La semplificazione dei procedimenti di autorizzazione è essenziale per promuovere la produzione di fonti energetiche alternative considerata la molteplicità degli interessi pubblici e privati coinvolti. Tale semplificazione richiede – alla luce della disciplina europea – non soltanto la riduzione delle fasi dei procedimenti autorizzatori, ma anche il superamento di tre “sfide”: il coordinamento tra livelli di governo; la partecipazione effettiva della cittadinanza; una tutela giurisdizionale efficace con una definizione rapida delle controversie. La semplificazione deve, in effetti, consentire sia una accelerazione delle procedure sia l’applicazione di misure adeguate per raggiungere un effettivo equilibrio tra l’interesse del privato e la tutela dell’ambiente.
The simplification of authorization procedures is essential to promote the production of alternative energy sources given the multiplicity of public and private interests involved. This simplification requires – according to European legislation – not only the reduction of procedural phases, but also the overcoming of three "challenges": coordination between levels of government; effective participation of citizenship; effective judicial protection with rapid settlement of disputes. The simplification requires both an acceleration of the procedures and the application of appropriate measures to achieve an effective balance between private interests and the environmental protection.
Keywords: Renewable energy – Authorization – Procedural simplification – European legislation
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1. Il ruolo della semplificazione procedurale nel settore delle fonti energetiche alternative: la disciplina europea - 2. Le “sfide” nella promozione dei progetti: i rapporti tra semplificazione e partecipazione - 3. L’attribuzione delle competenze - 4. Il legame con la tutela giurisdizionale - 5. Le criticità nell’applicazione delle misure - 6. Verso procedure accelerate? - NOTE
La semplificazione svolge un ruolo determinante nel settore delle fonti energetiche alternative considerata la complessità degli interventi da realizzare che coinvolgono una molteplicità di interessi [1] pubblici e privati e che richiedono necessariamente una autorizzazione [2].
L’autorizzazione – come noto – non riguarda soltanto gli aspetti di tutela ambientale ma coinvolge anche interessi paesaggistici, archeologici, di governo del territorio [3] oltre a dover tener conto degli interessi dei soggetti pubblici e privati coinvolti [4].
Per tale ragione vi è il consueto rischio che le procedure autorizzatorie – coinvolgendo molteplici interessi e molteplici soggetti – siano eccessivamente complesse e richiedano tempi lunghi per l’adozione del provvedimento finale [5]. I ritardi nel rilascio dell’autorizzazione costituiscono, in effetti, un disincentivo per gli operatori che intendono realizzare i progetti. Tali operatori, che investono risorse significative nella realizzazione di progetti per le energie rinnovabili, sono portati a rinunciare all’iniziativa qualora i tempi siano eccessivamente lunghi e, a causa della complessità della procedura, vi siano difficoltà nell’adozione della decisione di autorizzazione definitiva [6].
Al fine di evitare tale rischio il legislatore comunitario ha posto l’attenzione sulla necessità di semplificare le procedure per arrivare all’adozione di autorizzazioni in maniera efficiente ed in tempi ragionevoli [7].
L’Unione europea ha, in effetti, posto l’attenzione sulla correlazione tra semplificazioni procedurali e promozione delle energie alternative [8] – come risaputo – già a partire dalla direttiva (CE) n. 77/2001 relativa alla promozione dell’energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità che all’art. 6 prevede di “razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo” [9].
In seguito, nell’ambito delle direttive volte alla definizione degli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti e di produzione di energia rinnovabile (c.d. Green Package [10]) sono stati regolamentati espressamente i procedimenti autorizzatori con l’introduzione di misure volte nel dettaglio alla razionalizzazione e semplificazione.
In particolare, la direttiva del 23 aprile 2009 (2009/28/CE) “sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili” – nel fissare gli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti al 2020 – ha previsto espressamente, per la prima volta, che le procedure di autorizzazione per le energie rinnovabili dovessero essere “proporzionate” e, dunque, più semplificate possibile rispetto all’obiettivo da perseguire [11].
Tale direttiva è stata recentemente modificata e sostituita dalla direttiva 28 dicembre 2018 (2018/2001/UE) sulla promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili che, nel fissare gli obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030, ha ripreso la medesima disciplina relativa alle modalità di semplificazione delle procedure [12].
La direttiva (UE) n. 2001/2018 – introdotta a dicembre 2018 [13] – prevede, in effetti, la necessità che le procedure per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile siano “adeguate e proporzionate” rispetto all’obiettivo da perseguire e, dunque, semplificate.
In particolare, l’art. 15 così dispone: “Gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione, certificazione e rilascio delle licenze applicabili agli impianti e alle relative reti di trasmissione e distribuzione per la produzione di energia elettrica (…) siano proporzionate e necessarie e contribuiscano all’attuazione del principio che dà priorità all’efficienza energetica”.
A tal fine, secondo la nuova direttiva, gli Stati devono adottare le seguenti misure elencate nel secondo comma dell’art. 15: razionalizzazione delle procedure e definizione di tempi certi di conclusione; non discriminazione tra i partecipanti; trasparenza nelle spese amministrative; procedure amministrative semplificate e meno gravose [14].
Secondo la direttiva è, dunque, necessario utilizzare tali misure per rimuovere le “barriere amministrative” alla promozione delle energie rinnovabili e consentire uno sviluppo del settore. In altri termini, vanno eliminati tutti i passaggi procedurali che aggravano inutilmente l’iter di autorizzazione [15].
Alla luce della complessità degli interessi coinvolti, si pone, però, il problema se tali misure siano da sole sufficienti a garantire una accelerazione delle procedure per l’autorizzazione di impianti di energia rinnovabile.
Nelle note che seguono si cercherà, dunque, di valutare se alla luce della direttiva l’adozione di procedure semplificate con fasi procedurali ridotte sia di per sé una garanzia per la promozione delle energie rinnovabili [16] o vada affiancata da ulteriori misure per la soluzione delle maggiori criticità riscontrate [17].
Un’analisi dettagliata della direttiva evidenzia che il legislatore comunitario, oltre ad affrontare il tema della carenza di semplificazione delle procedure ha considerato ulteriori problemi correlati alla conclusione efficiente dei procedimenti autorizzatori che dovrebbero essere risolti al fine della promozione delle fonti energetiche alternative.
Si tratta, in sostanza, del superamento di tre “sfide”: la definizione dei rapporti tra semplificazione e partecipazione, la suddivisione delle competenze tra centri decisionali, l’accesso alla giustizia.
Il primo problema legato allo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile riguarda i rapporti tra semplificazione e partecipazione.
La partecipazione è, infatti, notoriamente fondamentale per la transizione verso le energie rinnovabili che richiede necessariamente un consenso sociale [18]. Le resistenze dei cittadini possono rendere – come ovvio – difficoltosa la realizzazione dei progetti sia mediante meccanismi di protesta tramite associazioni o comitati, sia mediante il ricorso al giudice [19]. La partecipazione della cittadinanza e degli operatori privati può, al contrario, fornire alla pubblica amministrazione un riscontro sugli interessi dei cittadini correlati ai progetti. In questo modo il decisore pubblico può “aggiustare” le proprie politiche sulla base degli interessi della popolazione e, dunque, adottare una decisione condivisa. Il consenso sociale è particolarmente necessario per i progetti di energia rinnovabile – basti considerare ad esempio i parchi eolici – che hanno un notevole impatto sul territorio [20].
Per tale ragione, la Convenzione di Aarhus “sull’accesso alle informazioni, la partecipazione dei cittadini e l’accesso alla giustizia in materia ambientale” (1998) prevede espressamente all’art. 6 la necessità della partecipazione nel caso di “decisioni (…) che possano avere effetti significativi sull’ambiente”. In relazione a tali progetti si prevede, in effetti, una partecipazione rafforzata dal momento che coinvolgono direttamente una molteplicità di soggetti [21]. La partecipazione dovrebbe essere effettuata “a monte”, vale a dire prima dell’adozione della decisione quando sono possibili diverse opzioni rispetto al progetto da realizzare. Del resto l’art. 6, comma 5, specifica che “ciascuna parte incoraggia i potenziali richiedenti ad individuare il pubblico interessato, ad avviare discussioni e a fornire informazioni sugli obiettivi della richiesta prima di presentare la domanda di autorizzazione”. Viene, dunque, valorizzato il ruolo attivo del proponente proprio “a monte” ossia, come detto, prima della richiesta volta alla realizzazione del progetto.
La partecipazione deve, poi, consentire il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati mediante discussioni, scambio di informazioni e presentazioni di memorie scritte. L’art. 6, comma 7 prevede, infatti, che: “Le procedure di partecipazione devono consentire al pubblico di presentare per iscritto o, a seconda dei casi, in occasione di audizioni o indagini pubbliche in presenza del richiedente, eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri da esso ritenuti rilevanti ai fini dell’attività proposta”.
Alla luce della Convenzione, dunque, appare evidente che la partecipazione va garantita in maniera effettiva al fine di consentire ai diretti interessati – soprattutto nelle ipotesi di realizzazione di progetti con impatto sulla cittadinanza – una incisione sulla decisione finale adottata dal decisore pubblico.
Anche in ambito europeo sono stati elaborati – come noto – meccanismi partecipativi nell’ambito delle energie rinnovabili che favoriscono l’intervento dei cittadini o comunque prevengono manifestazioni ed opposizioni della popolazione. In effetti, la Convenzione è stata recepita nella direttiva 2003/35 Ce [22] che contempla una partecipazione effettiva della cittadinanza [23]. La direttiva prevede, in effetti, una fase partecipativa necessaria sia per i procedimenti che si concludono con atti puntuali, sia per i procedimenti di pianificazione e programmazione che incidono sull’ambiente [24]. Tale partecipazione consente al pubblico di esprimere “pareri e preoccupazioni” che possono essere determinanti per le decisioni di impatto ambientale e che possono essere presi in considerazione dal decisore pubblico [25] “quando tutte le opzioni sono ancora aperte” [26].
Oltre agli istituti ordinari di partecipazione, quali l’intervento nel procedimento mediante presentazione di memorie e documenti, sono stati elaborati strumenti incisivi e, in alcuni casi, innovativi per garantire il consenso sociale in relazione ai progetti che verranno di seguito brevemente richiamati.
Uno degli strumenti maggiormente significativi per garantire una partecipazione incisiva della cittadinanza è costituito dall’inchiesta pubblica. L’esperienza – realizzata innanzitutto in Francia – consente, come noto, alla cittadinanza di cooperare nell’adozione delle decisioni in materia ambientale mediante consultazioni non solo scritte ma anche orali svolte da parte di un soggetto terzo, prima dell’adozione dei relativi provvedimenti. L’amministrazione è tenuta a considerare l’esito dell’inchiesta ai fini della decisione, pur potendosene discostare con adeguata motivazione. L’inchiesta consente, dunque, lo svolgimento di una istruttoria completa che tenga conto anche della posizione degli interessati e, inoltre, favorisce la partecipazione dei cittadini al processo decisionale [27].
Ulteriore strumento di partecipazione incisivo è il dibattito pubblico che, come noto, ricalca il modello dell’inchiesta pubblica ma si caratterizza per l’oralità e lo svolgimento di riunioni pubbliche. A tale dibattito può partecipare la popolazione a prescindere da specifici interessi e dalla collocazione territoriale rispetto ai progetti ambientali da realizzare. Pertanto, tale strumento consente di far emergere l’opinione della cittadinanza sulla futura decisione pubblica anche se l’esito non assume carattere vincolante per l’amministrazione.
Un esempio di strumento innovativo è, invece, costituito dalle esperienze di “financial-partecipation” che consentono alla cittadinanza di ottenere un ritorno economico nelle ipotesi di realizzazione di impianti: i cittadini a fronte di un incentivo economico si impegnano a non contrastare la realizzazione dei progetti [28]. L’esperienza – realizzata in Danimarca – pone dubbi di ammissibilità considerato che la decisione finale non è approvata dai cittadini ma soltanto “sopportata” a fronte di un ritorno economico. Nonostante ciò, tale esperienza seppur isolata è espressione della stretta correlazione esistente tra la realizzazione dei progetti e la partecipazione allo sviluppo delle energie rinnovabili e, dunque, tra l’interesse pubblico e l’interesse privato. Per di più tale esperienza consente di superare non solo il dissenso dei cittadini ma anche le resistenze degli amministratori locali. In proposito si è fatto riferimento al fenomeno del c.d. Not in my term of office [29] che consiste nella riluttanza degli amministratori locali a consentire la realizzazione di progetti per le rinnovabili in relazione alle proteste della cittadinanza [30]. Questa riluttanza può essere arginata mediante compensazioni economiche nei confronti della cittadinanza interessata.
In definitiva, la garanzia di una partecipazione effettiva nell’ambito dei procedimenti per le energie rinnovabili è ritenuta essenziale non soltanto a livello internazionale, ma anche nell’Unione Europea proprio al fine di garantire un apporto collaborativo del privato nell’adozione delle decisioni di impatto ambientale [31].
La partecipazione ha, però, inevitabilmente effetti negativi sulla semplificazione dal momento che può aumentare i tempi decisionali e può rendere complessa l’adozione della decisione. In effetti, la partecipazione dei cittadini determina l’introduzione di un’ulteriore fase del procedimento dedicata alla raccolta delle opinioni della cittadinanza ed alla loro valutazione.
Inoltre, l’emersione di diverse opinioni e di diversi interessi in relazione al medesimo progetto rende maggiormente complessa l’adozione di una decisione che tenga conto di tutti i “punti di vista” dei soggetti interessati.
Si comprende allora come la direttiva nuova, per evitare il rischio di riduzione della semplificazione non impone espressamente agli Stati di promuovere la partecipazione nel settore delle energie rinnovabili.
Basti considerare che il punto 125 della direttiva (UE) n. 2001/2018 prevede che la Convenzione di Aarhus debba essere applicata soltanto “se del caso”: “L’attuazione della presente direttiva dovrebbe tener conto, se del caso, della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale in particolare quale attuata dalla direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”.
L’espressione “se del caso” risulta evidentemente generica e non implica un effettivo obbligo di tener presente gli istituti di partecipazione nei procedimenti autorizzatori. Pertanto, la direttiva rimette l’individuazione dei rapporti tra semplificazione e partecipazione alla decisione dei singoli Stati “caso per caso” [32].
È evidente che detta soluzione potrebbe determinare il rischio di non consentire uno sviluppo uniforme in ambito europeo della promozione delle energie rinnovabili dal momento che la partecipazione viene garantita a seconda della “sensibilità” del decisore pubblico nel caso concreto [33].
Peraltro, secondo la suddetta normativa è necessario applicare la direttiva sull’accesso alle informazioni ambientali – in attuazione della Convenzione – (CE) n. 4/2003 [34] espressamente richiamata, ma non la direttiva sulla partecipazione (CE) n. 35/2003. Tale scelta potrebbe comportare l’ulteriore rischio di una scarsa attenzione da parte degli Stati alla partecipazione che diventa recessiva rispetto alla semplificazione. Il rischio è che gli Stati, non avendo un obbligo puntuale di applicazione della disciplina sulla partecipazione nel settore energetico, riducano la fase partecipativa a favore della semplificazione e dell’accelerazione dei tempi decisionali.
Inoltre, la direttiva si limita a riconoscere la necessità della partecipazione soltanto in via generica in relazione alla pianificazione specificando al punto 27: “La pianificazione delle infrastrutture necessarie ai fini della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili dovrebbe tenere conto delle politiche relative alla partecipazione delle persone interessate dai progetti, in particolare la popolazione locale”. Non viene, però, individuata la necessità della partecipazione anche nel procedimento di autorizzazione di singoli progetti oltre al momento di pianificazione. Il richiamo al rilievo dell’intervento dei privati nell’ambito della pianificazione evidenzia che la partecipazione assume un ruolo determinante nel settore energetico riconosciuto anche dal legislatore comunitario.
La partecipazione risulta, però, più agevole nel momento di pianificazione che riguarda scelte generali relative alle infrastrutture energetiche in relazione alle quali non sono ancora individuati i reali interessati vale a dire i singoli soggetti effettivamente incisi dalla decisione.
Nel momento di adozione della decisione per il singolo progetto si pone, invece, il problema della semplificazione dei procedimenti dal momento che sono coinvolti direttamente diversi soggetti privati precisamente individuabili: il proponente della specifica opera da realizzare – ad esempio un impianto – e la popolazione del territorio sul quale verrà realizzata detta opera. L’adozione di decisioni pubbliche in tempi rapidi è volta, in effetti, a far fronte alle esigenze del singolo operatore economico che ha presentato l’istanza e che mira ad ottenere l’autorizzazione in tempi ragionevoli. Allo stesso tempo l’accelerazione può comportare una riduzione della possibilità di intervento nel procedimento dei cittadini del territorio nel quale verrà realizzato il progetto.
Alla luce della ricostruzione effettuata, emerge, dunque, il problema di come conciliare l’art. 15 della direttiva relativo alla semplificazione delle procedure per le energie rinnovabili – sopra richiamato – con l’art. 6 della Convenzione che richiede un obbligo di partecipazione.
In effetti, anche in assenza di un espresso richiamo, gli Stati dell’Unione devono comunque rispettare l’art. 6 in materia di partecipazione avendo ratificato la Convenzione di Aarhus.
Nello stesso tempo, la semplificazione non può ridurre eccessivamente la partecipazione nelle procedure per le energie rinnovabili, poiché tali progetti richiedono necessariamente un consenso sociale significativo. In assenza di tale consenso si rischia di bloccare la realizzazione delle opere mediante forme di protesta della cittadinanza o ricorsi giurisdizionali. Sarebbe, dunque, opportuno un utilizzo maggiore di strumenti di coinvolgimento della popolazione quale lo scambio di informazioni, il dibattito pubblico, la compensazione per i danni subiti o la financial participation.
In conclusione, la ricostruzione del quadro normativo svolta in questo paragrafo mostra quanto sia necessario effettuare un bilanciamento [35] tra semplificazione e partecipazione [36]. Come trovare un punto di equilibrio rimane, però, un interrogativo aperto che potrà essere risolto anche mediante un intervento del legislatore comunitario volto a definire in modo puntuale l’ambito di applicazione della partecipazione nel settore dei procedimenti per le energie rinnovabili [37].
L’analisi del ruolo della semplificazione implica anche una valutazione del tema della multilevel governance. In effetti, il processo decisionale nel settore delle energie rinnovabili – come noto – coinvolge dal punto di vista normativo e amministrativo sia il livello di governo locale, sia il livello di governo nazionale [38].
Del resto, mentre la disciplina generale viene stabilita a livello sovranazionale e nazionale, i progetti hanno un impatto significativo soprattutto a livello locale coinvolgendo gli interessi della cittadinanza residente nello specifico territorio. In effetti l’esigenza di tutelare l’ambiente e lottare contro il cambiamento climatico è di natura generale e, dunque, comporta l’adozione di discipline a livello nazionale e sovranazionale volte a regolamentare dall’alto i procedimenti relativi alle energie alternative.
Tale esigenza generale si pone però in una sorta di conflitto con gli interessi locali considerati gli impatti notevoli dei progetti sui singoli territori [39].
Pertanto, vi potrebbero essere problemi di coordinamento tra i diversi livelli di governo che rischiano di ridurre la semplificazione delle procedure [40].
Ad esempio in Italia il procedimento autorizzatorio per i progetti di energia rinnovabile coinvolge diversi livelli di governo: statale, regionale e locale [41]. In effetti, l’autorizzazione unica per la realizzazione degli impianti è disciplinata sia a livello nazionale dal d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, sia dalle leggi delle Regioni competenti al rilascio e comunque coinvolge interessi locali [42] che possono emergere anche nei regolamenti dei singoli comuni. L’intervento di diversi livelli di governo pone, in Italia, difficoltà di coordinamento tra le varie discipline rendendo complessa l’adozione della decisione finale.
Lo stesso problema riguarda il profilo amministrativo. In effetti, i procedimenti autorizzatori oltre ad essere disciplinati a diversi livelli di governo coinvolgono autorità amministrative diverse. Basti considerare che in Italia l’autorizzazione è rilasciata dalla Regione ma il procedimento di adozione richiede l’intervento di istituzioni statali quali i Ministeri e le Soprintendenze – per la tutela dei beni archeologici e paesaggistici – e locali quali i Comuni direttamente interessati dai progetti.
Tale coinvolgimento di autorità diverse è dovuto in particolare alla difficoltà di allocare le funzioni relative alla tutela ambientale caratterizzate da un elevato tecnicismo. In effetti, è difficile individuare l’amministrazione che sia maggiormente in grado di far fronte – da un punto di vista organizzativo e di personale – ad aspetti tecnico-specialistici. Pertanto, le competenze vengono tendenzialmente trattenute “in alto” considerato che le amministrazioni locali potrebbero non essere idonee ad affrontare questioni caratterizzate da problemi tecnici complessi. Inoltre, nell’allocazione delle funzioni si creano sovrapposizioni [43] dal momento che la tutela ambientale essendo di carattere trasversale coinvolge diverse materie (come ad esempio la tutela della salute o del paesaggio) che non sono, però, adeguatamente coordinate [44].
Pertanto, in un sistema caratterizzato dal pluralismo istituzionale e dalla difficoltà di allocazione delle funzioni diventa essenziale raggiugere un coordinamento tra i soggetti coinvolti [45] al fine di consentire una adozione delle decisioni ambientali efficiente ed in tempi ragionevoli.
Anche la direttiva (UE) n. 2001/2018 riconosce che: “È stato dimostrato che l’assenza di norme trasparenti e di coordinamento tra i diversi organismi incaricati del rilascio delle autorizzazioni ostacola lo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili” [46].
Pertanto, è evidente che la semplificazione richiede necessariamente anche una armonizzazione dei diversi livelli di governo [47] e delle diverse autorità amministrative coinvolte. In assenza di tale coordinamento si rischia, in effetti, una vanificazione degli obiettivi posti dal legislatore comunitario nel settore delle rinnovabili [48].
Va, dunque, considerato come far fronte al problema del coordinamento che può riguardare – come detto – sia il piano amministrativo coinvolgendo i rapporti tra le autorità coinvolte nell’adozione della decisione, sia il piano legislativo in relazione alle discipline poste a diversi livelli di governo.
Da un punto di vista amministrativo, uno strumento per risolvere il problema della suddivisione delle competenze tra diverse autorità consiste nella istituzione di uno sportello unico che assista i proponenti che intendono realizzare i progetti [49].
Tale soluzione è prospettata dalla stessa direttiva che richiede l’istituzione di sportelli unici che possano guidare e assistere i cittadini per tutta la durata del procedimento. Peraltro, al fine di promuovere realmente la semplificazione, la direttiva specifica che il richiedente deve rivolgersi per la procedura autorizzativa ad un solo sportello unico.
In altri termini, alla luce della disciplina comunitaria, il richiedente deve poter avere un unico interlocutore pubblico che lo guidi nel procedimento autorizzatorio e possa, dunque, arrivare al rilascio dell’autorizzazione in maniera celere. Lo sportello unico può, dunque, costituire uno strumento utile per favorire il coordinamento tra diverse autorità ed agevolare i proponenti.
La direttiva specifica altresì che tale sportello unico debba essere posto al “livello di governance adeguato”, a seconda della specificità degli Stati membri, che possa agevolare i proponenti dei progetti riducendo la complessità della procedura, aumentando la trasparenza e l’efficienza.
Va, però, considerato che tale strumento potrebbe non essere da solo sufficiente per procedure complesse come le autorizzazioni per gli impianti che coinvolgono non solo diverse autorità, ma diversi livelli di governo oltre ad incidere su interessi “sensibili”. Ad esempio in Italia le autorizzazioni all’esercizio degli impianti non possono essere rilasciate attraverso l’istruttoria svolta dallo sportello unico considerato che l’autorizzazione richiede l’intervento di un numero significativo di autorità pubbliche. Il comma 4 dell’art. 2 del D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, esclude, in effetti, dal campo di applicazione dello Sportello Unico per le Attività Produttive (S.U.A.P.), tra gli altri, «gli impianti e le infrastrutture energetiche».
In tali ipotesi potrebbero essere utilizzati anche istituti di c.d. coordinamento infrastrutturale [50] che consentono un effettivo confronto tra le sole amministrazioni coinvolte, come la conferenza di servizi o le intese. Tali strumenti permettono l’adozione di decisioni condivise e coordinate tra le diverse amministrazioni anche in situazioni complesse con una pluralità di interessi non gestibili mediante l’utilizzo di sportelli unici. Gli interessi in gioco vengono, in effetti, analizzati in un’ottica più ampia e in modo simultaneo dai soggetti pubblici competenti consentendo anche una aggregazione delle fasi procedimentali deputate alla loro valutazione.
Anche in tale ipotesi, però, non si assiste ad un assorbimento delle discipline di settore e, dunque, ad una unificazione delle competenze ma soltanto ad una coesione nella stessa arena deliberativa delle amministrazioni preposte alla cura di interessi parziali [51]. Pertanto tali strumenti, seppur utili per l’adozione di decisioni ambientali complesse di competenza di diverse amministrazioni, potrebbero non essere da soli sufficienti a semplificare i procedimenti autorizzatori in assenza di un intervento legislativo di razionalizzazione a monte.
In effetti, occorre far fronte non solo al problema delineato dalla direttiva relativo al piano amministrativo, vale a dire il coordinamento tra autorità poste a diversi livelli di governo, ma anche alla criticità relativa alla pluralità di centri legislativi e soprattutto alla distinzione tra “chi emana le regole” e “chi deve applicarle”.
Innanzitutto, la disciplina relativa alle autorizzazioni per gli impianti viene emanata – come ad esempio in Italia – non solo dal legislatore nazionale, ma anche dal legislatore regionale/locale. A livello nazionale e locale sussistono diverse leggi e diverse linee guida che andrebbero necessariamente armonizzate, restando fermo che in ambito regionale/locale non dovrebbero essere previste deroghe alle garanzie procedimentali stabilite a livello nazionale [52].
Peraltro, vi è una divisione tra la disciplina generale introdotta a livello statale e la concreta applicazione che incide a livello locale che dovrebbe essere colmata.
In altri termini, sarebbe opportuno, nell’ottica della direttiva, avere un maggiore coordinamento tra livello di governo che disciplina la procedura e livello di governo che rilascia l’autorizzazione oltre che una maggiore attenzione per il livello locale direttamente coinvolto. Del resto, se sussiste uno scollamento tra la responsabilità delle procedure posta ad un livello alto di governo ed il territorio interessato, vi è il rischio di resistenze da parte delle comunità locali alla realizzazione dei progetti.
Per di più la direttiva fa riferimento alla individuazione del livello di governo più adeguato per gestire la procedura che i singoli Stati devono individuare a seconda della disciplina nazionale. È fondamentale, dunque, che venga individuato un solo livello di governo che si occupi principalmente del procedimento autorizzatorio – sia in termini legislativi sia in termini organizzativi – al fine di agevolare i proponenti e rendere meno complesso il procedimento [53].
La direttiva non prospetta, però, ulteriori soluzioni al riguardo, limitandosi a segnalare la problematica del coordinamento tra diverse autorità preposte alla cura dell’ambiente da risolvere con lo strumento principale dello sportello unico.
Alla luce della ricostruzione effettuata, sarebbe, però, necessaria anche una definizione chiara da parte del legislatore delle competenze dei vari livelli di governo che tenga conto dell’impatto significativo delle opere per le energie rinnovabili sul territorio e sulle popolazioni coinvolte.
In altri termini, sarebbe opportuno innanzitutto ridurre le sovrapposizioni ed operare una adeguata razionalizzazione delle competenze e, solo in un secondo momento, ricorrere al coordinamento come gli sportelli unici o le conferenze di servizi [54].
L’efficienza della tutela giurisdizionale riveste un ruolo determinante nella promozione dei progetti di energia rinnovabile.
In effetti, è risaputo che non è possibile focalizzare l’attenzione soltanto sulla procedura decisionale senza prendere in considerazione l’efficienza del processo. Del resto, se il procedimento amministrativo è semplificato ma la decisione del giudice riguardante le relative controversie non viene adottata in tempi rapidi, l’obiettivo di promuovere i progetti di energia rinnovabile rischia di essere vanificato.
In proposito, l’art. 16, comma 5 della direttiva (UE) n. 2001/2018 prevede che “Gli Stati membri provvedono affinché i richiedenti abbiano un accesso facile a procedure semplici per la risoluzione delle controversie concernenti le procedure autorizzative e il rilascio delle autorizzazioni a costruire e a esercire impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, compresi, se del caso, meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie”.
La direttiva pone, dunque, in risalto tre aspetti che incidono sulla semplificazione: l’accesso “facile” alla giustizia; procedure semplici e, dunque, accelerate per la risoluzione delle controversie; l’utilizzo di meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie.
Pertanto, è evidente che la semplificazione è strettamente correlata anche all’efficienza giurisdizionale. In caso contrario vi è il rischio che le decisioni volte alla realizzazione di progetti di energia rinnovabile non vengano effettivamente eseguite poiché soggette a continui ricorsi giurisdizionali [55]. Tali ricorsi possono essere, in effetti, promossi sia dai proponenti i progetti che ritengono le decisioni non proporzionate sia dai cittadini coinvolti dalla decisione relativa alla realizzazione degli impianti, sia dalle associazioni ambientaliste che richiedono un maggior coinvolgimento della popolazione.
La soluzione potrebbe essere quella di avere procedure giurisdizionali accelerate anche in tema di autorizzazione unica come avviene in altri settori in relazione alle “procedure semplici” richiamate nella direttiva. Un rito processuale apposito ed accelerato potrebbe garantire una definizione in tempi ragionevoli delle controversie relative alle autorizzazioni per gli impianti di energia rinnovabile [56].
Diverso è il caso dell’“accesso facile alla giustizia” che implica anche la soluzione di problemi correlati ai costi della giustizia, alla legittimazione processuale [57] anche per eventuali richieste di risarcimenti [58]. Tale accesso facile può essere inteso nel senso della Convenzione di Aarhus che richiede in particolare una procedura “rapida e gratuita o comunque poco onerosa” (art. 9). In altri termini, anche nel settore delle energie rinnovabili, ai fini della semplificazione, sarebbe opportuno predisporre un rito accelerato con costi non eccessivi per i ricorrenti.
I meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie consistono, invece, come noto, in arbitrati o forme di accordo tra proponente ed amministrazione che pongono notevoli problemi applicativi. Tali strumenti consentono, infatti, un dialogo delle parti anche nell’ottica della prevalenza dell’interesse ambientale ma pongono concrete difficoltà nell’applicazione concreta.
In effetti, si pone innanzitutto il problema di quale forma di risoluzione alternativa utilizzare: arbitrato, mediazione, conciliazione, negoziazione.
Inoltre, andrebbe valutato se sia necessario un organismo arbitrale ad hoc che si occupi della risoluzione di tali controversie [59] o l’istituzione di organismi appositi che si occupino dei tentativi di mediazione e conciliazione.
Infine, ulteriore criticità è data dalla circostanza che gli interessi ambientali non riguardano la sfera giuridica di un singolo individuo, ma della collettività e, dunque, potrebbero non essere nella completa disponibilità delle parti. In altri termini andrebbe valutato quali sono le limitate ipotesi nelle quali si tratti di questioni ambientali che possono essere affidate alla autonomia della parte privata coinvolta e oggetto di negoziazione da parte dell’amministrazione [60].
Anche gli accordi tra amministrazione e privati potrebbero essere utili quale forma alternativa di risoluzione delle controversie in materia di energie rinnovabili. In effetti, tali accordi consentono al proponente il progetto di veder soddisfatte le proprie pretese in un assetto di rapporti stabile e all’amministrazione di evitare eventuali contenziosi in sede giurisdizionale data l’acquiescenza del privato sull’assetto definito [61].
Tali accordi comportano, però, criticità nella concreta applicazione considerata la difficoltà di effettuare un bilanciamento tra interesse privato e interessi pubblici settoriali delle diverse amministrazioni interessate dalla decisione di impatto ambientale. Il raggiungimento di un accordo, peraltro, è ancor più complesso se si considera che le decisioni relative alle energie rinnovabili coinvolgono oltre al proponente anche la cittadinanza del luogo nel quale verrà realizzato il progetto. Pertanto, risulta difficoltoso far fronte in un accordo tra amministrazione e privato alle molteplici esigenze di soggetti pubblici e privati correlate alla realizzazione di progetti per le energie rinnovabili.
Ulteriore strumento potrebbe essere costituito dalla devoluzione delle controversie in materia ambientale un giudice “speciale” con apposite competenze tecniche [62].
Tale soluzione non sembra, però, preferibile poiché – a prescindere dalla compatibilità della soluzione con i singoli ordinamenti [63] – i giudici, come il giudice amministrativo nazionale, non entrano nel merito della decisione relativa alla realizzazione dell’impianto per l’energia rinnovabile, ma valutano solo la ragionevolezza della decisione pubblica. Pertanto, non sembra necessaria l’istituzione di un giudice dedicato alla soluzione delle controversie ambientali che non possono riguardare l’opportunità delle scelte.
Inoltre, i giudici nelle controversie relative ai procedimenti per la realizzazione di impianti di energia rinnovabile possono comunque richiedere l’intervento di consulenti tecnici per questioni complesse.
Pertanto, l’istituzione di un giudice “speciale” per le controversie potrebbe determinare un’inutile duplicazione comportando un’ulteriore difficoltà di applicazione effettiva delle decisioni pubbliche.
La semplificazione in termini giurisdizionali sopra delineata non deve, però, andare a discapito della effettiva tutela dei soggetti che presentano ricorso. Pertanto, una giustizia rapida deve garantire allo stesso tempo una tutela effettiva degli interessi dei soggetti coinvolti.
La disciplina settoriale in ambito giurisdizionale delineata dalla direttiva dovrebbe, dunque, accelerare i tempi di giustizia evitando le lungaggini processuali ordinarie, ma allo stesso tempo garantire un’effettività della tutela [64].
L’applicazione delle misure di semplificazione richiamate dalla direttiva comporta non solo vantaggi, ma anche criticità [65].
La Commissione con riferimento alla direttiva del 2009 sopra richiamata ha, in effetti, evidenziato che numerosi Stati non hanno applicato la disposizione relativa alla semplificazione delle procedure. Nel rapporto della Commissione del 27 marzo 2013 sull’applicazione della disciplina della direttiva, in particolare, sulla semplificazione delle procedure (2013 progress report COM(2013)175) si specifica “progress in removing administrative barriers is still limited and slow” [66] e si evidenzia che i ritardi nei procedimenti amministrativi costituiscono un rischio per la promozione dei progetti di energia rinnovabile [67].
Inoltre, in giurisprudenza non si sono riscontrati casi significativi decisi dalla Corte di Giustizia in merito alla semplificazione procedurale [68] dal momento che l’attenzione è posta principalmente sui temi economici e di tutela della concorrenza [69]. Gli unici casi attinenti alla semplificazione riguardano, peraltro, inadempimenti degli Stati relativi alla rimozione delle barriere amministrative per lo sviluppo delle energie rinnovabili [70].
Occorre, dunque, considerare se la nuova direttiva del 2018 possa condurre ad una effettiva accelerazione nella realizzazione dei progetti per le energie rinnovabili.
Al riguardo va innanzitutto sottolineato che le misure introdotte dalla direttiva del 2018 risultano generali poiché vanno applicate dai singoli Stati secondo modalità attuative da definire nei casi specifici a seconda delle discipline nazionali. Basti considerare che la direttiva si riferisce genericamente ad una accelerazione delle procedure senza specificare le modalità per ottenere tale risultato come – ad esempio – l’individuazione delle fasi procedurali da eliminare.
Inoltre, tali misure vanno messe in correlazione con le politiche ambientali specifiche nei diversi settori (ad esempio la biodiversità, l’accesso alle informazioni) come evidenziato dalla stessa direttiva che nel punto 45 specifica: ”È opportuno assicurare la coerenza tra gli obiettivi della presente direttiva e il diritto dell’ambiente dell’Unione. In particolare, durante le procedure di valutazione, pianificazione o concessione di licenze per gli impianti di energia rinnovabile, gli Stati membri dovrebbero tener conto di tutto il diritto dell’ambiente dell’Unione e del contributo dell’energia da fonti rinnovabili al conseguimento degli obiettivi in materia di ambiente e cambiamenti climatici, specialmente rispetto agli impianti di energia non rinnovabile”.
Del resto, come risaputo, in ambito europeo sono state adottate direttive per proteggere l’ambiente e, in particolare, la qualità e quantità dell’acqua, la qualità dell’aria, la conservazione delle specie animali e della biodiversità che vanno coordinate con le misure volte alla promozione dell’energia da fonti rinnovabili [71]. La direttiva non specifica, però, le modalità di coordinamento tra le discipline settoriali che vengono demandate anche in questo caso alla “sensibilità” degli Stati membri [72].
Infine, le misure per aumentare l’efficienza delle procedure autorizzatorie per le energie rinnovabili vanno lette nel contesto più ampio delle misure adottate dagli Stati per migliorare l’efficienza dei procedimenti amministrativi. Tali procedimenti per le energie rinnovabili vanno, dunque, armonizzati con la disciplina generale dei procedimenti amministrativi al fine di una applicazione coerente di quanto indicato nell’art. 15 della direttiva. Per fare un esempio, in Italia, la disciplina dell’art. 15 rientra nell’ambito delle misure volte alla semplificazione dei procedimenti ambientali mediante l’introduzione di istituti nuovi quali il c.d. silenzio assenso tra amministrazioni [73] che equipara l’inerzia endoprocedimentale all’adozione di un atto favorevole.
In tale contesto risulta palese che anche la nuova direttiva non risulta di agevole applicazione da parte degli Stati che devono individuare caso per caso le misure più idonee per la promozione delle energie rinnovabili.
Alla luce di quanto emerso nelle note precedenti, è evidente che la semplificazione è essenziale per la promozione dei progetti di energia rinnovabile dal momento che favorisce una rapida definizione delle procedure per il rilascio dell’autorizzazione. Tale strumento di semplificazione non è però, da solo sufficiente e dovrebbe essere affiancato da ulteriori misure: un aumento della partecipazione; una chiarezza nella suddivisione delle competenze; una certezza nel processo decisionale; una rapida ed efficace risoluzione delle controversie.
In altri termini, oltre alle misure espressamente elencate nella direttiva nell’art. 15, vi sono ulteriori soluzioni che emergono dall’analisi del testo normativo e che potrebbero contribuire alla promozione dei progetti di energia rinnovabile.
Lo sviluppo dei progetti di energia rinnovabile mediante tali misure – espressamente o implicitamente richiamate nella direttiva – pone non solo vantaggi, ma anche difficoltà nella concreta applicazione. Va, dunque, considerato quali sono i possibili rimedi per rendere meno complessa la effettiva realizzazione della semplificazione procedimentale.
Innanzitutto, occorre considerare che le misure individuate dalla direttiva devono essere coordinate e contestuali.
Tra tali soluzioni sussiste, in effetti, un evidente collegamento: in effetti se i cittadini hanno la possibilità di partecipare ai procedimenti decisionali e possono rivolgersi ad un solo sportello unico nell’ipotesi di dubbi sulla procedura, vi è una deflazione del contenzioso. Del resto, i ricorsi giurisdizionali sono promossi soprattutto nelle ipotesi in cui gli interessati non hanno la possibilità di partecipare effettivamente all’adozione della decisione di autorizzazione o incontrano difficoltà nel seguire l’iter procedurale per l’autorizzazione stessa.
In secondo luogo, occorre uniformità nella concreta attuazione della disciplina europea: si è fatto riferimento alla circostanza che le misure della direttiva risultano eccessivamente vaghe e, dunque, andrebbero meglio dettagliate [74].
Al riguardo un problema rilevante riguarda l’uniformità considerato che la disciplina è diversa nei vari Paesi europei. Anche se le problematiche che la direttiva tenta di risolvere sono comuni occorre valutare come saranno in concreto adattate alle realtà dei singoli Stati. Deve, dunque, essere chiarita la modalità con la quale è necessario applicare concretamente l’art. 15 della direttiva nonché definire le conseguenze nell’ipotesi di mancato rispetto di tale disciplina.
Infine, andrebbe risolto il problema del c.d. consenso sociale in relazione ai progetti per le energie rinnovabili.
L’adozione e la concreta applicazione delle decisioni in materia di energia rinnovabile richiedono, dunque, in base alla nuova direttiva, il consenso anche da parte del settore privato [75] e della cittadinanza. Tale aspetto va necessariamente bilanciato o coordinato con la disciplina relativa alla semplificazione delle procedure. Del resto, la governance nel settore energetico richiede necessariamente il contemperamento di diversi fattori: le procedure amministrative semplificate; l’intervento dei privati e degli operatori economici; lo scambio di informazioni con i cittadini e la possibilità di intervento nel procedimento; l’utilizzo di tecnologie per la promozione dell’energia pulita.
Alla luce di quanto emerso dall’analisi della direttiva, è evidente, dunque, che la semplificazione non implica soltanto una accelerazione delle procedure o una riduzione delle fasi del procedimento, ma anche l’applicazione di tutte le misure adeguate per raggiungere un effettivo equilibrio tra l’interesse del privato e la tutela dell’ambiente.
[1] A. Marzanati, Semplificazione delle procedure e incentivi pubblici per le energie rinnovabili, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, fasc. 5, 2012, p. 499; M.A. Sandulli, Il procedimento amministrativo e la semplificazione, in Ius Publicum Network Review, 2013; M. Renna, Semplificazione e ambiente in Rivista Giuridica dell’edilizia, 2008, II, pp. 37-70.
[2] Si v. E. Picozza-S.M. Sambri (a cura di), Il diritto dell’energia, Padova, Cedam, 2015; G. Napolitano, L’energia elettrica e il gas, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, III, Milano, Giuffrè, 2003, p. 2198 ss.
[3] In giurisprudenza è stato evidenziato che: “il settore dell’energia eolica è peculiare e caratterizzato dalla compresenza di molteplici interessi, pubblici e privati, aventi tutti dignità costituzionale; da un lato la tutela del paesaggio, dall’altro la tutela dell’ambiente, della salute, dello sviluppo sostenibile e dell’iniziativa economica privata che si intendono perseguire mediante lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili e non inquinanti” (TAR Sardegna, Cagliari, sez. I, sent. 8 aprile 2011, n. 328).
[4] B. Caravita di Toritto, Gli incentivi alle rinnovabili nella crisi: certezza del diritto e sostenibilità economico-finanziaria in Regole e mercato delle energie rinnovabili, in Annuario di diritto dell’energia, G. Napolitano-A. Zoppini (a cura di), 2013, pp. 100 e 101 fa riferimento alla presenza, nel settore delle energie rinnovabili, di diversi interessi e profili: “tutti ampiamenti degni di considerazione e valutazione, nessuno dei quali può essere sottovalutato o assunto con leggerezza”. In relazione alla tutela del paesaggio si veda S. Amorosino, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell’ambiente e del paesaggio, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, fasc. 6, 2011, p. 753.
[5] In tema di procedimenti ambientali si veda F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in AA.VV., Diritto dell’ambiente, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 213 ss.
[6] Sul tema della eccessiva lunghezza del tempo per la realizzazione delle opere pubbliche si v. S. Screpanti, I tempi delle opere pubbliche e la relatività del tempo nel diritto amministrativo, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n. 4, 2019, p. 1189.
[7] Si v. D. Varese, L’efficienza della decisione amministrativa. Semplificazione e accelerazione del procedimento nelle recenti riforme della pubblica amministrazione, in Federalismi.it, 26 settembre 2018 dove si evidenzia l’effetto del complesso procedimento autorizzatorio sui cittadini, sulle imprese e sull’amministrazione. In relazione ai primi le autorizzazioni generano “elevati costi di transazione in termini di tempo e risorse”; mentre l’amministrazione “deve sopportare l’onere relativo all’istruzione del procedimento”. Si veda anche L. Bisoffi, Semplificazione del procedimento amministrativo e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Federalismi.it, 9 gennaio 2019.
[8] M. Cocconi, Promozione europea delle energie rinnovabili e semplificazione, in Rivista Quadrimestrale dell’Ambiente, nn. 1-2/2012, p. 29 fa riferimento alla “individuazione, a livello europeo, di uno stretto nesso fra qualità della regolazione, semplificazioni normative e procedurali e promozione delle fonti rinnovabili (…) risalente nel tempo”. In effetti, l’Autrice evidenzia come già la direttiva del 2001 aveva imposto agli Stati di “ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili”, “razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo” e “garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili” (art. 6).
[9] Art. 6, direttiva (CE) n. 77/2001: (sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità): “1. Gli Stati membri o gli organismi competenti designati dagli Stati membri valutano l’attuale quadro legislativo e regolamentare esistente delle procedure di autorizzazione o delle altre procedure di cui all’articolo 4 della direttiva (CE) n. 96/1992 applicabili agli impianti per la produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili allo scopo di: — ridurre gli ostacoli normativi e di altro tipo all’aumento della produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili, — razionalizzare e accelerare le procedure all’opportuno livello amministrativo, — garantire che le norme siano oggettive, trasparenti e non discriminatorie e tengano pienamente conto delle particolarità delle varie tecnologie per le fonti energetiche rinnovabili”.
[10] Si v. M. Piacentini, I servizi energetici e gli strumenti giuridici di attuazione: il P.P.P. e l’in house nel settore dell’energia, in Il Foro Amministrativo, fasc. 2, 1 febbraio 2019, p. 343 che fa riferimento alle direttive, c.d. Green Package, che hanno fissato gli obbiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti, di produzione di energia rinnovabile ed incremento di efficienza energetica negli Stati aderenti all’Unione Europea. Secondo l’Autore “la legislazione europea in materia energetica ha apportato una progressiva apertura dei mercati nazionali, sia dal lato dell’offerta, imponendo alle imprese monopoliste limitazioni esterne alle quote di mercato, sia dal lato della domanda, riconoscendo progressivamente ai consumatori la facoltà di scegliere il proprio fornitore energetico”. Per un approfondimento sulla strategia “Europa 2020” e le prospettive successive si veda F. Ferri, Il diritto dell’Unione europea post “Europa2020”: alterazioni nei rapporti giuridici tra ordinamenti e possibili effetti, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, fasc. 2, 1 giugno 2018, p. 723.
[11] Art. 13 direttiva (CE) n. 28/2009: “1. Gli Stati membri assicurano che le norme nazionali in materia di procedure di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze applicabili agli impianti e alle connesse infrastrutture della rete di trasmissione e distribuzione per la produzione di elettricità, di calore o di freddo a partire da fonti energetiche rinnovabili e al processo di trasformazione della biomassa in biocarburanti o altri prodotti energetici siano proporzionate e necessarie”.
[12] La Corte di Giustizia, nella sentenza 2 maggio 2017, C-4/16, ha individuato gli obiettivi di tale direttiva evidenziando che: “Tale interpretazione è corroborata dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2009/28. Infatti, dal suo articolo 1 risulta che quest’ultima mira a promuovere l’energia da fonti rinnovabili e, secondo il suo considerando 1, il maggior ricorso all’energia da fonti rinnovabili costituisce un fattore importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e gioca un ruolo nel promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel favorire lo sviluppo tecnologico e l’innovazione e nel creare posti di lavoro nonché sviluppo regionale”.
[13] Per una ricostruzione della disciplina in materia si veda M. Marletta, Il quadro giuridico europeo sulle energie rinnovabili, in Il Diritto dell’Unione Europea, fasc. 3, 2014, p. 465.
[14] Art. 15, direttiva UE n. 2001/2018: “a) le procedure amministrative siano razionalizzate e accelerate al livello amministrativo adeguato e siano fissati termini prevedibili per le procedure di cui al primo comma; b) le norme in materia di autorizzazione, certificazione e concessione di licenze siano oggettive, trasparenti e proporzionate, non contengano discriminazioni tra partecipanti e tengano pienamente conto delle specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili; c) le spese amministrative pagate da consumatori, urbanisti, architetti, imprese edili e installatori e fornitori di attrezzature e di sistemi siano trasparenti e proporzionate ai costi; e d) siano previste procedure di autorizzazione semplificate e meno gravose, anche attraverso una procedura di notifica semplice per dispositivi decentrati, e per la produzione e lo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili”.
[15] In altri termini è necessario “individuare gli adempimenti burocratici effettivamente imprescindibili per il migliore perseguimento dello scopo di tutela, far emergere quegli apporti istruttori e quei passaggi procedurali oggettivamente non surrogabili, per poi applicare anche ai procedimenti in materia ambientale regole e istituti di semplificazione volti ad eliminare qualsiasi elemento che − senza adeguate giustificazioni − aggravi l’azione di cittadini ed imprese”. M. Calabrò, Semplificazione procedimentale e esigenze di tutela dell’ambiente: l’autorizzazione integrata ambientale, in Rivista giuridica dell’edilizia, fasc. 5, 2010, p. 239.
[16] Il tema assume particolare rilevanza in considerazione dell’adozione del nuovo decreto 4 luglio 2019 riguardante gli incentivi alle fonti rinnovabili per il triennio 2019-2021 (il “Nuovo DM Fer”) da parte dei Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 9 agosto 2019. In effetti, il decreto si occupa non solo di incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma anche di definire le procedure per la richiesta di incentivi suddivise in inscrizione in registri ed aste a seconda della potenza dell’impianto. È palese che le esigenze di semplificazione procedurale riguardano non soltanto la fase di autorizzazione – analizzata nel presente lavoro – ma anche la fase di attribuzione degli incentivi definita dal decreto.
[17] Si v. A. Travi, La semplificazione amministrativa come strumento per far fronte alla crisi economica, in Giustamm.it, n. 5/2016 dove si evidenzia la difficoltà di definire le misure di semplificazione da adottare considerato che: “«semplificazione» rimane un termine generico, che designa un metodo generale, più che un contenuto obiettivo o un risultato specifico. Le ragioni della semplificazione suscitano un consenso immediato; la semplificazione amministrativa rischia però di diventare una sorta di slogan che riassume modalità molto diverse e che non è in grado di rappresentare caratteri specifici”.
[18] M. Feola, Ambiente e democrazia. Il ruolo dei cittadini nella governance ambientale, Torino, Giappichelli, 2014, p. 158.
[19] Si v. R. Wustenhagen-M. Wolsink-M.J. Burer, Social acceptance of renewable energy innovation: an introduction to the concept, in Energy Policy, n. 35 (2007), pp. 2683-2691.
[20] Per un approfondimento si v. G. Pizzanelli, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, Milano, Giuffrè, 2010.
[21] La partecipazione è, pertanto, garantita “al massimo livello” per le decisioni riguardanti l’autorizzazione di attività specifiche rispetto alle quali vi sono soggetti privati interessati direttamente incisi dal provvedimento. In effetti, la partecipazione gioca un ruolo determinante nello sviluppo delle energie rinnovabili poiché consente l’intervento di tutti i portatori di interessi coinvolti nel procedimento primi fra tutti gli operatori privati che promuovono il progetto. A. Angeletti (a cura di), Partecipazione, accesso e giustizia nel diritto ambientale, Napoli, ESI, 2011, p. 35 ss.
[22] “del Parlamento europeo e del Consiglio che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio (CEE) n. 337/1985 e n. 61/1996 relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia”.
[23] Si v. C. Pinea, Diritto internazionale e democrazia ambientale, Napoli, ESI, 2013, p. 253 ss.; J. De Mulder, La nuova direttiva sulla valutazione degli effetti di piani e programmi sull’ambiente, in Rivista Giuridica dell’ambiente, 2001, p. 213 ss.
[24] Si v. S. Ruini, La disciplina comunitaria dei procedimenti di partecipazione alle decisioni ambientali, Milano, Giuffrè, 2008, p. 17 che fa riferimento alla evoluzione verso un modello di tutela ambientale che coinvolge gli attori istituzionali, le imprese private ed il pubblico.
[25] Nel preambolo della direttiva si legge, in effetti, “3. L’effettiva partecipazione del pubblico all’adozione di decisioni consente allo stesso di esprimere pareri e preoccupazioni che possono assumere rilievo per tali decisioni e che possono essere prese in considerazione da coloro che sono responsabili per la loro adozione”.
[26] Art. 2, comma 2, l. b) della direttiva: “il pubblico possa esprimere osservazioni e pareri quando tutte le opzioni sono aperte prima che vengano adottate decisioni sui piani e sui programmi”.
[27] Si v. L. Casini, L’inchiesta pubblica: analisi comparata, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico, n. 1, 2007, pp. 43-92; L. Casini, L’equilibrio degli interessi nel governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2005.
[28] È stato evidenziato che: “As a result of citizen protest, local politicians may show a reluctance to support renewable energy in their territory. This explains an emerging attention in practice to find means to achieve a stronger consensus among citizens and local politicians by means of new financial-participation measures as already employed in Denmark. However, the potential design options, their legal and economic implications, and their social effects need to be better understood”. M. Peeters; T. Schomerus, Modifying Our Society with Law: The Case of EU Renewable Energy Law, 4 Climate L. 131 (2014), p. 138.
[29] In analogia con il fenomeno speculare c.d. Nimby, Not in my back yard che riguarda le resistenze ai progetti della popolazione direttamente incisa. Si veda U. Barelli, I limiti alle energie rinnovabili con particolare riferimento alla tutela della biodiversità, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, Anno XXIX-fasc. 1-2014.
[30] Per un approfondimento si veda B. Pozzo-S. Fanetti, The case of Italy in M. Peeters-T. Schomerus (eds), Renewable Energy Law in the EU, Legal Perspectives on Bottom-Up Approaches, Edward Elgar, 2014; M. Peeters-T. Schomerus, Modifying Our Society with Law: The Case of EU Renewable Energy Law, op. cit., p. 138.
[31] E. Frediani, Decisione condizionale e tutela integrata di interessi sensibili, in Diritto Amministrativo, fasc. 3, 1 settembre 2017, p. 447 evidenzia la modalità dell’apporto collaborativo del privato alla decisione pubblica che può “dispiegarsi nella prospettiva di una specificazione, in contraddittorio con l’amministrazione, del contenuto delle misure condizionali richieste ex lege per la protezione adeguata ed effettiva dell’interesse ambientale”. In tal modo si garantisce un “contraddittorio tra sfera pubblica e soggetti privati ricondotto in primis alla valutazione della incidenza sulla loro posizione delle diverse opzioni praticabili”.
[32] In relazione all’applicazione “caso per caso” demandata agli Stati si veda M. Peeters “Governing towards renewable energy in the EU: competences, instruments and procedures” in MJ 1 (2014) che afferma in relazione alla direttiva del 2009: “Article13 does not explicitly prescribe that Member States have to establish automatic approval of applications or to establish a single administrative body, so here discretion is left to the Member States, as long as they comply with the efficiency requirements from the Article. In the course of deciding how to comply with Article13 of the Directive, Member States may wonder what exactly the Directive requires them to do: the language in Article13 is quite general. This leads to some uncertainty regarding the compatibility of national approaches with Article13 RED”.
[33] In tale direzione sembra andare anche la Corte di Giustizia che ritenendo conforme alla disciplina europea la riduzione degli incentivi per le rinnovabili fa riferimento alla discrezionalità degli Stati nell’introdurre o eliminare le misure di sostegno se gli obiettivi relativi alle rinnovabili sono stati raggiunti (Corte Giust., 11 luglio 2019, cause C-180/18, C-286/18, C-287/18). In altri termini, anche se nel diverso settore degli incentivi, la Corte di Giustizia ribadisce l’ampia discrezionalità degli Stati nell’adozione delle misure più idonee per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica.
[34] “del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio”.
[35] Il bilanciamento tra semplificazione e partecipazione può dipendere dall’”obbiettivo primario scelto dal legislatore (…) in altri termini lo scopo perseguito concretamente nelle normative di attuazione del principio della partecipazione determina l’entità dell’apertura dell’azione amministrativa ai privati”. M. Cartabia, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1991, p. 61.
[36] Tanto più se si considera che, “in tema di ambiente lo snellimento dei procedimenti amministrativi, e quindi delle procedure autorizzatorie, costituisce una esigenza molto sentita”. B. Caravita, Diritto dell’Ambiente, Bologna, il Mulino, 2005, p. 282.
[37] Al fine di definire l’ambito di applicazione della partecipazione occorre considerare che questa comporta una “implementazione degli spazi di «democrazia», ma può egualmente indurre una certa rigidità dei processi decisionali pubblici, e quindi la loro complicanza e, del tutto verosimilmente, la dilatazione dei tempi del decidere”. Pertanto, si corre il rischio che la partecipazione venga riconosciuta soltanto in maniera formale. Nonostante ciò “quando pure la partecipazione al procedimento si profilasse come un gioco meramente formale, ossia come un insieme di riti capaci di schermare, anche solo in parte, la cifra selettiva ed elitaria del processo decisionale pubblico, ciò non potrebbe mai diventare una buona ragione per rinunciarvi”. R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Diritto Amministrativo, fasc. 2, 1 giugno 2017, p. 209.
[38] G. De Maio, Cambiamento climatico ed energia rinnovabile decentrata: il ruolo dei governi locali, in Federalismi.it, 17 aprile 2019.
[39] F. De Leonardis, Politiche e poteri dei governi locali nella tutela dell’ambiente, in Diritto Amministrativo, fasc. 4, 2012, p. 779 sottolinea, in effetti, il rilievo delle politiche locali nel settore delle energie rinnovabili: “Alla luce del diritto positivo (soprattutto internazionale ed europeo) e della giurisprudenza, il ruolo delle politiche e dei poteri dei governi locali nella tutela dell’ambiente è (invece) di assoluto rilievo e non solo per le questioni minute ma anche per quelle di ambito generale, come appunto quella dei cambiamenti climatici”.
[40] Si è fatto riferimento “alla particolare complessità sia normativa che organizzativa che caratterizza la disciplina del settore energetico e specificamente – nel nostro caso – delle energie rinnovabili”. A. Marzanati, Semplificazione delle procedure e disincentivi pubblici per le energie rinnovabili, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, fasc. 5, 2012, p. 499.
[41] S. Amorosino, Impianti di energia rinnovabile e tutela dell’ambiente e del paesaggio, op. cit., p. 753 evidenzia la complessità dei rapporti tra livelli di governo specificando come le procedure per le energie rinnovabili non riguardino solo “l’arcinoto «modulo generale» incentrato sul conflitto tra Stato, Regioni e Comuni, più precisamente tra decisioni statali, resistenze regionali e ostilità campanilistiche” ma anche una “sorta di «canone inverso» (…) che vede la realizzazione degli impianti ad energia eolica e solare attribuiti alla competenza regionale (ma molte leggi regionali hanno assegnato la competenza autorizzatoria alle Province, mentre è rimasta di competenza regionale la VIA)”.
[42] L’art. 12, comma 3, d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 prevede “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione o dal Ministero dello sviluppo economico entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione”.
[43] In proposito si veda G.F. Cartei, Cambiamento climatico ed energia da fonti rinnovabili: una disciplina in cerca di equilibrio, in G.F. Cartei, (a cura di) Cambiamento climatico e sviluppo sostenibile, Torino, Giappichelli, 2013, p. 57 ss. dove si evidenzia come la “sistematica della materia delle energie rinnovabili (che) risente della concorrenza di competenze e sovrapposizione di funzioni”.
[44] M. Renna, L’allocazione delle funzioni normative e amministrative, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’Ambiente, Torino, Giappichelli, 2017, p. 148 ss.
[45] M. De Giorgi, La semplificazione amministrativa tra esigenze di uniformità ed effettività delle politiche. Alla ricerca di un coordinamento stabile tra Stato e Regioni, in Istituzioni del Federalismo, n. 3/2011, pp. 501-530 che conclude affermando: “tanto per cominciare, manca un effettivo centro di coordinamento stabile tra centro e territori. Sia consentito dire che sembra assente in Italia una visione globale, seria e puntuale della semplificazione amministrativa, che è invece un orizzonte auspicabile, non essendo più sufficienti – oltre che poco condivisibili nel metodo – frastagliati e ambigui interventi legislativi”.
[46] Punto 50 nel quale si evidenzia altresì che: “È stato dimostrato che l’assenza di norme trasparenti e di coordinamento tra i diversi organismi incaricati del rilascio delle autorizzazioni ostacola lo sviluppo dell’energia da fonti rinnovabili. Fornire orientamenti ai richiedenti nel corso della procedura di domanda di autorizzazione amministrativa e della procedura autorizzativa attraverso uno sportello amministrativo unico mira a ridurre la complessità per i promotori dei progetti e aumentare l’efficienza e la trasparenza, anche per gli autoconsumatori di energia da fonti rinnovabili e le comunità di energia rinnovabile. Tali orientamenti devono essere forniti a un livello di governance adeguato, tenendo conto delle specificità degli Stati membri. Il punto di contatto unico dovrebbe orientare il richiedente e facilitare l’intero processo amministrativo affinché il richiedente non sia obbligato a contattare altri organismi amministrativi al fine di completare la procedura autorizzativa, a meno che il richiedente non preferisca farlo”.
[47] G. Vosa, La tutela dell’ambiente, “bene materiale complesso unitario” fra stato e autonomie territoriali: appunti per una riflessione, in Federalismi.it, 11 ottobre 2017 fa riferimento alla difficoltà di armonizzare i livelli di governo e definire il riparto di competenze. In effetti, l’attribuzione delle competenze andrebbe valutata “in relazione ai diritti e agli interessi concretamente in gioco, sì da poterne seguire le evoluzioni in base alla continua mutabilità degli ecosistemi e valutare, volta per volta, le misure da adottare in vista della miglior tutela di diritti e interessi umani. Tale valutazione, pertanto, deve presentare due caratteristiche. In primo luogo, non può che seguire una ragione dialettica, mal prestandosi un apprezzamento univoco alla natura complessa e mutevole, nonché alla portata sistemica e dinamica, del bene ambiente: deve allora avvenire d’intesa tra molteplici livelli di governo, fra i quali si instauri un contraddittorio aperto”.
[48] L. Ammanati, L’incertezza del diritto. A proposito delle politiche per le energie rinnovabili, in Rivista quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n. 3/2011. L’Autrice afferma che “La complessità istituzionale del sistema spesso sfocia nel conflitto tra istituzioni e si ripercuote anche sul livello comunitario in quanto incide sulla possibilità di perseguire gli impegni definiti in quella sede”.
[49] Art. 16 della direttiva (UE) 2001/2018: “Gli Stati membri istituiscono o designano uno o più sportelli. Tali sportelli, su richiesta del richiedente, guidano e assistono nell’intera procedura amministrativa di presentazione della domanda di autorizzazione e nella procedura autorizzativa. Il richiedente non è tenuto a rivolgersi a più di uno sportello per l’intera procedura”.
[50] Il c.d. coordinamento infrastrutturale prevede, in effetti, un dialogo tra le sole amministrazioni volto alla composizione di diversi interessi pubblici. Tale coordinamento può verificarsi in particolare nell’ambito della conferenza di servizi che realizza un dialogo collaborativo e una negoziazione tra i soggetti pubblici titolari dei diversi interessi che si confrontano in posizione paritaria. Lo scopo di tale conferenza è, pertanto, l’adozione di decisioni che realizzino un assetto di interessi ottimale e siano condivise dalle amministrazioni coinvolte. Si veda G.D. Comporti, Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, Giuffrè, 1996.
[51] G.D. Comporti, Diritto delle reti e diritto del territorio: note minime in tema di concorso di procedimenti per conferenza di servizi, in Foro Amministrativo, CDS, fasc.7-8, 2005, p. 2332.
[52] Con riferimento all’esempio della disciplina in Italia si veda la sentenza della Corte Cost. 28 febbraio 2019, n. 28: “La tutela dell’ambiente, peraltro, implica che l’intervento regionale previsto dalla legislazione statale avvenga «nel rispetto del modulo procedimentale e dei criteri fissati dalla legislazione stessa, motivando la scelta compiuta in modo da garantire la controllabilità della discrezionalità esercitata nelle competenti sedi giurisdizionali» (sent. 13 luglio 2017, n. 173 nonché, più in generale, sent. 9 maggio 2013, n. 85). Del resto, l’atto amministrativo costituisce il punto di approdo di un’adeguata attività istruttoria svolta nella sede procedimentale, aperta al coinvolgimento degli enti territoriali e dei soggetti privati interessati, e quindi preordinata all’apprezzamento e alla sintesi delle plurime istanze coinvolte (siano esse statali, locali o private); è in tale sede che dette istanze possono adeguatamente emergere ed essere valutate in modo trasparente, e ciò non solo a garanzia dell’imparzialità della scelta – nel rispetto del principio di cui all’art. 97 Cost. – ma anche e soprattutto per il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario coinvolto, che consiste nell’inveramento della tutela ambientale (sentenze 30 marzo 2018, n. 66 e n. 69)”. Nello stesso senso, Corte Cost., sent. 15 aprile 2019, n. 86. Anche il Cons. Stato, sez. V, nella pronuncia del 26 febbraio 2010, n. 1139, ha affermato che la procedura di autorizzazione unica costituisce “principio generale” ispirato a semplicità e celerità, per garantire il rispetto della normativa comunitaria. Si veda R. Morelli, Fonti energetiche rinnovabili e poteri delle Regioni. Considerazioni alla luce della giurisprudenza costituzionale e delle linee guida statali, in www.issirfa.it, 2011.
[53] Peraltro, il coordinamento dovrebbe riguardare anche i subprocedimenti che confluiscono nel procedimento di autorizzazione come ad esempio la valutazione di impatto ambientale (V.I.A).
[54] Si veda anche G. Manfredi, Tre modelli di riparto delle competenze in tema di ambiente, in Istituzioni del Federalismo, fasc. n. 2/3, 2004, p. 509 ss. L’Autore ritiene che il legislatore dovrebbe ridurre le esigenze di coordinamento, sopprimendo le duplicazioni, accorpando le funzioni sovrapposte e, dunque, allocare unitariamente le competenze connesse. Solo dopo tale razionalizzazione il legislatore si dovrebbe occupare del coordinamento.
[55] Sia consentito rinviare a C. Mari, La democrazia ambientale. Partecipazione e forme di tutela, IPZS, 2016 dove si fa riferimento alla tutela giurisdizionale quale “costo” della partecipazione ai procedimenti ambientali.
[56] Sui riti speciali si veda R. De Nictolis, I riti speciali di cognizione, Bologna, Zanichelli, 2012; M. Corradino-G. Dato, I riti speciali nel giudizio amministrativo, Torino, Giappichelli, 2008.
[57] Si v. M. Delsignore, La legittimazione delle associazioni ambientali nel giudizio amministrativo: spunti dalla comparazione con lo standing a tutela di environmental interests nella judicial review statunitense, in Diritto processuale amministrativo, 2013, 3, p. 734.
[58] D. Siclari, L’evoluzione della legittimazione processuale ambientale in ambito comunitario, in Giustamm.it., 2001.
[59] B. Marchetti, La tutela non giurisdizionale, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc. 2, 1 aprile 2017, p. 423 dove si evidenziano le ragioni che portano a scegliere soluzioni alternative di risoluzione delle controversie. In effetti, si evidenzia che “lo sviluppo di vie di tutela non giurisdizionale può rispondere ad esigenze di diversa natura. Una spinta decisiva può derivare da un eccessivo carico di lavoro delle Corti, che produce tempi di risposta eccessivamente lunghi, e dunque rende obbligata l’individuazione di alternative. Oppure un impulso importante può venire dalla ricerca di strumenti di protezione più flessibili, meno dispendiosi, più rapidi o più specializzati di quelli giurisdizionali, e ciò anche a prescindere da un cattivo o inefficiente funzionamento della macchina giudiziaria. Sullo sviluppo o meno dei rimedi non giurisdizionali possono incidere ovviamente anche fattori culturali ed economici”. L’Autrice conclude evidenziando che: “Manca ancora nel nostro sistema la costruzione di uno «spazio di mezzo» tra il procedimento e il processo in grado di offrire al cittadino un canale efficiente, informale ed economico, di tutela alternativo alla giurisdizione. E se è vero che i tempi di definizione delle liti dinanzi al giudice amministrativo restano di gran lunga inferiori a quelli della giurisdizione civile e compatibili con l’art. 6 CEDU, l’idea che la tutela giurisdizionale sia talvolta sproporzionata talaltra troppo costosa rispetto al valore della lite dovrebbe indurre a persistere nella ricerca di valide alternative”.
[60] S. Oggianu, ADR in materia ambientale: le transazioni globali (art. 2, d.l. 208/2008), in IANUS, n. 2, 2010.
[61] Si veda, G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Torino, Giappichelli, 2003.
[62] A. Police, La mitologia della “specialità” ed i problemi reali della giustizia amministrativa, in Questione giustizia, n. 3, 2015.
[63] Ad esempio, nel nostro ordinamento la previsione di giudici speciali, com’è noto, ai sensi dell’art.102, comma 2, Cost., è vietata, ma possono essere soltanto previste sezioni specializzate per materie degli organi giurisdizionali ordinari.
[64] In tema di efficienza della tutela giurisdizionale si veda M.S. Giannini-A. Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della Pubblica Amministrazione, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, 1970.
[65] S. Quadri, Energia sostenibile, Torino, Giappichelli, 2012, sull’evoluzione delle politiche in tema di energia a seguito della direttiva del 2009, p. 185.
[66] A p. 7 si legge: “The Commission’s analysis of Member States’2011 progress reports indicates that progress in removing the administrative barriers is still limited and slow. Many Member States do not even address in their reports the administrative reforms specifically listed in Article 22 (3) of the Directive. The Commission will continue to investigate Member States’ removal of these barriers and will launch infringement proceedings where Member States fail to act”.
[67] A p. 13 si specifica che “Other reasons for concern include the failure to address barriers to the uptake of renewable energy: administrative burdens and delays still cause problems and raise project risk for renewable energy projects; slow infrastructure development, delays in connection, and grid operational rules that disadvantage renewable energy producers all continue and all need to be addressed by Member States in the implementation of the renewable energy Directive”.
[68] Si veda A. Canepa, Complessità del settore energia e interventi giurisprudenziali: pronunce europee e nazionali (gennaio-luglio 2011), in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, Anno XXII, fasc. 1-2012.
[69] Casi recenti relativi alla direttiva del 2009 hanno, invece, riguardato il diverso aspetto della riduzione delle tariffe incentivanti. Corte Giust., 11 luglio 2019, cause C-180/18, C-286/18 e C-287/18 o il problema degli aiuti di Stato causa C-405/16.
[70] Commission v. Poland (C-320/13), AG opinion delivered (issue: article 260(3) TFEU); Commission v. Austria (C-166/13).
[71] Direttiva Habitat (CEE) n. 43/1992 sulla conservazione dell’habitat naturale e della flora e fauna; direttiva (CE) n.60/2000 in tema di politiche per le acque.
[72] Resta fermo però che: “La progressiva e diffusa consapevolezza della gravità del deterioramento dell’ambiente ha determinato, nella maggior parte delle normative, e in modo significativo in quelle dell’Unione Europea, un parallelo e progressivo rafforzamento delle forme di tutela, fino a farle prevalere su quelle accordate ad altri interessi”, G. Rossi, L’evoluzione del diritto dell’ambiente, in Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, n. 2/2015, p. 3.
[73] F. De Leonardis, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla cd. riforma Madia, in Federalismi.it, 21 ottobre 2015.
[74] “The requirements of Article 13 RED are rather vague, leaving Member States considerable discretion. The best way for Member States to implement this Article has yet to be clarified. In its Renewable Energy Progress Report from 2013, the European Commission gives a critical assessment of Member States’ practice, even threatening with infringement action”. M. Peeters-T. Schomerus, Regional renewable energy: a string of legal and financial challenges published in M. Peeters-T. Schomerus, Renewable Energy Law in the EU. Legal Perspectives on Bottom-up Approaches, Edward Elgar, Cheltenham, UK 2014, pp. 10-34.
[75] Si v. S. Del Gatto, Poteri pubblici, iniziativa economica e imprese, Roma Tre Press, 2019, p. 52 ss. che afferma in relazione al procedimento autorizzatorio per le energie rinnovabili: “nei fatti, tuttavia, la posizione del privato è ostacolata dalla cattiva attuazione della disciplina da parte delle pubbliche amministrazioni”.