23 aprile e del 28 maggio 2021 e le sentenze n. 446, n. 447 e n. 452 del 2021 del TAR Bologna: quid novi circa l’attuazione della direttiva 2014/24/UE in Italia? - NOTE
Una delle novità più significative delle direttive UE adottate nel 2014 nel settore degli appalti e delle concessioni [1] rispetto al precedente quadro regolamentare [2] consiste nell’introduzione di un meccanismo di ravvedimento operoso, c.d. self-cleaning [3], disciplinato nell’art. 38, par. 9, della direttiva 2014/23/UE e nell’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE (e, benché solo per relationem, dall’art. 80, par. 1, della direttiva 2014/25/UE). Per «misure di self-cleaning» ci riferiamo, in via di prima approssimazione, a quell’insieme di misure correttive poste in essere da un operatore economico, successivamente alla commissione di un illecito professionale, al fine di ristabilire la sua integrità e affidabilità. In altre parole, grazie a questo strumento di auto-disciplina (previsto nella stragrande maggioranza dei Paesi membri dell’Unione, a iniziare da Germania e Austria, nei quali si è per la prima volta affermato [4]), l’operatore economico sanzionato dall’autorità nazionale competente, in Italia l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), dimostra alle singole stazioni appaltanti di aver adottato misure riparatorie tali da ripristinare la propria moralità professionale.
La ratio che informa sia le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sia il d.lgs. n. 50/2016 che ne dà loro attuazione in Italia è rappresentata dall’esigenza di consentire ad un operatore economico, incorso in una delle cause di esclusione da una procedura di appalto stabilite, rispettivamente, dagli artt. 38, 57 e 78-80 delle predette direttive e nell’art. 80, commi 1 e 5 del d.lgs. n. 50/2016 (codice dei contratti pubblici), di partecipare ad altre gare, previa valutazione da parte della stazione appaltante [5]. Gli operatori economici che si trovano in una di dette situazioni di esclusione devono, pertanto, poter richiedere che venga esaminato, dall’autorità competente, l’insieme delle misure prese per garantire l’osservanza degli obblighi loro imposti e impedire che tali comportamenti si verifichino di nuovo. Diversamente, questi soggetti non potrebbero partecipare a una procedura di gara, anche qualora avessero rimediato a eventuali errori ed eventuali mancanze, con l’ovvia, ulteriore conseguenza che sarebbero costretti a chiudere le rispettive attività e avviare le procedure di liquidazione e/o fallimento.
In questo quadro, considerati i recenti sviluppi giurisprudenziali in seno alla Corte di Giustizia, va verificato se l’attuale normativa italiana e la pertinente, consolidata prassi regolatoria/amministrativa e giurisprudenziale siano conformi all’ordinamento UE. A tale scopo, il § 2 è dedicato a una breve disamina del diritto derivato UE, in particolare della direttiva 2014/24/UE [6], con particolare riguardo al suo carattere self-executing e alla natura tassativa dei motivi di esclusione disciplinati nei parr. 1 e 4. Il § 3 ha per oggetto la questione del contenuto prescrittivo e dell’efficacia interna del meccanismo di self-cleaning, tenuto conto della giurisprudenza UE sull’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, oltre che sulla direttiva 2004/18/CE che l’ha preceduta ed è stata successivamente abrogata, laddove tale questione risulta strettamente connessa con quella, più ampia, della portata delle norme disciplinanti presupposti e implicazioni dei provvedimenti di esclusione delle imprese dalle procedure di gara. Nel § 4 l’indagine è rivolta all’ordinamento italiano, in particolare all’art. 80, commi 1, 5, 7-8, 12 del d.lgs. n. 50/2016, nella misura in cui emerge un disallineamento tra la disciplina interna e l’ordinamento UE e, dunque, lo strumento della disapplicazione potrebbe trovare attuazione. Il § 5 si concentra sulla prassi applicativa, in Italia, di pubblica amministrazione, ANAC e stazioni appaltanti in primis, e giurisdizioni amministrative, cioè TAR e Consiglio di Stato. Il § 6 mira a rilevare ed esaminare i profili di contrasto tra ordinamento UE e diritto italiano, in relazione alla legittimità dell’interdizione a carattere automatico, praticata in Italia, oggi, dalla partecipazione alle procedure di gara, nella prospettiva della conformità a quanto prevede e impone il diritto derivato e la giurisprudenza in merito al self-cleaning, così come le principali norme di diritto primario che rilevano a tale riguardo. Il § 7 contiene alcune osservazioni conclusive e di sintesi sul come la direttiva 2014/24/UE sia stata recepita dal legislatore italiano, e continui ad esserlo attraverso gli organi e i tribunali amministrativi, e su quali siano le vie percorribili per sciogliere un’antinomia, dagli effetti dirompenti sul tessuto economico italiano, che pare oramai essersi inopinatamente cristallizzata. Infine, nell’Addendum vengono brevemente presentate alcune importanti novità registratesi, in relazione all’oggetto d’esame e nelle more della finalizzazione del lavoro, nella recentissima prassi giurisprudenziale italiana del Consiglio di Stato, che ad oggi si è pronunciato soltanto in sede cautelare, e del TAR Bologna.
L’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, com’è noto, disciplina innanzitutto i motivi di esclusione dalla partecipazione ad una determinata gara che le amministrazioni aggiudicatrici, a seconda dei casi, devono (par. 1) o possono (par. 4) opporre agli operatori economici al ricorrere di determinate circostanze. In sintesi, mentre l’obbligo di esclusione si riscontra in relazione a situazioni in cui l’operatore economico è stato condannato con sentenza definitiva per una serie di reati individuati nel par. 1 [7], i motivi di esclusione facoltativi, indicati nel par. 4, comportano una valutazione ad opera dell’amministrazione aggiudicatrice in relazione a una varietà di situazioni, tra le quali, la commissione di gravi illeciti professionali tali da rendere dubbia l’integrità dell’operatore economico (lett. c), la conclusione di accordi intesi a falsare la concorrenza (lett. d), la dimostrazione di significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di un precedente contratto di appalto o concessione tali da inverarne la cessazione anticipata e/o obblighi risarcitori o sanzionatori (lett. g), e l’essersi reso gravemente colpevole di false dichiarazioni in relazione alle informazioni richieste per verificare l’assenza di motivi di esclusione o il rispetto dei criteri di selezione, o, ancora, non aver trasmesso tali informazioni o presentato i documenti complementari di cui all’art. 59 della direttiva (lett. h) [8].
Al fine di vagliare la compatibilità dell’attuazione, nell’ordinamento italiano, delle previsioni di cui sopra, è necessario svolgere alcune considerazioni preliminari sulla natura e l’efficacia dell’art. 57, così come sul carattere tassativo dei motivi di esclusione ivi previsti, considerato che le direttive, in base a quanto riconosciuto nell’art. 288 TFUE, generalmente, devono essere recepite in relazione agli scopi che si prefiggono, mentre lo Stato è libero di scegliere la forma e le modalità che ritiene maggiormente adeguate perché quegli scopi possano essere efficacemente perseguiti [9]. Di per sé, dunque, l’assenza di una completa coincidenza tra direttiva e ordinamento interno è ammissibile, a condizione, evidentemente, che non sia determinata una violazione della logica che definisce l’atto e che ne sia messo in discussione l’effetto utile.
Al contrario, la discrezionalità degli Stati si riduce drasticamente in presenza di direttive che abbiano caratteristiche tali da poter essere considerata “self-executing” [10]. Assicurare un’aderenza il più possibile compiuta a contenuto e obiettivi della direttiva è esigenza connaturata allo spirito di questa tipologia di atti di diritto derivato. Ciò accade allorché disposizioni della direttiva presentino un contenuto dettagliato e creino, dunque, per tale ragione, obblighi talmente chiari e precisi per gli Stati membri da condizionare in modo stringente la loro trasposizione da parte delle autorità nazionali [11]. Obblighi, pertanto, che implicano il corrispondente conferimento di diritti in capo agli individui. A questo proposito, è già stato rilevato, in altra sede, che l’espressa attribuzione della caratteristica della diretta applicabilità ai regolamenti nell’art. 288 TFUE non possa escludere che altre fonti del diritto UE, di diritto primario e derivato, contengano obblighi i quali, per risultare concretamente operativi, prescindono dall’attuazione, a livello nazionale, di misure ulteriori [12]. In altre parole, non vi sono differenze significative tra regolamenti e altre fonti di diritto UE quando non sono richiesti atti nazionali di recepimento [13]: le norme UE sono incondizionate, dunque, direttamente applicabili. Ovviamente, l’atto potrebbe non essere (e spesso non è) direttamente applicabile nel suo complesso, ma gli obblighi e i diritti derivanti da alcune disposizioni ivi contenute sono suscettibili di penetrare nell’ordinamento interno, nel rispetto dei ben noti presupposti: inadeguato oppure mancato recepimento, a livello nazionale, nei termini indicati nella direttiva [14]. In questo senso, in primo luogo, la diretta efficacia, per concretizzarsi, presenta, quale condizione necessaria e sufficiente, l’incondizionatezza, considerata la capacità di quest’ultima di assorbire i requisiti della chiarezza e della precisione [15]. In secondo luogo, fungendo l’incondizionatezza quale elemento costitutivo, unico, della diretta efficacia, accade che due categorie, concettualmente differenti, “coprendo” la diretta efficacia il profilo soggettivo dell’invocabilità e la diretta applicabilità quello oggettivo dei rapporti inter-ordinamentali, vengono, nella pratica, a identificarsi [16].
In sostanza, la natura “self-executing” di una direttiva, rectius, delle sue disposizioni, in ragione del loro contenuto dettagliato, puntuale, incondizionato, presuppone che esse siano direttamente efficaci e, potenzialmente, direttamente applicabili. Tale natura, cioè, determina la conseguenza che gli obblighi e i diritti ivi disciplinati entrano direttamente nell’ordinamento interno e che, se decorso il termine per il recepimento della direttiva, tali obblighi e diritti non siano stati in pieno trasposti dalle autorità nazionali possono essere invocati e azionati, dai singoli, di fronte a dette autorità. Invocazione e azionabilità anche laddove la violazione della direttiva sia il risultato di una sua non corretta applicazione da parte dell’amministrazione o dei giudici nazionali. Ne discende inevitabilmente che gli Stati membri, in tutte le loro articolazioni, incontrano limiti stringenti quanto all’esercizio della loro discrezionalità, al momento del recepimento della direttiva, sul piano legislativo, oppure nella fase successiva della sua attuazione a titolo diffuso.
Per quanto riguarda la direttiva 2014/24/UE, essa è certamente da qualificarsi “self-executing” nella maggior parte delle sue disposizioni, le quali presentano un contenuto talmente dettagliato da imporre agli Stati membri obblighi puntuali, con la conseguenza che il diritto nazionale deve risultare pienamente consonante con quanto prescritto dalla direttiva [17]. A fronte di direttive, come quella di specie, “self-executing”, si rende quindi necessario garantire in modo particolarmente rigoroso l’aderenza della legislazione nazionale al contenuto della direttiva, attraverso l’uso dello strumento dell’interpretazione conforme oppure, ove questa sia impossibile, ricorrendo alla disapplicazione delle disposizioni nazionali.
La Corte di Giustizia aveva già osservato, nella sentenza Tögel, in relazione alla previgente direttiva 92/50/CEE [18], che le norme relative ai criteri di partecipazione e di selezione «sono, salvo talune eccezioni e sfumature derivanti dal loro tenore letterale, incondizionate e sufficientemente chiare e precise da poter essere fatte valere dai prestatori dinanzi ai giudici nazionali» [19]. Tale affermazione è stata, poi, ribadita nella sentenza Ambisig con riferimento alla direttiva 2004/18/CE e, più precisamente, in merito ai «criteri di selezione qualitativa» dalla stessa stabiliti agli artt. 45 e seguenti [20].
Il principio sancito in relazione al previgente quadro normativo vale a più forte ragione con riguardo alle corrispondenti disposizioni della direttiva 2014/24/UE e, in particolare, all’art. 57, che riguarda i «motivi di esclusione». Infatti, nella sentenza Meca Srl la Corte di Giustizia ha già rilevato espressamente che essa «restringe il potere discrezionale degli Stati membri» [21], menzionando esplicitamente l’art. 57 della direttiva ed enfatizzando, peraltro, la circostanza che i criteri facoltativi di esclusione ivi previsti non effettuano più alcun rinvio al diritto nazionale, eccezion fatta per la lett. b) dell’art. 57, par. 4 [22]. Il ragionamento della Corte, in sintesi, può essere riassunto in questi termini: già nella vigenza dell’art. 45, par. 2 della direttiva 2004/18/CE, norma sostituita dall’attuale art. 57, era stato sancito che il potere discrezionale degli Stati membri fosse rigorosamente circoscritto nel definire la portata delle cause facoltative di esclusione ivi previste, benché cinque delle sette cause operassero un rinvio alla normativa e/o alla regolamentazione nazionale [23]. Dato che questi rinvii sono stati significativamente ridotti dalla novella del 2014, ne consegue, prosegue la Corte, che il potere discrezionale degli Stati a tale riguardo sia stato ridotto [24].
La conclusione cui siamo pervenuti sulla natura dell’art. 57 offre elementi di riflessione anche in ordine alla natura tassativa o meno dell’elenco dei motivi di esclusione, con particolare riferimento a quelli di natura facoltativa, che qui interessano maggiormente in ragione delle divergenze esistenti tra ordinamento italiano e ordinamento UE.
Ora, la Corte di Giustizia, nella sua giurisprudenza relativa, dapprima, alle direttive 92/50/CEE e 93/37/CEE [25] e, più recentemente, alla direttiva 2004/18/CE, si era già orientata in questo senso. A partire dalla sentenza La Cascina, infatti, con riferimento alla direttiva 92/50/CEE era stato sancito che gli Stati membri non possono prevedere cause di esclusione facoltative diverse da quelle indicate [26]. In Michaniki viene tuttavia precisato che l’elenco di motivi di esclusione contenuto all’art. 24, par. 1, della direttiva 93/37/CEE (corrispondente, nella sostanza, all’art. 29, par. 1, della direttiva 92/50/CEE) ha carattere tassativo nella misura in cui si tratti di motivi connessi a considerazioni oggettive di natura professionale [27], potendo gli Stati membri solo introdurre in via aggiuntiva norme materiali che garantiscano il rispetto dei principi di parità di trattamento e trasparenza [28], rappresentando tali principi la «base [stessa] delle direttive relative ai procedimenti di aggiudicazione degli appalti pubblici» [29]. In quest’ottica, è stato affermato, in relazione all’art. 45, par. 2 della direttiva 2004/18/CE, che, semmai, gli Stati membri possono applicare, in concreto, in modo più flessibile, le cause di esclusione facoltative [30]. Più in particolare, conformemente a una giurisprudenza costante, riconfermata anche di recente, gli Stati membri «hanno la facoltà di non applicare i motivi facoltativi di esclusione […] o di integrarli nella normativa nazionale con un grado di rigore che può variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico e sociale prevalenti a livello nazionale» [31]. Benché ridotto, quindi, essi «dispongono di un sicuro margine di discrezionalità nella determinazione delle condizioni di applicazione dei motivi di esclusione facoltativi previsti all’art. 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24» [32].
L’orientamento che afferma la tassatività dei motivi di esclusione, rispetto alla qualità professionale dell’imprenditore, trova conferma in relazione alla direttiva 2014/24/UE, innanzitutto, in ragione del carattere self-executing dell’art. 57 e, più in generale, del minore margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri, nell’ambito della direttiva 2014/24/UE, rispetto a quello che essi godevano nel vigore delle precedenti direttive [33]. Questa considerazione assume contorni più netti e ha valenza generale, in aggiunta, quindi, a quanto rilevato fin qui con riguardo, da un lato, alla formulazione della disposizione della direttiva in tema di motivi di esclusione (che ha visto ridotti, con la novella del 2014, i riferimenti al diritto nazionale), e, dall’altro lato, alla logica che ispira la sentenza La Cascina, come precisata nelle successive pronunce. In altri termini, non possono essere individuati dalle autorità nazionali, né sul piano legislativo né attraverso la prassi amministrativa e/o giudiziaria, nuovi motivi di esclusione connessi a considerazioni oggettive di natura professionale. Com’è stato osservato in letteratura, il sistema di regolamentazione UE degli appalti pubblici si è evoluto nella direzione di una sempre più stringente limitazione del margine di discrezionalità concesso agli Stati nella sua attuazione, passando, in sostanza, da forme di armonizzazione negativa a strumenti di armonizzazione positiva [34]. In secondo luogo, il principio della tassatività delle cause di esclusione è stato espressamente enunciato dalla Commissione nella proposta di direttiva [35] e successivamente ribadito, ad esempio nelle Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE [36]. In terzo luogo, non c’è dubbio che la dottrina si stia, oramai, consolidando in questa direzione [37]. Infine, che l’enumerazione dei motivi di esclusione presenti carattere tassativo trova conferma nell’affermazione, contenuta nella citata sentenza Meca Srl, secondo cui gli Stati membri non possono snaturare i motivi facoltativi di esclusione stabiliti nell’odierno art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE né ignorare gli obiettivi e i principi ai quali è ispirato ciascuno di detti motivi [38]. È chiaro, infatti, che, se le autorità nazionali devono attenersi in modo rigoroso al contenuto dei singoli motivi di esclusione ai sensi dell’art. 57 della direttiva, a fortiori, non potranno individuare nuovi motivi di esclusione rispetto a quelli elencati in detta norma [39].
Concentriamoci, ora, sul meccanismo del self-cleaning [40], per com’è disciplinato nell’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, al cuore del dibattito giuridico in Italia e non solo. L’articolo in discorso consta di quattro commi, dei quali, ai fini della presente analisi, il primo risulta essere il più rilevante. Quest’ultimo prevede: «Un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4 può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto» [41]. In primo luogo, la Corte di Giustizia è netta nell’individuare nella norma la previsione di un obbligo di carattere generale in capo alle autorità degli Stati membri: in altri termini, il meccanismo in discorso non può che essere applicabile a tutti gli operatori economici [42]. In secondo luogo, i giudici UE ravvisano l’esistenza di una posizione giuridica soggettiva connaturata all’obbligo, imposto alle autorità nazionali, di garantire che un tale meccanismo sia espletato.
È precisamente a questo riguardo che è recentemente intervenuta la sentenza RTS, nella quale la Corte di Giustizia ha inequivocabilmente e per la prima volta chiarito quale sia l’efficacia interna del diritto/dell’obbligo connesso al self-cleaning: l’art. 57, par. 6, affermano i giudici UE, è dotato di effetto diretto [43]. L’art. 57, par. 6, quindi, è una disposizione capace di conferire, direttamente, un diritto in capo al singolo. Diritto invocabile e azionabile dinanzi alle autorità, amministrative e giudiziarie, nazionali, onde ottenere la disapplicazione del diritto interno e/o della prassi che lo interpreta e attua.
La sentenza marca un punto fermo nella giurisprudenza UE, con importanti risvolti sul duplice piano teorico e pratico, anche e soprattutto per l’esperienza italiana. A quest’ultimo riguardo, peraltro, è anche recentissimamente intervenuta – con la sentenza Rad Service – una conferma di RTS e una precisazione di cui è necessario dare atto in conclusione di questo §.
A mo’ di premessa all’analisi di RTS, ricordiamo che, soltanto qualche mese prima, nel caso Vert Marine [44], era stato riconosciuto il carattere auto-applicativo dell’art. 38, par. 9, della direttiva 2014/23/UE, identico nel contenuto all’art. 57, par. 6. Il rinvio pregiudiziale riguardava, per quanto qui interessa, la compatibilità con il diritto UE, e segnatamente con la direttiva 2014/23/UE in materia di contratti di concessione, della normativa francese, la quale precludeva, in modo automatico e generalizzato, agli operatori economici condannati in via definitiva per uno dei reati di cui al suo art. 38, par. 4 [45], la possibilità di fornire la prova di aver adottato misure correttive idonee a dimostrare il ripristino della loro affidabilità e, di conseguenza, di partecipare alle procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione [46]. Al riguardo la Corte ha concluso rilevando l’incompatibilità tra una siffatta normativa e l’art. 38, par. 9, della direttiva 2014/23/UE. Il ragionamento dei giudici del Kirchberg muove dalla premessa che «tale disposizione conferisce agli operatori economici un diritto che gli Stati membri devono garantire al momento della trasposizione di tale direttiva, nel rispetto delle condizioni stabilite da quest’ultima» [47]. La Corte si fonda sia su un argomento letterale [48] sia su un canone ermeneutico di tipo teleologico [49]. Viene sottolineato, in particolare, che l’effetto utile del diritto al self-cleaning non può essere messo in discussione dal «sicuro margine di discrezionalità» [50] riconosciuto agli Stati membri nella determinazione delle condizioni di applicazione dell’art. 38, par. 9 [51]. Argomentando diversamente, il precetto risulterebbe «privato della sua sostanza» [52].
Veniamo all’esame di RTS. Al riguardo, va, innanzitutto, precisato che il rinvio pregiudiziale, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 57, paragrafi 4, 6 e 7, della direttiva 2014/24/UE, origina da una controversia tra alcuni operatori economici, raggruppati in un’associazione temporanea di imprese esclusa dalla partecipazione ad un concorso per l’appalto di lavori stradali indetto dalla Regione delle Fiandre, e quest’ultima. L’esclusione, al cuore della decisione impugnata innanzi al giudice del rinvio, era stata motivata dalla Regione della Fiandre con la considerazione per cui, nell’ambito dell’esecuzione di appalti precedenti aggiudicati dalla stessa amministrazione aggiudicatrice, le predette imprese avevano commesso gravi illeciti professionali, i quali erano stati, per la maggior parte, oggetto di sanzioni e che riguardavano aspetti importanti per l’esecuzione dell’appalto [53]. Tali illeciti, consistenti in «inadempimenti contrattuali gravi e ripetuti», suscitavano dubbi circa la capacità delle imprese ricorrenti di assicurare la corretta esecuzione del nuovo appalto [54]. In questo quadro, la domanda di annullamento della decisione di esclusione si fonda proprio sull’art. 57, par. 6, quale norma dotata di diretta efficacia. In particolare, le ricorrenti argomentano che, a fronte delle valutazioni effettuate dall’amministrazione aggiudicatrice, avrebbero dovuto avere la possibilità di difendersi e di dimostrare di aver rimediato alle conseguenze scaturenti da detti illeciti con idonei provvedimenti di ravvedimento operoso [55].
Il giudice adito, il Consiglio di Stato belga (Raad van State), sospende, dunque, il procedimento e sottopone alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali, due delle quali rilevano ai fini della presente analisi [56]. La prima verte sulla compatibilità con tali previsioni di una prassi nazionale in forza della quale, senza che un simile obbligo risulti dalla normativa nazionale applicabile né dai documenti di gara, l’operatore economico interessato sia tenuto a fornire spontaneamente, al momento della presentazione della sua domanda di partecipazione o della sua offerta, la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati per dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza, nei suoi confronti, di un motivo di esclusione facoltativo [57]. Con la seconda domanda pregiudiziale, formulata in via subordinata alla risposta in senso affermativo fornita in relazione alla prima, il giudice belga chiede se le pertinenti disposizioni del diritto UE, in combinato disposto tra loro, «abbia[no] effetto diretto» [58].
Dopo aver confermato gli insegnamenti ricavabili dalla sentenza Vert Marine [59], la Corte, nel rispondere alla prima domanda pregiudiziale, suddivide il proprio ragionamento in due parti. La prima: viene affermato che, sulla scorta di un’interpretazione letterale, teleologica e sistematica dell’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, gli Stati membri possono prevedere sia che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso debba essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato al momento della presentazione della sua domanda di partecipazione o della sua offerta sia che ciò avvenga su impulso dell’amministrazione aggiudicatrice in una fase successiva della procedura [60].
Il secondo passaggio concerne i “limiti” del margine di discrezionalità concesso alle autorità nazionali, da individuarsi non soltanto nei principi per l’aggiudicazione degli appalti sanciti all’art. 18 della direttiva, cioè parità di trattamento [61], trasparenza [62] e proporzionalità [63], ma anche nel principio del rispetto dei diritti di difesa, «il quale, in quanto principio fondamentale del diritto dell’Unione, di cui il diritto di essere ascoltato in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante, trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, come una decisione di esclusione adottata nell’ambito di una procedura d’appalto» [64].
Ne discendono due principali conseguenze per il caso in cui, come in quello di specie, gli operatori economici siano tenuti a fornire di propria sponte la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso. Da un lato, in forza dei principi di trasparenza e parità di trattamento, essi devono essere «apertamente informati in via preventiva, in maniera chiara, precisa e univoca, dell’esistenza di un siffatto obbligo, vuoi che tale informazione risulti direttamente dai documenti di gara, vuoi che essa risulti da un rinvio, in tali documenti, alla normativa nazionale pertinente» [65]. Dall’altro lato, il rispetto del diritto di essere ascoltato richiede che gli operatori economici siano in grado, al momento della domanda o dell’offerta, «di identificare, essi stessi, i motivi di esclusione che l’amministrazione aggiudicatrice può invocare nei loro confronti alla luce delle informazioni contenute nei documenti di gara e nella normativa nazionale» [66]. Si tratta, a ben vedere, della necessità di rispettare il diritto fondamentale ad una buona amministrazione, riconosciuto all’art. 41 della Carta, per cui ogni persona deve essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio, come si evince dalle pronunce richiamate dalla Corte a fondamento del suo ragionamento [67]. Peraltro, la Carta, benché non richiamata nella pronuncia, dovrebbe ritenersi applicabile all’azione degli Stati membri in un una situazione come quella in esame in cui essi attuano il diritto dell’Unione ai sensi del suo art. 51, par. 1.
Viene in rilievo, poi, il terzo principio sopra richiamato, quello di proporzionalità. Principio che, pur giocando un ruolo fondamentale nella valutazione della compatibilità dell’ordinamento e delle prassi nazionali con il diritto UE, non opera, nel caso RTS, in maniera particolarmente stringente. La Corte si limita a sottolineare che, a condizione che siano soddisfatte le esigenze sinora illustrate (trasparenza, parità di trattamento e diritti di difesa), un obbligo in capo agli operatori economi come quello imposto dalla legislazione belga rispetta altresì il principio di proporzionalità «nei limiti in cui esso non costituisce un ostacolo irragionevole all’esercizio del regime dei provvedimenti di ravvedimento operoso» [68]. Si tratta, in sostanza, di una tautologia, che risolve il test di proporzionalità, sic et simpliciter, in un test di ragionevolezza.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte conclude statuendo che la compatibilità o meno della prassi di un’amministrazione con il diritto dell’Unione, come quella belga, dipende, in ultima analisi, dalla capacità del quadro normativo nazionale e del relativo bando di gara di soddisfare le predette esigenze di trasparenza e parità di trattamento e di rispettare il diritto fondamentale, delle imprese, ad essere ascoltate.
Precisato quanto sopra in relazione al margine di discrezionalità attribuito agli Stati nel dare attuazione al diritto di self-cleaning, occorre esaminare la risposta fornita alla seconda domanda pregiudiziale. Come si concilia l’attuazione di tale diritto, a livello nazionale, ed il relativo margine di discrezionalità, con la dottrina degli effetti diretti?
La conciliazione è certamente possibile, anzi inevitabile, perché, nella pratica, è comune che norme UE incondizionate, dotate quindi di diretta efficacia [69] in quanto compiute e determinate [70], siano attuate in ipotesi in relazione alle quali gli Stati godono di un certo grado di autonomia e libertà nell’applicazione del diritto UE [71]. Ciò significa che l’esistenza di un margine di discrezionalità nella determinazione delle modalità di attuazione (o «condizioni di applicazione», come enunciato nell’art. 57, par. 7, della direttiva 2014/24/UE) di una disposizione non pregiudica la possibilità, per la stessa, di essere self-executing e, conseguentemente, di generare effetti diretti nell’ordinamento nazionale. L’incondizionatezza deve riguardare la regola connaturata alla norma, la quale deve essere, nel suo contenuto, prescrittiva, cioè suscettibile di applicazione immediata. Questo principio, teorizzato nella sentenza Faccini Dori in materia di tutela dei consumatori [72] e ripreso in altri ambiti, come la politica sociale [73], trova spazio e realizzazione in RTS. In Faccini Dori, più in particolare, si legge che «[t]ale margine di discrezionalità non esclude infatti che sia possibile determinare alcuni diritti imprescindibili [e pertanto] il livello minimo di tutela che deve essere comunque realizzato» [74].
Nel caso di specie, la Corte sancisce che, «prevedendo che un operatore economico possa fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione che lo riguarda», l’art. 57, par. 6 della direttiva 2014/24/UE conferisce agli operatori economici un diritto «che, da un lato, è formulato in termini non equivoci e, dall’altro, addossa agli Stati membri un’obbligazione di risultato che, sebbene le sue condizioni sostanziali e procedurali di applicazione debbano essere specificate dagli Stati membri […], non dipende dalla trasposizione nel diritto interno per poter essere invocata dall’operatore economico interessato e applicata a vantaggio di quest’ultimo» [75]. Inoltre, la Corte osserva che «indipendentemente» dalle sue concrete modalità di applicazione, l’art. 57, par. 6, prevede «in modo sufficientemente preciso e incondizionato […] che l’operatore economico interessato non possa essere escluso dalla procedura d’appalto qualora riesca a dimostrare, in modo ritenuto soddisfacente dall’amministrazione aggiudicatrice, che i provvedimenti di ravvedimento operoso adottati ripristinano la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione che lo riguarda» [76]. Di conseguenza, la norma prescrive, a vantaggio di tale operatore economico, «un livello minimo di tutela indipendentemente dal margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nella determinazione delle condizioni procedurali di tale disposizione» [77].
La Corte di Giustizia è recentemente tornata a pronunciarsi sul diritto al self-cleaning, nel contesto di una questione pregiudiziale alla stessa rimessa dal Consiglio di Stato italiano ed avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 63 della direttiva 2014/24/UE [78]. In sintesi, nel caso Rad Service veniva in rilievo la compatibilità con l’ordinamento UE dell’esclusione automatica di un operatore economico dalla procedura di aggiudicazione per avere, un’impresa ausiliaria di questo, reso una dichiarazione non veritiera [79]. Per quanto interessa in questa sede, è necessario segnalare come l’automatismo insito nell’esclusione dell’offerente sia stato ritenuto incompatibile con il diritto dell’Unione e, segnatamente, con «l’articolo 63 della direttiva […], in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 4, lettera h), di tale direttiva e alla luce del principio di proporzionalità» [80]. Quest’ultimo principio gioca un ruolo di primo piano nell’analisi condotta dalla Corte in merito al sistema italiano. Quale principio generale del diritto dell’Unione che regola l’attuazione delle disposizioni della direttiva da parte degli Stati membri [81], esso, tra l’altro, «impone […] all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare una valutazione specifica e concreta dell’atteggiamento del soggetto interessato, sulla base di tutti gli elementi pertinenti» [82]. Dall’importanza del principio in discorso, risultante tanto dall’art. 18, paragrafo 1, della direttiva [83] quanto dal considerando 101, terzo comma, della stessa [84], consegue che, ancorché il testo dell’art. 63 sia silente sul punto, la facoltà – od obbligo, ove così previsto dallo Stato membro – in capo alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere da un offerente la sostituzione di un soggetto sulle cui capacità intende fare affidamento «presuppone che l’amministrazione aggiudicatrice dia a tale offerente e/o a tale soggetto la possibilità di presentarle le misure correttive che esso ha eventualmente adottato al fine di rimediare all’irregolarità constatata e, di conseguenza, di dimostrare che esso può essere nuovamente considerato un soggetto affidabile» [85]. La possibilità di concretamente esercitare il proprio diritto al ravvedimento operoso, come abbiamo visto conferito direttamente dall’ordinamento UE in capo agli operatori economici, viene così ad assumere un evidente valore sistemico e ad assurgere a condicio sine qua non del potere/dovere di sostituzione ex art. 63, par. 1, della direttiva.
Le considerazioni fin qui svolte consentono di interrogarsi, in profondità, sulla questione della compatibilità dell’ordinamento interno con il diritto dell’Unione [86]. Al centro dell’indagine si situa il codice dei contratti pubblici, adottato per dare seguito all’attuazione della direttiva 2014/24/UE, per poi concentrare l’analisi, nei due §§ che seguono, sulla prassi posta in essere dall’ANAC e sulla giurisprudenza amministrativa, con particolare riferimento al self-cleaning. Prassi e giurisprudenza che, come sarà dimostrato, presentano una fondamentale caratteristica: l’esclusione dell’impresa generata dal provvedimento interdittivo, disposto dall’ANAC e annotato nel casellario informatico [87], è automatica e generalizzata, cioè con effetti immediatamente conseguenti all’interdizione per tutte le gare in corso e future, diverse cioè dalla procedura nell’ambito della quale il comportamento dell’imprenditore si è concretizzato.
Il nostro esame verte, in questa sede, sui motivi di esclusione disciplinati all’art. 80 del codice dei contratti pubblici. Più in particolare, nel comma 1 di tale norma sono stati trasposti i motivi di esclusione qualificati come obbligatori dal legislatore UE, connessi a provvedimenti definitivi del giudice penale, mentre nel comma 5 sono confluiti i motivi di esclusione facoltativi [88]. Innanzitutto, da un raffronto tra le norme nazionali e la direttiva 2014/24/UE risulta che il numero delle cause di esclusione previste dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici è superiore a quello delle cause di esclusione elencate nell’art. 57 della direttiva [89], come preciseremo, mediante esempi, qui di seguito.
Per quanto riguarda i motivi di esclusione di cui al comma 1, la lett. b-bis), introdotta dal d.lgs. n. 56/2017, e la lett. g) operano un riferimento a due categorie di reati non espressamente previste all’art. 57, par. 1 della direttiva 2014/24/UE: si tratta, rispettivamente, dei reati di cui agli artt. 2621 e 2622 del c.c., in tema di false comunicazioni sociali, e di «ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione». Sulla base di quanto scritto sopra nel § 2, nella misura in cui questi motivi non attengono alle qualità professionali dell’operatore economico – ma, al contrario, alla integrazione di alcune fattispecie incriminatrici – non sembrano porsi particolari criticità in punto di attuazione dell’art. 57 della direttiva sotto il profilo della tassatività.
Venendo all’esame dell’attuazione delle cause facoltative di esclusione [90], in considerazione delle riflessioni svolte supra e della prospettiva di indagine di questo lavoro [91], assumono particolare rilievo, nel codice dei contratti pubblici, da un lato, il motivo indicato nell’art. 80, comma 5, lett. f-ter), che riguarda «l’operatore economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti», e, dall’altro lato, le disposizioni che attengono all’escussione della cauzione provvisoria, di cui all’art. 93 [92]. Entrambe le disposizioni sono state novellate dal d.lgs. n. 56/2017. Si tratta di due profili, quello della violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione facoltative e quello della sovra-regolamentazione (c.d. gold-plating [93]), strettamente connessi.
Sotto il primo profilo, è possibile sostenere che il motivo di esclusione indicato nell’art. 80, comma 5, lett. f-ter) non trova esatta corrispondenza in nessuno dei motivi previsti dalla direttiva 2014/24/UE, la quale si riferisce, in particolare, nell’art. 57, par. 4, lett. h), all’ipotesi in cui «l’operatore economico si è reso gravemente colpevole di false dichiarazioni nel fornire le informazioni richieste per verificare l’assenza di motivi di esclusione o il rispetto dei criteri di selezione, non ha trasmesso tali informazioni o non è stato in grado di presentare i documenti complementari di cui all’articolo 59» [94]. Tale motivo di esclusione indicato nella direttiva non si riferisce in alcun modo all’iscrizione in un qualche casellario, ma riguarda l’ipotesi in cui nella procedura di gara in corso siano state rese le false dichiarazioni in questione [95] e trova trasposizione, all’interno dell’ordinamento italiano, nell’art. 80, comma 5, lett. f-bis), del codice dei contratti pubblici, laddove è, appunto, previsto che venga escluso «l’operatore economico che presenti nella procedura di gara in corso e negli affidamenti di subappalti documentazione o dichiarazioni non veritiere».
L’ipotesi dell’iscrizione nel casellario informatico non potrebbe neppure farsi rientrare nel motivo di esclusione più generale di cui all’art. 57, par. 4, lett. d), della direttiva 2014/24/UE, relativo a «gravi illeciti professionali» dell’operatore economico. Infatti, com’è stato notato in dottrina, la direttiva individua, in realtà, accanto alla categoria generale dei gravi illeciti professionali, nelle altre lettere dell’articolo 57, par. 4, alcuni casi specifici che tipizzano singole ipotesi di gravi illeciti professionali [96], mentre la lett. d) rimane destinata a coprire ipotesi di illeciti professionali oggettivamente diversi da quelli tipizzati. Nella specie, la presentazione di false dichiarazioni è stata, appunto, tipizzata nella lett. h) dell’articolo 57, par. 4, che non ricomprende l’ipotesi di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter) del codice dei contratti pubblici. D’altra parte, nella giurisprudenza interna viene dimostrato che il motivo di esclusione in discorso non è collegato esclusivamente all’esistenza di un grave illecito professionale poiché si ritiene che, solo in caso di iscrizione nel casellario, la circostanza, anche ove esistente, possa essere valutata dall’amministrazione aggiudicatrice [97]. Pertanto, il motivo dell’esclusione non è il presunto grave illecito professionale in sé, ma il fatto che esso sia stato iscritto nel casellario. Esso non potrebbe nemmeno rientrare nella discrezionalità degli Stati membri poiché, in analogia con quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella sentenza Forposta [98], il citato motivo di esclusione previsto dalla disciplina italiana, che potrebbe attenere soltanto alla «qualità professionale», non può essere ammesso in quanto esula dall’elenco tassativo contenuto nella direttiva 2014/24/UE. Sembra quindi potersi sostenere che, anche a prescindere dalle considerazioni che verranno svolte nel prosieguo in merito al carattere automatico e alla portata di una siffatta esclusione, il motivo di esclusione oggi sancito all’art. 80, comma 5, lett. f-ter) del codice dei contratti pubblici sembra porsi in contrasto con il testo e con la ratio della direttiva 2014/24/UE. Ne consegue che, nella misura in cui non pare possibile risolvere l’antinomia mediante lo strumento dell’interpretazione conforme, le amministrazioni aggiudicatrici e i giudici nazionali non dovrebbero fare applicazione della disposizione in discorso, rectius, dovrebbero disapplicarla.
Veniamo all’esame del secondo profilo sopra individuato: la questione è quella dell’escussione della cauzione, considerato che gli operatori economici che partecipano alle procedure di evidenza pubblica sono tenuti, per legge, a prestare cauzioni provvisorie a garanzia della serietà della propria offerta [99]. Va, dunque, verificato se l’esclusione disposta ai sensi dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici – e, per quanto qui interessa, dal comma 5, lett. f-ter) – comporti anche, quale conseguenza accessoria, l’incameramento della garanzia provvisoria rilasciata in favore della stazione appaltante.
In proposito, l’art. 93, comma 6, del codice dei contratti pubblici disponeva che «la garanzia copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione definitiva, per fatto dell’affidatario riconducibile ad una condotta connotata da dolo o colpa grave, ed è svincolata automaticamente al momento della sottoscrizione del contratto medesimo». Nella versione attualmente in vigore, risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 59, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 56/2017, l’art. 93, comma 6 stabilisce, al contrario, che la garanzia provvisoria «copre la mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario o all’adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159». Attraverso le modifiche introdotte da quest’ultima novella, per un verso, è stato eliminato ogni riferimento alla condotta colpevole dell’agente e, per altro verso, all’ipotesi di «mancata sottoscrizione del contratto dopo l’aggiudicazione dovuta ad ogni fatto riconducibile all’affidatario» è stata affiancata l’«adozione di informazione antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli 84 e 91 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159».
Ora, l’escussione delle cauzioni provvisorie prestate ai fini della partecipazione dell’operatore economico alle procedure di gara, quale effetto del provvedimento inibitorio preclusivo/espulsivo [100], non è prevista dalla direttiva 2014/24/UE. Nella prospettiva dei rapporti tra ordinamento nazionale e diritto UE, in particolare dal punto di vista dell’obbligo per gli Stati membri di recepire le direttive senza minarne il contenuto e le finalità, questa previsione appare in contrasto con il divieto, di origine europea, di sovra-regolamentazione o gold plating. Questo divieto si sostanzia nell’obbligo di astensione, per gli Stati membri, di «aggiungere, negli atti nazionali d’attuazione, condizioni o prescrizioni non necessarie per recepire l[e] direttiv[e] […] quando tali condizioni o prescrizioni sono atte ad ostacolare il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dall[e] direttiv[e]» [101]. Il fenomeno della sovra-regolamentazione, difatti, ha sottolineato la Commissione, «si traduce spesso in ulteriori oneri normativi o amministrativi per le imprese, che incidono in particolare sulle PMI» [102].
La pervasività del divieto di gold plating si accresce nel contesto di norme self-executing di una direttiva, quale è l’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, dato che, come sopra illustrato, si riduce il margine di discrezionalità degli Stati, non solo sul piano legislativo, ma anche sul piano amministrativo e giudiziario, nel conformarsi alla direttiva [103]. Tale divieto, peraltro, com’è noto, è sancito anche nell’ordinamento italiano [104] ed è stato espressamente richiamato nella legge delega n. 11/2016, sulla base della quale è stato emanato il codice dei contratti pubblici [105]. L’escussione delle cauzioni provvisorie rientra, certamente, nell’ambito di tale regolazione superflua, specialmente ove si consideri, da un lato, che la sua applicazione avviene, ad oggi, nella prassi, in maniera generalizzata e automatica, come descritto nel § 5, e, dall’altro, che essa consegue anche ad un motivo di esclusione, quale quello di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del codice dei contratti pubblici, previsto dal legislatore italiano in violazione del principio di tassatività dei motivi di esclusione.
Viene, inoltre, in rilievo, al riguardo, l’art. 80, comma 12, corrispondente al previgente art. 38, comma 1-ter del d.lgs. n. 163/2006 e strettamente connesso con la causa di esclusione di cui alla lett. f-ter) del comma 5 dello stesso articolo. In forza dell’art. 80, comma 12, su segnalazione della stazione appaltante, l’ANAC ha il potere, ove ritenga che false dichiarazioni siano state rese con dolo o colpa grave, in considerazione della rilevanza o della gravità dei fatti in causa, di disporre l’iscrizione nel casellario informatico. L’iscrizione comporta l’esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto ai sensi del comma 1 fino a due anni. Si tratta di un periodo di tempo massimo, decorso il quale, l’iscrizione è cancellata e perde comunque efficacia. Al riguardo, va notato che la disposizione in esame nulla prevede, espressamente, in merito alla possibilità di tener conto delle misure correttive adottate dall’impresa [106].
È in questo contesto che assume rilevanza il supposto automatismo dell’operare della causa di esclusione prevista nell’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del codice dei contratti pubblici, come affermato nella giurisprudenza amministrativa italiana illustrata nei §§ che seguono. Senza anticipare troppo quanto sarà chiarito nel prosieguo dell’analisi, un simile automatismo, precludendo qualunque valutazione concreta alla stazione appaltante e imponendole di escludere sempre e comunque il concorrente, si pone in contrasto con l’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, letto alla luce della giurisprudenza della CGUE [107].
Per quel che concerne la disciplina del self-cleaning, sul piano del diritto italiano, essa si trova racchiusa nell’art. 80, commi 7 e 8, del codice dei contratti pubblici. Il comma 7 prevede che «un operatore economico, o un subappaltatore, che si trovi in una delle situazioni di cui al comma 1, limitatamente alle ipotesi in cui la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato, o al comma 5, è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti» [108]. Il comma 8 stabilisce che «se la stazione appaltante ritiene che le misure di cui al comma 7 sono sufficienti, l’operatore economico non è escluso della procedura d’appalto; viceversa, dell’esclusione viene data motivata comunicazione all’operatore economico».
Rispetto a quanto previsto dall’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, la possibilità per un operatore economico, escluso sulla base di un motivo di esclusione obbligatorio, di esercitare il diritto al self-cleaning ai sensi dell’art. 80, parr. 7 e 8, del codice dei contratti pubblici, appare limitata [109]. Come emerge dal tenore letterale della disposizione qui sopra riportata, infatti, quanto alle esclusioni legate ai motivi di cui al comma 1 dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici, è necessario che la sentenza definitiva di condanna abbia imposto una pena detentiva non superiore a diciotto mesi oppure sia stata riconosciuta all’operatore economico l’attenuante della collaborazione come definita per le singole fattispecie di reato.
La dottrina ha già evidenziato che la limitazione sopra descritta non trova fondamento nella disciplina UE [110]. Ora, alla luce dell’analisi svolta nel § precedente, occorre domandarsi se una siffatta compressione del diritto al self-cleaning sia compatibile con il testo e la ratio della direttiva 2014/24/UE e, segnatamente, con l’art. 57. Come illustrato dai giudici del Kirchberg nella sentenza RTS, infatti, «prevedendo che un operatore economico possa fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un motivo di esclusione che lo riguarda» [111], l’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE è direttamente efficace, conferendo un diritto in capo agli operatori economici e addossando agli Stati membri un’obbligazione di risultato che non dipende, per la sua realizzazione, dalla trasposizione della disposizione nel diritto interno [112]. Come rilevato supra, la norma prescrive, in modo sufficientemente preciso e incondizionato e indipendentemente dalle sue concrete modalità di applicazione, «un livello minimo di tutela indipendentemente dal margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nella determinazione delle condizioni procedurali di tale disposizione» [113]. Questo diritto, peraltro, come emerge dall’incipit dell’art. 57, par. 6, è conferito in capo a ciascun «operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui ai paragrafi 1 e 4», senza che considerazioni in punto di determinazione della pena in concreto possano incidere sulla titolarità dello stesso.
Ebbene, si pone la seguente questione: un operatore economico escluso sulla base di una delle previsioni di cui all’art. 80, comma 1, del codice dei contratti pubblici, oggetto di una condanna definitiva a una pena detentiva superiore a mesi diciotto, potrebbe invocare direttamente innanzi ad un giudice nazionale il diritto al self-cleaning sancito dalla direttiva UE, nell’impossibilità di avvalersi della corrispondente disposizione di attuazione nell’ordinamento italiano? A questo interrogativo, alla luce degli insegnamenti della sentenza RTS, va risposto in senso affermativo. Il margine di manovra lasciato agli Stati membri non può certamente pregiudicare l’effetto utile dell’art. 57, par. 6, della direttiva, con la conseguenza che l’amministrazione aggiudicatrice e i giudici italiani saranno tenuti a non applicare l’art. 80, comma 7, dando precedenza alla corrispondente disposizione UE.
In conclusione, l’attuazione dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE nell’ordinamento italiano, per come si declina nel codice dei contratti pubblici, solleva molteplici criticità. Nel presente § sono state illustrate le più significative, le quali risultano connesse alla possibilità per l’operatore economico di esercitare il diritto al self-cleaning. Innanzitutto, in relazione alla previsione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), si è dato atto di come, rappresentando un motivo di esclusione facoltativo introdotto dal legislatore italiano in violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione [114], il rimedio della disapplicazione ad opera delle amministrazioni aggiudicatrici e dei giudici nazionali sembra poter trovare attuazione. È stato poi rilevato il contrasto con il divieto di gold plating della disposizione di cui all’art. 93 del codice dei contratti pubblici, rinviando al § seguente per l’analisi circa la relativa prassi giurisprudenziale. Infine, benché sia stato sostenuto che l’introduzione di motivi di esclusione obbligatori aggiuntivi – rispetto al testo della direttiva – come quelli oggi previsti dall’art. 80, comma 1, del codice dei contratti pubblici non ponga particolari perplessità in punto di tassatività, d’altra parte, la limitazione all’esercizio del diritto al self-cleaning in relazione a tali ipotesi, prescritta dal comma 7 della norma, non appare porsi in linea con il diritto dell’Unione. Al riguardo, abbiamo sottolineato che la recente sentenza RTS cristallizza, una volta per tutte, un punto fermo: il diritto, per l’operatore economico, di invocare immediatamente e direttamente l’art. 57, par. 6, della direttiva. Alla luce del quadro normativo fin qui descritto e delle criticità sopra evidenziate, nei due §§ seguenti sarà approfondito lo studio della pertinente prassi giurisprudenziale e regolatoria. Una prassi che rende palese e accentua i profili d’incompatibilità tra ordinamento italiano e ordinamento UE. Al riguardo, tuttavia, quanto alla prassi giurisprudenziale, va precisato che, recentissimamente, l’orientamento prevalente è stato messo in discussione dal TAR Bologna, con le sentenze n. 446, n. 447 e n. 452 del 2021. Pochi giorni prima, peraltro, un certo ripensamento era stato avviato dal Consiglio di Stato, seppure solo in sede cautelare [115].
Occorre ora soffermarci sulla prassi amministrativa/regolatoria posta in essere dall’ANAC e sulla giurisprudenza amministrativa, alle quali abbiamo già fatto riferimento nei §§ precedenti.
Viene, innanzitutto, in rilievo la questione della natura e della funzione del provvedimento interdittivo dell’ANAC che, secondo la giurisprudenza amministrativa in discorso, costituisce una misura restrittiva che riguarda non solo la singola gara in relazione alla quale la segnalazione è intervenuta ma, più in generale, tutte le gare per contratti pubblici, in atto o future e per il tempo in cui opera l’effetto impeditivo [116]. Il provvedimento interdittivo ANAC, secondo questa giurisprudenza, «incide sulla capacità settoriale di agire dell’impresa perché comunque presunta sospettabile di inaffidabilità morale in tema di gare pubbliche», risolvendosi in «una seria misura di prevenzione settoriale e generale de futuro», priva, tuttavia, della natura e della funzione sanzionatoria [117]. In relazione a quest’ultimo carattere, possono tuttavia annoverarsi, in senso contrario, sia alcune pronunce dei giudici amministrativi [118] sia alcune prese di posizione da parte della stessa ANAC [119] sia, infine, i principi elaborati dalla Corte europea dei diritti umani nella sua giurisprudenza [120]. Per quanto riguarda l’ambito di applicazione del provvedimento ANAC, pertanto, sulla base del principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle procedure di gara [121], è stato affermato che «la sanzione non produce un mero effetto preclusivo, ma altresì espulsivo» [122].
Il Consiglio di Stato ha precisato presupposti e conseguenze dell’interdittiva ANAC. Da un lato, è stata ritenuta coerente e proporzionata la prassi ANAC secondo cui essa «valut[a] in concreto i ponderati termini per cui, in forza dei fatti accertati correlati all’omissione e in genere alle finalità proprie degli appalti pubblici, l’impresa va collocata in condizione presuntiva di indegnità a competere» [123]. Per quanto riguarda le conseguenze di tale atto, dall’altro lato, il Consiglio di Stato ha precisato che il provvedimento interdittivo ha sia “effetti preventivi diretti” [124], già menzionati, sia “effetti immediati indiretti”. Più in particolare, questi ultimi consistono nella perdita, nelle more di una diversa procedura di gara, della capacità di contrarre con la pubblica amministrazione, e nell’obbligo di rappresentare tale circostanza alla stazione appaltante [125].
Per quel che concerne l’art. 80, comma 5, lett. f-ter), nonostante il tenore testuale del successivo comma 7, già esaminato supra, e le considerazioni che tale disposizione suscita e sono state ivi svolte [126], nella giurisprudenza amministrativa è stato affermato che la sanzione interdittiva «determina, necessariamente, l’incapacità a contrarre con riferimento allo specifico contratto di appalto cui era preordinata la procedura di gara […] senza che alla stazione appaltante residui alcun margine di discrezionalità in ordine all’adozione del provvedimento espulsivo» [127]. Una simile impostazione, con formulazioni analoghe, è presente in diverse altre pronunce [128]. In altri termini, sebbene il motivo di esclusione sancito all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del d.lgs. n. 50/2016 sia aggiuntivo rispetto a quelli previsti dalla direttiva 2014/24/UE, la giurisprudenza interna ritiene che, in presenza di un’iscrizione nel casellario informatico ANAC, non sussista in effetti alcuna possibilità di valutare se l’esclusione generalizzata sia una misura giustificata da un rapporto di proporzionalità rispetto al comportamento rilevante [129]. Per meglio comprendere le conseguenze in termini concreti di questo orientamento, si consideri anche che, nella prassi giurisprudenziale italiana, alla «falsa dichiarazione» di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter) viene equiparata l’omissione di una dichiarazione [130].
Con specifico riferimento al diritto al/all’obbligo di self-cleaning, un profilo di particolare importanza è rappresentato dal “carattere automatico” dell’esclusione dalle procedure di gara che si realizza in forza del provvedimento interdittivo ANAC, secondo la giurisprudenza prevalente qui sopra richiamata. Di più, il Consiglio di Stato ha anche sancito che «[i]l ricorso al contraddittorio e quindi la valutazione delle misure di self-cleaning presuppone […] il rispetto del principio di lealtà nei confronti della stazione appaltante, e quindi in caso di dichiarazioni mendaci o reticenti, l’amministrazione aggiudicatrice può prescindervi, disponendo l’immediata esclusione della concorrente» [131]. Diversamente, è stato sostenuto, «si incentiverebbe la condotta “opaca” delle concorrenti, che non avrebbero alcun interesse a dichiarare fin dall’inizio i “pregiudizi”, rendendo possibile la violazione del principio di trasparenza e di lealtà che deve invece permeare tutta la procedura di gara» [132]. Si è anche anticipato, infine, che, da un lato, l’art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016 non prevede espressamente la possibilità di tener conto delle misure correttive adottate dall’impresa e che, dall’altro lato, i regolamenti ANAC – sia il Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità, sia il Regolamento per la gestione del Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ai sensi dell’art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016 – sono silenti sul punto.
Benché non riguardino precisamente l’ipotesi di esclusione facoltativa disciplinata alla lett. f-ter) del comma 5 – oggetto di approfondimento in questo lavoro –, merita di essere ricordato che, in relazione ai motivi di esclusione legati alla integrazione di un grave illecito professionale, l’ANAC ha adottato le Linee guida n. 6 [133], che dedicano un paragrafo alle misure di self-cleaning. Come si vedrà più in dettaglio nell’Addendum, alcuni dei principi sanciti nelle Linee Guida, adottate per dare attuazione alle fattispecie individuate alla lett. c) del comma 5 dell’art. 80 [134] esercitando la facoltà prevista dal comma 12 del medesimo art., sono stati considerati rilevanti in relazione ad esclusioni conseguenti all’iscrizione nel casellario informatico ANAC [135]. A fianco dell’enumerazione di una serie di misure potenzialmente idonee ad evitare l’esclusione [136], nelle Linee Guida viene prescritto, da un lato, che l’adozione delle misure di ravvedimento operoso deve intervenire «entro il termine fissato per la presentazione delle offerte o, nel caso di attestazione, entro la data di sottoscrizione del contratto con la [Società organismi di attestazione (SOA)]» [137]; e, dall’altro lato, che «[n]el DGUE o nel contratto di attestazione l’operatore economico deve indicare le specifiche misure adottate» [138]. In relazione alla valutazione ad opera della stazione appaltante circa le misure adottate, viene altresì precisato che le valutazioni «sono effettuate in contraddittorio con l’operatore economico» [139], che «[l]a decisione assunta deve essere adeguatamente motivata» [140] e che le misure di self-cleaning adottate nell’ipotesi di violazione del principio di leale collaborazione con l’Amministrazione sono «valuta[te] con massimo rigore» [141].
Ciò detto, l’amministrazione italiana, per voce dell’ANAC, e la giurisprudenza amministrativa maggioritaria sembrano negare, assegnando carattere automatico all’esclusione fondata sul provvedimento interdittivo e nulla prevedendo nei due Regolamenti sopra menzionati in relazione alla possibilità di adottare misure di ravvedimento operoso, che l’ordinamento italiano, ad oggi, attribuisca al self-cleaning carattere strutturale quale meccanismo essenziale nell’ambito dei pubblici appalti, in stridente contrasto con i principi sanciti dalla Corte di Giustizia nelle recenti sentenze RTS e Rad Service [142]. Ciò, inoltre, a prescindere da una duplice circostanza, già brevemente menzionata, che appare idonea ad esacerbare questa situazione. Per un verso, può accadere che l’iscrizione nel casellario sia conseguenza dell’omissione di una dichiarazione – per la quale l’operatore economico è già stato, a suo tempo, escluso dalla gara in questione – anziché di una falsa dichiarazione in senso stretto. Per altro verso, ci si trova nell’ambito di ipotesi nuove rispetto a quelle previste nell’art. 57, par. 6, della direttiva 2004/24/UE: alla luce di quanto rilevato nei §§ 2, 3 e 4, sembra evidente che uno Stato il quale, come l’Italia, abbia introdotto nel proprio ordinamento un nuovo motivo di esclusione, non possa ritenersi esente dall’obbligo di assicurare il diritto al self-cleaning all’operatore economico. Quest’ultimo, difatti, verrebbe escluso con specifico riguardo a tale nuovo motivo, a differenza di quanto previsto dalla direttiva in relazione agli altri motivi di esclusione. Non vi è dubbio che il meccanismo riparatorio della moralità professionale delle imprese, dovendo essere sempre assicurato, non possa essere disatteso, a fortiori, proprio in relazione a questa ipotesi, per i motivi che saranno illustrati nel § che segue [143].
Un secondo profilo riguardante la prassi giurisprudenziale italiana che merita attenzione concerne l’efficacia temporale delle misure di self-cleaning. Più in particolare, va verificato se sia compatibile con il diritto UE la teoria formulata dalla giurisprudenza amministrativa italiana [144], secondo cui tali misure debbono essere state poste in essere prima di – oppure contestualmente a – presentare la domanda di partecipazione a una procedura di gara affinché la stazione appaltante possa prenderle in considerazione [145].
Un terzo filone giurisprudenziale che viene in rilievo riguarda l’art. 93, comma 6, del codice dei contratti pubblici, illustrato nel § 4, ove sono state sottolineate le criticità in punto di violazione del c.d. divieto di gold-plating. La giurisprudenza amministrativa ha recentemente sancito che la garanzia provvisoria opera anche nel caso di mancanza dei requisiti di ordine generale e speciale, dichiarati in sede di partecipazione alla gara, in quanto tale carenza integrerebbe la nozione di «fatto riconducibile all’affidatario» e precluderebbe, quindi, la sottoscrizione del contratto [146]. È stato altresì osservato che tale norma colloca l’escussione della garanzia provvisoria nella fase successiva all’aggiudicazione, benché prima della stipula del contratto [147]. Per altro verso, la garanzia non potrebbe essere escussa nelle ipotesi in cui l’esclusione per difetto del requisito generale previsto dall’art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016 venga disposta prima che sia intervenuta l’aggiudicazione [148]. Un siffatto orientamento è problematico laddove sia considerato nel contesto del sistema di esclusione automatica e generalizzata risultante dalla prassi sopra brevemente illustrata [149].
Come anticipato, in relazione alla prassi giurisprudenziale descritta fin qui si sono recentemente registrati alcuni sviluppi degni di nota. Da un lato, l’assimilazione tra «falsa dichiarazione» ex art. 80, comma 5, lett. f-ter) ed omissione di una dichiarazione sembra essere oggetto di ripensamento. Con ordinanza pubblicata il 23 aprile u.s., infatti, la sez. V del Consiglio di Stato, adito in via cautelare, ha sospeso l’efficacia di una sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio [150] sul presupposto per cui – per quanto interessa in questa sede – non vi sia coincidenza tra le predette due condotte [151]. Successivamente, la medesima Sezione, con ordinanza pubblicata il 28 maggio ha altresì accolto l’istanza di esecuzione della prima ordinanza, ordinando la sospensione dell’efficacia della sanzione interdittiva [152]. Rimane da verificare se e come verrà dato seguito a questo principio dalla giurisprudenza amministrativa a venire. Dall’altro lato, alcune sentenze del TAR Bologna, pubblicate il 5 maggio u.s., si sono concentrate sulla compatibilità, con il sistema normativo delineato dalla direttiva 2014/24/UE, dell’esclusione automatica dell’operatore economico basata sul disposto dell’art. 80, comma 5, lett. f-ter). Per un esame delle ordinanze del Consiglio di Stato e di queste recenti pronunce si rinvia all’analisi condotta nell’Addendum.
In attesa di quanto il Consiglio di Stato deciderà nel merito del ricorso per la riforma della suddetta sentenza del TAR Lazio, la prassi descritta fin qui, con l’eccezione delle richiamate sentenze del TAR Bologna, appare foriera di plurime censure in punto di compatibilità con il diritto dell’Unione, tanto con il diritto primario quanto con il diritto derivato.
Ciò detto, nel prosieguo della trattazione ci concentreremo in particolare sulla legittimità della prassi regolatoria/amministrativa e giurisprudenziale dal duplice punto di vista del self-cleaning e del rispetto delle principali norme di diritto primario che rilevano, ivi compresi i principi generali del diritto UE, con particolare attenzione al principio di proporzionalità, alla luce del quadro tracciato nei §§ precedenti.
Occorre, in primo luogo, verificare se e come sia possibile assicurare un’interpretazione del diritto nazionale tale da risultare conforme all’ordinamento dell’Unione, considerato il ruolo che il self-cleaning riveste nell’ordinamento italiano. L’obbligo/diritto al self-cleaning significa necessariamente, quanto all’Italia, in primo luogo, che l’esclusione dell’operatore economico destinatario di una sanzione irrogata ai sensi dell’art. 80, commi 1 e 5 del codice dei contratti pubblici deve essere preceduta da un contraddittorio tra operatore economico e stazione appaltante e, in secondo luogo, che essa dipende dalla valutazione di quest’ultima sulle misure di self-cleaning adottate dalla società. Nessun automatismo, pertanto, è ammissibile, come confermato dalla recente sentenza Rad Service, ove si legge che, in virtù del principio di proporzionalità, l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta ad «effettuare una valutazione specifica e concreta dell’atteggiamento del soggetto interessato, sulla base di tutti gli elementi pertinenti» [153]. L’esclusione, dunque, è certamente possibile, ma altrettanto certamente non può essere automatica: il giudizio sulla possibile rilevanza delle misure riparatorie rientra nella discrezionalità della stazione appaltante, la quale deve compiere la verifica, caso per caso, in merito al tipo di interventi di carattere risarcitorio oppure di natura tecnica, organizzativa e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
In questo contesto, la prassi giurisprudenziale italiana esaminata nel § 5 precedente, nel considerare che la causa di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del codice dei contratti pubblici debba operare al di fuori di una valutazione da effettuarsi da parte della stazione appaltante, si pone in contrasto con l’art. 57, par. 6, della direttiva 2014/24/UE, letto alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia [154]. Il meccanismo del self-cleaning, infatti, allo stato attuale, ad avviso della quasi totalità dei giudici amministrativi italiani, non potrebbe essere invocato dal singolo qualora esista un provvedimento interdittivo e questo sia stato iscritto nel casellario informatico tenuto dall’Osservatorio dell’ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara.
Come anticipato, infatti, non vi è alcun dubbio nel ritenere che il meccanismo riparatorio della moralità professionale delle imprese abbia carattere strutturale e vada quindi assicurato anche in relazione all’ipotesi di esclusione facoltativa prevista all’art. 80, comma 5, lett. f-ter). Una conclusione di segno opposto sarebbe illogica, irragionevole ed esiziale per l’applicazione uniforme del diritto UE in tutti gli Stati membri, con conseguenti rischi di discriminazione tra operatori in ragione della diversità di legislazioni e/o prassi giurisprudenziali nazionali [155]. Lo snaturamento sarebbe palese se per un motivo nuovo, autonomamente introdotto dal legislatore italiano, il self-cleaning non dovesse trovare alcuno spazio. Qualora si ritenga applicabile l’art. 80, comma 12, nella sostanza, nulla cambierebbe. È irrilevante la circostanza che da una lettura di questo comma sia assente un esplicito riferimento al self-cleaning per negare che la realizzazione di un tale meccanismo debba essere assicurata. Infatti, l’obbligo d’interpretazione conforme del diritto italiano al diritto UE impone, anche in questo caso, che la direttiva non venga interpretata in maniera tale da snaturarne il contenuto e le finalità. Sarebbe peraltro irragionevole ritenere ammissibile un tale meccanismo per alcune fattispecie esplicitamente individuate nel comma 1 dell’art. 80, aventi rilevanza penalistica, ed escluderne al contrario l’applicazione in relazione a fattispecie che danno luogo all’iscrizione nel casellario informatico, gravi ma prive di rilievo penalistico.
Ora, al netto di quanto rilevato in punto di tassatività dei motivi di esclusione nel § 4, tra i rimedi esperibili per riallineare l’ordinamento italiano al quadro giuridico UE in materia di self cleaning, viene sicuramente in rilievo, innanzitutto, l’obbligo d’interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto dell’Unione [156]. Obbligo che, com’è noto, è imposto in capo a tutte le autorità degli Stati membri e che, per quanto interessa in questa sede, determinerebbe la necessità di accantonare la prassi amministrativa/regolatoria e giudiziaria, incompatibile con l’ordinamento dell’Unione e ancora prevalente, qui sopra illustrata.
Va approfondito, in secondo luogo, il tema dell’efficacia temporale del self-cleaning, vale a dire il momento in cui il diritto in discorso debba essere assicurato.
Al riguardo, la Corte ha affermato, nella sentenza RTS, che «né il tenore letterale dell’articolo [57, par. 6,] né il considerando 102 di tale direttiva precisano in che modo o in quale fase della procedura d’appalto possa essere fornita la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso» [157]. Sul piano logico, peraltro, per come l’istituto del self-cleaning è configurato dalla direttiva, è evidente che solo dopo che l’illecito professionale sia avvenuto, possono adottarsi misure idonee a ripristinare la moralità professionale dell’operatore economico. È possibile parlare, al riguardo, di efficacia pro futuro delle misure correttive, che si afferma necessariamente solo con riferimento al momento della commissione di tale illecito professionale.
Per contro, non può affermarsi che la logica sottesa al meccanismo di self-cleaning richieda – come viene richiesto dalla prassi italiana ancora prevalente sopra descritta – che le misure correttive vengano effettuate prima della (oppure contestualmente alla) partecipazione alla gara. Infatti, se così fosse, la direttiva non dovrebbe ammettere il self-cleaning in via generale per qualunque motivo di esclusione, ma dovrebbe considerarlo irrilevante in presenza di quei motivi di esclusione che si riferiscono alla condotta dell’operatore in quella specifica gara. Non è questo il caso: al contrario, la direttiva sembra ammettere sempre la possibilità di far valere le misure correttive addirittura anche in presenza di motivi di esclusione relativi alla specifica gara di cui si discute, quali quelli di cui all’art. 57, par. 4, lettere d), h) e i). Pertanto, se il self-cleaning può essere invocato anche per dimostrare di aver posto rimedio a comportamenti tenuti nel corso della gara, sarebbe illogico sostenere che le relative misure debbano risalire a una data antecedente (o ad una fase contestuale) alla domanda di partecipazione.
Come sancito nella sentenza RTS, gli Stati membri possono prevedere che la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso debba essere fornita spontaneamente dall’operatore economico interessato al momento della presentazione della sua domanda di partecipazione o della sua offerta soltanto a condizione che siano rispettati i principi della parità di trattamento, di trasparenza, di proporzionalità, e dei diritti di difesa [158]. Pertanto, se gli Stati membri intendono, nel dettare le condizioni di applicazione delle norme della direttiva sul self-cleaning, limitare la possibilità di far valere eventuali misure correttive solo al momento della domanda di partecipazione, ciò deve essere previsto espressamente dalla normativa nazionale e, in termini cumulativi, dalla disciplina di gara. Ove gli Stati membri si avvalgano di tale facoltà, ciò implica un limite procedurale e sostanziale al ricorso al self-cleaning in quanto le eventuali misure correttive sono rilevanti solo se possono essere già dimostrate al momento della domanda di partecipazione. All’opposto, se una simile limitazione non è indicata né nella normativa nazionale né nella disciplina di gara, essa risulta essere contraria ai principi di trasparenza e parità di trattamento, in quanto non resa nota a tutti gli operatori economici in modo chiaro, preciso e univoco sin dall’inizio.
Può essere qui aggiunto un ulteriore ordine di considerazioni per il non remoto caso in cui, in una determinata fattispecie, a causa della durata anomala della procedura di gara, al momento della presentazione della domanda di partecipazione, non sia stato nemmeno commesso l’illecito professionale poi oggetto di misure correttive. Ebbene, sempre in RTS si afferma che, laddove la normativa nazionale non preveda espressamente in quale fase della procedura di gara deve essere data la prova delle misure correttive, se il motivo di esclusione è preesistente alla gara e anche se l’operatore non lo ha dichiarato, «l’amministrazione aggiudicatrice, qualora concluda che sussiste un motivo di esclusione [...] o che vi sia dissimulazione di informazioni relative a tale [motivo], deve nondimeno dare agli operatori interessati la possibilità di fornire la prova dei provvedimenti di ravvedimento operoso adottati» [159]. Una tale necessità s’imporrebbe in misura ancor maggiore nel caso di un eventuale illecito professionale sopravvenuto nel corso di una gara, rispetto al quale nella domanda di partecipazione non potrebbe logicamente nemmeno sussistere un obbligo dichiarativo né con riferimento alla sua esistenza né alle misure correttive adottate dall’operatore per porvi rimedio.
In terzo luogo, sembra necessaria qualche precisazione circa l’attuazione della previsione di cui all’art. 57, par. 6, comma 4, della direttiva 2014/24/UE, secondo cui «un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi della possibilità prevista a norma del presente paragrafo nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza negli Stati membri in cui la sentenza è effettiva». Al riguardo, è irricevibile, a monte, ai fini dell’attuazione di questa deroga al self-cleaning, l’equiparazione tra l’emanazione di una «sentenza definitiva» e l’adozione di un provvedimento amministrativo com’è l’interdittiva ANAC. Ciò, evidentemente, a prescindere dal fatto che al provvedimento segua una sentenza passata in giudicato. Questa impostazione non risulta condivisibile per due principali ordini di ragioni.
Da un lato, in quanto, come è ovvio, sovrapporre le funzioni del potere giudiziario e del potere esecutivo, sulla base di un’interpretazione oltremodo estensiva di una norma, mette in discussione la ratio stessa della divisione tra poteri, con le garanzie che vi sono collegate.
Dall’altro lato, considerato che – come abbiamo illustrato supra – l’art. 57, par. 6, è norma self-executing e direttamente efficace, risulta impossibile e fallace un’interpretazione espansiva di una deroga che esplicitamente fa riferimento alla necessità che una sentenza definitiva abbia irrogato la sanzione suscettibile di ostare all’esercizio del self-cleaning. Una tale interpretazione non solamente mortificherebbe ratio e portata del principio UE cardine dell’effetto diretto, ma lo priverebbe del suo effetto utile. L’autorità nazionale, infatti, non può limitare il diritto al self-cleaning contenuto in una disposizione del diritto UE riconosciuta espressamente dai giudici UE quale compiuta, incondizionata, direttamente/immediatamente applicabile ed efficace. Una disposizione, pertanto, capace, per sua natura, d’impedire un tipo d’interpretazione che, lungi dall’essere testuale e restrittiva come dovrebbe, metterebbe in toto in discussione un assioma dell’ordinamento UE, comprimendo prerogative individuali del singolo e comportando un’indebita innovazione rispetto al contenuto della norma UE auto-applicativa. Ciò, nonostante la finalità ultima dell’effetto diretto sia la creazione di un vantaggio per l’individuo e il suo elemento costitutivo, condizione necessaria e sufficiente, l’incondizionatezza della norma, cioè la necessità che non venga applicata con ulteriori, ultronee, confliggenti misure di esecuzione. A conferma di quanto precede, si pongono alcuni passaggi della – già menzionata – sentenza Vert Marine relativi all’interpretazione dell’art. 38, par. 9, comma 3, della direttiva 2014/23/UE, norma questa identica, nel contenuto, all’art. 57, par. 6 [160]. In particolare, al punto 20, viene affermato quanto segue: «risulta inequivocabilmente dalla formulazione dell’articolo 38, paragrafo 9, terzo comma, della direttiva 2014/23 che l’esclusione deve risultare direttamente da una sentenza definitiva relativa a un determinato operatore economico, e non per il solo fatto, segnatamente, che una condanna sia stata pronunciata con sentenza definitiva per uno dei motivi elencati all’articolo 38, paragrafo 4, della direttiva 2014/23». Inoltre, nel punto 21, è chiarito che «dalla formulazione dell’articolo 38, paragrafo 9, della direttiva 2014/23 risulta che, ad eccezione della fattispecie contemplata dal terzo comma di tale disposizione, un operatore economico può fornire la prova delle misure correttive adottate al fine di dimostrare la propria affidabilità». Eccezioni differenti sono inammissibili perché l’obiettivo del self-cleaning, come ribadito nel punto 22, «sarebbe compromesso se agli Stati membri fosse consentito limitare, al di fuori della fattispecie prevista all’articolo 38, paragrafo 9, terzo comma, della direttiva 2014/23, il diritto degli operatori economici di fornire la prova delle misure correttive adottate».
A ciò si aggiunga, con riguardo alla questione del margine di discrezionalità concesso agli Stati nell’attuazione della direttiva 24/2014/UE, che un conto è riconoscere, ex par. 7 dell’articolo 57 della direttiva, che gli Stati membri «specificano le condizioni di applicazione» di tale articolo, un altro sarebbe obliterare la logica che vi è connaturata escludendo l’applicazione del self-cleaning [161]. Come illustrato supra, la determinazione delle «condizioni procedurali e sostanziali» non può in alcun modo declinarsi e riassumersi in un’interpretazione estensiva tale da eliminare la possibilità di invocare e azionare un diritto, la cui esistenza è un presupposto che le autorità nazionali sono obbligate a rispettare nell’esercizio della loro facoltà. L’equiparazione tra una sentenza passata in giudicato, quale origine della sanzione, e un provvedimento amministrativo, con la conseguenza ultima di negare il diritto al self-cleaning, si scontra palesemente con quanto la Corte di Giustizia osserva nella sentenza. Detto in altri termini, la disciplina relativa alle condizioni di esercizio di un diritto non può essere confusa con la sua esclusione.
Un’interpretazione estensiva e innovativa del comma 4 del par. 6 dell’art. 57 è d’altronde in evidente contrasto con il principio generale del legittimo affidamento, sotto il profilo della prevedibilità del dettato normativo, per com’è tutelato nell’ordinamento UE e nell’ordinamento nazionale, con il risultato di frustrare indebitamente le prerogative degli operatori economici, i quali, sia sulla base della direttiva UE che dell’art. 80, comma 9, del codice dei contratti pubblici che l’ha recepita, devono beneficiare del diritto al self-cleaning con la sola eccezione dell’emanazione di una sentenza passata in giudicato. Tali conclusioni sono confermate da quanto affermato dalla Corte di Giustizia, da ultimo, al punto 48 della sentenza RTS, già richiamato.
Infine, benché gli Stati membri siano dotati di un certo grado di discrezionalità nella specificazione le condizioni di applicazione dell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, essi devono comunque rispettare il diritto dell’Unione, come ribadito nel comma 7 di detta norma. A questo riguardo, occorre menzionare in conclusione sul punto, come l’esclusione automatica dalle procedure di gara risulti prima facie contraria, sulla base di quanto affermato anche recentemente nella causa RTS [162], oltre che con la direttiva 2014/24/UE, innanzitutto, con il principio generale di proporzionalità, in secondo luogo, con il principio generale di non discriminazione, in terzo luogo [163], con l’esercizio delle libertà economiche di circolazione (in particolare con le norme sulla libera prestazione dei servizi e sulla libertà di stabilimento, e della libera concorrenza) e, in quarto luogo, con il rispetto del principio del contraddittorio e dei diritti di difesa.
In quarto luogo, una riflessione va svolta in relazione all’art. 93, comma 6, del codice dei contratti pubblici e all’orientamento giurisprudenziale illustrato supra, nel § 5. In particolare, un tale orientamento non appare in linea con il diritto UE perché l’incameramento della garanzia è fatto dipendere dalla valutazione negativa in ordine alla sussistenza di una causa di esclusione facoltativa, la cui rilevanza è rimessa al giudizio discrezionale della stazione appaltante. Ciò vale, ovviamente, nella misura in cui l’annotazione nel casellario informatico venga disposta dall’ANAC dopo la partecipazione dell’operatore economico alla gara a quest’ultimo aggiudicata e nella sola ipotesi in cui si ritenga che il provvedimento interdittivo produca – come sostiene la giurisprudenza allo stato maggioritaria – anche un effetto espulsivo. Quanto precede trova conferma nella circostanza che, nella situazione appena illustrata, l’operatore economico opera nel rispetto della legge e partecipa alla gara senza commettere alcun tipo di violazione di legge.
Ora, una sanzione assimilabile all’escussione della cauzione non è in alcun modo prevista dalla direttiva 2014/24/UE, come non lo era nella previgente direttiva 2004/18/CE. Sotto questo punto di vista, la previsione del codice dei contratti pubblici che ammette l’escussione della cauzione in casi come quelli in discorso – in cui l’operatore economico partecipa alla gara senza commettere alcun tipo di violazione di legge venendo successivamente “espulso” dalla stessa in virtù della prassi giurisprudenziale maggioritaria in ordine all’ambito di applicazione del provvedimento interdittivo ANAC [164] – determina un’evidente incongruenza rispetto alla direttiva. Inoltre, quale conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, l’art. 93 del codice dei contratti pubblici, nel disporre l’escussione della cauzione, risulterebbe non aderente alla direttiva anche per i due motivi sopra menzionati: in quanto conseguente a un motivo di esclusione – quello dell’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del codice dei contratti pubblici – non previsto dalla direttiva e in quanto, per il suo automatismo, non consentirebbe alla stazione appaltante di valutare, prima di disporre l’escussione, eventuali misure correttive adottate dall’operatore economico.
Come anticipato, la prassi giurisprudenziale e regolatoria sopra descritta pone delle criticità, in relazione alla attuazione della direttiva 2014/24/UE, non soltanto con riferimento alle disposizioni di quest’ultima, per come interpretate dalla Corte di Giustizia, ma anche ove vagliata alla luce del diritto primario dell’Unione. Al riguardo, non ci pare si possa dubitare che la prassi di cui discutiamo vìoli le norme sul diritto di stabilimento, sulla libera prestazione dei servizi, sulla libera concorrenza, così come gli artt. 16, 17 e 49, della Carta dei diritti fondamentali in merito – rispettivamente – alla libertà d’impresa, al diritto di proprietà, e al rispetto dei principi di legalità, irretroattività e proporzionalità delle pene. È, infatti, evidente che la Carta trova applicazione, ai sensi dell’art. 51, par. 1, con riferimento all’attuazione della direttiva 2014/24/UE nell’ordinamento italiano.
Quanto alle norme sul libero mercato e sulla concorrenza, è evidente, innanzitutto, che una misura interdittiva con effetti come quelli qui sopra descritti sia idonea a determinare effetti restrittivi rispetto all’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, strettamente connesse all’adozione della disciplina UE in materia di appalti pubblici [165]. Ora, l’iscrizione nel casellario informatico produce, in virtù della prassi regolatoria e giurisprudenziale analizzata, conseguenze negative, da un lato, sulla capacità di operatori italiani, attivi anche su mercati diversi da quello italiano, di prestare servizi in altri Stati membri, in quanto, creando un divieto generalizzato di partecipazione alle gare, genera una situazione di particolare precarietà a danno dell’operatore colpito dalla misura. Dall’altro lato, si tratta di una misura idonea a dissuadere gli operatori di altri Stati membri dal partecipare a gare in Italia, proprio per il rischio di vedersi assoggettati, oltretutto in difetto di una precisa indicazione normativa e comunque in un quadro di forte e complessiva criticità rispetto al principio di proporzionalità, a una sanzione tanto grave.
In breve, dato che la disposizione di cui all’art. 80 del codice dei contratti pubblici costituisce una norma c.d. indistintamente applicabile, una restrizione alle predette libertà fondamentali è legittima solo in quanto rispetti i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, e, segnatamente, la restrizione sia applicata in modo non discriminatorio, giustificata da deroghe espresse contenute nel TFUE o da motivi imperativi d’interesse pubblico e idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, non eccedendo quanto necessario a tale fine. Senza esaminare nel dettaglio ciascuno di questi requisiti, è il rispetto di quest’ultimo, quello cioè della necessità della misura, quale elemento costitutivo del principio di proporzionalità, ad apparire problematico in ragione del carattere generalizzato ed automatico riconosciuto al provvedimento interdittivo ANAC dalla prassi amministrativa/regolatoria e giurisprudenziale interna ad oggi prevalente. Essendo idonea a produrre conseguenze assolutamente sproporzionate, la misura nazionale non può considerarsi giustificata ed è, dunque, atta a determinare una violazione della libertà di stabilimento e/o della libera prestazione dei servizi.
La conclusione sopra tracciata risulta rafforzata da un altro ordine di considerazioni: secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, qualora vengano invocati motivi imperativi d’interesse generale per giustificare una normativa nazionale suscettibile di ostacolare l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, lo Stato membro deve in ogni caso rispettare i principi generali del diritto dell’Unione [166], incluso il principio generale di diritto UE del legittimo affidamento. In sintesi, nell’ordinamento dell’Unione tale principio, correlato a quello della certezza del diritto, impone, segnatamente, che le norme siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese. Esso può, in particolare, applicarsi per impedire che una determinata misura nazionale li privi retroattivamente di un diritto di cui avrebbero altrimenti potuto fruire [167]. Le prassi fin qui illustrata sembra idonea a comportare una violazione anche di questo principio generale. Ciò in quanto il provvedimento ANAC, producendo anche un effetto espulsivo riferito alle gare in corso alla data in cui la sanzione interdittiva diviene efficace e quindi su contratti pubblici già stipulati a tale data, ha in sostanza l’effetto di privare retroattivamente l’operatore economico di diritti di cui avrebbe potuto altrimenti fruire. Anche sotto tale profilo, dunque, l’ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi non può dirsi giustificato.
Secondariamente, la disciplina UE in materia di appalti pubblici è anche fortemente ispirata al principio di un sistema aperto e concorrenziale, con la conseguenza che le norme rilevanti, ivi comprese quelle nazionali di attuazione delle direttive UE, devono essere interpretate in maniera tale da favorire, per quanto possibile, la concorrenza e da evitare pratiche anticoncorrenziali [168]. L’esistenza di un tale nesso è stata costantemente rimarcata, con formule variabili, nella giurisprudenza della Corte di Giustizia [169] e ha trovato consacrazione nell’art. 18, par. 1, della direttiva 2014/24/UE [170]. L’approccio generale ricavabile dai principi generali del diritto UE e, oggi, dalla direttiva 2014/24/UE, pertanto, incide sull’interpretazione e sull’applicazione dei motivi di esclusione dal momento che essi non possono essere utilizzati in maniera tale da determinare un impatto anticoncorrenziale. Conseguenza di ciò è che i motivi di esclusione elencati nella direttiva 2014/24/UE, in particolare in quanto attinenti alla capacità professionale, devono considerarsi tassativi, come rilevato supra [171], e, in ogni caso, devono essere interpretati restrittivamente [172]. Anche sotto questo profilo, viene dunque a prefigurarsi un’incompatibilità con il diritto UE, in quanto la prassi amministrativa/regolatoria e giurisprudenziale interna interpreta ed applica la normativa interna con modalità che si pongono in contrasto con la necessaria garanzia della libera concorrenza. Infatti, da un lato, si registra, come scritto, un’interpretazione sicuramente estensiva dei presupposti per l’iscrizione nel casellario informatico e per l’applicazione del relativo motivo di esclusione, poiché tali presupposti vengono ricollegati alla mera omissione di una dichiarazione in sede di gara, oltreché a «false dichiarazioni»; dall’altro, l’applicazione generalizzata e automatica del motivo di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del d.lgs. n. 50/2016, con effetti non solo di esclusione, ma anche di espulsione da gare in corso e di risoluzione di contratti pubblici già stipulati, determina un chiaro ampliamento della portata delle disposizioni normative. L’effetto pratico di una simile impostazione, per le ripercussioni negative che determina a carico degli operatori economici, ha un evidente carattere anticoncorrenziale giacché sfavorisce, direttamente e indirettamente, la più ampia partecipazione alle procedure di appalto pubblico.
Per quel che concerne la Carta, in breve, l’esclusione automatica dell’operatore economico dalla partecipazione alle procedure di gara e la risoluzione dei contratti pubblici già stipulati si pone in contrasto con i diritti fondamentali riconosciuti negli artt. 16, 17 e 49.
L’art. 16 sancisce il diritto fondamentale alla libertà di impresa [173], tipizzando e cristallizzando un principio generale del diritto UE [174]. Tale diritto è evidentemente collegato al diritto UE primario e derivato preposto a regolamentare e proteggere i diritti di libera circolazione, in particolare nel settore dei servizi e dello stabilimento, e la libera concorrenza [175], così che le considerazioni svolte supra valgono anche con riguardo all’art. 16 della Carta. Ora, è evidente che la prassi regolatoria e giurisprudenziale esaminata impedisca a un operatore economico di accedere al mercato in Italia e all’estero, ne può determinare l’espulsione e, quanto alla risoluzione anticipata dei contratti già stipulati, ha un impatto radicale sulla sua libertà contrattuale, tutelata dalla norma [176]. Restrizione che difficilmente potrebbe essere ritenuta idonea e necessaria, quindi proporzionata, al raggiungimento dello scopo ultimo di garantire una regolare aggiudicazione delle procedure di gara [177], sembrando al contrario idonea a pregiudicare «la stessa sostanza» del diritto garantito nell’art. 16 [178].
Viene in rilievo, in secondo luogo, il diritto di proprietà di cui all’art. 17 della Carta [179], peraltro salvaguardato dalla Corte di Giustizia, anche in epoca precedente all’entrata in vigore della Carta, in quanto principio generale [180], oltreché dall’art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti CEDU), al quale si riferiscono le Spiegazioni relative alla Carta [181]. Sulla base dei parametri elaborati in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale, rilevanti anche ai fini dell’interpretazione della Carta [182], è possibile sostenere che i contratti pubblici stipulati dall’operatore economico destinatario di un provvedimento interdittivo ANAC, dai quali derivano valori patrimoniali di cui è titolare, possano essere sussunti nella nozione di «beni», adoperata nell’art. 1 del Protocollo [183]. Nozione avente carattere autonomo e rispecchiata nell’art. 17 della Carta, che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, tutela «una posizione giuridica acquisita che consente l’esercizio autonomo di tali diritti da parte e a favore del loro titolare» [184], ad esempio laddove essa sia fondata su un contratto [185]. Lo stesso vale per la decisione di aggiudicazione di cui sia stato destinatario l’operatore economico [186], essendo titolare di una legittima aspettativa a stipulare detto contratto [187].
Ora, l’esclusione automatica dalle gare in corso in qualunque fase (e, dunque, in particolare dopo l’aggiudicazione) e la risoluzione automatica dei contratti pubblici già stipulati prefigurano evidenti ingerenze dello Stato nei «beni» degli operatori economici. Ingerenze che possono configurare una violazione del diritto di proprietà nella misura in cui sono in contrasto, oltre che con il principio di proporzionalità, anche con il principio di legalità [188], dato che l’applicazione del diritto interno, in relazione alle cause e agli effetti dell’esclusione nonché alla rilevanza del self-cleaning, è largamente fondata su una distorta interpretazione giurisprudenziale delle disposizioni rilevanti.
La violazione dei diritti fondamentali, come protetti dalla Carta, potrebbe peraltro emergere sotto un altro, ultimo, profilo. Si è già brevemente rilevato che all’interdittiva adottata dall’ANAC sia possibile riconoscere natura e funzione sanzionatoria e quindi carattere penale sulla base dei c.d. criteri Engel [189], ancorché la prevalente giurisprudenza amministrativa italiana si pronunci in senso contrario [190]. All’affermazione della natura sostanzialmente penale consegue la necessità di vagliare la misura alla luce dell’art. 49 [191], dovendo essa risultare conforme, tra l’altro, ai principi di legalità, proporzionalità e irretroattività. Infatti, la misura dell’esclusione automatica e generalizzata in esame presenta profili problematici con riferimento a questi tre principi. Quanto ai principi di legalità e di proporzionalità si rinvia a quanto già esposto supra, in questo §. Per quel che riguarda il principio di irretroattività, esso comporta il divieto di applicare una sanzione rispetto a fatti che non potevano costituire un illecito nel momento in cui sono stati compiuti. Anche in relazione al rispetto di tale principio sembrerebbero quindi emergere delle criticità. Ciò in quanto la portata della misura interdittiva involge anche atti – i.e. la partecipazione ad una gara e la stipulazione di contratti pubblici – che non erano vietati alla data in cui sono stati compiuti, poiché in quel momento non esisteva – o, il che è lo stesso, non era efficace – l’annotazione nel casellario informatico, e che, nonostante ciò, vengono da questa travolti.
Oltre alle norme sopra richiamate, il principio di proporzionalità assume una rilevanza centrale. Si tratta, peraltro, di un principio che rileva autonomamente, anche al di là dell’ambito di applicazione delle norme sopra richiamate. Da qui la necessità di soffermarsi sull’analisi della compatibilità della prassi attuale con il principio generale di proporzionalità, più volte richiamato nel corso dell’analisi [192] e che, ai fini del presente esame, mira a tutelare il singolo nei confronti, oltre che delle istituzioni UE, anche e soprattutto delle autorità nazionali quando queste agiscono in un settore rientrante nell’ambito del diritto UE, come quello dei pubblici appalti [193].
Il principio impone alle autorità degli Stati membri di verificare che la compressione di prerogative individuali, collegate all’esercizio di attività economiche, come l’esclusione dalla partecipazione a una procedura di gara, sia idonea a, e necessaria per, raggiungere obiettivi, di carattere pubblicistico in senso lato, prefissati dalle autorità nazionali. Il corollario è che l’autorità pubblica, nello scegliere le misure da adottare vòlte a imporre un vincolo e un sacrificio al singolo, deve dare precedenza a quella meno restrittiva [194]. Come anticipato, il principio di proporzionalità è annoverato tra i principi generali in tema di aggiudicazione degli appalti all’art. 18, par. 1, della direttiva 2014/24/UE. Di più, con specifico riferimento ai motivi di esclusione facoltativi, il considerando 101 della direttiva prevede che «[n]ell’applicare motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità» [195].
Il core della logica che ispira il principio nell’ambito del diritto UE dei contratti e degli appalti pubblici è che le restrizioni imposte dalle autorità nazionali non devono essere sproporzionate rispetto al raggiungimento delle finalità indicate nell’ordinamento dell’Unione, in particolare nella direttiva 2014/24/UE. L’interesse a che le gare di appalto si realizzino nel rispetto delle regole base dello stato di diritto e della leale concorrenza e che ciò sia garantito attraverso la previsione di una serie di motivi di esclusione dell’impresa dalle procedure di gara, come stabilito nell’art. 57, par. 6 della direttiva 2014/24/UE, deve essere contemperato con la salvaguardia di interessi ulteriori, in primis l’interesse dell’impresa a esercitare le libertà economiche di circolazione, la tutela del mercato e della libera concorrenza, e la protezione di valori connaturati al rispetto dei principi generali del diritto UE e dei diritti fondamentali [196]. E la necessaria valutazione di proporzionalità evidentemente s’impone in particolare laddove le misure in questione realizzino addirittura effetti espulsivi dal mercato degli appalti pubblici, come si realizza nella prassi dell’amministrazione italiana.
La giurisprudenza UE, con particolare vigore dalla causa Michaniki, è consolidata nel senso di considerare un’adeguata attuazione del principio di proporzionalità condicio sine qua non per garantire che la prassi nazionale sia conforme al diritto dell’Unione [197]. Recentemente, tra le numerose sentenze, in T-Systems è prima ribadito che il principio di proporzionalità costituisce «un principio generale del diritto dell’Unione» e, poi, che le norme stabilite dagli Stati membri o dagli enti aggiudicatori nell’ambito dell’applicazione delle direttive sugli appalti pubblici «non devono andare oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da tali direttive» [198].
Per quel che riguarda l’operatività del principio di proporzionalità in relazione ai motivi facoltativi di esclusione da una gara, in Associazione Verdi Ambiente e Società – Aps Onlus è chiarito che le amministrazioni aggiudicatrici «devono prestare particolare attenzione al principio di proporzionalità, prendendo segnatamente in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o il ripetersi di irregolarità lievi» [199].
Con riferimento a un caso di esclusione automatica dalla partecipazione a un appalto pubblico, in Serrantoni [200] viene rilevato che essa è incompatibile con il principio di proporzionalità poiché comporta una «presunzione irrefragabile» a danno dell’impresa [201] e, soprattutto, comportando per le amministrazioni aggiudicatrici «un obbligo assoluto di esclusione degli enti interessati», «è in contrasto con l’interesse comunitario a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti ad una gara d’appalto e va oltre quanto necessario per raggiungere l’obbiettivo consistente nel garantire l’applicazione dei principi di parità di trattamento e di trasparenza» [202]. Come anticipato, la Corte è tornata a pronunciarsi in relazione alla compatibilità di un sistema di esclusione automatica nella recente sentenza Rad Service. In particolare, è stato sancito che «l’articolo 63 della direttiva 2014/24, in combinato disposto con l’articolo 57, paragrafo 4, lettera h), di tale direttiva e alla luce del principio di proporzionalità, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in forza della quale l’amministrazione aggiudicatrice deve automaticamente escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico qualora un’impresa ausiliaria, sulle cui capacità esso intende fare affidamento, abbia reso una dichiarazione non veritiera [ndr. integrando uno dei motivi di esclusione facoltativi previsti dalla direttiva]» [203]. In altri termini, in linea con quanto già rilevato nel corso di questa analisi, l’offerente deve sempre avere «la possibilità di presentar[e] [all’amministrazione aggiudicatrice] le misure correttive che esso ha eventualmente adottato al fine di rimediare all’irregolarità constatata e, di conseguenza, di dimostrare che esso può essere nuovamente considerato soggetto affidabile» [204]. A questo riguardo, il principio di proporzionalità impone specificamente che l’amministrazione aggiudicatrice «effettu[i] una valutazione specifica e concreta dell’atteggiamento del soggetto interessato, sulla base di tutti gli elementi pertinenti» [205].
Nella causa Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, peraltro, è affermato che l’accertamento di una violazione delle norme in materia di concorrenza effettuato da un’autorità nazionale regolatoria «non può comportare l’esclusione automatica di un operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico» dal momento che, «conformemente al principio di proporzionalità», «l’accertamento della sussistenza di un “errore grave” necessita, in linea di principio, dello svolgimento di una valutazione specifica e concreta del comportamento dell’operatore economico interessato» [206].
Come osservato in dottrina, l’esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una gara deve sempre essere considerata «in line with the EU’s general principle of proportionality, which would require the contracting authority to apply discretionary exclusions in a manner that is transparent and proportionate» [207].
Infine, la circostanza che l’art. 57, par. 6 della direttiva abbia un contenuto dettagliato e, quindi, sia self-executing, come già scritto [208], restringe ulteriormente, rispetto a disposizioni di direttive prive di questa caratteristica, il margine di discrezionalità di cui godono le autorità nazionali, incluse quelle amministrative e giudiziarie, nell’adeguarsi alla direttiva. Ciò ha effetti anche sull’interpretazione e l’applicazione, che devono essere particolarmente stringenti e restrittive, del principio di proporzionalità, come risulta da giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia [209].
Al riguardo, ricordiamo che autorevole dottrina che si è occupata approfonditamente della portata e dell’estensione delle cause di esclusione facoltative di cui all’art. 57, par. 4, della direttiva 2014/24/UE ha chiaramente rilevato che, proprio laddove le autorità nazionali innovino, sostanzialmente, il testo dell’art. 57, par. 4 – introducendo, sul piano amministrativo o giudiziario e non necessariamente legislativo, cause di esclusione nuove rispetto a quelle contenute nella norma –, il principio di proporzionalità debba declinarsi in maniera particolarmente restrittiva [210]. La medesima dottrina precisa, peraltro, che ciò vale soprattutto per ipotesi nelle quali il comportamento dell’operatore economico, dal quale è dipesa l’attuazione del provvedimento interdittivo, non sia stato attuato al fine di beneficiare di un vantaggio comparativo sui concorrenti, come accadrebbe, per esempio, nel caso di violazioni di norme di carattere ambientale o giuslavoristico [211]. Diversamente, l’esclusione dalle procedure di gara in caso di omissione inoffensiva di dichiarazioni in sede di gara che, sulla base della prassi giurisprudenziale qui sopra analizzata, può potenzialmente integrare il motivo di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), appare ingiustificata ingenerando una lesione “estrema” dei principi della libera concorrenza, conseguenza questa inammissibile seguendo la logica del contemperamento tra i contrapposti interessi in gioco [212]. Come confermato dalla giurisprudenza UE [213], nell’attuazione concreta di nuovi motivi di esclusione, le amministrazioni aggiudicatrici devono provare l’esistenza di un «actual advantage» [214] per l’operatore economico la cui partecipazione alla procedura di gara è contestata, mentre presunzioni iuris et de iure non dovrebbero essere consentite [215].
Alla luce di quanto scritto sin qui, la prassi posta in essere dall’ANAC e seguita dalla maggior parte dei giudici amministrativi italiani – che determina effetti preclusivi/espulsivi immediatamente conseguenti all’annotazione della misura interdittiva nel casellario informatico – risulta sproporzionata rispetto all’obiettivo di garantire il corretto svolgimento di una gara d’appalto. Ciò perché, per ipotesi riconducibili ad annotazioni risultanti da una sanzione interdittiva, vieppiù se attuata in relazione a una mera omissione, detta prassi determina conseguenze eccessive nei confronti degli operatori economici, ingiustificabili sulla scorta del diritto UE, rectius, del diritto nazionale, per come deve essere interpretato conformemente all’ordinamento dell’Unione. Quanto scritto attiene all’incidenza del provvedimento interdittivo sulle nuove procedure di gara, sulle procedure di gara in corso, sui contratti già stipulati e/o in fase di esecuzione.
Quanto ai rimedi percorribili al fine di sciogliere l’antinomia tra diritto UE e ordinamento italiano causata da un’erronea interpretazione e applicazione del diritto UE e del diritto interno, sono ipotizzabili quattro principali vie a disposizione, a seconda dei casi, dell’amministrazione e/o degli organi giurisdizionali coinvolti nei vari procedimenti aventi per oggetto la partecipazione di un operatore economico alle procedure di gara, o di tale operatore: l’(obbligo di) interpretazione conforme; la rimessione alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, di una questione pregiudiziale interpretativa; la disapplicazione; l’azione per risarcimento danni nei confronti Stato italiano. Queste vie possono essere percorse e/o prospettate dall’operatore economico interdetto nei diversi procedimenti, e, alcune di esse, operano in sinergia tra loro. Alle quattro ipotesi illustrate brevemente qui di seguito è possibile altresì affiancare la presentazione di una denuncia alla Commissione europea.
Per quanto riguarda l’interpretazione conforme del diritto nazionale al diritto UE, da intendersi come comprensivo anche della giurisprudenza della Corte di Giustizia, è noto, innanzitutto, che essa costituisce un obbligo imposto a tutte le autorità, appartenenti al potere centrale, regionale e locale, a qualsiasi livello (legislativo, esecutivo, giudiziario), di tutti gli Stati membri [216]. Detto obbligo, per quanto qui interessa, potrebbe determinare l’accantonamento della prassi amministrativa/regolatoria e giudiziaria – ancora prevalente e qui sopra descritta [217] – incompatibile con l’ordinamento dell’Unione, sulla scorta del principio del primato [218]. Più in particolare, innanzitutto, lo strumento dell’interpretazione conforme evita che una non compiuta aderenza del sistema normativo di uno Stato membro al diritto UE dia luogo, nella pratica, a un effettivo contrasto tra i due ordinamenti (i.e., a un’antinomia sanabile solamente attraverso la disapplicazione delle norme interne contrastanti), fatto salvo il limite del divieto di interpretazione contra legem [219]. In altri termini, l’obiettivo ultimo consiste nel ricondurre i disaccordi inter-ordinamentali alla fisiologia, piuttosto che alla patologia, dei rapporti tra norme, anche quando questi rapporti si declinano, de facto, in termini non solamente dialogici, ma anche e soprattutto dialettici. In secondo luogo, il fondamento dell’obbligo d’interpretazione conforme è stato rintracciato dalla Corte di Giustizia nella necessità di garantire sia il rispetto del principio della leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE [220] sia l’effettività-l’effetto utile delle direttive e del diritto UE nel suo complesso [221], a cominciare dall’art. 288, par. 3, TFUE. Nella giurisprudenza della Corte viene anche sancito che l’obbligo d’interpretazione conforme, valevole per tutti gli organi degli Stati membri, «compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali», deriva dall’articolo 4, par. 3, TUE [222] e impone a questi ultimi di «conseguire il risultato perseguito» dalle direttive, conformandosi pertanto all’art. 288 TFUE [223]. In terzo luogo, occorre ricordare come l’evoluzione giurisprudenziale dei giudici del Kirchberg abbia precisato, circa la portata dell’obbligo in discorso, che è «l’insieme delle disposizioni nazionali» [224], anche quelle di natura costituzionale, a dover essere interpretato, da parte di «tutti i detentori di pubblici poteri» [225], in conformità al diritto UE. Non solamente le norme interne introdotte per recepire la direttiva [226], dunque.
Per quanto concerne l’attuazione della direttiva 2014/24/UE dal punto di vista della consolidata prassi regolatoria e giurisprudenziale nazionale in merito all’interdizione delle imprese dalla partecipazione alle procedure di gara, come scritto nei §§ che precedono, l’interpretazione del dettato normativo di cui al codice dei contratti pubblici, in particolare con riferimento all’art. 80, commi 5, lett. f-ter), 7, 8, 12 e all’art. 93, desta parecchie perplessità. Tra queste ricordiamo l’escussione delle cauzioni provvisorie, non prevista dalla direttiva UE e, in particolare, il carattere automatico dell’esclusione dell’impresa dalle procedure di gara in spregio al diritto al/obbligo di self-cleaning. In questa prospettiva, trattandosi di un disallineamento originato dalla prassi regolatoria e giudiziaria, la via dell’interpretazione conforme sembra percorribile. Il presupposto perché l’obbligo d’interpretazione conforme s’imponga alle autorità nazionali, come individuato dalla Corte di Giustizia [227], pertanto, è rispettato: esiste un margine di discrezionalità che consente all’interprete di scegliere tra più interpretazioni possibili della norma interna. In linea con quanto stabilisce la Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza [228], l’interpretazione conforme deve, dunque, essere condotta non soltanto alla luce della direttiva 2014/24/UE, ma anche del diritto primario, scritto e non scritto, che trova attuazione nel regolamentare una determinata fattispecie e, segnatamente, delle norme di diritto primario illustrate nel § 6 che precede [229].
Una seconda via consiste nella rimessione alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, della questione concernente l’interpretazione del diritto UE applicabile, allo scopo di verificare se esso osti, come riteniamo, all’automatica esclusione di operatori economici destinatari di misure interdittive, come quelle attuate in Italia, in particolare, ai sensi dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici, dalla partecipazione alle nuove procedure di gara, alle procedure in corso e ai contratti stipulati all’esito di dette procedure e/o in fase di esecuzione. Al riguardo, va evidenziato che l’obbligo d’interpretazione conforme al diritto UE s’interseca con il procedimento pregiudiziale, dal momento che il giudice italiano, nel caso di dubbi interpretativi riguardanti il diritto dell’Unione, ha – a seconda dei casi – la facoltà ovvero l’obbligo di rivolgersi alla Corte di Giustizia al fine di ottenere da quest’ultima l’individuazione di criteri ermeneutici “autentici” per una compiuta comprensione e valutazione delle norme UE (e, quindi, per formulare con maggiore “cognizione di causa” l’interpretazione conforme).
Una terza via, nel caso in cui si qualifichi come insanabile il conflitto tra ordinamento UE e ordinamento italiano, sul piano legislativo, è la disapplicazione di talune disposizioni dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici, e segnatamente del comma 5, lett. f-ter) [230]. Disapplicazione che può verificarsi considerato che il diritto UE applicabile è dotato di diretta efficacia [231], com’è stato ampiamento dimostrato alla luce della giurisprudenza UE, in primis della sentenza RTS.
In relazione alla prassi regolatoria e giurisprudenziale italiana sopra descritta, qualora il criterio dell’interpretazione conforme non sia ritenuto utilizzabile dal giudice o dall’autorità amministrativa, l’operatore economico interdetto dall’ANAC nel corso di un procedimento giurisdizionale o amministrativo successivo all’interdizione e finalizzato all’applicazione degli effetti ad esso assegnati dalla giurisprudenza amministrativa interna dominante, potrebbe invocare direttamente l’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, con riferimento all’obbligo di/diritto al self-cleaning e una serie di principi e norme del diritto UE ulteriori, tra cui il divieto di gold plating, il principio generale di proporzionalità, le disposizioni sul libero mercato, in combinazione con il principio generale del legittimo affidamento, e quelle sulla libera concorrenza, così come gli artt. 16, 17 e 49, della Carta.
Risulta altresì esperibile una quarta via che non mira (direttamente) a ricomporre la frattura tra ordinamenti ed è cumulabile con l’avvio di differenti, paralleli procedimenti giurisdizionali, nell’ambito dei quali l’operatore economico interdetto risulterebbe parte ricorrente o convenuta. Si tratta dell’azione per risarcimento danni cagionati dallo Stato italiano per violazione del diritto UE, in primis per mancata o inadeguata attuazione della direttiva 2014/24/UE. Com’è noto, il rimedio risarcitorio scaturisce dal diritto UE, in particolare dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia [232] e rappresenta un elemento strutturale dell’ordinamento dell’Unione centrato sulla tutela giurisdizionale dei singoli di fronte alle giurisdizioni nazionali. Questo strumento è ammesso, oggi, con riferimento sia a norme UE prive di diretta efficacia che a norme UE direttamente efficaci, sia al diritto UE primario che derivato e in relazione a comportamenti posti in essere sia dalle autorità amministrative che dalle autorità giudiziarie, oltre che legislative.
Come anticipato nei §§ che precedono [233] e in aggiunta a quanto rilevato in relazione alla sentenza Rad Service [234], si sono recentemente registrate alcune importanti novità in merito alla compatibilità, con il sistema normativo delineato dalla direttiva 2014/24/UE, dell’esclusione automatica dell’operatore economico basata sul disposto dell’art. 80, comma 5, lett. f-ter) del codice dei contratti pubblici e sulla prassi regolatoria e giurisprudenziale ancora prevalente.
Un primo sviluppo ha ad oggetto la (il)legittimità dell’equiparazione – invalsa nella prassi giurisprudenziale italiana [235] – tra “omissione dichiarativa” e presentazione di una «falsa dichiarazione» ex art. 80, comma 5, lett. f-ter). A questo riguardo viene in rilievo l’ordinanza n. 2163 della Sezione V del Consiglio di Stato, pubblicata il 23 aprile u.s., con la quale è stata accolta un’istanza cautelare volta a sospendere l’esecutività di una sentenza del TAR Lazio [236].
L’iter logico-argomentativo dell’ordinanza può essere ricostruito nei termini seguenti, senza che appaia necessario illustrare i fatti da cui origina la – articolata – vicenda processuale [237]. In primo luogo, viene affermato che, sulla scorta «[de]gli orientamenti emergenti nella giurisprudenza europea e costituzionale» [238], all’iscrizione nel casellario informatico ANAC dovrebbe riconoscersi natura sostanzialmente penale. In secondo luogo, la Sezione V rileva che «l’omissione dichiarativa non coincide con la falsa dichiarazione» [239]. Da queste due statuizioni ne consegue poi una terza: «ad un sommario avviso […] appare vulnerato il principio di stretta tipicità legale della fattispecie sanzionatoria» [240]. Sebbene tutte e tre queste affermazioni rivestano interesse ai fini della presente analisi, è possibile dedicare particolare attenzione al secondo passaggio del ragionamento: l’impossibilità di equiparare sic et simpliciter l’omissione dichiarativa all’elemento materiale della falsa dichiarazione. Principio, questo, sancito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella nota sentenza n. 26/2020 [241], poi riaffermato nell’ordinanza n. 923/2021 resa dal Consiglio di Stato, anche in tale occasione in via cautelare [242].
Appare opportuno aggiungere che, con ordinanza del 28 maggio, la Sezione V del Consiglio di Stato ha ordinato l’ottemperanza della precedente ordinanza n. 2163/2021 «e, per l’effetto, la sospensione dell’efficacia della sanzione interdittiva, mediante oscuramento della medesima» [243].
Il secondo sviluppo giurisprudenziale da esaminare riguarda la portata del diritto al self-cleaning nell’ordinamento italiano. A questo riguardo, occorre spendere qualche parola in merito alle tre sentenze rese dal TAR Bologna il 5 maggio 2021 [244], tutte connotate da un approfondito esame del quadro normativo e giurisprudenziale UE in materia di self-cleaning [245]. Gli aspetti di maggiore interesse di queste pronunce, in relazione all’oggetto di questa indagine, sono tre e possono essere così riassunti.
Un primo aspetto concerne il modus operandi del motivo di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. f-ter), del codice dei contratti pubblici. A fronte della posizione sostenuta dalla parte ricorrente, secondo cui tale esclusione doveva assumere natura vincolata, il TAR Bologna afferma che «l’istituto del self-cleaning rappresenta una “valvola di chiusura” del sistema che regola le cause di esclusione, preposta a mitigare le ipotesi ostative enucleate all’art. 80, comma 5» [246]. Ciò sulla scorta dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia nei casi Meca Srl e RTS. Ne consegue che la lettura avanzata dalla ricorrente si pone in contrasto con la direttiva 2014/24/UE [247].
Non sembra parimenti condivisibile – prosegue il TAR – l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato in merito alla natura automatica e vincolata dell’esclusione in caso di dichiarazioni mendaci o reticenti [248]. Orientamento, già richiamato supra [249], secondo cui la possibilità di avvalersi di misure di self-cleaning sarebbe esclusa, potendo l’amministrazione aggiudicatrice in questo caso prescindervi disponendo l’immediata esclusione dell’operatore economico [250]. In altre parole, come più volte prospettato nei precedenti §§, il TAR Bologna ricorre allo strumento dell’interpretazione conforme al diritto UE per “mitigare” l’automatismo [251] e risolvere – almeno in parte – il contrasto tra la prassi giurisprudenziale vigente in Italia e l’ordinamento dell’Unione [252].
Un secondo profilo rappresenta una diretta conseguenza di quanto precede: essendo l’automatismo espulsivo «mitigato nel senso illustrato», non sarebbe ravvisabile – prosegue il TAR – un’antinomia, di tipo normativo, di tale meccanismo con i principi UE [253]. Non sarebbe quindi necessario ricorrere alla disapplicazione della normativa nazionale, considerata «coerente con la direttiva» [254].
Un terzo profilo attiene all’efficacia temporale delle misure di self-cleaning. Al riguardo, le tre sentenze del TAR Bologna in commento confermano la prassi giurisprudenziale secondo cui tali misure debbono essere state poste in essere prima di presentare la domanda di partecipazione a una procedura di gara (oppure contestualmente alla presentazione della domanda) [255]. In breve, viene affermato che «le misure di self-cleaning rappresentano una conseguenza di precedenti condotte illecite e rispondono alla finalità di mantenere l’operatore economico sul mercato, e non già all’esigenza di sanare l’illiceità di condotte pregresse[,] […] il momento ne ultra quem per l’adozione delle [stesse] e per la loro allegazione alla stazione appaltante è ancorato al termine di presentazione delle offerte, posto che una facoltà di tardiva implementazione o allegazione si paleserebbe, a tacer d’altro, alterativa della par condicio dei concorrenti» [256]. Al riguardo ci limitiamo a ribadire, com’è già stato rilevato nel § 6, che questa impostazione non è, in realtà, imposta dalla direttiva e che, ove gli Stati membri optino per una siffatta limitazione temporale della possibilità di far valere eventuali misure correttive, questa deve essere prevista espressamente dalla normativa nazionale e, in termini cumulativi, dalla disciplina di gara [257].
[1] Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, in GUUE L 94 del 28 marzo 2014, pp. 1-64; direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, in GUUE L 94 del 28 marzo 2014, pp. 65-242; direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE, in GUUE L 94 del 28 marzo 2014, pp. 243-374. Per un inquadramento delle principali novità del nuovo quadro regolamentare si vedano, ex multis, F. Lichére-R. Caranta-S. Treumer (a cura di), Modernising Public Procurement: The New Directive, Djøf, Copenhagen, 2014; F. Martines, Le direttive UE del 2014 in materia di contratti pubblici e l’articolato processo di integrazione europea nel diritto interno degli appalti, in Federalismi.it, 2015, n. 11, p. 1 ss.; R. Caranta, The Changes to the public contract directives and the story they tell about how EU law works, in CMLRev., 2015, p. 391 ss.; A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, II ed., Hart, Oxford, 2015; C. Bovis (a cura di), Research Handbook on EU Public Procurement Law, Edward Elgar, Cheltenham, 2016; M.P. Chiti, Le direttive 2014 dell’Unione europea sui contratti pubblici e i problemi della loro attuazione in Italia, in AA.VV., La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione. Atti del LXI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2016, p. 89 ss.; L. Torchia, La nuova direttiva europea in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari, in AA.VV. La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione. Atti del LXI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2016, p. 131 ss.; S. Schoenmaekers, Public Procurement, in P.J. Kuijper-F. Amtenbrink-D. Curtin-B. De Witte-A. McDonnell-S. Van der Bogaert (a cura di), The Law of the European Union, V ed., Wolters Kluwer, Alphen aan den Rijn, 2018, pp. 805-828; S. Bogojevic-X. Groussot-J. Hettne (a cura di), Discretion in EU Public Procurement Law, Hart, Oxford, 2019; S. de la Rosa, Droit européen de la commande publique, II ed., Larcier, Bruxelles, 2020, spec. pp. 144-161.
[2] Cfr. direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali, in GUUE L 134 del 30 aprile 2004, pp. 1-113; e direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, in GUUE L 134 del 30 aprile 2004, pp. 114-240.
[3] A questo riguardo si vedano H. Priess, The rules on exclusion and self-cleaning under the 2014 Public Procurement Directive, in Public Procurement Law Review, 2014, p. 112 ss; S. de Mars, Exclusion and Self-Cleaning in Article 57: Discretion at the Expense of Clarity and Trade?, in G. Ølykke-A. Sanchez Graells (a cura di), Reformation or Deformation of the EU Public Procurement Rules, Edward Elgar, Cheltenham, 2016, pp. 253-273; S. van Garsse-S. de Mars, Exclusion and self-cleaning in the 2014 public sector directive, in K. Wauters-I. Marique (a cura di), EU Directive 2014/24 on public procurement, Larcier, Bruxelles, 2016, pp. 121-138; S. Schoenmaekers, Self-Cleaning and Leniency: Comparable Objectives but Different Levels of Success?, in European Procurement & Public Private Partnership Law Review, 2018, pp. 3-17. In generale, sul c.d. self-cleaning si vedano S. Arrowsmith-H.J. Priess-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, in Public Procurement Law Review, 2009, p. 257 ss., nonché amplius H. Puender-H.J. Priess-S. Arrowsmith (a cura di), Self-Cleaning in Public Procurement Law, Carl Heymanns Verlag, Köln, 2009. Si veda supra A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit.
[4] Si vedano S. Arrowsmith-H.J. Priess-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, cit., p. 257.
[5] Si veda S. Schoenmaekers, Self-Cleaning and Leniency: Comparable Objectives but Different Levels of Success?, cit., p. 7 ss., ove, dopo aver ricostruito le principali caratteristiche e finalità sottese tanto all’istituto del self-cleaning quanto ai c.d. programmi di clemenza (leniency programme), viene condotta un’analisi comparativa dei due istituti con l’obiettivo di vagliare la possibile efficacia del self-cleaning nel ridurre comportamenti anticoncorrenziali.
[6] D’ora in avanti faremo riferimento generalmente alla sola direttiva 2014/24/UE; considerazioni simili, tuttavia, valgono per le direttive 2014/23/UE e 2014/25/UE.
[7] Si tratta dei reati seguenti: partecipazione ad un’organizzazione criminale, corruzione, frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, reati terroristici o reati connessi ad attività terroristiche, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, nonché lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani.
[8] Tra le altre cause di esclusione facoltative di cui all’art. 57, par. 4, della direttiva sono altresì annoverate la violazione degli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro (lett. a), il fallimento dell’operatore economico o l’avvio di altra procedura concorsuale (lett. b), l’incorrere in una situazione di conflitto di interessi (qualora non sia risolvibile efficacemente con altre misure meno intrusive) (lett. e), la sussistenza di una distorsione della concorrenza derivante dal precedente coinvolgimento degli operatori economici nella preparazione della procedura d’appalto (anche in questo caso, ove non possa essere risolta con altre misure meno intrusive) (lett. f), nonché il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento di aggiudicazione, anche tentando di ottenere informazioni confidenziali, oppure fornendo per negligenza informazioni fuorvianti (lett. i).
[9] Sul tema del recepimento delle direttive, si vedano, ex multis, C.W.A. Timmermans, Directives: Their Effect within the National Legal Systems, in CMLRev., 1979, p. 533 ss.; G. Gaja, Fonti comunitarie, in Digesto disc. pubbl., Utet, Torino, VI, 1991, p. 433 ss.; G. de Búrca, Giving Effect to European Community Directives, in Modern Law Review, 1992, p. 215 ss.; A. Tizzano, La gerarchia delle norme comunitarie, in Dir. Un. Eur., 1996, p. 57 ss.; J.A. Usher, EC Institutions and Legislation, Longman, London-New York, 1998, pp. 128-143; S. Prechal, Directives in EC Law, II ed., Oxford University Press, Oxford, 2005; P. Craig, The legal effect of Directives: policy, rules and exceptions, in European Law Review, 2009, p. 349 ss.; P. Mori, Articolo 288 TFUE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, II ed., Giuffrè, Milano, 2014, pp. 2249-2269; M. Klamert-J. Tomkin, Article 288 TFEU, in M. Kellerbauer-M. Klamert-J. Tomkin (a cura di), The EU Treaties and the Charter of Fundamental Rights, Oxford University Press, Oxford, 2019, pp. 1895-1910.
[10] Si veda ex multis P. Mori, op. cit., p. 2258.
[11] È stato precisato che «detta prassi […] appare funzionale alla necessità di evitare il mantenimento di regole divergenti in alcune materie particolarmente delicate per il funzionamento del mercato interno o la tutela dei diritti dei singoli». Si veda R. Mastroianni, Direttive (voce Treccani), 2014, www.treccani.it/enciclopedia/direttive-dir-ue_(Diritto-on-line)/.
[12] Cfr. CGUE, van Duyn, 4 dicembre 1974, causa 41/74, ECLI:EU:C:1974:133, punti 9-15.
[13] Sottolinea la «attenuazione», e finanche «alterazione», della distinzione tra “regolamenti” e “direttive” già A. Tizzano, La gerarchia delle norme comunitarie, cit., § 5.
[14] Si veda D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali. Evoluzione di una dottrina ancora controversa, Giuffrè, Milano, 2018, p. 108.
[15] Su inattualità del test su effetto diretto e cannibalizzazione di chiarezza e precisione ad opera dell’incondizionatezza si veda D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali, cit., p. 202 ss., e Id., Effetto diretto del diritto dell’Unione europea e disapplicazione, oggi, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2019, disponibile in http://www.osser
vatoriosullefonti.it.
[16] Sull’inattualità del divide “diretta efficacia/diretta applicabilità”, anche alla luce della giurisprudenza UE, si vedano ancora D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali, cit., p. 114 ss., e Id., Effetto diretto del diritto dell’Unione europea e disapplicazione, oggi, cit., spec. p. 10 ss.
[17] In dottrina si vedano M.P. Chiti, Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giorn. dir. amm., 2016, p. 436 ss., p. 438; S. Arrowsmith-P. Kunzlink, EC regulation of public procurement, S. Arrowsmith-P. Kunzlink (a cura di), Social and Environmental Policies in EC Procurement Law. New Directives and New Directions, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p. 55 ss., spec. pp. 90-92; nonché, in termini più generali, sulla crescente pervasività della regolamentazione degli appalti pubblici, A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 246.
[18] Direttiva 92/50/CEE del Consiglio del 18 giugno 1992 che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, in GUCE L 209 del 24 luglio 1992, pp. 1-24.
[19] CGUE, Tögel, 24 settembre 1998, C-76/97, ECLI:EU:C:1998:432, punto 46.
[20] CGUE, Ambisig, 7 luglio 2016, C-46/15, ECLI:EU:C:2016:530, punto 19.
[21] CGUE, Meca Srl, 19 giugno 2019, C-41/18, ECLI:EU:C:2019:507, punto 27.
[22] Ibidem.
[23] Sentenza Meca Srl, cit., punto 26.
[24] Sentenza Meca Srl, cit., punto 27.
[25] Direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, in GUCE L 199 del 9 agosto 1993, pp. 54-83.
[26] Cfr. CGUE, La Cascina, 9 febbraio 2006, C-226/04 e C-228/04, ECLI:EU:C:2006:94, punto 22. Nello stesso senso, con riferimento alla direttiva 93/37/CEE, si vedano CGUE, Bâtiments et Ponts Construction SA, 15 luglio 2010, C-74/09, ECLI:EU:C:2010:431, punto 43, nonché, più recentemente in relazione all’articolo 45, par. 2, della direttiva 2004/18/CE, CGUE, Forposta, 13 dicembre 2012, C-465/11, ECLI:EU:C:2012:801, punto 38.
[27] Cfr. CGUE, Michaniki, 16 dicembre 2008, C-213/07, ECLI:EU:C:2008:731, punto 43.
[28] Cfr. sentenza Michaniki, cit., punto 44.
[29] Sentenza Michaniki, cit., punto 45. Nello stesso senso cfr. CGUE, Assitur, 19 maggio 2009, C-538/07, ECLI:EU:C:2009:317, punto 21, e, più recentemente, CGUE, Lloyd’s of London, 8 febbraio 2018, C-144/17, ECLI:EU:C:2018:78, punto 30.
[30] Cfr. CGUE, Connexxion Taxi Services, 14 dicembre 2016, C-171/15, ECLI:EU:C:2016:
948, punto 29; CGUE, Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, 10 luglio 2014, C-358/12, ECLI:
EU:C:2014:2063, punto 36; già sentenza La Cascina, cit., punto 23 (in relazione alla corrispondente disposizione della direttiva 92/50/CEE).
[31] CGUE, Rad Service, 3 giugno 2021, C-210/20, ECLI:EU:C:2021:445, punto 28. Cfr. sentenza Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, cit., punto 36; CGUE, Tim, 30 gennaio 2020, C-395/18, ECLI:EU:C:2020:58, punto 34; nonché CGUE, Idi, 28 marzo 2019, C-101/18, ECLI:
EU:C:2019:267, punto 45, e CGUE, Impresa di Costruzioni Ing. E. Mantovani e Guerrato, 20 dicembre 2017, C-178/16, ECLI:EU:C:2017:1000, punti 31 e 32 (in relazione all’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18); La Cascina, cit., punto 23 (in relazione alla corrispondente disposizione della direttiva 92/50/CEE).
[32] Cfr. sentenza Rad Service, cit., punto 28, e giurisprudenza citata nella nota precedente.
[33] Con il termine “discrezionalità” si fa riferimento alla “discrezionalità legislativa”, intesa come il margine di manovra a disposizione dello Stato membro e delle rispettive amministrazioni aggiudicatrici nell’attuazione a livello nazionale della disciplina UE in materia di appalti e concessioni; si veda S. Bogojević-X. Groussot-J. Hettne, The ‘Age of Discretion’: Understanding the Scope and Limits of Discretion in EU Public Procurement Law, in S. Bogojević-X. Groussot-J. Hettne (a cura di), Discretion in EU Public Procurement Law, cit., par. I.
[34] Si vedano, in questo senso, S. Arrowsmith-P. Kunzlink, EC regulation of public procurement, cit., spec. pp. 90-92; e S. Arrowsmith, The Past and Future Evolution of EC Procurement Law: from Framework to Common Code?, in Public Contract Law Journal, 2006, p. 337 ss., pp. 353-364.
[35] COM(2011) 0896 final.
[36] Cfr. comunicazione della Commissione – Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell’UE, C/2019/5494, nota 43.
[37] Si vedano A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., pp. 292 e 343; L. Ankersmit, The contribution of EU public procurement law to corporate social responsibility, in ELJ, 2020, p. 9 ss., p. 20.
[38] Sentenza Meca Srl, cit., punto 33.
[39] Cfr. sentenza Forposta, cit., punto 38. In dottrina si veda ancora A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 292. Come scritto, peraltro, l’“eccezione Michaniki” non trova attuazione, per il tramite dei principi di parità di trattamento e trasparenza, in relazione alle cause di esclusione fondate sulla qualità professionale dell’imprenditore, essendo quindi caratterizzata da un ambito d’intervento alquanto ristretto: cfr. sentenza Michaniki, cit., punti 42-43.
[40] Poco importa che il termine self-cleaning non sia esplicitamente adoperato, come nota T. Tátrai, EU Public Procurement and Probity, in C. Bovis (a cura di), Research Handbook on EU Public Procurement Law, Edward Elgar, Cheltenham, 2016, p. 482 ss., p. 509.
[41] Quanto ai rimanenti tre commi, che non sembrano avere avuto un peso decisivo nell’iter logico-argomentativo della Corte di giustizia nel caso RTS (esaminato infra in questo §), essi dispongono quanto segue: «A tal fine, l’operatore economico dimostra di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti» (comma 2); «Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell’illecito. Se si ritiene che le misure siano insufficienti, l’operatore economico riceve una motivazione di tale decisione» (comma 3); «Un operatore economico escluso con sentenza definitiva dalla partecipazione alle procedure di appalto o di aggiudicazione delle concessioni non è autorizzato ad avvalersi della possibilità prevista a norma del presente paragrafo nel corso del periodo di esclusione derivante da tale sentenza negli Stati membri in cui la sentenza è effettiva» (comma 4).
[42] Già con riferimento alla direttiva 2004/18/CE, si veda S. Arrowsmith-H.J. Priess-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, cit., p. 281.
[43] CGUE, RTS, 14 gennaio 2021, C-387/19, ECLI:EU:C:2021:13, punti 43-50.
[44] CGUE, Vert Marine, 11 giugno 2020, C-472/19, ECLI:EU:C:2020:468, punto 17.
[45] Cfr. art. 57, par. 1, della direttiva 2014/24/UE.
[46] Cfr. la prima questione pregiudiziale, all’analisi della quale la Corte dedica i punti da 15 a 25 della sentenza Vert Marine.
[47] Sentenza Vert Marine, cit., punto 17.
[48] Sentenza Vert Marine, cit., punti 18-21.
[49] Sentenza Vert Marine, cit., punto 22.
[50] Sentenza Vert Marine, cit., punto 23.
[51] Ibidem.
[52] Sentenza Vert Marine, cit., punto 24, ove viene anche precisato, da un lato, che «[l]’espressione «condizioni di applicazione» presuppone, infatti, che l’esistenza stessa del diritto conferito dall’articolo 38, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/23 nonché la possibilità di esercitarlo siano garantite dagli Stati membri», e, dall’altro lato, che tale conclusione è confermata dal considerando 71 della direttiva, dal quale risulta che «gli Stati membri hanno unicamente la facoltà di determinare le condizioni procedurali e sostanziali volte a disciplinare l’esercizio di detto diritto». Si tornerà su questi passaggi nel prosieguo.
[53] Cfr. sentenza RTS, cit., punto 14.
[54] Ibidem.
[55] Cfr. sentenza RTS, cit., punto 15.
[56] Non sembra necessario approfondire in questa sede la questione preliminare relativa allo scopo di applicazione ratione temporis della direttiva, oggetto di attenta disamina anche da parte dell’Avvocato generale Campos Sanchéz-Bordona nelle proprie conclusioni.
[57] Cfr. sentenza RTS, cit., punto 25.
[58] Sentenza RTS, cit., punto 20.
[59] Cfr. sentenza RTS, cit., punti 27-33.
[60] Cfr. sentenza RTS, cit., punto 26.
[61] In forza del quale «gli operatori economici interessati da un appalto pubblico dispongano delle stesse opportunità nella formulazione delle loro offerte, conoscano esattamente i vincoli procedurali e siano assicurati del fatto che gli stessi requisiti valgono per tutti i concorrenti» (sentenza RTS, cit., punto 35).
[62] Principio secondo cui «tutte le condizioni e le modalità della procedura di aggiudicazione devono essere formulate in maniera chiara, precisa e univoca nel bando di gara o nel capitolato d’oneri, così da permettere a tutti gli offerenti ragionevolmente informati e normalmente diligenti di comprenderne l’esatta portata e di interpretarle allo stesso modo» (ibidem).
[63] Principio «in forza del quale le norme stabilite dagli Stati membri o dalle amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito dell’attuazione delle disposizioni della direttiva 2014/24, come le norme destinate a specificare le condizioni di applicazione dell’articolo 57 di tale direttiva, non devono andare oltre quanto è necessario per raggiungere gli obiettivi previsti da questa stessa direttiva» (sentenza RTS, cit., punto 38).
[64] Sentenza RTS, cit., punto 34.
[65] Sentenza RTS, cit., punto 36.
[66] Sentenza RTS, cit., punto 37.
[67] Cfr. CGUE, Prequ’, 20 dicembre 2017, C-276/16, ECLI:EU:C:2017:1010, punti 45 e 46; e CGUE, Kamino International, 3 luglio 2014, cause riunite C‑129/13 e C‑130/13, ECLI:EU:C:
2014:2041, punti 28-31.
[68] Sentenza RTS, cit., punto 38.
[69] Vedi supra § 2, circa la nozione d’incondizionatezza, quale elemento costitutivo dell’effetto diretto.
[70] Al riguardo, cfr. sentenza RTS, cit., punti 44-46.
[71] Si veda D. Gallo, L’efficacia diretta del diritto dell’Unione europea negli ordinamenti nazionali, cit., pp. 204 e 250-251.
[72] Cfr. CGUE, Faccini Dori, 14 luglio 1994, C-91/92, ECLI:EU:C:1994:292, punto 12 ss.
[73] Cfr. CGUE, Simap, 3 ottobre 2000, C-303/98, ECLI:EU:C:2000:528, punti 68-69; CGUE, Pfeiffer, 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, ECLI:EU:C:2004:584, punti 104-106; e CGUE, Fuß, 14 ottobre 2010, C-243/09, ECLI:EU:C:2010:609, punto 56 ss.
[74] Sentenza Faccini Dori, cit., punto 17.
[75] Sentenza RTS, cit., punto 48.
[76] Sentenza RTS, cit., punto 49. Quanto al requisito della “precisione”, cfr. conclusioni RTS, cit., punto 102, ove l’AG, pur pervenendo alle medesime conclusioni in punto di capacità di avere effetto diretto della norma, sembra attribuire maggiore rilievo ai successivi commi della disposizione in esame, che – nelle parole dell’AG – definiscono «gli aspetti fondamentali del regime e del contenuto» del diritto al self-cleaning.
[77] Ibidem.
[78] Com’è noto, l’articolo disciplina la possibilità per un operatore economico di fare affidamento, se del caso e per un determinato appalto, sulle capacità di altri soggetti ai fini della integrazione dei criteri relativi alla capacità economica e finanziaria e/o alle capacità tecniche e professionali eventualmente stabiliti a norma, rispettivamente, dei paragrafi 3 e 4 dell’articolo 58 della direttiva. La norma è stata recepita nell’ordinamento italiano mediante l’articolo 89 del d.lgs. n. 50/2016, rubricata, per l’appunto, «avvalimento».
[79] Esclusione automatica ad opera dall’amministrazione aggiudicatrice basata sul disposto degli artt. 80, comma 5, lett. f-bis) ed 89, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016, cfr. sentenza Rad Service, cit., punto 16.
[80] Sentenza Rad Service, cit., punto 45.
[81] Sentenza Rad Service, cit., punto 34.
[82] Sentenza Rad Service, cit., punto 40.
[83] Cfr. sentenza Rad Service, cit., punto 34.
[84] Ai sensi del quale, nell’applicare i motivi di esclusione facoltativi, le amministrazioni aggiudicatrici devono prestare particolare attenzione a tale principio. Cfr. sentenza Rad Service, cit., punto 39. Si tornerà sul punto infra nel § 6.
[85] Sentenza Rad Service, cit., punto 36.
[86] Esula dalla presente analisi un esame puntuale di ciascuno dei motivi di esclusione previsti nell’art. 80 del codice dei contratti pubblici, alcuni dei quali, com’è noto, hanno già attirato l’attenzione delle istituzioni UE; si pensi alla procedura di infrazione n. 2018/2273 avviata dalla Commissione e risultante nella novella del 2019, ovvero alla già citata sentenza Meca Srl. In generale, sulla disposizione in discorso, si vedano, per tutti, P. Giammaria, 80. Motivi di esclusione, in L.R. Perfetti (a cura di), Codice dei contratti pubblici commentato, II ed., Ipsoa, Milano, 2017, p. 719 ss.; R. Greco-F. Pignatiello-A.G. Pietrosanti-M. Nunziata-V. Di Iorio-G.A. Giuffrè, Requisiti generali, in M.A. Sandulli-R. De Nictolis (a cura di), Trattato sui Contratti Pubblici. Vol. II – Soggetti, Qualificazione, Regole comuni alle procedure di gara, Giuffrè, Milano, 2019, p. 756 ss.
[87] Com’è noto, ai sensi dell’art. 213, comma 10 del codice dei contratti pubblici, il casellario informatico rappresenta una banca dati, istituita presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e gestita dall’ANAC, che raccoglie «tutte le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall’articolo 80». Il procedimento di annotazione nel casellario informatico è disciplinato dal regolamento per la gestione del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi dell’art. 213, comma 10, del codice dei contratti pubblici, di cui alla delibera n. 861 del 2 ottobre 2019, modificato con decisione del Consiglio dell’ANAC del 29 luglio 2020, in GU Serie Generale n. 225 del 10 settembre 2020, p. 13 ss.
[88] A. Amore, Le cause di esclusione di cui all’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 tra Linee guida dell’ANAC e principi di tassatività e legalità, in Urb. e app., 2017, p. 763 ss., p. 769.
[89] Si veda in questo senso A. Longo-E. Calzonieri, La nuova disciplina dei contratti pubblici, Giuffrè, Milano, 2018, p. 76. Peraltro, anche nell’ordinamento italiano, vige il principio di tassatività delle cause di esclusione, oggi sancito dall’articolo 83, comma 8, del codice dei contratti pubblici, su cui si vedano A. Amore, Le cause di esclusione di cui all’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 tra Linee guida dell’ANAC e principi di tassatività e legalità, cit., p. 773; E. Santoro, Tassatività delle cause di esclusione, in l’Amministrativista.it, 28 maggio 2020, par. 1; C. Cravero, Protocolli di legalità o Patti di Integrità: la compatibilità con il diritto UE della sanzione di esclusione automatica dell’operatore economico inadempiente, in Giur. it., 2016, p. 1459 ss.
[90] È stato sottolineato in dottrina che questa distinzione, tracciata dalla direttiva 2014/24/UE, non è stata fatta propria dall’ordinamento italiano dato che, ove risultino integrati i motivi di esclusione indicati da tale disposizione, le amministrazioni aggiudicatrici italiane sarebbero tenute a escludere l’operatore economico; in questi termini si veda A. Longo-E. Calzonieri, La nuova disciplina dei contratti pubblici, Giuffrè, Milano, 2018, p. 76. A ben vedere, a prescindere dall’incipit del comma 5 («[l]e stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora [si trovi in una delle situazioni di seguito indicate]»), le amministrazioni aggiudicatrici devono godere di un margine di discrezionalità in relazione alla valutazione sulla sussistenza delle situazioni menzionate al comma 5 dell’articolo 80 tali da ingenerare l’esclusione dell’operatore economico, in forza dei principi sanciti nella sentenza Meca Srl e conformemente a quanto avviene in relazione alle corrispondenti previsioni dell’art. 57, par. 4, della direttiva, come rilevato dalla dottrina; si vedano A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 293; C. Guccione, I requisiti degli operatori economici, in Gioirn. dir. amm., 2016, p. 495 ss., p. 496; C. De Portu, I motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti pubblici (limitatamente a quelli) rivisitati dal D.L. 18 aprile 2019, n. 32 (cosiddetto “sblocca cantieri”) convertito in legge 14 giugno 2019, n. 55, in Riv. trim. app., 2019, p. 1171 ss., p. 1172.
[91] Come chiarito in apertura del presente § (vedi supra nota n. 86), l’analisi condotta in questa sede non esaurisce la più ampia tematica della compatibilità dell’attuazione della direttiva 2014/24/UE nell’ordinamento italiano.
[92] Cfr. comma 1: «L’offerta è corredata da una garanzia fideiussoria, denominata “garanzia provvisoria” pari al 2% del prezzo base indicato nel bando o nell’invito, sotto forma di cauzione o di fideiussione, a scelta dell’offerente».
[93] Sulla definizione di gold plating, cfr. ex multis raccomandazione della Commissione riguardante il recepimento in diritto nazionale delle direttive che incidono sul mercato interno, SEC(2004) 0918 def., considerando n. 6; comunicazione “Legiferare con intelligenza nell’Unione europea”, COM(2010), 543 final, par. 2.1; “Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti”, COM(2011) 15 final, par. 2; comunicazione “Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell’UE”, COM(2015), 215 final, par. 3.3. In dottrina si vedano, ex multis, S. Weatherill, Harmonisation: How Much, How Little?, in European Business Law Review, 2005, p. 533 ss., pp. 538-541; P. Mantini, La semplificazione nei nuovi appalti pubblici tra divieto di gold plating e copy out, in AA.VV., La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione. Atti del LXI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Giuffrè Editore, Milano, 2016, p. 583 ss.; A. Pajno, La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, in AA.VV., La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione. Atti del LXI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Giuffrè, Milano, 2016, p. 29 ss.; S. Treumer-M. Comba, Chapter 14: Trends in the implementation of Directive 2014/24: minimalism and narrow interpretations, in S. Treumer-M. Comba (a cura di), Modernising Public Procurement. The Approach of EU Member States, Edward Elgar, Cheltenham, 2018, pp. 308-328, spec. pp. 311-315; L. Squintani, Beyond Minimum Harmonisation. Gold-Plating and Green-Plating of European Environmental Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2019, p. 13 ss. Il divieto di gold plating, com’è noto, oltre ad essere prescritto dall’art. 1, comma 1, lett. a) della legge delega n. 11/2016, è stato sancito in termini generali, con la novella del 2012, all’art. 14, commi 24-bis, 24-ter, e 24-quater della legge n. 246/2005, per poi essere ribadito dall’art. 32, comma 1, lett. c) della legge n. 234/2012. Sulla base di questo quadro normativo nazionale, la Corte costituzionale italiana ha recentemente sottolineato che, benché il termine gold plating compaia negli atti adottati dalla Commissione qui sopra menzionati, «il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie […] non è un principio di diritto comunitario, il quale, come è noto, vincola gli Stati membri all’attuazione delle direttive, lasciandoli liberi di scegliere la forma e i mezzi ritenuti più opportuni per raggiungere i risultati prefissati (salvo che per le norme direttamente applicabili)» (cfr. Corte Cost., sentenza n. 100/2020, Considerato in diritto, punto n. 4).
[94] Infatti, ai sensi del terzo comma del par. 1 dell’art. 59, che disciplina il documento di gara unico europeo (DGUE), è previsto che il DGUE debba indicare, tra l’altro, l’autorità pubblica o il terzo responsabile per determinare il documento complementare ed includere una dichiarazione formale secondo cui l’operatore economico sarà in grado, su richiesta e senza indugio, di fornire tali documenti complementari. Com’è noto, il DGUE consiste, in breve, in un’autodichiarazione – da fornire esclusivamente in forma elettronica – che l’operatore economico può presentare in sostituzione dei certificati rilasciati da autorità pubbliche o terzi e in cui si conferma di non trovarsi in una delle situazioni di cui all’articolo 57 ed il soddisfacimento dei criteri di selezione definiti dall’art. 58.
[95] Cfr. CGUE, Esaprojekt, 4 maggio 2017, C-387/14, ECLI:EU:C:2017:338.
[96] Si veda S. van Garsse-S. de Mars, Exclusion and Self-Cleaning in the 2014 Public Sector Directive, cit.
[97] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2018, n. 5365.
[98] Sentenza Forposta, cit., punto 38.
[99] Cfr. art. 93, comma 1, d.lgs. n. 50/2016.
[100] Vedi § 5 che segue.
[101] Cfr. raccomandazione della Commissione riguardante il recepimento in diritto nazionale delle direttive che incidono sul mercato interno, SEC(2004) 0918 def.
[102] Cfr. comunicazione “Individuare e affrontare le barriere al mercato unico”, COM(2020) 93 final. Meno recentemente cfr. comunicazione “Legiferare con intelligenza nell’Unione europea”, COM(2010), 543 final; “Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti”, COM(2011) 15 final; comunicazione “Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell’UE”, COM(2015), 215 final.
[103] Vedi supra § 2.
[104] Cfr. art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246, per come novellato dalla legge 12 novembre 2011, n. 183, che, nel comma 24-bis, dispone che «gli atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse». Il comma 24-ter specifica cosa si intende per «livelli di regolazione superiore a quelli minimi richiesti dalle direttive». Essenzialmente, la “regolazione superflua” si ottiene attraverso: «l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive» (lett a.); «l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari» (lett b); «l’introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l’attuazione delle direttive» (lett c.).
[105] L’art. 1, comma 1, lett. a), infatti, prevede espressamente il «divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive». Sull’attuazione in Italia delle direttive, si vedano P. Mantini, La semplificazione nei nuovi appalti pubblici tra divieto di "gold plating" e "copy out", cit.; M.P. Chiti, Le direttive 2014 dell’Unione europea sui contratti pubblici e i problemi della loro attuazione in Italia, cit., p. 114 ss.; M. Comba-S. Richetto, Chapter 7: Transposition of the 2014 Public Procurement Package in Italy: meeting the deadline without really doing so, in S. Treumer-M. Comba (a cura di), Modernising Public Procurement. The Approach of EU Member States, cit., pp. 135-153.
[106] Come verrà precisato infra, § 5, ugualmente “silenti” sul punto risultano essere sia il Regolamento sull’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità sia il Regolamento per la gestione del casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ai sensi dell’articolo 213, comma 10, del codice dei contratti pubblici.
[107] Cfr. Sigma, Brief 24 - Public Procurement Use of Official Automatic Exclusion Lists in Public Procurement, EU/OECD, www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-24-200117.pdf.
[108] Per una disamina delle possibili misure correttive che l’operatore economico potrà adottare per evitare l’esclusione dalla procedura di gara, misure che varieranno a seconda della ipotesi di esclusione in rilievo nel caso concreto, si veda I. Demuro, Self cleaning e organizzazione della impresa sociale, in corso di pubblicazione sulla Rivista delle Società.
[109] In questo senso, in dottrina, si vedano ex multis A. Longo-E. Calzonieri, La nuova disciplina dei contratti pubblici, cit., p. 77; C. Guccione, I requisiti degli operatori economici, in Giorn. dir. amm., 2019, p. 724 ss., p. 726; C. De Portu, I motivi di esclusione di cui all’art. 80 del Codice dei contratti pubblici (limitatamente a quelli) rivisitati dal D.L. 18 aprile 2019, n. 32 (cosiddetto “sblocca cantieri”) convertito in legge 14 giugno 2019, n. 55, cit., p. 1196.
[110] C. Guccione, I requisiti degli operatori economici, in Giorn. dir. amm., 2019, p. 724 ss., p. 726, nota 10. Cfr. L. Torchia, La nuova direttiva europea in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari, cit., par. 2.2.2., dove, nel commentare la disciplina UE, viene affermato che, sulla base di questa, «non possono esservi, almeno in via di ipotesi, decisioni di esclusione allo stesso tempo automatiche e non rimediabili».
[111] Sentenza RTS, cit., punto 48.
[112] Sentenza RTS, cit., punti 48-50.
[113] Sentenza RTS, cit., punto 49.
[114] Vedi supra § 2.
[115] Cfr., rispettivamente, TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446, n. 447 e n. 452 e Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2021, n. 2163. Su queste pronunce vedi infra, Addendum.
[116] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4427; Cons. Stato, sez. V, 30 luglio 2018, n. 4652; TAR Campania, Salerno, sez. I, 28 febbraio 2020, n. 318; TAR Lazio, Roma, sez. I, 7 gennaio 2020, n. 70; TAR Campania, Napoli, sez. III, 27 novembre 2019, n. 5593.
[117] Ibidem.
[118] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 17 febbraio 2020, n. 2077; TAR Lazio, Roma, sez. I, 26 novembre 2019, n. 13537; TAR Lazio, Roma, sez. I, 11 settembre 2019, n. 10837; TAR Veneto, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 193.
[119] Cfr. articolo 33 del Regolamento unico in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di cui all’articolo 8, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006, e, ora, gli articoli 35-37 del Regolamento per la gestione del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ai sensi dell’articolo 213, comma 10, d.lgs. n. 50/2016.
[120] Cfr. CEDU, Engel c. Pays-Bas, 8 giugno 1976, punto 36. Si fa generalmente riferimento a questa giurisprudenza discorrendo di “criteri Engel”. Benché la puntuale disamina di questi criteri esuli dallo scopo della presente indagine, si veda quanto sarà rilevato infra nel § 6.
[121] Principio che la medesima giurisprudenza riferisce «a tutti i requisiti generali e speciali di partecipazione e postula che gli stessi siano posseduti senza soluzione di continuità dal momento della presentazione della domanda di partecipazione all’aggiudicazione e per tutta la fase di esecuzione, qualora l’impresa sia aggiudicataria dell’appalto» (in questo senso si vedano, recentemente, Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8021; Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2397; Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 2020, n. 1918; Cons. Stato, sez. V, 16 dicembre 2019, n. 8514; Cons. Stato, ad. plen., 28 febbraio 2016, n. 5).
[122] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 193; TAR Campania, Napoli, sez. III, 27 novembre 2019, n. 5593; TAR Campania, Napoli, sez. III, 8 giugno 2018, n. 3856; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 29 luglio 2020, n. 1665.
[123] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4427.
[124] Vale a dire, l’inibizione o la sospensione della possibilità di partecipare alle gare indette dopo l’iscrizione, per tutto il periodo di durata dell’efficacia di quest’ultima.
[125] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2021, n. 386.
[126] Vedi supra § 4.
[127] Cfr. TAR Veneto, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 193; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 29 luglio 2020, n. 1665.
[128] Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421; Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4427; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 8 giugno 2018, n. 3856.
[129] Cfr. TAR Veneto, n. 193/2020; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 29 luglio 2020, n. 1665. In senso conforme, cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 15 novembre 2019, n. 2421; Cons. Stato, sez. V, 23 luglio 2018, n. 4427; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 8 giugno 2018, n. 3856.
[130] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7271.
[131] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 settembre 2017, n. 4192.
[132] Ibidem.
[133] Linee guida n. 6, di attuazione del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 recanti «Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice», approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 1293 del 16 novembre 2016, come ss. mm. ii. In generale su questo strumento di regolazione, si vedano ex multis P. Mantini, Autorità nazionale anticorruzione e “soft law” nel sistema delle fonti e dei contratti pubblici, in GiustAmm.it, 2, 2017, p. 4 ss.; R. De Nictolis, Lo stato dell’arte dei provvedimenti attuativi del codice. Le linee guida Anac sui gravi illeciti professionali, in GiustAmm.it, 2, 2017, p. 7 ss.; A. Amore, Le cause di esclusione di cui all’art. 80 D.Lgs. n. 50/2016 tra Linee guida dell’ANAC e principi di tassatività e legalità, cit., p. 770 ss.; e L. Mazzeo-L. De Pauli, Le Linee Guida dell’ANAC in tema di gravi illeciti professionali, in Urb. e app., 2018, p. 155 ss.
[134] La disposizione richiamata nel testo recita «Con linee guida l’ANAC, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, può precisare, al fine di garantire omogeneità di prassi da parte delle stazioni appaltanti, quali mezzi di prova considerare adeguati per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui al comma 5, lettera c), ovvero quali carenze nell’esecuzione di un procedente contratto di appalto».
[135] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446, n. 447 e n. 452, punto 6.6.
[136] Cfr. Linee Guida n. 6, punto 6.3., che, in aggiunta alla dimostrazione di aver risarcito o essersi impegnato formalmente e concretamente a risarcire il danno causato dall’illecito, elenca le seguenti ipotesi: «1. l’adozione di provvedimenti volti a garantire adeguata capacità professionale dei dipendenti, anche attraverso la previsione di specifiche attività formative; 2. l’adozione di misure finalizzate a migliorare la qualità delle prestazioni attraverso interventi di carattere organizzativo, strutturale e/o strumentale; 3. la rinnovazione degli organi societari; 4. l’adozione e l’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi e l’affidamento a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, del compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli di curare il loro aggiornamento; 5. la dimostrazione che il fatto è stato commesso nell’esclusivo interesse dell’agente oppure eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione o che non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di controllo».
[137] Cfr. Linee Guida n. 6, punto 6.2.
[138] Ibidem.
[139] Cfr. Linee Guida n. 6, punto 6.4.
[140] Ibidem.
[141] Cfr. Linee Guida n. 6, punto 6.5.
[142] Vedi supra § 3. La questione della compatibilità dell’attuazione della direttiva 2014/24/UE in Italia con l’ordinamento UE è più approfonditamente esaminata nel § 6 che segue.
[143] Vedi § 6.
[144] Questo profilo sarà analizzato nel § 6.
[145] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2020, n. 2260; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 9 febbraio 2021, n. 380.
[146] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 5 febbraio 2020, n. 1553; TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 4 marzo 2019, n. 2838; TAR Lazio, Roma, sez. II-ter, 23 gennaio 2019, n. 900; TAR Piemonte, sez. I, 23 marzo 2020, n. 207; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 14 maggio 2019, n. 775.
[147] In altri termini, la garanzia provvisoria, per un verso, sanzionerebbe le sole ipotesi in cui, anche per la mancanza dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione e negativamente verificati, non sia possibile, «dopo l’aggiudicazione» (cfr. art. 93, d.lgs. n. 50/2016), pervenire alla sottoscrizione del contratto. È quindi necessario che tale disposizione sia letta in combinato disposto con gli artt. 36, comma 6 e 85 comma 5 e, soprattutto, 32 del codice dei contratti pubblici, i quali prevedono come obbligatoria, dopo l’aggiudicazione, la verifica dei requisiti del solo aggiudicatario.
[148] Ibidem.
[149] Sulla compatibilità di siffatta prassi con il diritto dell’Unione, vedi infra § 6.
[150] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 29 marzo 2021, n. 3754.
[151] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2021, n. 2163. La posizione della sez. V appare fondata su Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2021, n. 923, e sugli insegnamenti desumibili da Cons. Stato, ad. plen., 28 agosto 2020, n. 16.
[152] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2021, n. 2858.
[153] Sentenza Rad Service, cit., punto 40.
[154] Cfr. Sigma, Brief 24 - Public Procurement Use of Official Automatic Exclusion Lists in Public Procurement, EU/OECD, www.sigmaweb.org/publications/Public-Procurement-Policy-Brief-24-200117.pdf.
[155] In questo senso si veda A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., pp. 292-295.
[156] Sul punto, vedi infra § 7.
[157] Sentenza RTS, cit., punto 27.
[158] Vedi supra § 2.
[159] Sentenza RTS, cit., punto 41.
[160] Vedi supra § 3.
[161] Infatti, nella sentenza Vert Marine, cit., punto 24, è scritto: «l’espressione “condizioni di applicazione” presuppone […] che l’esistenza stessa del diritto conferito dall’articolo 38, paragrafo 9, primo comma, della direttiva 2014/23 nonché la possibilità di esercitarlo siano garantite dagli Stati membri, altrimenti, come indicato dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, gli Stati membri sarebbero in grado, nella determinazione delle sue condizioni di applicazione, di privare tale diritto della sua sostanza. Siffatta interpretazione è peraltro confermata al considerando 71 della direttiva 2014/23, da cui risulta che gli Stati membri hanno unicamente la facoltà di determinare le condizioni procedurali e sostanziali volte a disciplinare l’esercizio di detto diritto».
[162] Sentenza RTS, cit., punti 34-42.
[163] Chiarisce le interrelazioni tra questi tre profili H.J. Priess, The rules on exclusion and self-cleaning under the 2014 Public Procurement Directive, cit., p. 111 ss.
[164] Vedi supra § 5.
[165] Com’è noto, l’adozione delle prime direttive in materia di appalti pubblici era giustificata precisamente dalla necessità di dare progressiva attuazione a tali libertà fondamentali, che avrebbero rischiato di restare pregiudicate in questo specifico settore, ove esso avesse continuato ad essere disciplinato in modo disomogeneo nelle normative nazionali. Un riflesso di tale concezione si riscontra tuttora, d’altronde, nel considerando n. 1 della direttiva 2014/24/UE, ai sensi del quale «l’aggiudicazione degli appalti pubblici da o per conto di autorità degli Stati membri deve rispettare i principi del [TFUE] e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la trasparenza».
[166] Cfr. ex multis CGUE, Berlington Hungary, 11 giugno 2015, C-98/14, ECLI:EU:C:2015:386, punto 74; CGUE, Global Starnet, 20 dicembre 2017, C-322/16, ECLI:EU:C:2017:985, punto 44.
[167] Cfr. CGUE, Test Claimants in the Franked Investment Income Group Litigation, 12 dicembre 2013, C-362/12, ECLI:EU:C:2013:834, punto 44.
[168] Si vedano S. Schoenmaekers, Self-Cleaning and Leniency: Comparable Objectives but Different Levels of Success?, cit., p. 6 ss., nonché, ampiamente sul punto, A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit.
[169] Cfr. ex multis CGUE, Impresa Pizzarotti, 10 luglio 2014, C-213/13, ECLI:EU:C:2014:
2067, punto 63.
[170] Ai sensi di questa disposizione «[l]a concezione della procedura di appalto non ha l’intento di escludere quest’ultimo dall’ambito di applicazione della presente direttiva né di limitare artificialmente la concorrenza».
[171] Vedi § 4.
[172] A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 292.
[173] Ai sensi di tale disposizione, «[è] riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali». Essa si basa sulla giurisprudenza della Corte di giustizia «che ha riconosciuto la libertà di esercitare un’attività economica o commerciale e la libertà contrattuale», così come «sull’articolo 119, paragrafi 1 e 3 TFUE che riconosce la libera concorrenza», cfr. Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, in GUUE C 303 del 14 dicembre 2007, p. 17 ss., p. 23.
[174] CGUE, Interseroh, 29 marzo 2012, C-1/11, ECLI:EU:C:2012:194, punto 43.
[175] Si vedano T. Lock, Article 16, in M. Kellerbauer-M. Klamert-J. Tomkin (a cura di), The EU Treaties and the Charter of Fundamental Rights, Oxford University Press, Oxford, 2019, p. 2147; e C. Malberti, Articolo 16, in R. Mastroianni-O. Pollicino-S. Allegrezza-F. Pappalardo-O. Razzolini (a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 2017, p. 308 ss., p. 315.
[176] Cfr. CGUE, Mark Alemo-Herron, 18 luglio 2013, C-426/11, ECLI:EU:C:2013:521, punto 33.
[177] Scopo, questo, che può essere ricondotto al limite, «d’interesse generale», della funzione «sociale» che, secondo la giurisprudenza UE, relativizza un diritto fondamentale che non è di per sé assoluto, cfr. sentenza Mark Alemo-Herron, cit., punto 54.
[178] CGUE, Irish Farmers Association, 15 aprile 1997, C-22/94, ECLI:EU:C:1997:187, punto 27.
[179] La disposizione prevede che «[o]gni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale».
[180] Cfr. sentenza Interseroh, cit., punto 43.
[181] Cfr. Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali, cit., p. 23, ove viene precisato che l’art. 17 «corrisponde all’articolo 1 del protocollo addizionale alla CEDU» e che, benché […] «[l]a stesura [sia] stata attualizzata […], ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, questo diritto ha significato e portata identici al diritto garantito dalla CEDU e le limitazioni non possono andare oltre quelle previste da quest’ultima».
[182] Quanto ai rapporti tra la CEDU e la Carta, in breve, essi sono esplicitamente disciplinati nell’art. 52, par. 3 della Carta, dove viene precisato che «laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione» e che «la presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».
[183] La Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) riconosce da tempo che costituiscono beni anche quei valori patrimoniali «intérêts économiques» che il ricorrente può ragionevolmente aspettarsi, quale «espérance légitime et raisonnable», di vedere concretizzati (cfr. CEDU, Fredin c. Suède, 18 febbraio 1991, punto 40; CEDU, Plalam c. Italie, 18 maggio 2010, punto 34), ivi compresi evidentemente i diritti di credito.
[184] Cfr. ex multis CGUE, Sky Österreich, 22 gennaio 2013, C-283/11, ECLI:EU:C:2013:28, punto 34.
[185] Cfr. CGUE, Commissione c. Ungheria, 21 maggio 2019, C-235/17, ECLI:EU:C:2019:432, punto 69 ss.
[186] Infatti, l’atto giuridico su cui si fonda una legittima aspettativa a vedere concretizzati i propri interessi economici può essere costituito tanto da un contratto (cfr. CEDU, Uzan et autres c. Turquie, 29 marzo 2011, punto 66; CEDU, Stretch v. United Kingdom, 24 giugno 2003, punto 33) quanto da una decisione amministrativa definitiva, purché essa sia stata emessa dall’organo competente (cfr., a contrario, CEDU, Velikin et autres c. Bulgarie, 1 dicembre 2009; CEDU, Ivanova et autres c. Bulgarie, 1 dicembre 2009; CEDU, Manoilescu et Dobrescu c. Roumanie et Russie, 3 marzo 2005, punto 88, CEDU, Drăculeţ c. Roumanie, 6 dicembre 2007, punti 40-41) e il suo contenuto sia chiaro (M. Sigron, Legitimate Expectations Under Art 1 of Protocol N. 1 to the European Convention on Human Rights, Intersentia, Cambridge, 2014, p. 117).
[187] Cfr. CEDU, Kopecký c. Slovakia, 28 settembre 2004, punto 46, ove è possibile leggere, in termini ancora più ampi, che «l’espérance légitime résulte donc de la circonstance que la personne concernée se fonde de façon raisonnablement justifiée sur un acte juridique ayant une base juridique solide et une incidence sur des droits de propriété».
[188] Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il principio di legalità richiede requisiti di qualità della legge, il cui contenuto deve essere accessibile agli interessati, preciso e prevedibile nella sua applicazione (Cfr. CEDU, Carbonara et Ventura c. Italie, 30 maggio 2000, punto 64): in mancanza, si verifica, anche sotto tale profilo, una violazione del principio di legalità.
[189] Vedi supra § 5. Anche nel diritto UE è ormai da considerare rilevante la qualificazione autonoma del concetto di “sanzione penale” elaborata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con riferimento agli articoli 6 e 7 della CEDU secondo i criteri stabiliti nella nota sentenza Engel, già citata, i quali impongono di tenere in considerazione «la nature et le but de la mesure en cause, sa qualification en droit interne, les procédures associées à son adoption et à son exécution, ainsi que sa gravité» (cfr. CEDU, Grande Camera, G.I.E.M. S.r.l. et autres c. Italie, 28 giugno 2018, punto 211).
[190] Vedi ancora supra § 5.
[191] Tale norma stabilisce che «nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima […] Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».
[192] Al principio generale in discorso devono potersi aggiungere il principio di legalità, il principio d’irretroattività, nonché il principio del ne bis in idem, alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della pertinente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
[193] Si veda in questo senso H. Priess-S. Arrowsmith-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, cit., p. 267.
[194] Cfr. CGUE, Garage Molenheide, 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95, e C-47/96, ECLI:EU:C:1997:623. Si vedano in questo senso F.G. Jacobs, Recent Developments in the Principle of Proportionality in European Community Law, in E. Ellis (a cura di), The Principle of Proportionality in the Laws of Europe, Oxford, Hart, 1999, p. 16; H. Priess-S. Arrowsmith-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, cit., p. 266.
[195] In particolare, prosegue la disposizione, «[l]ievi irregolarità dovrebbero comportare l’esclusione di un operatore economico solo in circostanze eccezionali [, benché] casi ripetuti di lievi irregolarità possono far nascere dubbi sull’affidabilità di un operatore economico che potrebbero giustificarne l’esclusione».
[196] Si veda ancora H. Priess-S. Arrowsmith-P. Friton, Self-cleaning as a defence to exclusions for misconduct: an emerging concept in EC public procurement law?, cit., p. 267.
[197] Cfr. sentenza Michaniki, cit.
[198] CGUE, T-Systems, 14 maggio 2020, C-263/19, ECLI:EU:C:2020:373, punto 71. Cfr. sentenza Ambisig, cit., punto 40; sentenza Lloyd’s of London, cit., punto 32; e sentenza Rad Service, cit., punto 34.
[199] CGUE, Associazione Verdi Ambiente e Società – Aps Onlus, 8 maggio 2019, C-305/18, ECLI:EU:C:2019:384, punto 48. Cfr. anche CGUE, Vitali, 26 settembre 2019, C‑63/18, ECLI:
EU:C:2019:787; CGUE, Tedeschi Srl, 27 novembre 2019, C‑402/18, ECLI:EU:C:2019:1023.
[200] CGUE, Serrantoni, 23 dicembre 2009, C-376/08, ECLI:EU:C:2009:808, punti 34-40.
[201] Sentenza Serrantoni, cit., punto 39.
[202] Sentenza Serrantoni, cit., punto 40. Cfr. anche sentenza Assitur, cit., punti 26-29; CGUE, MA.T.I. SUD SpA, 28 febbraio 2018, cause riunite C-523/16 e C-536/16, ECLI:EU:C:2018:122.
[203] Sentenza Rad Service, cit., punto 45.
[204] Sentenza Rad Service, cit., punto 36.
[205] Sentenza Rad Service, cit., punto 40.
[206] CGUE, Consorzio Nazionale Servizi Società Cooperativa, 4 giugno 2019, C-425/18, ECLI:EU:C:2019:476, punto 34. Cfr. anche sentenza Forposta, cit., punto 31.
[207] S. van Garsse-S. de Mars, Exclusion and Self-Cleaning in the 2014 Public Sector Directive, cit., p. 127.
[208] Vedi supra § 4.
[209] Cfr. CGUE, IP, 17 dicembre 1998, C-2/97, ECLI:EU:C:1998:613. In dottrina si veda G. Di Federico, Il recepimento delle direttive nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in G. Di Federico-C. Odone (a cura di), Il recepimento delle direttive dell’Unione europea nella prospettiva delle regioni italiane. Modelli e soluzioni, ESI, Napoli, 2010, p. 19.
[210] Si veda A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., pp. 215-218.
[211] Si veda ancora A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 216.
[212] Ancorché in nota, è opportuno riportare per intero il nocciolo del ragionamento della dottrina appena citata: «a clear limit to the establishment of additional grounds for exclusion lies in its effects on competition. When applying the proportionality test to evaluate whether certain additional grounds for the exclusion of candidates or tenderers are consistent with EU law, the benefits of the rule oriented towards the protection of equal treatment amongst tenderers need to be weighed against the restrictions of competition the imposition of overly restrictive grounds for exclusion can generate, particularly at this early stage of the tender process […] Additional grounds for exclusion will therefore not only need to be proportionate, but should not generate unnecessary distortions to competition». L’argomento ulteriore è, dunque, nel senso di richiedere che «the additional rules for the exclusion of tenderers be designed exclusively to prevent undertakings from exploiting certain unlawful competitive advantages in the public procurement setting». Da qui la conclusione che «the additional grounds for exclusion established by Member States should be designed in such a way that only situations under which a potential competitive advantage is clearly envisioned are covered» e, quindi, che tali motivi di esclusione «should not be designed exclusively in accordance with formal considerations of equality and non-discrimination» (A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 293).
[213] Cfr. CGUE, Fabricom, 3 marzo 2005, C-21/03, ECLI:EU:C:2005:127, punti 33-35.
[214] A. Sanchez Graells, Public Procurement and the EU Competition Rules, cit., p. 294.
[215] Ibidem.
[216] Cfr. CGUE, Von Colson, 10 aprile 1984, 14/83, ECLI:EU:C:1984:153.
[217] Vedi § 5.
[218] Principio strutturale del diritto UE, sancito per la prima volta esplicitamente, come è risaputo, da CGUE, Costa, 15 luglio 1964, 6/64, ECLI:EU:C:1964:66.
[219] Limite peraltro interpretato in maniera non sempre rigorosa dalla Corte di giustizia, cfr. sentenza Pfeiffer, cit., punto 48.
[220] Quanto all’articolo 4, par. 3 TUE, a partire da Wagner Miret, si afferma l’idea, funzionale al corretto funzionamento del rimedio dell’interpretazione conforme, che qualsiasi giudice nazionale, allorché interpreta e applica il diritto nazionale, «deve presumere che lo Stato abbia avuto intenzione di adempiere pienamente gli obblighi derivanti dalla direttiva considerata» (cfr. CGUE, Wagner Miret, 16 dicembre 1993, C-334/92, ECLI:EU:C:1993:945, punto 20), operando questo principio in particolare con riguardo al recepimento di direttive UE (si veda in questo senso L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, VI ed., Giuffrè, Milano, 2018, p. 294).
[221] Per quanto concerne il principio dell’effettività, è scritto, dalla sentenza Mau in poi, che il giudice nazionale deve assicurare «la piena efficacia delle norme comunitarie quando risolve la controversia ad esso sottoposta» (cfr. CGUE, Mau, 15 maggio 2003, C-160/01, ECLI:EU:C:
2003:280, punto 34); ragion per cui, con la pronuncia nel caso Pfeiffer, viene chiarito che lo strumento dell’interpretazione conforme è «inerente al sistema del Trattato» (cfr. sentenza Pfeiffer, cit., punto 114). Nella stessa pronuncia, si consolida il concetto secondo cui l’interpretazione conforme, oltre a garantire che il diritto UE venga correttamente applicato, risulta imprescindibile affinché l’individuo possa beneficiare di un’adeguata tutela giurisdizionale (cfr. sentenza Pfeiffer, cit., punto 111), che costituisce il noyau dur, dal punto di vista della protezione del singolo, del principio dell’effettività.
[222] Cfr. ex multis sentenza Von Colson, cit., punto 26; CGUE, Marleasing, 13 novembre 1990, C-106/89, ECLI:EU:C:1990:395, punto 8.
[223] Cfr. sentenza Von Colson, cit., punto 26.
[224] CGUE, Annalisa Carbonari, 25 febbraio 1999, C-131/97, ECLI:EU:C:1999:98, punto 49.
[225] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato generale Lenz, Faccini Dori, C-91/92, punto 35.
[226] Cfr. CGUE, EvoBus, 24 settembre 1998, C-111/97, ECLI:EU:C:1998:434, punti 14-22.
[227] CGUE, Adeneler, 4 luglio 2006, C-212/04, ECLI:EU:C:2006:443, punto 110.
[228] CGUE, Kolpinghuis, 8 ottobre 1987, 80/86, ECLI:EU:C:1987:431, punto 13.
[229] Il riferimento è al principio generale UE di proporzionalità; alle norme UE sul diritto di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi, lette alla luce dei principi generali UE di proporzionalità e di legittimo affidamento, nonché norme sulla libera concorrenza, nonché alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, con riferimento alla libertà d’impresa, al diritto di proprietà, al principio di legalità, al principio d’irretroattività, al principio del ne bis in idem, alla luce della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della pertinente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
[230] Analogamente a quanto è stato scritto supra circa l’interpretazione conforme, peraltro, disapplicazione e rinvio pregiudiziale possono operare in sinergia, potendo poggiarsi la prima sulla sentenza pregiudiziale con la quale la Corte di giustizia, adita dal giudice nazionale remittente, de facto, avrebbe modo di ravvisare le condizioni per imporre, appunto, la disapplicazione anziché l’interpretazione conforme.
[231] Cfr. da ultimo CGUE, Popławski II, 24 giugno 2019, C-573/17, ECLI:EU:C:2019:530, punto 61 ss.
[232] Cfr. CGUE, Francovich, 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, ECLI:EU:C:
1991:428.
[233] Vedi supra §§ 4 e 5.
[234] Vedi supra §§ 2, 3, 5, e 6.
[235] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2018, n. 7271, come rilevato supra nel § 5.
[236] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 29 marzo 2021, n. 3754.
[237] Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I, 29 marzo 2021, n. 3754.
[238] Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2021, n. 2163. Quanto alla giurisprudenza costituzionale, viene operato un riferimento a Corte cost., 16 aprile 2021, n. 68, punto 6 in diritto.
[239] Ibidem.
[240] Ibidem.
[241] Cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 26/2020, ove, confrontata alla definizione dei rapporti tra lett. c) ed f-bis) dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici, l’Adunanza Plenaria condivide i rilievi della Sezione rimettente secondo cui «la falsità di una dichiarazione è […] predicabile rispetto ad un «dato di realtà», ovvero ad una «situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l’alternativa logica vero/falso», rispetto alla quale valutare la dichiarazione resa dall’operatore economico». In altri termini un’“omissione dichiarativa” non potrebbe essere considerata “falsa” in quanto, da un lato, secondo il «risalente [i]nsegnamento filosofico […] vero e falso non sono nelle cose ma nel pensiero e nondimeno dipendono dal rapporto di quest’ultimo con la realtà», e, dall’altro lato, «[i]n tanto una dichiarazione che esprima tale pensiero può dunque essere ritenuta falsa in quanto la realtà cui essa si riferisce sia in rerum natura».
[242] Cons. Stato, sez. V, 26 febbraio 2021, n. 923, ove «la sussistenza di profili di boni iuris» è stata ravvisata in relazione, tra l’altro, al «principio di stretta tipicità legale della fattispecie sanzionatoria con riguardo all’elemento materiale della falsa dichiarazione, cui non è equiparabile sic et simpliciter l’omissione dichiarativa».
[243] Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2021, n. 2858.
[244] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446, n. 447 e n. 452 e Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2021, n. 2163.
[245] Vedi supra § 3.
[246] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446 e n. 447, punto 6.1 in diritto.
[247] Ibidem.
[248] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446 e n. 447, punto 6.6 in diritto. In questo senso deporrebbero anche le Linee Guida n. 6 adottate dall’ANAC già menzionate, vedi § 5.
[249] Vedi § 5.
[250] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446 e n. 447, punto 6.6 in diritto.
[251] Impostazione, questa, prospettata in via subordinata dalla parte controinteressata, aggiudicataria di lotti di gare di appalto per la fornitura di servizi benché destinataria di una misura interdittiva ANAC, cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446 e n. 447, lett. N in fatto. Costituendosi in giudizio, difatti, essa chiedeva il rigetto del gravame, la disapplicazione dell’art. 80, comma 5, lett. f e f-ter), del codice dei contratti pubblici per contrasto con l’art. 57, par. 4, lett. g), della direttiva 2014/24/UE, la constatazione del contrasto dell’automatismo espulsivo con una serie di norme di diritto primario UE, e segnatamente con il principio di proporzionalità, la libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, gli artt. 16, 51 e 52, della Carta, nonché i principi di parità di trattamento e non discriminazione, del legittimo affidamento e della certezza del diritto, e di legalità ed irretroattività. In subordine, in aggiunta al rigetto del gravame, veniva domandato al TAR di dichiarare il motivo di esclusione in discorso non operante in via automatica, necessitando di un’autonoma valutazione del fatto che tenga conto delle misure di ravvedimento operoso poste in essere dall’impresa.
[252] Sembra possibile dubitare che questo “addolcimento” delle conseguenze dell’iscrizione nel casellario informatico ANAC mediante lo strumento dell’interpretazione conforme sia sufficiente – anche ove, come si spera, trovi seguito nella giurisprudenza amministrativa italiana – ad allineare completamente l’attuazione nell’ordinamento italiano dell’istituto in esame; soprattutto ove venga considerata la recente pronuncia della Corte di giustizia nel caso Rad Service e lo sfavore ivi espresso in relazione a detto automatismo, sulla quale vedi supra §§ 3 e 6.
[253] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446 e n. 447, punto 7 in diritto.
[254] Ibidem.
[255] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 aprile 2020, n. 2260; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 9 febbraio 2021, n. 380.
[256] Cfr. TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 5 maggio 2021, n. 446, n. 447 e n. 452, punto 6.3 in diritto, ove si legge anche che «[r]isponde […] al canone di logicità il fatto che le misure di self-cleaning siano operative pro futuro, ovvero per la partecipazione a gare successive all’adozione delle stesse, e che è inimmaginabile un loro effetto retroattivo».
[257] Sulla scorta di quanto sancito nella sentenza RTS, infatti, gli Stati membri possono limitare la possibilità di far valere eventuali misure correttive al momento della presentazione della domanda di partecipazione soltanto nel rispetto dei principi della parità di trattamento, di trasparenza, di proporzionalità, e dei diritti di difesa; vedi supra § 3.