Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La tutela della concorrenza tra Costituzione e diritto dell'Unione europea (di Filippo Donati)


Il presente saggio mira a verificare se, ed entro quali limiti, le specificità del modello costituzionale italiano possano creare ostacoli alla realizzazione di una piena ed effettiva convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione della disciplina antitrust.

The Antitrust Enforcement in the Italian Constitutional System and in the European Union law

This essay aims at verifying if, and to which extent, the specific features of the Italian constitutional system may hamper a substantial approximation of domestic and European jurisprudence on public enforcement of antitrust law.

Key Words: Constitution – European Union – Competition – Antitrust

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La concorrenza nella Costituzione e nel diritto dell’Unione - 3. Le convergenze - 4. Le incertezze - 5. Le divergenze - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Il buon funzionamento del mercato interno richiede l’uniforme applicazione in tutti gli Stati membri delle regole di concorrenza. Le specificità dei singoli sistemi nazionali, tuttavia, potrebbero favorire comportamenti non omogenei tra le autorità incaricate, a livello nazionale ed europeo, di garantire l’osservanza del diritto antitrust. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”), ad esempio, non sempre, nell’esercizio della funzione di tutela della concorrenza, si limita ad applicare la legge al caso concreto, come se fosse un giudice [1], ovvero ad effettuare scelte di natura tecnico-economica che non implicano quella ponderazione di interessi tipica della discrezionalità amministrativa [2]. In determinate circostanze, infatti, anche l’AGCM finisce per svolgere una funzione amministrativa discrezionale, che comporta la ponderazione dell’in­te­resse primario (tutela della concorrenza) con gli altri interessi, pubblici e privati, in gioco [3]. Questa attività di bilanciamento tra interessi contrapposti, effettuata “nell’ambito di un contraddittorio che non si differenzia – se non per la sua intensità – da quello procedimentale classico”, emerge in particolare “nei rilevanti poteri para-regolatori e consultivi attribuiti all’Autorità garante [4] (…) e nell’ampio margine di discrezionalità amministrativa che connota istituti quali le autorizzazioni in deroga di intese vietate, l’accettazione degli “impegni” e i cosiddetti programmi di clemenza [5]”. È sulla base di questi rilievi che la Corte costituzionale, in una assai nota decisione [6], ha escluso la legittimazione del­l’AGCM a sollevare questioni incidentali di costituzionalità. Anche la Commissione europea, quando applica il diritto della concorrenza, può essere chiamata a svolgere operazioni di bilanciamento tra interessi contrapposti. Ciò accade, ad esempio, quando deve valutare la compatibilità di misure di aiuto, essendo necessario stabilire se lo Stato, nell’accordare un vantaggio ad una determinata impresa o categoria di imprese, abbia perseguito uno degli obiettivi di interesse generale previsti dall’art. 107 TFUE e, in tal caso, se l’aiu­to sia appropriato e proporzionale per raggiungere [continua ..]


2. La concorrenza nella Costituzione e nel diritto dell’Unione

La Costituzione, fino alla riforma del 2001, non faceva espresso riferimento alla concorrenza [10]. La norma base della nostra costituzione economica, l’art. 41 Cost., rifletteva l’idea che la concorrenza non fosse bisognosa di particolare tutela costituzionale, costituendo “il mero riflesso del riconoscimento della libertà di iniziativa economica individuale” [11]. La stessa libertà di impresa, però, è collocata su un piano diverso rispetto agli altri diritti e libertà fondamentali, almeno sotto due profili. In primo luogo, a differenza di altre libertà (artt. 13, 14 e 15 Cost.), quella d’impresa non è qualificata come “inviolabile”. La stessa Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, pur non accogliendo le ricostruzioni cha hanno assegnato alla iniziativa economica privata un rango inferiore rispetto alle altre libertà [12], non ha mai qualificato l’iniziativa economica privata come diritto fondamentale. In secondo luogo, la libertà d’impresa è sottoposta dalla Costituzione a limitazioni assai più ampie di quelle che invece sono ammesse per le altre libertà. Alla luce dei penetranti limiti previsti dall’art. 41, commi 2 e 3, Cost., in dottrina è stata persino prospettata la tesi della “funzionalizzazione” dell’iniziativa economica privata a fini di utilità sociali individuati in sede di programmazione dell’attività economica [13]. Questa impostazione non è mai stata accolta dalla Corte costituzionale, che ha sempre inquadrato l’iniziativa economia privata in termini di libertà [14]; essa tuttavia ben riflette le ambiguità sottese alla formula impiegata dalla Costituzione italiana, suscettibile di essere sviluppata in direzioni opposte [15]. Diversamente, l’Unione europea, fin dall’origine, ha avuto come obiettivo preminente il buon funzionamento del mercato e la tutela della concorrenza e della libertà d’impresa. Il riconoscimento, nei Trattati istituitivi, della libertà di circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, il divieto di aiuti pubblici alle imprese e la previsione di una articolata disciplina a tutela della concorrenza, finivano per attribuire alla libertà di iniziativa economica privata un ruolo centrale ed una garanzia assai [continua ..]


3. Le convergenze

In linea generale, è possibile oggi osservare una decisa convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee in materia di attuazione dei principi della concorrenza. Emblematico è il caso delle professioni intellettuali. In questo campo, la tutela del libero mercato e della concorrenza deve essere bilanciata con altri interessi di rilievo costituzionale. Con riferimento alla professione di avvocato [29], ad esempio, la disciplina che subordina l’esercizio della professione al previo ottenimento di un titolo abilitativo e al controllo da parte dell’ordine professionale è funzionale al perseguimento di interessi di rilievo costituzionale. La normativa sull’accesso alla professione mira infatti ad assicurare la preparazione tecnica e deontologica degli avvocati, al fine di assicurare una efficace tutela dei diritti e un buon funzionamento della giustizia [30]. La disciplina richiamata è stata però incisa dalla direttiva 98/5/CE, che ha introdotto nuove regole volte a permettere agli avvocati migranti di esercitare la professione in tutto il territorio dell’Unione europea, con il titolo conseguito in uno Stato membro  [31]. Con questa direttiva, l’Unione europea ha voluto porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui possono discendere ineguaglianze ed ostacoli alla libertà di prestazione dei servizi e di stabilimento [32]. In mancanza di una normativa di armonizzazione circa i requisiti per acquisire il titolo di avvocato, però, un meccanismo del genere ha finito inevitabilmente per favorire prassi di “forum shopping”, ovvero i comportamenti degli aspiranti avvocati che hanno scelto, per l’esame di abilitazione, paesi in cui i requisiti di accesso sono meno rigorosi di quelli applicati nello Stato di origine. Molti cittadini italiani si sono recati in Spagna per acquisire la qualifica di avvocato, al fine di poter esercitare l’at­ti­vità professionale in Italia con possibilità, compiuti tre anni di pratica continuativa con il titolo d’origine, di ottenere il titolo professionale in Italia. La Cor­te di giustizia, in una decisione molto criticata, ha di fatto legittimato la vicenda dei cosiddetti abogados, escludendo che in casi del genere ricorra un utilizzo abusivo del diritto [continua ..]


4. Le incertezze

La convergenza tra giurisprudenze è senz’altro favorita dall’impiego del meccanismo di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE [47]. Si tratta, com’è noto, di uno strumento che permette ai giudici nazionali di “dialogare” con la Corte di giustizia, per ottenere da essa indicazioni circa l’interpretazione o la validità del diritto dell’Unione europea. Indicazioni che, evidentemente, il giudica a quo non può disattendere [48]. La vicenda giudiziaria sull’intesa restrittiva della concorrenza tra i gruppi farmaceutici Hoffmann-La Roche e Novartis Farma, recentemente al centro di una complessa vicenda giudiziaria, costituisce, sotto questo profilo, un caso singolare. Da una parte, infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario effettuare un rinvio di interpretazione ex art. 267 TFUE. Dall’altra parte, però, non pare essersi integralmente attenuto alle indicazioni fornite dalla Corte di giustizia. I giudici amministrativi erano chiamati a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento [49] con cui l’AGCM aveva comminato pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti dei gruppi Roche e Novartis, per un’intesa restrittiva della con­correnza. La contestazione riguardava la ripartizione del mercato di due prodotti farmaceutici formalmente destinati, rispettivamente, all’applicazione oncologica (Avastin off-label) e all’applicazione oftalmica (Lucentis), ma sostanzialmente equivalenti e sostituibili, mediante diffusione di notizie ingannevoli per gli utilizzatori [50]. La vicenda sollevava numerose questioni riguardanti, tra l’altro, l’individuazione del mercato rilevante, la sostituibilità dei prodotti oggetto dell’intesa, la configurabilità di un illecito concorrenziale per effetto della divulgazione di notizie circa l’efficacia e la sicurezza di determinati medicinali in un quadro caratterizzato dall’incertezza delle conoscenze scientifiche disponibili. Per risolvere tali questioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario rivolgersi in via pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di avere indicazioni sul­l’interpretazione della disciplina europea rilevante nel caso di specie [51]. L’ordinanza di rinvio merita di essere segnalata perché conferma una “sensibilità” del giudice amministrativo verso la giurisprudenza [continua ..]


5. Le divergenze

Nonostante la tendenziale convergenza tra giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione dei principi in materia di antitrust, l’esigenza di effettuare un bilanciamento dei diversi valori rilevanti potrebbe determinare differenze di valutazioni in determinati casi concreti. Anche in situazioni del genere, tuttavia, il dialogo e la reciproca apertura potrebbero permettere alle Corti di individuare soluzioni condivise. Al riguardo, emblematico è il caso che ha dato origine al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia effettuato dalla Corte costituzionale con la recente ordinanza n. 117/2019 [59]. La questione riguarda l’art. 187-quinquiesdecies del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazioni finanziarie (TIF), che punisce con una sanzione pecuniaria da 50.000 euro a 1 milione chi, nell’ambito di una audizione disposta dalla Consob nell’esercizio delle sue funzioni di vigilanza in un procedimento volto ad accertare un abuso di informazioni privilegiate, si rifiuti di rispondere a domande da cui potrebbe emergere la propria responsabilità. Secondo la Corte una disposizione del genere, che obbliga la persona indagata a rispondere a domande su fatti che potrebbero essere impiegati contro di lui, risulta contraria al cosiddetto “diritto al silenzio”, che invece è garantito nell’ambito del processo penale dalla Costituzione (art. 24), dalla CEDU (art. 6), dal Patto internazionale sui diritti civili e politici (art. 14) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47-48). Quale corollario del diritto di difesa sancito nell’art. 24 Cost., esso rientra nel novero dei diritti inalienabili della persona umana che caratterizzano l’identità costituzionale italiana. Il “diritto al silenzio”, aggiunge la Corte, si estende necessariamente anche ai procedimenti che, sebbene di carattere formalmente amministrativo, sono funzionali all’irrogazione di sanzioni di carattere sostanzialmente “punitivo”, come sono quelle previste dall’art. 187-bis TIF in materia di abuso di informazioni privilegiate. Il problema, nel caso di specie, discende dal fatto che l’obbligo per gli Stati di sanzionare chi rifiuta di rispondere alle domande poste dall’autorità in sede di vigilanza è stato imposto dalla direttiva (CE) n. 6/2003 e ribadito dal regolamento (UE) n. 596/2014. La [continua ..]


6. Considerazioni conclusive

Occorre a questo punto tornare all’interrogativo iniziale. Dalle osservazioni sin qui svolte emerge che la specificità del nostro modello costituzionale non ha, fino ad oggi, impedito una tendenziale convergenza tra le giurisprudenze nazionali ed europee nell’attuazione della disciplina antitrust. Anche laddove persistono divergenze, il meccanismo del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE può permettere una forma di “dialogo” volto ad evitare pericolosi conflitti e, in tal modo, assicurare l’uniforme attuazione del diritto del­l’Unio­ne in tutti gli Stati membri. Sotto questo profilo, è assai importante la disponibilità manifestata anche dalla Corte costituzionale ad avvalersi di tale meccanismo e a utilizzarlo come nuovo e importante strumento di dialogo e cooperazione. Già nel caso Taricco il rinvio pregiudiziale ha permesso di superare un conflitto che pareva insolubile e di raggiungere una soluzione che, in ultima analisi, si è rivelata idonea a bilanciare le esigenze dell’ordinamento europeo con le specificità del sistema costituzionale italiano. È auspicabile che analogo risultato possa essere raggiunto anche a seguito dell’ordinanza n. 117/2019 [63], in cui la Corte costituzionale ha invitato la Corte di giustizia a precisare la propria giurisprudenza su un tema di particolare rilievo costituzionale perché – osserva la Corte – il “diritto al silenzio” rientra nel novero dei diritti inalienabili della persona umana che caratterizzano l’identità costituzionale italiana. Nel caso di specie, vi sono mar­gini che potrebbero consentire alla Corte di giustizia di meglio precisare le pro­prie conclusioni con riferimento ai diritti delle persone fisiche nei cui confronti sono aperti procedimenti ispettivi per illeciti anticoncorrenziali puniti con sanzioni formalmente amministrative ma, nella sostanza, di natura punitiva. In effetti, la giurisprudenza della Corte di giustizia volta a limitare l’esercizio del “diritto al silenzio” nei procedimenti instaurati dalla Commissione per l’ac­cer­tamento di illeciti anticoncorrenziali si è formata con riguardo a persone giuridiche e non a persone fisiche, come nel caso del giudizio che ha dato origine all’incidente di costituzionalità e al rinvio ex art. 267 TFUE. Inoltre la giurisprudenza [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020