Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La regolazione promozionale del cinema, dell'audiovisivo e dello spettacolo dal vivo tra logica di mercato e 'diversità' culturale (di Eugenio Bruti Liberati)


In the sectors of cinema and live shows, the issue of the relationship between market rules and cultural diversity (or exception) is particularly important. This applies above all to regulation aimed at financially supporting cinema and theater, for which the needs to promote a real cultural development of people seem to require the derogation, from different point of view, to the ordinary statute of the market.

   

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La disciplina del cinema e dell'audiovisivo. I (tenui) vincoli posti dal legislatore europeo e dalla prassi della Commissione - 2.1. Il modello italiano - 2.2. Una critica e una proposta di modifica - 3. Il modello relativo agli spettacoli dal vivo - NOTE


1. Premessa

Il dibattito molto intenso che si è sviluppato in questi ultimi anni sulle novità via via introdotte dal legislatore in ordine alla disciplina dei settori della cinematografia, dell’audiovisivo e degli spettacoli dal vivo ha mostrato con grande chiarezza che una delle questioni fondamentali che si pongono in questi ambiti è quella del rapporto tra diversità (o eccezione) culturale e regole di mercato, e dunque dei modi in cui l’esigenza di garantire e promuovere spazi adeguati di espressione artistica e culturale può essere conciliata con le norme poste a tutela dei meccanismi concorrenziali. Il tema della regolazione di attività che hanno comunque un evidente contenuto economico si pone qui in modo peculiare, diverso da quello che caratterizza altri settori nei quali pure la logica del mercato e dell’efficienza allocativa deve essere conciliata con istanze di carattere sociale. E tale peculiarità determina problemi di normazione – e anche di interpretazione – a loro volta particolari, che non sembrano emergere in relazione ad altri comparti della disciplina pubblica delle attività economiche. Non mancano naturalmente altri temi e problemi rilevanti, come quello della governance pubblica del settore, con l’ovvia questione del riparto di competenze normative e amministrative tra Stato, regioni ed enti locali [1], o anche quello – che interessa in particolare i vari settori dello spettacolo dal vivo – del diretto coinvolgimento dei soggetti pubblici nella gestione dell’of­ferta culturale. Tuttavia, l’analisi che s’intende svolgere in questa sede avrà ad oggetto essenzialmente la prima questione, non solo perché è su di essa che gli ancora recenti provvedimenti legislativi ed amministrativi riconducibili al Ministro Franceschini [2] sollecitano una riflessione più urgente, ma anche perché tale questione si ricollega ad un tema di portata e di rilievo ancora più generali – il ruolo dello Stato rispetto ai processi culturali e sociali –, che sembra a sua volta meritare qualche specifica attenzione.


2. La disciplina del cinema e dell'audiovisivo. I (tenui) vincoli posti dal legislatore europeo e dalla prassi della Commissione

La prospettiva di analisi che si è indicata richiede ovviamente di distinguere tra il settore dell’audiovisivo, di cui il cinema è una parte, e il settore dello spettacolo dal vivo: non solo i connotati sostanziali di tali attività sono significativamente differenti, ma assai diversi sono anche, come si vedrà, i modelli di regolazione promozionale per essi accolti dal nostro legislatore. Venendo quindi innanzitutto al cinema e all’audiovisivo, è necessario ricordare in primo luogo che oggi, grazie alla legge n. 220/2016 e ai decreti legislativi e ministeriali attuativi della stessa [3], vige per essi una disciplina tendenzial­mente organica, sia quanto agli aspetti funzionali che a quelli organizzativi, largamente incentrata sui temi dell’incentivazione ma che si occupa anche di profili differenti. Tale disciplina, proprio nella parte che qui più interessa, che è quella delle misure di sostegno, è in parte attuativa di norme europee, e in particolare delle disposizioni contenute nella direttiva 2010/13/UE sulla fornitura dei servizi di media audiovisivi [4] e nel regolamento (UE) 651/2014 del 17 giugno 2014 che ha dichiarato compatibili con il mercato interno alcune categorie di aiuti statali (inclusi quelli per l’audiovisivo) [5]. È noto che in materia di cultura l’Unione Europea, ai sensi dell’art. 167 TFUE, ha solo compiti di supporto all’azione e alla cooperazione tra Stati membri [6]. Questo peraltro non le ha impedito di elaborare una sua ben definita politica di intervento anche nel settore del cinema e dell’audiovisivo, i cui capisaldi sono sostanzialmente tre [7]. In primo luogo, sono stati attivati specifici programmi europei di finanziamento per l’audiovisivo, diretti a sostenere opere e progetti di interesse europeo [8]. In secondo luogo, sono state puntualmente individuate, prima nella prassi della Commissione e poi nel citato regolamento (UE) 651/2014, le condizioni in presenza delle quali gli aiuti di Stato al cinema e all’audiovisivo possono considerarsi compatibili con il mercato interno: ed è importante sottolineare che tali condizioni – che attengono al carattere culturale del prodotto audiovisivo [9], alla c.d. soglia di territorialità nazionale richiesta ai fini dell’erogazione dell’aiuto (che non può essere troppo [continua ..]


2.1. Il modello italiano

Se, nell’analizzare tale modello, si cerca di coglierne innanzitutto le caratteristiche di fondo, appare subito evidente che esso si contraddistingue per l’essere rivolto a sostenere l’industria cinematografica e audiovisiva in quanto tale: oggetto di incentivazione statale non è solo il cinema di qualità o di più difficile fruizione da parte del pubblico, ma anche e in primo luogo il prodotto cinematografico e audiovisivo in sé considerato, perché ritenuto in ogni caso espressione dell’identità culturale nazionale ed europea nonché bisognoso di protezione rispetto alla concorrenza di prodotti audiovisivi extra-europei. La logica a cui il modello risponde – non credo si possa negarlo e del resto è già stato rilevato in dottrina [17] – è anche e innanzitutto protezionistica, di tutela dell’industria audiovisiva italiana (e europea) nei confronti delle grandi produzioni americane (o comunque internazionali), pur se questo non esclude, com’è doveroso aggiungere e come subito si dirà, che anche altre finalità ven­gano contestualmente perseguite. E, infatti, se si guarda alla concreta configurazione data dal nostro legislatore alle misure di sostegno previste per il settore – che comprendono un insieme articolato di incentivi fiscali e di contributi diretti per tutti i segmenti della filiera cinematografica e audiovisiva [18] –, si vede che la quota parte di gran lunga più consistente delle stesse è destinata alle imprese attive nella filiera cinematografica e audiovisiva (o che comunque abbiano investito in essa) non sulla base di un effettivo giudizio di valore culturale delle opere da esse realizzate, ma, sostanzialmente, per il solo fatto di avere prodotto, distribuito o eser­cito opere (definibili come) di nazionalità italiana. Ciò vale certamente per gli incentivi di carattere fiscale (cioè per i crediti di imposta) [19] e vale anche, in misura non lieve, per i c.d. contributi automatici (che vengono quantificati sulla base di parametri tabellari prefissati) [20]: in entrambi i casi, difatti, l’attribuzione del beneficio dipende in definitiva, oltre che dal possesso del requisito della nazionalità italiana (spettante sulla base di determinati indici tabellari e potenzialmente riconosciuta anche alle imprese degli [continua ..]


2.2. Una critica e una proposta di modifica

Appare dunque corretto concludere che, per effetto dell’assetto regolatorio sopra richiamato, le attività cinematografiche e audiovisive ricevono, in quanto tali, per il loro essere potenzialmente portatrici di valori culturali ma (in misura non lieve) in assenza di una concreta ed effettiva verifica dello stesso, di una duplice rilevante protezione: verso le industrie cinematografiche ed audiovisive extra-europee e verso le emittenti televisive. Chi scrive ritiene che tale duplice protezione sia giustificata ed anzi apprezzabile. La deroga che in tal modo si realizza rispetto agli ordinari meccanismi di mercato appare infatti richiesta dalle esigenze di tutela della diversità culturale che si sono sopra richiamate, che in quei meccanismi di mercato non sembrano poter trovare adeguata soddisfazione. Occorre peraltro chiedersi se il sistema non possa e non debba in realtà essere reso più coerente con le finalità che intende perseguire; e in particolare se non sia opportuno o addirittura necessario prevedere che il valore culturale delle opere ammesse a godere delle forme di sostegno di cui si è detto – o almeno di una parte assai più estesa delle stesse – sia non presunto ma effettivo, e cioè puntualmente accertato da organismi qualificati, sia pure sulla base di criteri e tabelle predefiniti. Mi rendo conto del fatto che l’automaticità degli incentivi fiscali e dei contributi appunto automatici ha molti evidenti vantaggi rispetto ad un sistema che includa apprezzamenti tecnico-discrezionali, inevitabilmente soggettivi ed opinabili, come tali contestabili e spesso contestati, ed esposti al fastidio delle pressioni lobbistiche e al rischio di scelte tardive, errate o non imparziali [31]. Ma credo che si debba anche riconoscere che l’arretramento dell’ammini­strazione insito nell’attuale sistema, la fuga dalla discrezionalità tecnica che esso comporta, con la conseguente implicita decisione di non operare un reale controllo sulla qualità artistica delle opere incentivate, ha a sua volta costi sociali rilevanti, perché comporta inevitabilmente la rinuncia a filtrare e ad orientare – non nel merito, sia chiaro, ma nel senso del rigore e della qualità – i processi culturali. Il prezzo pagato alla semplicità e “neutralità” dei meccanismi di sostegno alla cinematografia [continua ..]


3. Il modello relativo agli spettacoli dal vivo

Se ora si passa a considerare il diverso ambito dello spettacolo dal vivo, si trova un modello di disciplina – in particolare, per ciò che attiene alle misure di incentivazione – significativamente diverso: un modello che spesso è stato oggetto di critiche anche severe, e che certo non brilla per completezza ed organicità, ma che rispetto al settore del cinema sembra esprimere una visione meno minimalista del ruolo dello Stato rispetto alle dinamiche culturali. Qui, è necessario innanzitutto ricordare che con la recente legge 22 novembre 2017, n. 175 è stata, tra l’altro, data delega al governo per la redazione di un testo unico denominato “codice dello spettacolo”, volto ad assicurare al settore un assetto “più efficace, organico, e conforme ai principi di semplificazione delle procedure amministrative e ottimizzazione della spesa e volto a migliorare la qualità artistico-culturale delle attività, incentivandone la produzione, l’innovazione, nonché la fruizione da parte della collettività” [34]. Il termine per la delega è peraltro scaduto senza esito a novembre 2018. È dunque necessario ragionare sul settore assumendo che anche per il prossimo futuro la disciplina della materia continuerà ad essere frammentaria e magmatica come è stata sino ad ora. A parte il caso ben noto delle attività liriche – per le quali il legislatore ha dettato una normativa assai più articolata, definendo a più riprese regole funzionali e strutturali molto penetranti –, si tratta fondamentalmente di una disciplina di incentivazione e di promozione, diretta a fornire sostegno agli operatori dello spettacolo, e che solo per tale via intende anche – come da tempo evidenziato da Carla Barbati [35] – conformare, in una certa misura, l’attività e l’or­ganizzazione degli stessi. Le differenze rispetto al sistema definito per il cinema e l’audiovisivo appaiono immediatamente evidenti. E, infatti, se si studia la disciplina contenuta nel D.M. 27 luglio 2018, che allo stato regola appunto la materia dell’incentivazione degli spettacoli dal vivo, si vede che le relative provvidenze, erogate per il tramite del Fondo Unico per lo Spettacolo, sono assegnate sulla base di valutazioni compiute da apposite commissioni consultive aventi ad oggetto [continua ..]


NOTE