Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Consumatore medio, razionalità limitata e regolazione del mercato (di Andrea Magliari, Ricercatore t.d. B) di Diritto amministrativo presso l'Università di Trento)


Con ordinanza n. 8650/2022, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di Giustizia di chiarire se la nozione di “consumatore medio” di cui alla direttiva 2005/29/CE in materia di pratiche commerciali scorrette debba riferirsi al consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto ovvero se non debba essere piuttosto formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza e, perciò, rimandare non solo alla nozione classica dell’“homo oeconomicus”, ma anche alle acquisizioni delle più recenti teorie sulla razionalità limitata, così come recepite dalla c.d. Behavioral Law and Economics, secondo cui le persone agiscono sulla base di condizionamenti esogeni e bias cognitivi astrattamente in grado di portare a decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento e avveduto.

A fronte di tale prospettazione, il presente contributo intende ragionare criticamente sulla nozione di “consumatore medio” nel più ampio quadro della costituzione economica europea e, in particolare, delle coordinate teoriche che fanno da sfondo alla regolazione dei mercati e alla tutela della concorrenza all’interno del mercato unico. Sulla base di tali considerazioni risulterà possibile riflettere sul significato e la portata da attribuire alla nozione di razionalità limitata e al suo impatto sulla capacità di scelta individuale nel quadro della tutela consumeristica offerta dalle direttive europee e dal nostro Codice del consumo.

Average consumer, bounded rationality and market regulation

In its Order No. 8650 of 2022, the Italian Council of State asked the European Court of Justice whether the ‘average consumer’ referred to in Directive 2005/29/EC on unfair commercial practices must be understood as a consumer who is normally informed and reasonably observant and circumspect, or whether it should be formulated with reference to the best science and experience, and consequently referred not only to the neoclassical notion of “homo oeconomicus”, but rather to the most recent theories on bounded rationality, as elaborated by the Behavioral Law and Economics, according to which people act on the basis of exogenous conditioning and cognitive biases abstractly capable of leading to ‘unreasonable’ decisions if compared to those that would be taken by a “rational” subject.

In view of such prospect, this contribution intends to critically examine the notion of ‘average consumer’ in the broader framework of the European economic constitution and, in particular, of the theoretical framework that form the backdrop to the regulation of markets and the protection of competition within the single market. Building on these considerations, it will be possible to reflect on the meaning and scope to be attributed to the notion of bounded rationality within the framework of consumer protection offered by the European directives and the Italian Consumer Code.

Estratto

«Il presupposto implicito della contestazione mossa dall’AGCM sembra muovere da una nozione di consumatore medio inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, ma sembra tener opportunamente conto delle teorie sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscono spesso riducendo le informazioni necessarie prendendo decisioni “irragionevoli” se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento ed avveduto. […]

Vanno dunque rimessi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 Tfue, i seguenti quesiti pregiudiziali:

a) se la nozione di consumatore medio di cui alla direttiva 2005/29/CE, inteso come consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, per la sua elasticità e indeterminatezza non debba essere formulata con riferimento alla miglior scienza ed esperienza, e di conseguenza rimandi non solo alla nozione classica dell’”homo oeconomicus”, ma anche alle acquisizioni delle più recenti teorie sulla razionalità limitata che hanno dimostrato come le persone agiscano spesso riducendo le informazioni necessarie con decisioni ‘irragionevoli’ se parametrate a quelle che sarebbero prese da un soggetto ipoteticamente attento e avveduto, acquisizioni che impongono una esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi;

b) se possa essere considerata di per sé aggressiva una pratica commerciale nella quale, a causa dell’incorniciamento delle informazioni (framing), una scelta possa apparire come obbligata e senza alternative tenendo conto dell’art. 6, par. 1, della direttiva citata, che considera ingannevole una pratica commerciale che in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio anche nella sua presentazione complessiva […]».

Commento a Consiglio di Stato, VI, ordinanza del 10 ottobre 2022, n. 8650

SOMMARIO:

1. Introduzione: la nozione di “consumatore medio” - 2. Il caso, la giurisprudenza amministrativa e i quesiti sollevati dal giudice del rinvio - 3. Il “consumatore medio” e la regolazione del mercato - 4. Tutela del consumatore, disciplina della concorrenza e mercato unico - 5. Il consumatore medio tra homo oeconomicus, homo heuristicus e homo consumens - NOTE


1. Introduzione: la nozione di “consumatore medio”

È piuttosto infrequente imbattersi, spigolando tra la giurisprudenza commentata, in note critiche a ordinanze di rinvio alla Corte di Giustizia o alla Corte costituzionale prima ancora che queste ultime abbiano potuto statuire sulla questione oggetto di rinvio. Quando tuttavia ciò avviene è perché, presumibilmente, il contenuto dell’ordinanza, il modo in cui essa prospetta la questione controversa o ricostruisce un certo istituto giuridico, appare sin da subito – e forse anche a prescindere dalla statuizione di principio attesa – meritevole di una qualche autonoma considerazione. Tale appare il caso che si intende qui esaminare. Con ordinanza n. 8650/2022, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha sollevato diverse questioni pregiudiziali dinanzi alla Corte di Giustizia, vertenti in buona sostanza sulla interpretazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori [1]. Come noto, con tale direttiva – recepita nel nostro ordinamento all’interno del Codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), agli artt. 20 ss. – il legislatore europeo ha inteso introdurre alcune norme di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri volte a contrastare e a sanzionare quelle condotte che, poste in essere da un professionista nell’esercizio di attività di promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori, risultano in grado di ledere direttamente gli interessi economici dei consumatori e indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi all’interno del mercato unico [2]. Il punto focale dell’ordinanza [3] – e, così, di queste brevi riflessioni – è costituito dall’interpretazione del concetto di consumatore medio, assunto dalla direttiva europea e dal nostro Codice del consumo come parametro normativo su cui misurare la liceità/illiceità di una pratica commerciale rispetto all’inte­res­se alla salvaguardia della libertà di scelta dei consumatori. Si rammenta, infatti, che, ai sensi dell’art. 5(2) della direttiva, «una pratica commerciale è sleale se: a) è contraria alle norme di diligenza professionale, e b) falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio». Il tratto che consente di qualificare come [continua ..]


2. Il caso, la giurisprudenza amministrativa e i quesiti sollevati dal giudice del rinvio

Ai fini che qui più rilevano, la vicenda sottesa all’ordinanza in commento può essere riassuntivamente ricostruita come segue. Nel 2019, l’AGCM ha accertato e sanzionato la sussistenza di una pratica commerciale aggressiva da parte di un istituto di credito specializzato nel credito al consumo per aver offerto alla propria clientela polizze assicurative legate alla copertura di eventi relativi alla vita privata del consumatore (non direttamente collegati al rischio di credito) in abbinamento a prodotti di finanziamento. Sebbene, cioè, la sottoscrizione della polizza assicurativa non costituisse un presupposto per conseguire il finanziamento richiesto, né per ottenerlo a condizioni più favorevoli, l’AGCM ha ritenuto che il comportamento concretamente tenuto dall’interme­diario finanziario costituisse un «condizionamento, di fatto, della concessione a favore dei consumatori di finanziamenti diversi dal mutuo (prestiti personali) alla sottoscrizione da parte degli stessi di coperture assicurative» correlate ad eventi estranei al credito. Più precisamente, si rileva che se, per un verso, l’abbinamento delle offerte di prodotti finanziari e assicurativi è consentito dal diritto europeo (in particolare, dalla direttiva UE 2016/97), per altro verso, sarebbero proprio le modalità con cui sono state “etichettate” le informazioni alla clientela – e, in particolare, la contiguità temporale fra mutuo e assicurazione – ad aver indotto il consumatore a ritenere di dover necessariamente sottoscrivere, unitamente al finanziamento, anche la polizza assicurativa. Per l’Autorità, tale pratica, facendo leva su un tipico bias cognitivo (il c.d. effetto framing), configurerebbe un’ipotesi di «abbinamento forzoso» capace di incidere sulla libertà negoziale del cliente e, perciò, ai sensi di quanto disposto dall’art. 24 del Codice del consumo, di limitare la sua libertà di scelta o di comportamento, inducendolo ad assumere decisioni di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’indebito condizionamento posto in essere dall’impresa assurge, così, per l’AGCM, a una sostanziale coartazione della volontà del consumatore all’acquisto delle polizze e, in definitiva, a una pratica commerciale aggressiva. Con sentenza n. 9516/2021, la prima sezione [continua ..]


3. Il “consumatore medio” e la regolazione del mercato

Si è già anticipato che il riferimento al consumatore medio costituisce la chiave di volta della disciplina normativa in materia di pratiche commerciali scorrette. Tale parametro rappresenta lo standard di valutazione dell’anti­giu­ridicità delle condotte del professionista e, al contempo, la “valvola” che consente di stabilire un giusto dosaggio tra l’intensità della tutela offerta al contraente debole del rapporto di consumo, d’un lato, e il livello di ingerenza dei pubblici poteri sulla libertà di iniziativa economica dell’impresa, dall’altro. Per come costruita dal diritto europeo, quella del consumatore medio costituisce a ben vedere una soglia de minimis [18] della tutela consumeristica, giacché al di sotto di tale soglia, e fatte salve talune categorie di consumatori particolarmente vulnerabili [19], non sorgerebbe nemmeno un interesse o un’esi­gen­za socialmente o economicamente apprezzabile meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Di qui l’assunto, su cui si avrà modo di tornare oltre, secondo cui nessuna tutela spetterebbe (e, specularmente, nessuna limitazione della libera iniziativa economica dell’impresa troverebbe adeguata giustificazione) in favore del consumatore sprovveduto, disinformato, disattento o ingenuo [20]: vigilantibus non dormientibus iura succurrunt. Da una prospettiva regolatoria, è evidente l’apporto delle teorie di analisi economica del diritto a un tale approdo ermeneutico. Se, cioè, può astrattamente riconoscersi che l’intervento pubblico a tutela del consumatore, in quanto orientato a correggere un fallimento di mercato, è in grado di realizzare una migliore efficienza degli scambi, deve parimenti osservarsi che tale intervento rappresenta pur sempre un costo di transazione per il professionista. Tale costo, se sproporzionato, finirà poi per trasferirsi sul consumatore finale, e impattare negativamente sull’efficienza allocativa del mercato [21]. Il che ulteriormente significa che, a ben vedere, la disciplina consumeristica di matrice eurounitaria espressamente regola non solo – come è immediatamente evidente – una conflittualità “verticale” tra imprese e consumatori, ma anche un conflitto “orizzontale”, che si palesa tanto tra le imprese concorrenti, quanto [continua ..]


4. Tutela del consumatore, disciplina della concorrenza e mercato unico

Si è appena osservato che la disciplina delle pratiche commerciali scorrette dà luogo a una vera e propria forma di regolazione amministrativa dei mercati. Volendo aderire alle coordinate proprie di tale modalità di intervento pubblico nell’economia, ciò significa che l’attività di controllo e repressione svolta dal­l’autorità amministrativa (nel nostro caso, per giunta, indipendente) non può avere alcuna finalità redistributiva, né mirare alla tutela del contraente debole come ‘persona’ in un’ottica di giustizia sociale, risultando piuttosto tale attività protesa ad assicurare il buon funzionamento del mercato, senza alterarne la logica di funzionamento [36]. La disciplina europea di tutela dei consumatori, come è stato puntualmente osservato, «non vuole redistribuire ricchezza ai fini di una allocazione ‘alternativa’ a quella prodotta dal mercato: vuole soltanto far sì che tale allocazione sia governata da meccanismi genuinamente concorrenziali ed efficienti» [37]. In questa prospettiva, si deve peraltro riconoscere che, nell’esercizio della funzione di controllo sulle pratiche commerciali scorrette, l’intervento del­l’AGCM assume non solo una dimensione meramente sanzionatoria, di repressione ex post di condotte illecite, ma anche una evidente portata regolatoria di conformazione ex ante dei comportamenti degli operatori di mercato. E, dunque, così come appare difficile «negare che la politica di concorrenza si avvicini sempre di più ad una sorta di regolazione amministrativa dei mercati» [38], allo stesso modo deve riconoscersi la stretta connessione tra tutela della concorrenza e regolazione amministrativa delle pratiche commerciali scorrette, la cui cura – non casualmente – è stata attribuita, nel nostro ordinamento, alla medesima autorità amministrativa indipendente [39]. Non v’è dubbio che le due politiche presentino numerosi elementi di interconnessione e che, dunque, sotto diversi profili, la disciplina consumeristica in materia di pratiche commerciali scorrette rappresenti un continuum rispetto alla politica europea della concorrenza [40]. Pur a costo di incorrere in alcune semplificazioni, si può ritenere che entrambe le discipline risultano orientate alla costruzione di un [continua ..]


5. Il consumatore medio tra homo oeconomicus, homo heuristicus e homo consumens

Il ragionamento sin qui svolto suggerisce in definitiva che l’obiettivo principale della disciplina europea in materia di pratiche commerciali scorrette è quello di tutelare la capacità del consumatore di assumere decisioni di consumo in modo libero e consapevole e che l’effettiva sussistenza di tale capacità rappresenta un antecedente logico tanto rispetto all’esercizio in concreto dell’autonomia negoziale del privato, quanto – per quanto più rileva ai nostri fini – rispetto alla costruzione di una determinata struttura giuridica del mercato. Entro tale quadro normativo, il consumatore medio funge da criterio di selezione dei comportamenti illeciti da reprimere tramite l’intervento della pubblica amministrazione. È su tale parametro, in altri termini, che l’autorità amministrativa dovrà valutare se, e in che misura, la pratica commerciale sia stata in grado di incidere sulla capacità del consumatore di autodeterminarsi nella scelta di consumo. Quanto appena osservato ci consente di trarre qualche utile indicazione circa la dimensione funzionale della nozione di consumatore medio, ma ci dice ancora poco rispetto al suo contenuto normativo. Vero è che il considerando 18 della direttiva definisce il consumatore medio come il soggetto «normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici»; ma occorre altresì considerare che tale definizione rimanda, a sua volta, a concetti vaghi e indeterminati, non suscettibili di condurre a una univoca profilazione del consumatore “tipo” a cui intende fare riferimento il legislatore sovranazionale. Cosa debba intendersi per «normalmente informato» e «ragionevolmente attento e avveduto» appare, in questi termini, una questione interpretativa altrettanto complessa e pregna di conseguenze sul piano regolatorio. Si tratta, infatti, ancora una volta, di integrare in via ermeneutica il significato normativo espresso da concetti giuridici indeterminati di natura empirica dotati, per espressa volontà del legislatore, di una propria attitudine regolatoria. Ma, in assenza di una specifica indicazione del legislatore, a chi spetta il compito di riempire di contenuto il concetto giuridico indeterminato di cui si discute? È evidente che, in prima battuta, ciò spetterà [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2023