Il commento analizza l’evoluzione dell’intensità del controllo del giudice amministrativo sulle scelte tecniche delle autorità indipendenti, con particolare riguardo ai poteri istruttori del giudice. Infatti, nella più recente giurisprudenza emerge un modello di controllo giurisdizionale che consente al giudice di verificare la maggiore o minore attendibilità delle menzionate scelte tecniche, e ciò in particolare grazie ad un diffuso utilizzo delle verificazioni, peraltro con modalità tali da assicurare pieno contraddittorio tra le parti. Tale indirizzo esprimerebbe una progressiva consapevolezza del giudice amministrativo circa la necessità di affrontare la tematica dei limiti del sindacato nei confronti delle autorità indipendenti secondo una “prospettiva” processuale, in coerenza con i poteri istruttori del nuovo codice del processo amministrativo.
The article analyzes evolution of the judicial control of the Administrative Courts on the technical choices of the indipendent authorities, with particular regard to the investigative powers of the administrative judge.
Infact, in the most recent jurisprudence, a judicial control model emerges that allows the judge to verify the greater or lesser reliability of the technical choices, with a widespread use of verifications, moreover in ways that ensure full contradiction between the parties.
This orientation expresses the administrative judge’s progressive awareness of affirming a normal judicial review of independent authorities according to a procedural “perspective”, and in line with the investigative powers of the new administrative process code.
Key Words: Judicial review – Independent authorities – Investigative powers of the administrative judge
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Estratto
«OMISSIS
2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i seguenti motivi:
a) l’erroneità del capo di sentenza con cui il TAR aveva dichiarato parzialmente inammissibile il gravame nella parte in cui era stata impugnata anche la deliberazione AEEGSI n. 531/2014/R/GAS (che, secondo i primi giudici, avrebbe dovuto essere impugnata autonomamente, entro l’ordinario termine di decadenza), in quanto la lesività delle previsioni di detta delibera si era manifestata unicamente a causa dell’applicazione fattane ad opera della delibera 66/2016/R/GAS;
b) l’erroneità della statuizione reiettiva delle censure relative al riconoscimento solo parziale delle immobilizzazioni relative al sito di San Potito e Cotignola, attesa per un verso la palese irragionevolezza delle motivazioni addotte a giustificazione del mancato riconoscimento di una parte degli investimenti, frutto di un’interpretazione distorta dei criteri stabiliti dall’art. 3.3 della delibera 531/2014/R/GAS e, in particolare, di un’applicazione del tutto arbitraria del criterio dell’efficienza, e stante, per altro verso, la palese inattendibilità e inadeguatezza del metodo in concreto utilizzato per verificare l’efficienza dell’impianto in oggetto, nonché l’omessa pronuncia sul secondo motivo di ricorso, vòlto a contestare l’introduzione del cd. coefficiente di proporzionamento che costituirebbe l’aspetto più critico della delibera n. 66/2016/R/gas;
OMISSIS
5.3 Scendendo all’esame del secondo motivo d’appello sub 2.b), si osserva che la risoluzione delle questioni devolute in appello con il motivo all’esame non può che passare attraverso il vaglio delle risultanze della verificazione disposta nel presente grado con l’ordinanza n. 7430 del 30 ottobre 2019 sui quesiti riportati sopra sub § 4. (con la precisazione che il vizio di omessa pronuncia sul secondo motivo di primo grado non comporta l’annullamento con rinvio al primo giudice, ma la devoluzione in appello del motivo non esaminato e il conseguente potere/dovere del giudice d’appello di deciderlo nel merito).
5.3.1 In via preliminare il verificatore – richiamando le definizioni delle diverse tipologie dei gas di stoccaggio tratte dal documento «Indagine conoscitiva sull’attività di stoccaggio di gas naturale», svolta congiuntamente dall’AEEG (oggi, ARERA) e dall’AGCM e pubblicata con delibera VIS 51/09 del 28 maggio 2009 sul sito dell’Autorità (documento, che deve ritenersi esaustivo sotto un profilo tecnico e, in quanto contenente l’esplicitazione di concetti tecnico-scientifici, tutt’ora attuale, con la conseguente corretta assunzione, da parte del verificatore, a fonte conoscitiva) – ha provveduto a distinguere e definire le diverse tipologie di gas in stoccaggio come segue:
– il cushion gas (CG), che deve restare immobilizzato nel sito per consentire l’erogazione del working gas e che, pertanto, costituisce una risorsa immobilizzata e non estraibile per la vendita;
– il working gas (WG), che si distingue in working gas erogabile (WGe), ovvero il gas che può essere messo a disposizione e reintegrato per essere utilizzato ai fini della prestazione di servizi di stoccaggio, e pseudo-working gas, di fatto assimilabile al cushion gas, in quanto risulta funzionale all’utilizzo del working gas erogabile e non è oggetto di allocazione agli utenti.
Proprio alla luce della classificazione appena riportata, il verificatore ha poi circoscritto il concetto di «efficienza» – a cui l’art. 3.3 della delibera n. 531/2014/R/GAS, attraverso l’uso di un concetto indeterminato non ulteriormente definito, subordina l’ammissibilità degli investimenti –, soffermandosi sulle nozioni di efficienza tecnica e di efficienza economica, fornendo al riguardo i seguenti chiarimenti:
– l’efficienza tecnica deve intendersi come il rapporto fra il (solo) working gas erogabile (WGe), con esclusione quindi dello pseudo-working gas, e la somma di working gas (WG) + cushion gas (CG);
– l’efficienza economica (dello spazio) è il rapporto fra l’investimento effettuato e le prestazioni di spazio rese dal sito (anche in questo caso, in linea con l’indagine conoscitiva VIS 51/09 del 28 maggio 2009, che definisce il concetto in esame come «costo di investimento per unità di WGe ottenuto»), per cui è necessario far riferimento, nel denominatore, al solo working gas erogabile, con esclusione dello pseudo-working gas.
5.3.2 Sulla base di tali premesse definitorie e metodologiche, il verificatore ha provveduto ad effettuare una valutazione delle prestazioni del sito di San Potito e Cotignola, sia rispetto agli altri siti attualmente attivi in Italia, sia in relazione ai dati di carattere previsionale contenuti nel decreto di concessione.
OMISSIS
5.3.3 Sotto un diverso profilo, il verificatore ha messo a confronto le prestazioni effettive del sito con i dati contenuti nell’originario decreto di concessione.
Il verificatore ha, al riguardo, riscontrato una sostanziale corrispondenza fra, per un verso, la riduzione percentuale dell’investimento previsto, pari al 43% (dai 423,9 milioni di euro previsti in concessione ai 241,4 milioni di euro effettivi), e, per altro verso, la riduzione percentuale del working gas erogabile – ossia l’unica tipologia di gas che assume rilievo dal punto di vista economico –, pari al 39,6% (dai 580 MSmc previsti ai 350 MSmc effettivi).
In tal modo, il verificatore ha sostanzialmente smentito l’assunto sulla cui base l’Autorità aveva giustificato l’introduzione del cd. coefficiente di riproporzionamento, ossia quello secondo il quale la riduzione dell’investimento previsto sarebbe avvenuta a fronte di un deterioramento proporzionalmente molto più elevato dell’efficienza del sito in termini di spazio. Tale presunta perdita di efficienza discendeva infatti, d’un lato, dall’erronea scelta di considerare anche lo pseudo-working gas nel calcolo dell’efficienza del sito e, dall’altro lato, da una stima del valore relativo allo pseudo-working gas che il verificatore ha ritenuto «assolutamente abnorme» (pari a 335 MSmc, laddove la somma degli pseudo-working gas di tutti i siti di stoccaggio italiani è pari a 251 MSmc).
OMISSIS
5.3.5 Sotto altro profilo ancora, il verificatore ha ritenuto esulante dai limiti della ragionevolezza tecnica un calcolo dell’efficienza economica del sito che tenga conto anche dello pseudo-working gas – segnatamente nel caso di specie, connotato dalla peculiarità che, in sede di concessione, era stato ipotizzato un valore di pseudo WG palesemente abnorme –, sulla base dei seguenti rilievi: «Di fatto, lo Pseudo-WG non è una prestazione da offrire al mercato ma rappresenta del gas da acquistare e immobilizzare nel giacimento per garantire la prestazione di punta. Ai fini tariffari, lo pseudo WG è sempre stato trattato da ARERA esattamente allo stesso modo del cushion gas, ossia come un capex che concorre alla quota di ricavo tariffario da investimento. I dati relativi alla concessione che l’Autorità utilizza come riferimento per calcolare il c.d. coefficiente di riproporzionamento contengono invece l’anomalia di un quantitativo di pseudo-working gas enorme, che abbassa in misura abnorme il coefficiente di riproporzionamento. Se l’Autorità avesse considerato nel calcolo del coefficiente solamente il WGe, avrebbe trovato che l’efficienza economica del sito sarebbe diventata a regime inferiore del valore di partenza […], annullando quindi la necessità del coefficiente di riproporzionamento».
La relazione di verificazione perviene quindi alla conclusione della non conformità ai correnti parametri di ragionevolezza tecnica della scelta dell’Autorità di calcolare i valori di efficienza economica del sito tenendo conto anche dei quantitativi di pseudo-working gas, e della conseguente erronea ed illegittima applicazione del cd. coefficiente di riproporzionamento.
5.3.6 Alla luce dei sopra riportati accertamenti dell’organismo verificatore – le cui valutazioni poggiano su un’ampia e articolata disamina svolta in contraddittorio con i consulenti di parte e sono suffragate da una motivazione aderente ai parametri regolatori interpretati secondo canoni di ragionevolezza tecnica, intrinsecamente logica e coerente, nonché conforme ai criteri tecnico-scientifici del settore di riferimento –, in accoglimento del motivo all’esame deve affermarsi l’illegittimità della delibera n. 66/2016/R/gas, in punto di valutazione dell’efficienza del sito in questione e nella parte in cui ha fatto applicazione del cd. coefficiente di riproporzionamento, per le ragioni tutte sopra esposte (quanto alle caratteristiche del sindacato giurisdizionale sugli atti regolatori delle autorità indipendenti s’intendono qui integralmente richiamate le considerazioni al riguardo svolte nell’ordinanza collegiale istruttoria con cui è stata disposta la verificazione)».
Massima
Il controllo giurisdizionale sulla ragionevolezza tecnica delle valutazioni compiute dall’Autorità di regolazione per Energia, Reti e Ambiente, in applicazione di un concetto giuridico indeterminato, non può che passare attraverso il vaglio delle risultanze della verificazione disposta dal giudice amministrativo, in contraddittorio tra le parti, onde verificare la conformità ai criteri tecnico-scientifici del settore di riferimento.
Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4465
1. Premesse sui limiti del sindacato giurisdizionale: la progressiva distinzione tra “discrezionalità tecnica” e “valutazione tecnica” - 2. Il carattere “indispensabile” delle verificazioni per giudicare sulla attendibilità delle valutazioni amministrative complesse - 3. Dal sindacato c.d. debole ad un “normale” controllo giurisdizionale? - 4. Osservazioni finali. La “dimensione” (o prospettiva) processuale del problema - NOTE
Il Consiglio di Stato, nel giudizio d’appello deciso dalla sentenza in epigrafe [1], era stato chiamato a giudicare della legittimità degli atti adottati da una autorità di regolazione che avevano fatto applicazione di “concetti giuridici indeterminati” al fine di verificare la sussistenza dei presupposti necessari affinché un impianto produttivo potesse beneficiare di un particolare regime. La soluzione della controversia, dunque, richiedeva di stabilire se, nella fattispecie concreta, l’autorità avesse fatto corretto impiego dei criteri tecnici utilizzabili per accertare la sussistenza dei menzionati presupposti, e ciò sulla base del sapere specialistico proprio della materia che assumeva rilievo. L’importanza della decisione si coglie allora agevolmente, poiché a venire in rilievo è la portata del sindacato ammissibile nell’ambito della giurisdizione amministrativa allorquando rivestano carattere decisivo le ‘valutazioni tecniche’ assunte a fondamento dei provvedimenti impugnati [2].
Volutamente ci si esprime in termini di “valutazioni tecniche”, e non di “discrezionalità tecnica”, poiché, come oramai condiviso in dottrina [3], l’utilizzo della nomenclatura non è “neutra”, nel senso che la precisione terminologica è senz’altro utile a cogliere quelli che dovrebbero essere i (reali) limiti del sindacato giurisdizionale nei riferiti casi. Il progressivo chiarimento circa la natura delle valutazioni compiute dalle autorità indipendenti (pur con le dovute differenze, riferibili alla non perfetta omogeneità dei poteri esercitati dalle diverse autorità [4]), ha immediate implicazioni sul modello di sindacato ammissibile. Peraltro, riconoscere la natura precipuamente tecnica di tali valutazioni, senza escludere – ma in termini di deroga, legislativamente posta – che in taluni casi nell’esercizio del potere sia ravvisabile anche una ponderazione di interessi, comporta la necessità che la motivazione del provvedimento indichi con precisione, e puntualmente, le valutazioni propriamente tecniche e quelle, invece, esito di ponderazione discrezionale degli interessi [5]; il che rende manifesto, anche per questa via, che eventuali limiti in sede di controllo giurisdizionale potrebbero rappresentare l’esito di una autolimitazione del giudice, di una sua inclinazione soggettiva (di “deferenza” o “benevolenza” nei confronti dell’autorità), ma senza trovare giustificazione, sul piano ordinamentale, nei caratteri della giurisdizione amministrativa, così come venutasi a delineare, dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, anche in ordine ai poteri dell’istruttoria processuale [6].
La recente pronuncia del Consiglio di Stato, dunque, si misura con un tema cruciale per comprendere i caratteri della giurisdizione amministrativa [7], e, di riflesso, anche la sua attualità e, anzi, le sue prospettive [8], specie ove si consideri che le vertenze in cui sia parte un’autorità amministrativa indipendente rivestono solitamente grande rilievo: ciò non solo in quanto le relative pronunce sono spesso in grado di condizionare le decisioni regolatorie successive, ma anche in ragione della circostanza che il contenzioso in questione investe settori strategici per lo sviluppo socio-economico del Paese (del resto, un sistema di giustizia in grado di assicurare tutela piena e tempestiva può rappresentare fattore di competitività e di attrattività degli investimenti [9]). In altri termini, sembra riduttivo valutare la rilevanza di tali contenziosi limitatamente alle posizioni delle parti processuali [10].
Sembra utile anticipare che il Consiglio di Stato, nell’esaminare un motivo d’appello decisivo per le sorti della controversia, giudica che la relativa soluzione «non può che passare attraverso il vaglio delle risultanze della verificazione» disposta con precedente ordinanza istruttoria [11]. La “perentorietà” del passaggio motivazionale offre spunti di riflessione, da un lato, e, dall’altro, non deve trarre in inganno. Non deve indurre in errore il lettore, in quanto il Consiglio di Stato non ha certo disconosciuto la rilevanza cruciale del tema rappresentato dai limiti del sindacato, che negli ultimi anni è stato in varie occasioni affrontato in giurisprudenza e dibattuto in dottrina (e di ciò, invero, è stato dato conto nell’ordinanza che ha disposto la verificazione). Per altro verso, spunti di indagine sono forniti dalla prospettiva con la quale il tema sembra essere trattato nella sentenza, vale a dire nella sua “dimensione processuale”, o, se si preferisce, in coerenza con le coordinate oggi deducibili dal codice del processo amministrativo: ciò certamente senza sminuire i “profili” di diritto sostanziale, che, per vari aspetti, rilevano (e che hanno condizionato il modo di esaminare la complessa vicenda dei limiti del controllo giurisdizionale), ma anche senza tenere in giusta considerazione che, nell’ambito del giudizio, tali autorità sono una “parte” al pari degli altri soggetti coinvolti (con quel che ne segue in ordine alle prerogative del giudice amministrativo, anche rispetto all’accertamento dei fatti che rilevano nelle contestazioni).
Tale angolo di visuale, o approccio, nell’esaminare il recente orientamento giurisprudenziale, è giustificato dalla consapevolezza che «il processo amministrativo deve misurarsi innanzi tutto con le regole processuali; il punto di equilibrio fra diritto e processo, anche nel caso della giurisdizione amministrativa, non può essere trovato ignorando le ragioni del secondo» [12]; e pare oggi ancor più necessario visto che il nuovo codice ha accentuato l’autonomia del diritto processuale da quello sostanziale, ponendo le basi per elaborare «modelli più perfezionati di tutela» [13].
Occorre ora riassumere la vicenda decisa dal Consiglio di Stato. La società appellante, attiva nel settore dello stoccaggio di gas naturale, impugnava la sentenza che, in primo grado [14], aveva confermato la legittimità delle delibere dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente che avevano negato la sussistenza delle condizioni previste per poter beneficiare di un certo regime, già posto dalla stessa autorità a salvaguardia dei nuovi investimenti effettuati dalle imprese di settore. Più precisamente, una delibera, tra quelle contestate, subordinava il conseguimento dei benefici alla condizione che i relativi investimenti fossero «compatibili con l’efficienza e la sicurezza del sistema e realizzati secondo criteri di economicità» [15].
L’impugnazione riguardava non tanto la previsione, in sé, della condizione dell’efficienza ai fini del riconoscimento dei benefici, quanto piuttosto la concreta applicazione da parte dell’autorità dei criteri per verificarne la effettiva sussistenza [16]. In particolare, si censurava la irragionevolezza delle motivazioni invocate a sostegno del diniego, per effetto di un’interpretazione distorta del criterio dell’efficienza; si contestava altresì la inattendibilità ed inadeguatezza del metodo in concreto utilizzato per verificare l’efficienza dell’impianto. L’articolazione delle censure, ovviamente, non è priva di significato (e ciò una volta ricordato che l’elaborazione del vizio di eccesso di potere, e delle sue figure sintomatiche, ha rappresentato un momento fondamentale nel delineare i caratteri della giurisdizione amministrativa, e che, nella fase attuale, giunta ad un certo grado di maturazione l’elaborazione sui limiti del giudizio nei confronti della discrezionalità amministrativa, un nuovo “banco di prova” è costituito dalla sindacabilità delle valutazioni di carattere tecnico a fondamento dei provvedimenti amministrativi [17]).
La decisione dell’autorità veniva ritenuta legittima dal giudice di primo grado, il quale tuttavia non prendeva esplicita posizione sulla censura concernente la sostanziale irragionevolezza delle valutazioni applicative del criterio dell’efficienza. Proposto appello, il Consiglio di Stato disponeva una verificazione, ex art. 66 c.p.a., formulando appositi quesiti; e ciò dopo aver illustrato le ragioni di tale decisione, che vale la pena ripercorre qui brevemente, anche in ragione del fatto che, in quell’occasione, il giudice aveva ribadito l’utilità della struttura argomentativa utilizzata nel contenzioso (peraltro, dotato di non trascurabili specificità [18]) in tema di sanzioni antitrust, e che suddivide in specifiche fasi l’iter del controllo del giudice, ma che, a suo tempo, aveva condotto all’affermazione di un modello di sindacato c.d. di tipo debole (si tratta, peraltro, di una struttura argomentativa poi sostanzialmente ripresa da buona parte della giurisprudenza successiva, sia al momento di porre le basi per una puntualizzazione di tale tipo di sindacato, sia rispetto a contenziosi riferiti ad autorità indipendenti diverse da quella c.d. antitrust) [19].
L’ordinanza istruttoria [20], anzitutto, premette che «in tema di sindacato del giudice amministrativa sull’attività di regolazione, è ammessa una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito del regolatore». Vengono, poi, precisati i confini; in particolare: «l’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto».
Si tratta, dunque, di un controllo giurisdizionale «non sostitutivo» che trova fondamento nel contesto ordinamentale specifico dell’attività regolatoria: caratterizzato dall’impossibilità per il legislatore di «governare tutte le possibili reciproche interazioni tra i soggetti interessati e di graduare il valore reciproco dei vari interessi in conflitto»; in tali casi, dunque, il legislatore «si limita a predisporre i congegni per il loro confronto dialettico, senza prefigurare un esito giuridicamente predeterminato» [21].
In questo quadro, l’ordinanza afferma un aspetto decisivo, vale a dire che «allo scopo di verificare se la scelta tecnica prescelta dall’Autorità resista alla obiezioni di irragionevolezza ed inaffidabilità scientifica formulate dall’istante – peraltro in una ipotesi in cui gli stessi criteri prescelti dal regolatore non sono puntualmente definiti e si prestano ad una pluralità di letture ermeneutiche –» il giudice «ha bisogno di acquisire informazioni e punti di vista da parte di un esperto qualificato e terzo rispetto alle parti in causa».
Osservazione solo in apparenza banale concerne la puntualizzazione del giudice circa l’esigenza di “terzietà” dell’organo verificatore, soprattutto se tale aspetto venga confrontato con l’esperienza passata nell’impiego di tale mezzo. Non è infine privo di rilievo che l’ordinanza in parola autorizzi il verificatore, non solo ad estrarre copia degli atti del fascicolo processuale, ma altresì ad «acquisire ogni eventuale ulteriore documentazione ritenuta necessaria ai fini della redazione della relazione» in risposta ai quesiti formulati dal giudice.
I quesiti posti all’organo verificatore erano finalizzati a verificare la corretta applicazione, in concreto, di concetti tecnico-scientifici da parte dell’autorità; tali quesiti si incentravano, in particolare, su preliminari profili definitori e, poi, su aspetti metodologici nell’impiego dei concetti indeterminati, e riferibili al settore specifico dell’intervento dell’autorità (cioè, stoccaggio del gas), dalla stessa autorità posti, ma non ulteriormente definiti.
Sembra evidente che già la scelta dei quesiti sia indice dell’intensità del controllo che il giudice ritiene di poter svolgere. Gli interrogativi posti dal giudice, anzitutto, riguardavano la preliminare definizione degli “indici” che, rispetto al settore di riferimento, assumono rilievo per stabilire il grado di efficienza di un impianto di stoccaggio. Si chiedeva, inoltre, di descrivere la situazione fattuale delle prestazioni effettive dell’impianto dell’appellante. Infine, si chiedeva all’esperto incaricato di esprimersi circa la ragionevolezza, sotto il profilo tecnico-scientifico, delle scelte compiute dall’autorità in ordine al metodo concretamente utilizzato per stabilire il grado di efficienza dell’impianto: in particolare, circa la decisione di considerare, in un certo modo, talune caratteristiche fattuali del sito produttivo, la cui rilevanza concreta presupponeva l’applicazione di concetti tecnico-scientifici [22].
All’esito dei lavori, l’organo verificatore concludeva nel senso della non conformità delle scelte compiute rispetto ai parametri di ragionevolezza tecnica, propri del settore di riferimento. Il Consiglio di Stato ha ritenuto di poter condividere tale conclusione, dopo aver puntualmente argomentato in ordine alla adeguatezza della motivazione addotta dal verificatore, e ciò rispetto ai «parametri regolatori» interpretati secondo canoni di ragionevolezza tecnica, «intrinsecamente logica e coerente». In sintesi, il giudice ha deciso la controversia ritenendo non condivisibili le modalità di concreta applicazione dei concetti indeterminati, rilevanti nel caso, che la stessa autorità aveva contribuito a formulare nelle proprie delibere; e, pertanto, ha giudicato maggiormente attendibile, sotto il profilo tecnico, la soluzione alternativa avanzata dalla società appellante [23].
Viene così sostanzialmente evocato, ancorché senza esplicito riferimento, un modello di sindacato, recentemente teorizzato [24], che consente al giudice di esprimersi in termini di “maggiore” o “minore” attendibilità delle valutazioni tecniche dell’amministrazione. Tale indirizzo non può dirsi ancora consolidato [25], ma i principali assunti sono stati ripresi di recente, per ribadire la necessità di distinguere tra scelte di “ponderazione” discrezionale e “valutazioni tecniche”, nell’ottica di garantire una tutela effettiva, la quale presuppone un penetrante potere di accertamento del fatto da parte del giudice [26]. Per valutare la portata dei due precedenti appena citati, anche nell’ottica di un confronto con la sentenza in commento, occorre considerare sia la specificità della materia all’attenzione delle due suindicate sentenze (sanzioni c.d. antitrust), che si riflette sulla configurazione dei poteri della competente Autorità, sia la circostanza che, ai fini della decisione concreta, i giudici, in quelle occasioni, non avevano fatto ricorso a mezzi istruttori particolari (né c.t.u. né verificazioni).
Ciò precisato, meritano di essere segnalati alcuni passaggi nell’iter argomentativo dell’organo verificatore, e che il Consiglio di Stato ha condiviso, dopo averne vagliato la coerenza (per lo meno espositiva).
Il primo riguarda i parametri e gli elementi utilizzati dal verificatore per stabilire la condivisibilità, o meno, degli apprezzamenti tecnici dell’autorità; il che dipende, per certi versi, da quanto disposto dal giudice (non è privo di rilievo che, nel caso di specie, il giudice avesse consentito all’esperto incaricato di acquisire elementi anche al di fuori del fascicolo processuale). Il secondo aspetto, legato al primo, concerne la possibilità per le parti di fornire un contributo ai lavori dell’organo verificatore.
Rispetto al primo punto, si osserva che l’esperto incaricato ha ritenuto di dover procedere alla definizione, più pertinente rispetto alla fattispecie concreta, di “efficienza” alla luce di un documento formato dalla stessa autorità [27], ancorché poi non richiamato nelle delibere impugnate, e che il Consiglio di Stato ha poi ritenuto adeguata fonte conoscitiva. Ulteriore profilo interessante è che, dopo aver distinto tra efficienza “economica” e “tecnica”, il verificatore ha ritenuto di poter stabilire il grado di efficienza dell’impianto in questione solo tramite verifica delle sue effettive prestazioni, messe poi a confronto con i siti produttivi attivi nel territorio nazionale, e di proprietà di altri operatori economici (quindi, non sono stati considerati unicamente i dati “di carattere previsionale” contenuti nel decreto di concessione di stoccaggio del gas dell’impianto). In altri termini, gli elementi valutati non sembrano essere stati circoscritti a quelli considerati dall’autorità nell’adozione degli atti impugnati. Nella stessa prospettiva si pone la giurisprudenza recente che estende l’impiego delle verificazioni, anche in conseguenza della particolare formulazione dei quesiti: come nel caso in cui è stato chiesto al verificatore di aggiungere, nella relazione finale, tutto quanto ritenuto «utile a fini di giustizia» [28].
Il secondo profilo, che si è detto dipendere dal primo, e in certo qual modo da questo reso necessario, riguarda la garanzia del contraddittorio da assicurare nell’ambito dei lavori del verificatore, ad esempio consentendo la partecipazione dei consulenti delle parti processuali (come dà atto anche la sentenza n. 4465/2021 in commento). Si tratta di un aspetto al quale la giurisprudenza dedica particolare attenzione [29], al momento di disporre con ampiezza (sicuramente maggiore rispetto al passato) le verificazioni, e che va letto anche in relazione dal requisito della “terzietà” dell’esperto incaricato [30].
Non va sottaciuta l’importanza di questi temi, in quanto la possibilità di un pieno e concreto contraddittorio potrebbe interferire su esigenze di riservatezza rispetto ai dati acquisiti dal verificatore, nell’esercizio del suo incarico, ed utilizzati per stabilire l’attendibilità, o meno, delle valutazioni tecniche; ciò, in particolare, allorché l’esperto faccia ricorso a tutte le informazioni a disposizione dell’autorità, comprese quelle non esplicitate nella motivazione del provvedimento impugnato, ma da questo, in vario modo, date per presupposte (la criticità del tema si coglie, ad es., rispetto alle informazioni sui dati tecnici o economici che riguardano i diversi operatori economici operanti in un dato mercato).
Il che conduce ad un problema centrale, rappresentato dalla rilevanza che dette informazioni potrebbero rivestire per garantire un adeguato contradditorio nell’ambito del processo, e dunque una sufficiente istruttoria processuale, che consenta al giudice di conoscere, nella loro reale dimensione, i fatti posti a fondamento degli atti impugnati [31]. Del resto, i caratteri dell’istruttoria processuale si sono andati delineando, fino ad oggi, proprio con lo scopo di rimediare ad una (inevitabile) “asimmetria” informativa tra le parti processuali; quindi, l’impiego delle verificazioni, nella misura consentita dal codice, va correlato alla garanzia dalla “parità” delle parti nel giudizio amministrativo, quale condizione di un “giusto” processo, nell’osservanza delle coordinate costituzionali, secondo la comune opinione della dottrina [32].
Il modello di sindacato che sembra sotteso alla recente sentenza n. 4465 cit. del Consiglio di Stato, ancorché questa non vi faccia esplicito riferimento, va confrontato con le soluzioni fin qui accolte nella giurisprudenza amministrativa. Come è noto, sul punto si è registrata una graduale evoluzione, fino ad ampliare progressivamente i margini di controllo giurisdizionale in ordine alla concreta applicazione da parte dell’amministrazione di “concetti giuridici indeterminati” (o di “clausole generali”).
Peraltro, oltre che con riguardo al contenzioso nei confronti delle autorità di regolazione, il tema dei limiti del sindacato si è posto, come è noto, anche in altre tipologie di contenzioso, come nel caso delle valutazioni c.d. mediche [33], o di quelle per la verifica dell’interesse culturale di un bene. A dimostrazione della circostanza che la giurisprudenza sul punto non si è ancora definitivamente assestata, e che anzi le oscillazioni sono talvolta provocate in ragione della specificità della fattispecie decisa, si consideri che, rispetto alle verifiche circa l’interesse culturale di un bene, si è di recente ribadito che dette verifiche sono espressione di «discrezionalità tecnica» e sono, pertanto, «censurabili solo per manifesta illogicità, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà ovvero se fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti» [34].
Occorrono, a questo punto, alcune preliminare precisazioni.
Come si è già riferito, e come rilevato in dottrina [35], il tema delle “clausole generali” risulta centrale nel diritto amministrativo, poiché riguarda i caratteri peculiari del potere amministrativo, e come tale non si presta a ricostruzioni semplificate, ricollegandosi a questioni ordinamentali, come l’equilibrio tra poteri (in particolare, giudiziario ed esecutivo), o il fondamento del potere di tipo tecnico dell’amministrazione alla luce dei principi dell’ordinamento democratico; il tema si lega strettamente alla rilevanza e alla portata del principio di legalità, e quindi alla necessità che ogni potere dell’amministrazione trovi fondamento in una norma, che ne delinei i caratteri essenziali.
Per altro verso, le clausole generali rappresentano uno strumento indispensabile nella tecnica legislativa, non solo nel diritto amministrativo [36], una volta esclusa la possibilità che il legislatore possa sempre introdurre una disciplina esaustiva, cioè in grado di inquadrare in termini casistici tutte le eventualità della realtà; è comune opinione che l’impiego da parte del legislatore di tali clausole sia inevitabile per consentire all’ordinamento giuridico di adeguarsi ai mutamenti della realtà: il che risulta particolarmente vero per quei settori in cui è evidente che la rapidità dell’evoluzione tecnica (o economica) è di ostacolo alla possibilità di predeterminare un sistema di regole completo (e definitivo). Si giustifica, così, la delega del potere di concretizzazione della fattispecie normativa ad un soggetto, in forza di una sua particolare posizione istituzionale o conoscenza specialistica.
In questo senso è paradigmatica l’esperienza delle autorità amministrative indipendenti, le quali tuttavia pongono, come ampiamente discusso in dottrina, al contempo anche il problema del loro deficit di legittimazione democratica; peraltro, tale deficit accentua un profilo critico che si pone in tutti i casi di previsione legislativa di una clausola generale, vale a dire l’osservanza del principio di legalità, che rispetto alle autorità amministrative indipendente si è cercato di ridimensionare con il rafforzamento delle garanzie procedimentali (per un sufficiente contraddittorio [37]).
Il tema è qui volutamente semplificato e schematizzato (perché, invero, la dottrina ha avuto modo di differenziare la situazione riferibile alle diverse autorità indipendenti), ma è comunque utile a mettere in risalto un profilo: i richiamati elementi hanno talvolta fornito argomenti a favore di una delimitazione del sindacato giurisdizionale, in particolare facendo leva sul peculiare “tecnicismo” delle materie attribuite alla competenza di tali autorità, materie estranee al diverso sapere tecnico proprio del giudice.
È stato anche osservato che il sistema delle clausole generali opera in modo diverso nel diritto amministrativo, e in particolare sotto un profilo soggettivo, quello del titolare del potere di integrazione della norma: infatti, mentre solitamente il destinatario della delega (sottesa alla previsione legislativa di una simile clausola) è il giudice, il quale dunque non interferisce con le prerogative di altri soggetti, diversamente, in ambito pubblicistico, l’attività di integrazione della norma spetta in primo luogo all’amministrazione, e solo eventualmente, ma comunque successivamente, al giudice amministrativo [38]. Il che pone il tema della “riserva” delle relative valutazioni, in sede di applicazione dei concetti giuridici indeterminati, riconosciuta all’amministrazione, e, di conseguenza, il problema dell’ampiezza del relativo sindacato giurisdizionale.
Sul punto, come si è riferito, la giurisprudenza ha registrato una significativa evoluzione, in particolare a partire dal 1999. Comunemente, si fa risalire ad una pronuncia del Consiglio di Stato di quell’anno un momento fondamentale di passaggio [39]: infatti, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione veniva svolto con una verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo. La pronuncia si fondava sulla distinzione tra “discrezionalità tecnica” e “merito” amministrativo, e ammetteva così un sindacato non limitato ai profili “estrinseci”, che invece tradizionalmente avevano rappresentato un preciso confine, considerata la c.d. intangibilità del “merito” amministrativo: secondo il Consiglio di Stato, in sintesi, «la questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma – soltanto perché opinabile – in una questione di opportunità».
Il carattere innovativo delle affermazioni è stato puntualmente evidenziato dai commentatori [40], anche se il nuovo indirizzo, per alcuni versi, sembrava riconducibile ad un filone della giurisprudenza precedente, che già ammetteva un certo margine di sindacabilità delle valutazioni tecniche nei casi, pur rari, di ingiustizia manifesta; in altri termini, una effettiva innovazione rispetto alla precedente giurisprudenza poteva essere riconosciuta al nuovo indirizzo solo se il sindacato sulla “attendibilità” sulle valutazioni tecniche avesse consentito di esprimere un giudizio di “condivisibilità” delle stesse, così che il giudice potesse valutare la ragionevolezza, sotto il profilo tecnico, di una differente soluzione, alternativa a quella accolta dall’amministrazione [41].
Ciò premesso, un argomento a favore di un più penetrante sindacato veniva tratto dalla esperibilità, in caso di giurisdizione esclusiva [42], della consulenza tecnica d’ufficio, che si poneva come strumentale al più completo accertamento del fatto [43]. Sembra utile rimarcare che la pronuncia in questione risale al 1999, sicché il riferimento alla rilevanza della c.t.u. appare significativo per almeno due ragioni. Da un lato, perché nessun richiamo è svolto all’istituto delle “verificazioni”, il che assume un particolare significato, in quanto l’istituto veniva già all’epoca considerato, in linea di principio, idoneo all’accertamento della “esistenza” di un fatto (anche se – come è noto – l’istituto nella prassi non trovava poi particolare diffusione) [44]. Dall’altro, perché, come osservato in dottrina, solo nel 2000 il legislatore ha esteso l’ambito di operatività della c.t.u. alla giurisdizione generale di legittimità, il che peraltro avrebbe potuto rappresentare utile occasione per il definitivo affermarsi di un indirizzo giurisprudenziale favorevole ad un sindacato effettivamente riguardante l’apprezzamento tecnico dei fatti a fondamento delle valutazioni contestate [45].
Ciò, tuttavia, non è accaduto, il che è apparso singolare in quanto l’indirizzo tradizionale che circoscriveva la portata del controllo giurisdizionale non sembrava trovare un puntuale fondamento normativo, ma veniva piuttosto giustificato evocando la carenza di adeguati mezzi istruttori per un giudizio non limitato a profili “estrinseci” [46]. Ed anzi, all’indomani della legge n. 205/2000, ha preso piede, per lo meno inizialmente, un indirizzo favorevole ad un sindacato c.d. debole sulle valutazioni tecniche, e ciò sulla base di argomenti che sostanzialmente prescindevano dall’utilità della c.t.u., pur evocando l’importanza della sua previsione legislativa per affermare l’assenza di limiti nell’accertamento diretto dei fatti a fondamento dell’atto [47]. Si tratta di un orientamento che, sebbene con oscillazioni anche significative, è stato in varie occasioni riproposto in giurisprudenza, seppure con alcuni adattamenti: tra gli argomenti invocati a sostegno vi è quello che fa leva sulla particolare riserva di potere amministrativo sulle valutazioni di ordine tecnico, peraltro giustificata rispetto alle autorità indipendenti in ragione del particolare tecnicismo della materia loro affidata.
Rispetto a tale impostazione una parte della dottrina [48] ha mosso, principalmente, due ordine di rilievi critici: il primo, basato sulla necessità che una simile riserva trovi esplicito fondamento in una norma (una simile riserva, infatti, non può essere considerata implicita né nella opinabilità delle regole tecniche da applicare né nella indeterminatezza della norma giuridica né nella particolare qualificazione del soggetto amministrativo coinvolto); la seconda critica muove dalla considerazione che, pur ammettendo il riconoscimento di una riserva come quella sopra indicata, in ogni caso il giudice avrebbe il potere di verificare la correttezza del criterio previsto e la sua concreta applicazione. Del resto, escludere tale prerogativa per il giudice equivarrebbe a disconoscere un profilo imprescindibile del controllo giurisdizionale rappresentato dall’accertamento del fatto, alla cui inesatta considerazione corrisponde, secondo regole comuni, la illegittimità del provvedimento. Inoltre, la “ritrosia” dimostrata nell’utilizzare uno strumento consentito dalla legge (appunto, la c.t.u.) avrebbe mostrato come la auto-imposizione di limiti nel controllo giurisdizionale fosse il frutto di un atteggiamento (culturale) di “deferenza” nei confronti dell’amministrazione (più che un limite connesso agli equilibri ordinamentali fra amministrazione e giurisdizione).
Peraltro, lo scarso impiego della c.t.u. si è, nei fatti, registrato anche in un passaggio successivo, ritenuto comunque significativo, della giurisprudenza. Ci si riferisce all’indirizzo espresso dal Consiglio di Stato nel 2004 [49], il quale, senza voler smentire il modello di sindacato c.d. debole, ha inteso chiarirne il significato: in sintesi, il limite non riguarderebbe il potere di piena cognizione sui fatti oggetto di indagine e sul processo valutativo, poiché invero, con il suindicato modello di sindacato, si sarebbe voluto porre solo un limite finale alla statuizione del giudice; questo, infatti, «se ritiene le valutazioni dell’Autorità corrette, ragionevoli, proporzionate ed attendibili, non deve spingersi oltre fino ad esprimere proprie autonome scelte, perché altrimenti assumerebbe egli la titolarità del potere».
In tale occasione, peraltro, il Consiglio di Stato assumeva anche che, nel verificare la rispondenza del menzionato modello di sindacato al principio di effettività della tutela, ed ai suoi corollari, anche in considerazione delle coordinate desumibili dal diritto europeo, fosse utile, soprattutto, in un certo senso badare alla sostanza, vale a dire alle modalità con cui il giudice italiano aveva risolto la questione dei confini del controllo; per tale via si intendeva ridimensionare l’importanza di un raffronto tra istituti e terminologie giuridiche (appunto sindacato “debole” o “forte”), e si era così osservato che l’approccio dei nostri giudici fosse molto simile a quello del giudice comunitario. In altri termini, più che alle affermazioni di principio, ogni valutazione sul grado di tutela garantita deve misurarsi con la (reale) accuratezza delle analisi compiute dal giudice per decidere la controversia [50]. Il passaggio è importante perché, sostanzialmente, si ponevano le basi per un graduale superamento dell’indirizzo precedente [51].
Quanto riferito pare significativo poiché sembra esprimere l’idea che la linea evolutiva sia nel senso di una “normalizzazione” del controllo giurisdizionale anche verso le amministrazioni indipendenti: l’analisi della fattispecie concreta rimane, infatti, il punto di riferimento essenziale. Vi è anche un altro aspetto da considerare, nel senso indicato di una “normalizzazione” del controllo giurisdizionale nei riferiti contenziosi, e riguarda l’impiego dei mezzi istruttori.
Nell’indirizzo espresso dalla suindicata sentenza n. 926/2004, rispetto al modello di sindacato ammissibile, rilevano sia la natura del potere delle autorità indipendenti, sia le modalità del suo esercizio. A riguardo il Consiglio di Stato riconosce che un sindacato pieno (ma, comunque, di tipo non sostitutivo) sia reso necessario proprio dalla circostanza che le autorità indipendenti si pongono al di fuori del circuito dell’indirizzo politico. Su tali premesse, il giudice, pur asserendo che la previsione legislativa della c.t.u. sia indice dell’elevato grado di effettività di tutela assicurabile, conclude poi che sia, in certo senso, superfluo il suo concreto utilizzo, quanto meno in alcune ipotesi: ai fini della verifica dei fatti sarebbe, infatti, sufficiente quanto già emerso nell’ambito del procedimento svoltosi avanti all’autorità, ove, proprio in ragione del tecnicismo della materia e del deficit di legittimazione democratica, operano peculiari strumenti di garanzia partecipativa [52].
In tal modo, però, si finisce per attribuire peso (almeno potenzialmente) decisivo all’istruttoria procedimentale, pur (in ipotesi) adeguata ai fini della garanzia del contraddittorio in quella sede, ma che rimane comunque attività istruttoria svolta al di fuori del giudizio (e, per i casi che qui più interessano, avanti a quella autorità che, poi, assume la posizione di amministrazione resistente). Persiste, insomma, una sorta di presunzione di esattezza ed esaustività degli apprezzamenti compiuti dall’amministrazione, che però costituisce proprio l’oggetto della contestazione avanti al giudice, e che ciononostante questo evita di approfondire con i mezzi ammessi. Il che non risulta del tutto appagante, poiché si sminuisce la rilevanza dell’istruttoria, e dei suoi caratteri, nell’ambito del processo; la circostanza che le garanzie procedurali siano assistite da particolari formalismi, o che addirittura (come nel caso del c.d. adversary system considerato dalla sent. 926 cit.) siano di derivazione processuale, non sposta i termini del problema [53].
Questa digressione, volutamente svolta per sommi capi (e che, necessariamente, non può qui essere esaustiva), sembra utile a porre in risalto le ragioni per cui la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (che pare espresso dalla sent. n. 4465/2021) segna un netto distacco rispetto al passato.
Occorre a questo punto una precisazione; l’introduzione, a partire dal 2000, della possibilità di disporre la c.t.u. nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità ha rappresentato un riferimento importante nella giurisprudenza del tempo per sostenere la necessità di un ampliamento del sindacato sulle valutazioni tecniche; tuttavia, alla affermazione di principio non ha poi fatto seguito, nella pratica, un concreto utilizzo. La scarsa diffusione, nella prassi giudiziaria, della c.t.u. si continua a registrare. Ma la prospettiva, oramai, è cambiata. Infatti, negli orientamenti più recenti, la cautela nell’impiego della c.t.u. non sembra frutto di un atteggiamento di “deferenza” verso l’amministrazione, quanto piuttosto l’esito di una scelta tra due opzioni, espressamente consentite dalla legge, la quale peraltro esprime un favor per l’istituto delle ‘verificazioni’ [54].
La pronuncia del Consiglio di Stato in commento offre spunti di riflessione e pone alcuni interrogativi. La decisione sembra inserirsi nel solco del recente indirizzo che propende per un sindacato che consente di verificare la maggiore o minore attendibilità delle valutazioni tecniche dell’amministrazione [55]; si ammette, infatti, che tali valutazioni possano essere “smentite” dalla prospettazione alternativa della soluzione offerta dalla controparte processuale circa la soluzione della “questione tecnica”. In altri termini, non sarebbe riservata all’amministrazione la scelta di quale sia la soluzione tecnica migliore, in quanto il giudice dispone del potere di stabilire se la diversa soluzione offerta dalla controparte sia da preferire, in quanto meglio argomentata sulla base del sapere scientifico del settore di riferimento [56].
L’iter argomentativo espresso nella motivazione della sentenza, nell’esporre i lavori del verificatore, sembra essere chiaro indice dalla circostanza che, secondo il Consiglio di Stato, la “legittimità” del provvedimento non può prescindere dalla “esattezza” della soluzione in concreto accolta (che sia, cioè, anche scientificamente corretta, e ciò, come si è riferito, secondo l’impostazione che una parte di dottrina auspicava nelle riflessioni critiche sui diversi orientamenti in tema). E il rischio, da molti evidenziato, che il giudice, non “esperto” della materia tecnica di riferimento, si sostituisca all’amministrazione con valutazioni, a loro volta, di dubbia “attendibilità”, sembra ridimensionato dall’impiego effettivo che il giudice ha fatto delle risultanze della verificazione (e, cioè – va rimarcato – garantendo il contraddittorio tra consulenti, senza comunque esimersi dal verificare la coerenza del ragionamento condotto dal verificatore per giungere alla conclusione).
Resta fermo che, pure a tale stregua, non tutti i nodi critici sono sciolti: si potrebbe, infatti, obiettare che il giudice, privo della conoscenza tecnica della materia trattata, non sia, in ogni caso, in grado di verificare la correttezza, sotto il profilo tecnico, delle conclusioni accolte dall’esperto incaricato [57]; l’interrogativo è serio, anche se forse rischia di riproporre, sotto altra veste, una chiave di lettura del problema che riconosce una sostanziale riserva delle valutazioni tecniche alle amministrazioni (in quanto dotate di peculiari competenze). Ciò detto, l’interrogativo sopra posto sembra essere tenuto in considerazione dalla giurisprudenza (per lo meno da una sua parte); è significativo, infatti, che nel fare impiego delle verificazioni (o della c.t.u.) sia prestata particolare attenzione all’esigenza di un pieno contraddittorio tra i consulenti delle parti nell’ambito dei lavori dell’organo verificatore [58].
L’indirizzo espresso dalla sentenza n. 4990/2019 cit. (che la sentenza in commento pare sostanzialmente accogliere) non può dirsi consolidato [59], ma i suoi principali assunti sono stati anche di recente ripresi [60], con lo sforzo di delineare una più netta distinzione tra scelte “discrezionali” e valutazioni “tecniche”, e ciò al fine di porre le basi per una tutela effettiva, fondata sulla “parità” delle parti processuali. Il che mi pare condivisibile nella misura in cui non si voglia concludere che l’attribuzione ad un’amministrazione di un potere di valutazione fondato su criteri tecnici, dunque di per sé, ed in linea di principio, “neutri” [61], debba comportare una limitazione degli strumenti di tutela giurisdizionale a disposizione del soggetto privato, in particolare rispetto alla ricostruzione del fatto controverso (risultato, questo, difficilmente conciliabile con le attuali coordinate costituzionali). In questa prospettiva va aggiunto che nelle riflessioni più avanzate, di cui si è dato conto, la possibilità di distinguere con maggiore nettezza “valutazioni tecniche” da scelte di “ponderazione” degli interessi, in particolar modo nell’ambito dell’attività delle autorità di regolazione, conduce a configurare un puntuale onere di motivazione dei provvedimenti adottati, con quel che ne consegue in ordine alle censure opponibili [62].
Non va certo sottaciuto che il modello di sindacato proposto dalla ricordata pronuncia del 2019 sia stato oggetto di riflessioni critiche in dottrina, le quali, in sintesi, fanno leva sull’esigenza di garantire l’equilibrio complessivo del sistema [63].
La sentenza in commento non prende esplicita posizione sul punto (e il mancato espresso riferimento a puntuali precedenti giurisprudenziali, probabilmente, ne è indice [64]); ma neppure tale pronuncia sembra voler assecondare una tendenza, in altre occasioni (criticamente) osservata dalla dottrina, alla autolimitazione nell’esercizio dei poteri codificati, che sembrava essere più una “inclinazione” soggettiva dell’organo giudicante che una soluzione giuridicamente imposta (dunque, priva di reale giustificazione rispetto ai caratteri della giurisdizione amministrativa, così come venutasi a delineare in forza del dato normativo).
In conclusione, in assenza di specifiche disposizioni di legge, non sembrano esservi ragioni di diritto positivo, che impongano, o meglio consentano, un sindacato che, in qualche modo, si differenzi rispetto ad un modello “normale” di controllo giurisdizionale; il quale cioè sia svolto secondo le regole del relativo processo (dunque con il contributo istruttorio fornito, rispetto a questioni tecniche, da un organo verificatore o da un consulente tecnico, e ciò nell’ottica di garantire parità delle parti anche nella fase istruttoria, peraltro secondo le coordinate della Costituzione).
Invero, vi sono casi in cui il legislatore è intervenuto per limitare in modo significativo il sindacato giurisdizionale nei confronti delle valutazioni tecniche, come è accaduto nell’ordinamento tedesco [65], o, nel nostro, tramite la previsione che esclude la possibilità di disporre verificazioni o consulenze tecniche d’ufficio nelle vertenze che riguardano la crisi degli istituti bancari [66]. Peraltro, almeno rispetto a quest’ultimo caso, sono stati avanzati seri interrogativi, in quanto la riferita esclusione si porrebbe come limite probatorio assoluto, «che compromette non solo la parità delle parti nel processo, ma anche una componente fondamentale del diritto d’azione» [67].
Quanto riferito vale a rimarcare che la tematica dei limiti del sindacato nei confronti delle valutazioni tecniche non può prescindere da un angolo di visuale che consideri la dimensione ‘processuale’ del problema, come sembra potersi cogliere anche nella sentenza in commento [68].
[1] Cons. Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4465.
[2] Il tema trattato, anche per i molteplici aspetti che questo lambisce, sono notoriamente oggetto di vasta letteratura; pertanto, i riferimenti in nota sono necessariamente limitati agli studi che sono sembrati più utili per un inquadramento generale, e per lo sviluppo delle riflessioni proposte nelle presenti note.
[3] La distinzione, chiarita a partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso, è stata poi ripresa, ed approfondita, da buona parte della dottrina successiva (C. Marzuoli, Potere amministrativo e valutazioni tecniche, Giuffrè, Milano, 1985; D. De Pretis, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Cedam, Padova, 1995; P. Lazzara, Autorità indipendenti e discrezionalità, Cedam, Padova, 2002). Per una prospettiva differente cfr. F. Volpe, Discrezionalità tecnica e presupposti dell’atto amministrativo, in Dir. amm., 2008, p. 831.
[4] La criticità del tema è immediatamente percepibile alla luce della recente giurisprudenza costituzionale specificamente riferita all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Corte Cost., 31 gennaio 2019, n. 13, in Foro it., 1, 2019, p. 1523). Per un inquadramento più generale della tematica cfr. D. Sorace, La desiderabile indipendenza della regolazione, in Merc. conc. reg., 2003, p. 338; F. Merusi, Democrazia e autorità indipendenti, Il Mulino, Bologna, 2000; S. Cassese-C. Franchini (a cura di), I garanti delle regole, Il Mulino, Bologna, 1996; G. Amato, Autorità semi-indipendenti e autorità di garanzia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, p. 647 ss.; M. Clarich, Autorità indipendenti. Bilancio e prospettive di un modello, Il Mulino, Bologna, 2005; M. Ramajoli, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Giuffrè, Milano, 1998; G. Morbidelli, Regolazione e concorrenza nel mercato energetico, in AA.VV., Regolazione e concorrenza nei mercati energetici, Vita e Pensiero, Milano, p. 43.
[5] E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica, politica e democrazia, Giappichelli, Torino, 2019, in part. p. 84 ss., 168, ove peraltro si evidenzia che la possibilità di distinguere, nella motivazione dell’atto regolatorio, le diverse espressioni di esercizio di potere discrezionale, da un lato, e, dall’altro, di valutazioni tecniche si riflette sulle tecniche di tutela giurisdizionale e sui vizi censurabili. L’importanza di questo profilo si coglie considerando che, secondo un certo indirizzo giurisprudenziale, proprio la difficoltà di distinguere tra il carattere di opinabilità dei giudizi tecnici (attratti nella cognizione del giudice) e i profili della opportunità (sottratti al sindacato), ciò in particolare in presenza di valutazioni complesse dell’amministrazione (dove rilevano “concetti giuridici indeterminati”), conduceva il giudice ad ammettere (solo) un controllo “di tipo debole”, di cui si riferirà.
[6] Il riferimento alla “deferenza” o “benevolenza” del giudice è contenuto, rispettivamente, in F. Denozza, Discrezione e deferenza: il controllo giudiziario sugli atti delle autorità indipendenti «regolatrici», in Merc. conc. reg., 2000, p. 469 ss., e A. Travi, Giudice amministrativo e Autorità indipendenti: il caso del sindacato sugli atti dell’Autorità antitrust, in Analisi giudica dell’economia, 2002, p. 433. Con tali riferimenti si intendeva descrivere una certa inclinazione del giudice (non solo nel nostro ordinamento) ad affrontare la tematica del controllo giurisdizionale delle valutazioni tecniche svolte da autorità di regolazione; a tali termini spesso anche altra dottrina ha fatto ricorso per commentare la giurisprudenza amministrativa che, in una certa fase si è affermata, con l’elaborazione del sindacato c.d. debole. Mette in rilievo che l’atteggiamento del “giudice”, spesso riscontrato nei casi appena riferiti, non sia però, del tutto, coerente coi caratteri della “giurisdizione amministrativa” A. Travi, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, p. 439 ss. Il tema specifico trattato in queste note si colloca in un quadro più ampio, riferito al dibattito sulla progressiva estensione dei poteri del giudice amministrativo (F. Goisis, La full jurisdiction nel contesto della giustizia amministrativa: concetto, funzione nodi irrisolti, in Dir. proc. amm., 2015, p. 546).
[7] A. Travi, Giudice amministrativo e Autorità indipendenti: il caso del sindacato sugli atti dell’Autorità antitrust, cit., p. 425.; che il tema delle “clausole generali” (o anche “concetti giuridici indeterminati”) costituisca tema centrale nel diritto amministrativo è, da ultimo, evidenziato da M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, ETS, Pisa, pp. 5, 9, 37, 44.
[8] Solo un cenno si può fare al dibattito che ruota attorno alle ragioni che giustificano, o meno, la conservazione della giurisdizione amministrativa, ed ai motivi che portano comunque a qualificare il giudice amministrativo come una “risorsa”, per la capacità di assicurare soluzioni adeguate alle caratteristiche del contenzioso che vede parte la pubblica amministrazione (A. Proto Pisani, Appunti sul giudice delle controversie fra privati e pubblica e pubblica amministrazione, in Foro it., 5, 2009, p. 369; R. Villata, Giustizia amministrativa e giurisdizione unica, in Dir. proc. amm., 2014, p. 285; A. Travi, Il giudice amministrativo come risorsa?, in Quest. giust., 2021, p. 26).
[9] M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, Il Mulino, Bologna, 2021, p. 19.
[10] Tale profilo è particolarmente vero rispetto al contenzioso che coinvolge l’autorità di regolazione del settore energetico, il che peraltro richiede che la soluzione delle vertenze debba avvenire «secondo criteri corretti dal punto di vista giuridico», dunque «soluzioni ispirate essenzialmente ai canoni della legittimità amministrativa»: da qui la rilevanza della nozione di legittimità amministrativa accolta «con la quale si misurano gli interventi del giudice amministrativo in materia di istruttoria, di limiti del sindacato di legittimità, di riscontro delle valutazioni tecniche dell’amministrazione» (A. Travi, Presentazione in M. La Cognata (a cura di), Il contenzioso amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il GAS, Vita e Pensiero, Milano, 2012, p. VII ss.).
[11] Cons. Stato, sez. VI, ord. 30 ottobre 2019, n. 7430.
[12] A. Travi, Giurisdizione e amministrazione. Rileggendo Edoardo Garbagnati, in Jus, 2014, p. 108.
[13] M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, cit., pp. 13, 43. Considerazioni analoghe sono espresse da F.G. Scoca, Il processo amministrativo ieri, oggi, domani (brevi considerazioni), in Dir. proc. amm., 2020, p. 1097.
[14] TAR Lombardia, Milano, sez. II, 8 ottobre 2018, n. 2232.
[15] Delibera ARERA 30 ottobre 2014, n. 531/2014/R/GAS (art. 3.3).
[16] Fra le censure avanzata vi era anche quella riferita alla sostanziale modifica, con effetti retroattivi, del quadro regolatorio per effetto delle delibere impugnate, con conseguente violazione di legittimo affidamento riposto dagli operatori economici nella stabilità del regime, condizionandone gli investimenti. Anche questo aspetto assume, in termini generali, una particolare importanza nel contenzioso con la autorità di regolazione in questione, ed è di particolare interesse in quanto rappresenta un campo di verifica della portata applicativa del principio di tutela dell’affidamento dei soggetti coinvolti. Sul punto il Consiglio di Stato non conferma la statuizione di rigetto disposta in primo grado accedendo ad una interpretazione differente da quella del TAR in ordine al presupposto per l’operatività del regime dei benefici (data di entrata in esercizio dell’Impianto), in senso favorevole all’appellante, e con argomenti non particolarmente rilevanti ai fini delle presenti note.
[17] Sulla circostanza che la tutela nei confronti del potere discrezionale ha rappresentato il banco di prova per qualsiasi concezione della giurisdizione amministrativa (e dell’interesse legittimo) cfr. A. Travi, Giurisdizione e amministrazione. Rileggendo Edoardo Garbagnati, cit., p. 98. Dire che si è giunti a una certa maturazione dell’elaborazione sui caratteri del giudizio svolto nei confronti della discrezionalità amministrativa non significa negare che la riflessione sul tema sia sempre attuale (sul punto cfr. R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, Giappichelli, Torino, 2017, p. 470; F.G. Scoca., L’interesse legittimo. Storia e teoria, Giappichelli, Torino, 2017, p. 399 ss.; S. Torricelli, Eccesso di potere ed altre tecniche di sindacato sulla discrezionalità, Giappichelli, Torino; G. Sigismondi, Eccesso di potere e clausole generali. Modelli di sindacato sul potere pubblico e sui poteri privati a confronto, Jovene, Napoli, 2012; C. Cudia, Funzione amministrativa e soggettività della tutela. Dall’eccesso di potere alle regole del rapporto, Giuffrè, Milano, 2008).
[18] R. Caranta, Il sindacato giurisdizionale sugli atti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in E. Ferrari-M. Ramajoli-M. Sica (a cura di), Il ruolo del giudice di fronte alle decisioni amministrative per il funzionamento dei mercati, Giappichelli, Torino, 2006, p. 245; F. Cintioli, Orizzonti della concorrenza in Italia. Scritti sulle istituzioni di tutela della concorrenza, Giappichelli, Torino, 2019, passim.
[19] Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199; la stessa struttura argomentativa è ripresa da Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2004, n. 926, e di recente ad es. da Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4322; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 779.
[20] Cons. Stato, sez. VI, ord. 30 ottobre 2019, n. 7430.
[21] In tali casi – prosegue l’ordinanza cit. – «l’attività integrativa del precetto corrisponde ad un tecnica di governo attraverso la quale viene rimesso ai pubblici poteri di delineare in itinere l’interesse pubblico concreto che l’atto mira a soddisfare».
[22] Particolare importanza rivestiva la classificazione delle differenti tipologie dei gas di stoccaggio, e la loro diversa incidenza sulle prestazioni di un sito di stoccaggio; più precisamente, ai fini della definizione di “efficienza economica”, si trattava di stabilire se il c.d. pseudo working gas andasse computato, o meno, nel volume di gas che può essere erogato in base alle esigenze dettate dal mercato. Sul punto, la ricostruzione fornita dalle parti processuali differiva. Peraltro, in alcune Delibere della stessa ARERA si riscontravano contraddizioni sul punto, divergendo per certi versi dalle indicazioni del d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, recante le norme per il mercato del gas naturale. In particolare, venivano riscontrate due diverse definizioni di “efficienza tecnica” rispetto ad un impianto di stoccaggio, entrambe presenti nei documenti dell’autorità, che in modo differente valutavano la rilevanza del c.d. pseudo working gas (cfr. delibera 23 aprile 2015, n. 182/2015/R/GAS, che richiama sul punto il d.lgs. n. 164/2000, e la delibera VIS 28 maggio 2009, n. 51/09).
[23] Come si è riferito nella precedente nota, infatti, l’elemento che determinava una diversità di impostazione tra autorità ed appellante riguardava la rilevanza da attribuire, per stabilire l’efficienza del sito produttivo, del c.d. pseudo working gas; in particolare, nella prospettiva dell’appellante tale tipologia di gas di stoccaggio non doveva essere valutato. La verificazione conferma quest’ultima impostazione, e il giudice ritiene che l’iter degli argomenti svolto per giungere a tale conclusione sia adeguatamente motivato secondo i parametri della scienza di riferimento, e dunque da condividere, con conseguente annullamento degli atti impugnati, ma espressamente facendo salvi tutti gli effetti conformativi che ne conseguono in sede di riedizione del potere dell’autorità (come da regola generale).
[24] Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990; sui profili critici che tale giurisprudenza pone cfr. S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sule valutazioni tecniche: il curioso caso degli atti della autorità indipendenti, in Dir. amm., 2020, p. 97, e M. Delsignore, I controversi limiti del sindacato sulle sanzioni AGCM: molto rumore per nulla?, in Dir. proc. amm., 2020, p. 740. Le osservazioni critiche si incentrano, in estrema sintesi, sull’esigenza di assicurare l’equilibrio del sistema, in relazione ai vari poteri coinvolti (sul punto cfr. R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 146).
[25] La portata innovativa della sent. n. 4990/2019 è stata ridimensionata dalla giurisprudenza successiva (Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2020, n. 1257; Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2019, n. 5559, Cons. Stato, sez. VI, 2 settembre 2019, n. 6022, e Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2019, n. 7719: si noti che queste ultime pronunce richiamano sì la sent. n. 4990 cit. ma con riferimento a quei passaggi della sua motivazione maggiormente conformi all’orientamento prevalente, con ciò ridimensionando la rilevanza degli argomenti a sostegno di un sindacato più penetrante).
Va segnalato che, talvolta, il Consiglio di Stato ha rilevato l’assenza di un adeguato utilizzo dei mezzi istruttori a supporto della decisione del giudice di primo grado di accogliere le censure avverso le valutazioni tecniche effettuate dall’amministrazione: così cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2020, n. 1957, secondo cui se è vero che in generale sussiste la sindacabilità della discrezionalità tecnica delle determinazioni delle autorità indipendenti, è altrettanto vero che è inibito al giudice imporre verifiche tecniche diverse da quelle previste dal vigente quadro regolatorio. Infatti, sebbene il sindacato giurisdizionale, pieno ed effettivo, sugli atti regolatori delle autorità indipendenti si estenda anche all’accertamento dei fatti operato dall’autorità sulla base di concetti giuridici indeterminati o di regole tecnico-scientifiche opinabili, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico, e implichi la verifica del rispetto dei limiti dell’opinabile tecnico-scientifico (e, nell’ambito di tali confini, anche del grado di attendibilità dell’analisi economica e delle valutazioni tecniche compiute, alla stregua dei criteri della ragionevolezza e della proporzionalità), attraverso gli strumenti processuali a tal fine ritenuti idonei (ad. es., consulenza tecnica d’ufficio, verificazione, ecc.), tale sindacato non può, tuttavia, spingersi fino al punto di sostituire le valutazioni discrezionali dell’amministrazione, come avvenuto nel caso deciso, sulla base di una motivazione apodittica non supportata da specifici riferimenti normativi ed adeguati elementi istruttori.
[26] In particolare, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2414, che rigetta la tesi della Autorità garante della concorrenza e del mercato secondo cui «la valutazione della diligenza professionale, cui è tenuto un professionista in uno specifico settore di riferimento, costituirebbe una valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità, sindacabile dal giudice amministrativo soltanto sotto il profilo della congruenza logica e della razionalità». Va osservato che, ai fini della decisione, il Giudice non ha ritenuto necessario disporre una verificazione o un c.t.u. In tale sentenza si legge: «L’Autorità sembra invocare, per sé stessa, una posizione soggettiva di intangibilità mutuata dall’apparato concettuale del “merito amministrativo”, con il corollario di un controllo giudiziale ristretto a un approccio esterno ed estrinseco. Sennonché, tale impostazione ‒ alla luce della quale spetterebbe all’Autorità l’interpretazione e l’applicazione della norma sanzionatoria, residuando al giudice amministrativo solo la possibilità di vagliare l’esemplificazione del concetto indeterminato contenuta nel provvedimento ‒ finirebbe per frapporre una distanza tra il giudice amministrativo ed i fatti controversi che la giurisprudenza di questa Sezione ha da tempo inteso colmare (cfr. nel campo delle sanzioni antitrust, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4990/2019). Quando il fatto produttivo di effetti giuridici ‒ la fattispecie dell’illecito ‒ è descritto dalla norma mediante elementi normativi indeterminati, spetta al giudice l’opera di estrapolazione della regola dalla clausola generale. Nelle fattispecie sanzionatorie, gli elementi descrittivi del divieto sono presi in considerazione dalla norma attributiva del potere, nella dimensione oggettiva di “fatto storico” accertabile in via diretta dal giudice, e non di fatto “mediato” dall’apprezzamento dell’Autorità. Per questi motivi, il giudice non deve limitarsi a verificare se l’opzione prescelta da quest’ultima rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili che possono essere date a quel problema alla luce delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto, bensì deve procedere ad una compiuta e diretta disamina della fattispecie. La sussunzione delle circostanze di fatto nel perimetro di estensione logica e semantica dei concetti giuridici indeterminati è attività intellettiva ricompresa nell’interpretazione dei presupposti della fattispecie normativa, in quanto il tratto “libero” dell’apprezzamento tecnico si limita qui a riflettere esclusivamente l’opinabilità propria di talune valutazioni giuridiche, tecniche ed economiche. Ne consegue che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva e rispettosa della garanzia della parità delle armi, deve consentire al giudice un controllo penetrante attraverso la piena e diretta verifica della quaestio facti sotto il profilo della sua intrinseca verità (per quanto, in senso epistemologico, controvertibile)».
[27] Delibera VIS 28 maggio 2009, n. 51/09, che, in chiusura di apposita istruttoria conoscitiva, pubblica la «Indagine conoscitiva sull’attività di stoccaggio di gas naturale», svolta congiuntamente dall’AEEG (oggi ARERA) e AGCM. Tale indagine, esplicitando concetti tecnico-scientifici del settore, ha agevolato la verifica dei parametri concreti per stabilire l’efficienza di un impianto di stoccaggio; all’esito di tale preliminare operazione il verificatore conclude che il c.d. pseudo-working gas non rileva per verificare la efficienza delle prestazioni di un impianto di stoccaggio.
[28] Cons. Stato, sez. VI, 6 luglio 2020, n. 4322. Il riferimento all’acquisizione di tutto quanto ritenuto ai fini di giustizia non pare possa essere ridotto a mera “clausola di stile”, se non altro per l’impatto che le valutazioni del verificatore potrebbero avere nella ricostruzione del fatto controverso, e nella formazione del convincimento del giudice in ordine agli apprezzamenti tecnici compiuti dall’autorità.
[29] L’attenzione per la garanzia del contraddittorio, in sede di svolgimento delle attività del verificatore, è dimostrata anche dalla circostanza che, talvolta, la possibilità di replica alla relazione dell’organo verificatore è stata espressamente disposta dal giudice in un secondo momento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, ord. 11 giugno 2018, n. 3540; Cons. Stato, sez. VI, 6 marzo 2019, n. 1550). Analoga garanzia di contradditorio è affermata anche rispetto ai lavori del c.t.u. (Cons. Stato, sez. VI, ord. 5 novembre 2018, n. 6236).
[30] La terzietà (anche) del verificatore è, oramai, un requisito fondato sulla legge. Infatti, il c.p.a. prevede che l’incarico di consulenza possa essere affidato a soggetti aventi particolare competenza tecnica, con espressa esclusione di coloro che prestano attività in favore delle parti del giudizio, e che la verificazione sia affidata a un organismo pubblico, estraneo alle parti del giudizio, munito di specifiche competenze tecniche (art. 19); inoltre, anche il verificatore può essere ricusato per le cause previste dall’art. 51 c.p.c. (art. 20, comma 2, c.p.a.).
[31] Per le implicazioni sull’accertamento del fatto, evenienza ordinaria nell’ambito del giudizio di legittimità, allorquando il contenzioso verta intorno all’applicazione di “concetti giuridici indeterminati”, cfr. F. Trimarchi Banfi, Ragionevolezza e discrezionalità delle decisioni amministrative, in Dir. proc. amm., 2019, p. 313, in part. p. 326 ss.
[32] Su questi temi, lo studio di riferimento, con il quale buona parte della dottrina continua a confrontarsi, rimane quello di F. Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, Cedam, Padova, 1953, passim; secondo l’Autore, in estrema sintesi, l’istruttoria processuale deve mirare alla ricostruzione della “verità” materiale, non limitandosi al controllo sull’adeguatezza dell’istruttoria procedimentale condotta dall’amministrazione; il che presuppone un pieno contraddittorio delle parti processuale, poste su di un piano di parità avanti al giudice (sul punto cfr. A. Travi, Feliciano Benvenuti e la giustizia amministrativa, in Jus, 2008, p. 409 ss., in part. p. 412).
[33] Tipologia di contenzioso che riguardava proprio la sentenza del Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601, in Foro it., 2001, p. 9, con nota di A. Travi, di cui si dirà in quanto significativo passaggio della giurisprudenza in tema.
[34] Cons. Stato, sez. I, parere 30 novembre 2020, n. 1958.
[35] Per la ricostruzione che segue nel testo cfr. R. Villata, Giurisdizione esclusiva e amministrazioni indipendenti, in Dir. proc. amm., 2002, p. 792 ss.; F. Merusi, Giustizia amministrativa e autorità amministrative indipendenti, in Dir. amm., 2002, p. 181 ss.; F. Merusi, Variazioni su tecnica e processo, in Dir. proc. amm., 2004, p. 973 ss.; M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., pp. 17, 39, 45; A. Travi, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, cit., p. 439 ss.; F. Denozza, op. cit., p. 469 ss.; F. Trimarchi Banfi, op. cit., p. 313 ss.; F. Fracchia, Giudice amministrativo ed energia: il sindacato del TAR Lombardia sugli atti dell’Autorità per l’Energia e il Gas, in Dir. econ., 2007, p. 631 ss.; M. Protto, Valutazioni tecniche, giudici nazionali e diritto comunitario, in Giur. it., 1999, p. 833; A. Pajno, Il giudice delle autorità amministrative indipendenti, in Dir. proc. amm., 2004, p. 617.
[36] Ad es. S. Patti, Ragionevolezza e clausole generali, Giuffrè, Milano, 2016, in part. p. 31 ss.
[37] Cons. Stato, sez. VI, 14 dicembre 2020, n. 7972; Corte Cost., 7 aprile 2017, n. 69; Cons Stato, sez. VI, 24 maggio 2016, n. 2182. Il tema si lega – come evidenzia Cons. Stato, sez. VI, n. 7972/2020 cit. – alla problematica dei poteri c.d. impliciti delle autorità di regolazione, su cui cfr. N. Bassi, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Giuffrè, Milano, 2001, passim; E. Bruti Liberati, La regolazione indipendente dei mercati. Tecnica politica e democrazia, cit., p. 87. Su tutti questi aspetti, cfr. M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., pp. 11, 17, 28 ss.; A. Pajno, op. cit., p. 617 ss., in part. p. 637.
[38] M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., p. 46 ss.
[39] Cons. Stato, sez. IV, n. 601/1999, cit.
[40] D. De Pretis, Discrezionalità tecnica e incisività del controllo giurisdizionale, in Giorn. dir. amm., 1999, p. 1179; M. Delsignore, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche: nuovi orientamenti del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 2000, p. 185; P. Lazzara, «Discrezionalità tecnica» e situazioni giuridiche soggettive, in Dir. proc. amm., 2000, p. 212. È stato rilevato che tale nuovo indirizzo evoca l’elaborazione teorica di F. Ledda, Potere, tecnica e sindacato giudiziario sull’amministrazione pubblica, in Dir. proc. amm., 1983, p. 427 (il punto è sottolineato in M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., p. 26).
[41] Diversamente, se il giudizio di “inattendibilità” si risolve in una valutazione di non conformità al “senso comune” (o a ciò che appare “notorio” nella comune esperienza) il risultato garantito anche dall’indirizzo del 1999 in commento non si discosterebbe di molto da una certa giurisprudenza tradizionale, che ammetteva in simili casi l’illegittimità per ingiustizia manifesta delle valutazioni tecniche (così A. Travi a commento di Cons. Stato, sez. IV, n. 601/1999, cit., p. 12).
[42] In particolare, la sentenza n. 601/1999 cit. richiama il caso del processo del lavoro pubblico, e le materie – edilizia, urbanistica, servizi pubblici – di giurisdizione esclusiva piena (art. 35, comma 3, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80); in particolare, il Consiglio di Stato richiama la sentenza additiva della Corte costituzionale 23 aprile 1987, n. 146 (in Dir. proc. amm., 1987, p. 558), la quale, rispetto al contenzioso del pubblico impiego, aveva provveduto ad integrare la fattispecie legale dell’art. 44 del TU 26 giugno 1924, n. 1054, nella parte in cui non consentiva l’esperimento della consulenza tecnica d’ufficio di cui all’art. 424 c.p.c.
[43] Accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento che il Consiglio di Stato, nella sent. n. 601, cit., indica come possibile (e tipico) nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità.
[44] In ogni caso, secondo l’indirizzo maggioritario, già affermatosi prima dell’entrata in vigore del codice, verificazione e c.t.u. si distinguono in considerazione dell’oggetto dell’accertamento: la verificazione sarebbe diretta non all’acquisizione di un giudizio tecnico, ma all’effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa (ex multis cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 138). Lo scarso impiego dell’istituto si spiega anche in ragione del dubbio che le verificazioni, in quanto svolte dalla stessa amministrazione, non potessero, in realtà, condurre ad esiti molti diversi da quelli già accolti nel provvedimento impugnato, e ciò nonostante le parti potessero essere autorizzate dal giudice ad assistere ai lavori e produrre documenti (art. 44, TU n. 1054/1924). In dottrina, cfr. M. Sica, Verificazioni e contraddittorio nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, p. 216; C. Marzuoli, A proposito di apprezzamenti tecnici e mezzi di prova nel giudizio di legittimità, in Le Regioni, 1986, p. 281 ss., in part. p. 285.
[45] Infatti, prima dell’art. 16, legge 21 luglio 2000, n. 205, la c.t.u. veniva ammessa solo in casi limitati e nell’ambito della giurisdizione di merito; con la nuova legge del 2000, dunque, sembravano porsi le basi normative per un utilizzo più ampio della c.t.u., che consentisse un apprezzamento tecnico dei fatti in sede giurisdizionale (così A. Travi a commento di Cons. Stato, sez. IV, n. 601/1999, cit., p. 14).
[46] A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2021, p. 281. Infatti, parte della dottrina aveva da tempo ritenuto che un arricchimento dei mezzi istruttori del giudice amministrativo avrebbe consentito di superare alcuni dei limiti posti al sindacato nei confronti delle valutazioni tecniche dell’amministrazione (G. Pastori, Discrezionalità amministrativa e sindacato di legittimità, in Foro amm., 1987, p. 3170). Sui limiti dell’utilizzo della c.t.u. in giudizio, e sul suo eventuale impiego per colmare carenze o illegittimità nella procedura avanti all’autorità, in particolare qualora non sia stato assicurato il contraddittorio circa la sussumibilità di una determinata soluzione in un concetto giuridico indeterminato, cfr. F. Merusi, Variazioni su tecnica e processo, cit., p. 977 ss.
[47] Tale giurisprudenza è ben nota, sicché pare qui sufficiente solo ricordarne i principali assunti: le valutazioni tecniche non si fondano su regole scientifiche, esatte e non opinabili, ma sono il frutto di scienze inesatte ed opinabili (in prevalenza, di carattere economico) con cui vengono definiti i “concetti giuridici indeterminati”. In questi casi la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall’amministrazione. Va comunque distinto un controllo di tipo “forte”, che si traduce in un potere sostitutivo del giudice, il quale si spinge fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’amministrazione ed un controllo di tipo “debole” in cui le cognizioni tecniche acquisite (eventualmente) grazie al consulente vengono utilizzate solo allo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa. La distinzione tra il carattere di opinabilità dei giudizi tecnici (attratti nella cognizione del giudice) e i profili della opportunità (sottratti al sindacato) non è così netta in presenza di valutazioni complesse dell’amministrazione e dell’applicazione dei c.d. concetti giuridici indeterminati: in tali ipotesi deve escludersi il sindacato giurisdizionale di tipo forte (sostitutivo) ed ammettersi solo il sopra descritto controllo di tipo debole. Nell’esercizio del sindacato è ammissibile in astratto l’utilizzo della c.t.u., ma tramite tale mezzo probatorio può essere delegato al consulente l’accertamento sotto il profilo tecnico di un ben individuato presupposto del fatto o comunque gli potrà essere chiesto un ausilio finalizzato ad ampliare la conoscenza del giudice con apporti tecnico – specialistici (ben delimitati nel quesito) appartenenti a campi del sapere caratterizzati da obiettiva difficoltà. Non appare invece ammissibile far ripercorrere dal c.t.u. le complesse valutazioni rimesse in prima battuta all’amministrazione e sottoposte poi, con gli anzidetti limiti, al sindacato giurisdizionale (Cons. Stato, sez. IV, 6 ottobre 2001, n. 5287, in Giur. it., 2002, p. 1084, con nota di S. Mirate, Giudici amministrativi e valutazioni tecniche tra nuove conquiste e antiche resistente; Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002, n. 2199, in Foro it., 2, 2002, p. 482, e in Giur. comm., 2, 2003, p. 170, con nota di R. Caranta, I limiti del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; Cons. Stato, sez. VI, 1° ottobre 2002, n. 5156, in Foro it., 3, 2003, p. 3, e in Giur. it., 2003, p. 356.
[48] A. Travi, Sindacato debole e giudice deferente: una giustizia «amministrativa»?, in Giorn. dir. amm., 2006, p. 304, in part. p. 312 ss.; A. Travi, Il giudice amministrativo e le questioni tecnico-scientifiche, cit., p. 439 ss.
[49] Cons. Stato, sez. IV, 2 marzo 2004, n. 926, in Giur. it., 2004, p. 2178.
[50] Precisamente il Consiglio di Stato sostiene: «Il sindacato della Corte di Giustizia, esercitato sulle valutazioni economiche complesse fatte dalla Commissione, è stato espressamente limitato alla verifica dell’osservanza delle norme di procedura e di motivazione, nonché dell’esattezza materiale dei fatti, dell’insussistenza d’errore manifesto di valutazione e di sviamento di potere, (v., segnatamente, sentenze della Corte di Giustizia 11 luglio 1985, causa 42/84, Remia, punto 34, e 17 novembre 1987, cause riunite 142/84 e 156/84, BAT e Reynolds, punto 62; 28 maggio 1998, C-7/95, John Deere, punto 34 e, da ultimo, 7 gennaio2004, cause riunite 204/00 e 219/00, Aalborg, punto 279 e Trib. primo grado CE, 21 marzo 2002, T-231/99, Joynson). È anche vero che, al di là delle affermazioni di principio sopra descritte, i giudici comunitari hanno in realtà analizzato molto spesso in modo accurato le analisi economiche svolte dalla Commissione; ma ciò è quanto si ritiene possa fare anche il giudice amministrativo».
[51] Vero è che, anche dopo tale pronuncia, la giurisprudenza successiva ha continuato a mostrare oscillazioni, in alcuni casi riproponendo la validità del modello di sindacato c.d. di tipo debole.
[52] In particolare, la sentenza n. 926/2004 cit. richiamava il c.d. adversary system, basato sulla contrapposizione dei consulenti economici delle parti, che consentirebbe di rivelare analisi non corrette, ma senza necessità di nominare esperti.
[53] Infatti, in ogni caso, si tratta spesso di strumenti di garanzia procedimentale adatti a certi procedimenti, e non ad altri; inoltre, non sempre è agevole segnare una netta differenza tra atti propriamente di regolazione, ed atti che assumono una duplice veste (generale e puntuale), il che si riflette sulle garanzie partecipative (circa le peculiarità del procedimento svolto avanti alla AGCM ai fini della irrogazione di una sanzione, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 512; sulle modalità di accertamento dei fatti nell’ambito dei procedimenti coinvolgenti amministrazioni dotate di prerogative peculiari, cfr. E. Bruti Liberati, La sospensione e la revoca della quotazione dei titoli di borsa tra discrezionalità amministrativa e regole procedimentali, in Dir. econ., 1993, p. 637, in part. 648 ss.; F. Fracchia, op. cit., p. 644 ss.).
Né può essere decisivo che con tali garanzie partecipative sia assicurata la terzietà dell’autorità, perché ciò non rileva in tutti i procedimenti; o che esse rendano la decisione dell’autorità dotata di un elevato grado di accettazione sociale, in quanto percepita come giusta, perché ciò, se al limite può ridurre la conflittualità, si pone su un livello diverso da quello delle garanzie processuali (sulla terzietà delle autorità rafforzata dalle garanzie procedimentali cfr. M. Ramajoli, Procedimento regolatorio e partecipazione, in E. Bruti Liberati-F.Donati (a cura di), La regolazione dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, Torino, 2010, p. 203; sul consenso sociale assicurato dalle regole di svolgimento di un procedimento, cfr. S. Cassese, Oltre lo Stato, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 123).
[54] Infatti, è prevista la possibilità di ordinare la verificazione o disporre, «se indispensabile», una c.t.u. (con le modalità stabilite, rispettivamente, dagli artt. 66 e 67, c.p.a.). La legge, in particolare, consente che a tali strumenti sia possibile ricorrere se il giudice lo reputi necessario per l’accertamento di fatti o l’acquisizione di valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche (art. 63 c.p.a.). La preferenza per la verificazione si evince anche oltre che dall’art. 63, comma 4, anche dall’art. 19, comma 1, c.p.a. Si tratta comunque di due diversi istituti (la c.t.u. non è considerata in senso stretto messo di prova). Le diversità delineate dagli artt. 66 e 67 cit. manifestano una maggiore formalizzazione della procedura in caso di c.t.u., ma non valgono ad intaccare un profilo essenziale rappresentato dalla necessaria terzietà dei soggetti esperti incaricati (cfr. artt. 19 e 20, comma 2, c.p.a.). La giurisprudenza ha ben chiare le diversità tra i due istituti, riscontrabili nel c.p.a., come si evince, ad esempio, da Cons. Stato, sez. VI, ord. 11 ottobre 2019, n. 6912. Va aggiunto, anche che, mentre l’art. 44, TU del 1924 prevedeva, come si è accennato, la possibilità per il giudice di autorizzare le parti ad assistere ai lavori del verificatore (eventualmente con deposito di documenti), il nuovo codice non contempla espressamente tale eventualità, e tuttavia eventuali rischi di una minore garanzie del contradditorio sono significativamente ridimensionati dalla prassi dei giudici di consentire alle parti di partecipare ai lavori del verificatore (che, comunque, è soggetto estraneo alle parti del giudizio). Ciò, del resto, è quanto accaduto anche nel caso deciso dalla sentenza del Consiglio di Stato in commento. Occorre, poi, precisare che, sebbene tali strumenti siano considerati, nella prassi, per certi versi fungibili tra loro, e siano entrambi finalizzati, non tanto a dimostrare la verità di un fatto storico, in relazione al quali sia già stata fornita la prova in giudizio, quanto piuttosto ad acquisire gli elementi tecnici utili a comprendere tali fatti sotto gli aspetti tecnici, essi conserverebbero comunque una diversità funzionale: nel senso che, mentre le verificazioni sono rivolte ad un accertamento diretto di determinati elementi di un fatto, non desumibili altrimenti, la c.t.u. si caratterizza in quanto tesa a fornire elementi di valutazione indispensabile ad una compiuta comprensione di un fatto complesso sul piano tecnico-scientifico. In giurisprudenza cfr. Cons. Stato, sez. III; 14 gennaio 2020, n. 330; Cons Stato, sez. II, 12 marzo 2020, n. 1768; Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2020, n. 1165; Cons. Stato, sez. III; 19 ottobre 2017, n. 4848; Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2016, n. 399; Cons Stato, sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5552. Su tutti questi profili cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, cit., 281; M. Sica, op. cit., p. 216; M. Clarich, Manuale di giustizia amministrativa, cit., p. 234 (ove, in particolare, si osserva che nella prassi il giudice amministrativo preferisce la verificazione estendendo il suo utilizzo anche per questioni valutative che richiederebbero una c.t.u.). Circa la importanza dei mezzi istruttori per garantire la parità delle parti avanti al giudice amministrativo, secondo le coordinate della Costituzione, cfr. G. D’angelo, Le prove atipiche nel processo amministrativo, Jovene, Napoli, 2008, p. 181 ss.; S. Spuntarelli, La parità delle parti nel giusto processo amministrativo, Dike, Roma, 2012, p. 123 ss.
[55] Cons. Stato, sez. VI, n. 4990/2019 cit.
[56] Sul punto cfr. le considerazioni di M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., p. 27; A. Travi Sindacato debole e giudice deferente: una giustizia «amministrativa»?, cit., p. 313 ss.
[57] Sul tema cfr. S. Torricelli, Per un modello generale di sindacato sule valutazioni tecniche: il curioso caso degli atti della autorità indipendenti, cit., p. 109, in part. nota 35.
[58] Cfr. ad. es. le ordinanze della sez. VI del Cons. Stato, n. 3540/2018, n. 6326/2018 e n. 6912/2019, cit.; come si è già riferito l’attenzione alla garanzia del contradditorio, rispetto ai consulenti delle parti processuali, si riscontra anche nella sent. 4465/2021, cit. qui commentata. Peraltro, si considera anche l’indirizzo secondo cui «l’apporto conoscitivo tecnico, conseguito anche tramite apporti scientifici, non è ex se dirimente allorché soccorrono dati ulteriori, di natura più strettamente giuridica, che limitano il sindacato in sede di legittimità ai soli casi di risultati abnormi, ovvero manifestamente illogici» (Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 779; Cons. Stato, sez. VI, 6 marzo 2019, n. 1550).
[59] Come sì è già riferito, infatti, la portata innovativa della sent. n. 4990/2019, cit. è stata ridimensionata dalla giurisprudenza successiva (Cons. Stato, sez. VI, n. 1957/2020, 5559/2019, n. 6022/2019, e n. 7719/2019, cit.).
[60] Cons. Stato, sez. VI, n. 2414/2020, cit.
[61] Cosa, intuitivamente, differente è che la scelta adottata sulla base di criteri di ordine tecnico determini, poi, in concreto, un certo assetto di interessi.
[62] Come si è detto in principio, l’articolazione delle censure avanzate nei confronti dei provvedimenti non è priva di significato, così come non lo è la circostanza che alla base dell’annullamento giurisdizionale, nella recente sentenza qui commentata, vi sia stato l’accertamento della “irragionevolezza tecnica” delle valutazioni dell’autorità. Sul punto cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 novembre 2019, n. 7719, secondo cui: «la giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che la discrezionalità tecnica è sindacabile soltanto quando la valutazione dell’amministrazione risulti contraria al principio di ragionevolezza tecnica». Sul punto cfr. le considerazioni che, all’indomani della sentenza n. 601/1999 cit., avevano condotto a ritenere che il Giudice, accertando la inattendibilità delle valutazioni tecniche, avesse in sostanza fatto riferimento ad una nuova ipotesi di eccesso di potere (A. Travi a commento di Cons. Stato, sez. IV, n. 601/1999, cit., 13.). Sulle implicazioni che l’affermazione di un certo modello di sindacato nei confronti delle autorità amministrative indipendenti comporta in ordine ai vizi censurabili, cfr. R. Villata, Giurisdizione esclusiva e amministrazioni indipendenti, cit., p. 801 ss.; F. Merusi, Giustizia amministrativa e autorità amministrative indipendenti, cit., p.198 ss.
[63] Per la ricostruzione di questa prospettiva cfr. R. Villata-M. Ramajoli, Il provvedimento amministrativo, cit., p. 146.
[64] Per altro verso, la portata delle affermazioni della sentenza andrebbe valutata, anzitutto, rispetto al concreto caso deciso; anche la portata delle critiche mosse all’indirizzo inaugurato nel 2019 andrebbe considerata in tal modo, vale a dire tenendo a mente sia la specificità della materia decisa, e dunque la peculiarità dei poteri dell’autorità coinvolta (AGCM), sia il mancato impiego di una c.t.u. o di una verificazione. Questi due profili segnano una certa differenza rispetto alla pronuncia qui commentata.
[65] M. Clarich-M. Ramajoli, Diritto amministrativo e clausole generali, cit., p. 38, nota 52.
[66] D.lgs. 15 novembre 2015, n. 180 (cfr. l’art. 95, comma 2, d.lgs. n. 180/2015, cit. che esclude l’applicazione dell’art. 63, comma 4, c.p.a.). Il d.lgs. n. 180/2015, cit. attua la direttiva 2014/59/UE del 15 maggio 2014 che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.
[67] A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, cit., p. 282.
[68] In altri termini, scelte legislative come quelle sopra riportate, per la specificità del contenzioso a cui si riferiscono, non sembrano, di per sé, poter conformare il modello generale di sindacato sulle valutazioni tecniche, in assenza di altri limiti ricavabili dalle regole del processo.