Rivista della Regolazione dei MercatiE-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

Funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali e sussidiarietà tra norme generali e regolazioni settoriali (di Nicola Aicardi)


Under general principles of Italian law the organisational functions of local public services belong to Municipalities, as their “own” and “fundamental” functions according to Article 117, second paragraph, letter p) and Article 118, first paragraph of the Constitution. On the contrary, sector-specific regulations tend to derogate to those principles, dealing the above functions either as functions specifically “assigned” to Municipalities, according to Article 118, second paragraph of the Constitution, or as functions that Municipalities can no longer carry out, in accordance with principle of “horizontal subsidiarity” as stated in Article 118, fourth paragraph of the Constitution (in case of regulations that impose liberalisation or, at least, interdiction of in-house awards), or with principle of “vertical subsidiarity”, as defined by Article 118, first paragraph of the Constitution (in case of regulations that, in order to “ensure uniform implementation” of the functions in question, assign them to State, Regions, optimal size mandatory Associations of Municipalities or, more recently, Provinces, owing to flaws of those Associations).

    

SOMMARIO:

1. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici: assunzione, affidamento e regolazione - 2. Il principio base della sussidiarietà verticale nelle norme generali sulla funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali come funzione propria e come funzione fondamentale dei Comuni - 3. Le deroghe al principio base nelle norme di settore - 4. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali come funzione conferita ai Comuni - 5. Il principio di sussidiarietà orizzontale, in chiave sinergica o astensionista, e i limiti, per i Comuni, alle facoltà di autoproduzione o di assunzione di servizi pubblici - 6. Il moto ascendente del principio di sussidiarietà verticale applicato alla funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali - 7. Segue: a) statalizzazioni e regionalizzazioni - 8. Segue: b) forme associative pluricomunali obbligatorie per am­biti territoriali ottimali - 9. Le difficoltà e i limiti delle forme associative pluricomunali ob­bligatorie per l'esercizio della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali - 10. Il principio di attribuzione alle Province della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali già affidati a forme associative pluricomunali obbligatorie - 11. Segue: l'incerta attuazione del principio - NOTE


1. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici: assunzione, affidamento e regolazione

La funzione amministrativa di organizzazione dei servizi pubblici può essere distinta nei due momenti, da un lato, dell’assunzione del servizio da parte dell’ente pubblico che ne prende l’iniziativa, il quale ne diviene il “titolare”, e, dall’altro, della scelta, da parte del medesimo, del modello (o forma) di gestione, con la conseguente individuazione (eccezion fatta per le gestioni in economia) del soggetto gestore – il quale ne diviene l’“affidatario” – e il correlato esercizio, su quest’ultimo, dei connessi compiti di regolazione, e cioè di indirizzo, controllo ecc., oltre che di remunerazione (per la parte non proveniente dagli utenti). Nello svolgimento della funzione di organizzazione, al momento dell’assun­zione del servizio, in cui l’ente pubblico riconosce che una data attività produttiva di beni o servizi è di pertinenza pubblica, in quanto connessa all’appaga­mento di esigenze di ordine generale della propria collettività, segue, cioè, il momento dell’affidamento, secondo una delle forme predeterminate (tipizzate) dalla legge e poi della regolazione dell’attività del gestore, per assicurare il conseguimento effettivo degli obiettivi cui l’assunzione è rivolta [1]. Questo scritto svolge alcune considerazioni in tema di allocazione della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali alla luce del principio di sussidiarietà, mirando a evidenziare come, in rapporto all’applicazione di questo principio, emerga dall’ordinamento una progressiva erosione, ad opera delle previsioni delle norme di settore, dei principi emergenti dalle enunciazioni generali. Come si illustrerà, se da un lato le enunciazioni generali valorizzano gli spazi di autonomia comunale nell’esercizio della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali, le norme di settore – e cioè le fonti che disciplinano in via specifica l’ordinamento dei singoli servizi pubblici di maggiore rilevanza (ad es. la distribuzione del gas naturale, la gestione dei rifiuti, il servizio idrico integrato, i trasporti pubblici locali ecc.) – hanno invece progressivamente ridotto tali spazi, per le ragioni e con gli esiti di cui si dirà (anche, nel più recente periodo, con l’attribuzione di parte dei compiti di regolazione ad [continua ..]


2. Il principio base della sussidiarietà verticale nelle norme generali sulla funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali come funzione propria e come funzione fondamentale dei Comuni

A livello di enunciazioni delle norme generali e di principio, l’organizzazione dei servizi pubblici locali è configurata quale ambito di applicazione privilegiata del principio base della sussidiarietà verticale, secondo cui – come è noto – «le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni» (art. 118, comma 1, Cost.); questo, peraltro, già storicamente, ossia anche (e ben) prima della riforma costituzionale del 2001, che tale principio ha positivamente espresso. E infatti, a partire dall’art. 1 della prima legge sui servizi pubblici locali (la legge c.d. Giolitti 29 marzo 1903, n. 103) sino al vigente testo dell’art. 112 TUEL (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il Comune, quale ente più prossimo alla collettività e interprete primario dei relativi bisogni, è stato costantemente indicato come principale responsabile del compito di selezionare, in base a valutazioni discrezionali, i servizi pubblici da assicurare alla propria collettività e, quindi, da assumere, affidare e regolare. Se l’art. 1 della legge c.d. Giolitti già consentiva al Comune, in termini generalissimi, di «assumere … l’impianto e l’esercizio diretto dei pubblici servizi», e «segnatamente» di quelli indicati nell’elencazione non tassativa che seguiva, l’art. 112, comma 1, TUEL, con un precetto non dissimile, conferma, quasi un secolo dopo, che il Comune, nell’ambito delle sue competenze, «provved[e] alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali». Questo riconoscimento di competenza in capo al Comune è, del resto, spe­cificativo della più generale attribuzione a tale ente – ai sensi dell’art. 13, comma 1, TUEL – di «tutte» le funzioni amministrative, non espressamente conferite ad altri livelli di governo, in materia, tra l’altro, di «servizi alla persona e alla comunità». Si tratta dell’individuazione di un ambito di attività connaturate all’essenza stessa del Comune, quale ente rappresentativo della propria collettività, e dunque dell’individuazione, con [continua ..]


3. Le deroghe al principio base nelle norme di settore

Se da quanto detto si passa, invece, a esaminare le leggi di settore, ci si avvede, all’opposto, di una tendenza – già presente storicamente, ma accentuatasi nei tempi più recenti – a dare corpo a esigenze e finalità diverse da quelle sottese alle enunciazioni di principio. Le discipline di settore non sono cioè, il più delle volte, meramente attuative delle disposizioni di principio (e perciò non danno vita, in rapporto a queste ultime, alla normale relazione tra norme di principio e di dettaglio), ma poggiano su presupposti ontologicamente differenti, così da determinare – in ragione del canone ermeneutico della specialità – altrettante deroghe alle medesime, restringendone il campo applicativo. I presupposti cui le discipline di settore eminentemente rispondono sono difatti quelli che, nell’assetto dell’art. 118 Cost., costituiscono i “contraltari” del principio base della sussidiarietà verticale (palesato invece – come si è detto – nelle disposizioni di principio): ossia, nell’ordine in cui saranno esaminati, (a) la distinzione tra funzioni comunali proprie e conferite; (b) il principio di sussidiarietà orizzontale e (c) il principio di sussidiarietà verticale nel suo aspetto ascendente, derogatorio del principio base.


4. La funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali come funzione conferita ai Comuni

La distinzione tra funzioni comunali proprie e conferite è posta – come è noto – dal comma 2 dell’art. 118 Cost., il quale differenzia le funzioni proprie dei Comuni, a esercizio spontaneo nel senso già sopra precisato, dalle funzioni che i Comuni devono, invece, obbligatoriamente esplicare, perché il legislatore, statale o regionale, ne ha allocato l’esercizio al livello comunale. Le disposizioni di principio in materia di servizi pubblici locali si limitano – come si è detto – a riconoscere la facoltà dei Comuni di assumere tali servizi, connotando così la decisione di assunzione, e il conseguente svolgimento dei compiti di affidamento e regolazione, come esercizio di una funzione propria, che scaturisce da scelte volontarie e discrezionali, oggi “protette” anche dalla qualificazione della funzione stessa come fondamentale. Al contrario, laddove intervengano specifiche discipline di settore, esse, di norma, mirano proprio a rendere obbligatoria l’esplicazione dei servizi da esse menzionati, affinché ne sia uniformemente assicurato lo svolgimento sull’intero territorio (nazionale o regionale, a seconda della fonte della disciplina stessa). In questo caso, i servizi divengono ad assunzione obbligatoria per i Comuni, sicché la relativa organizzazione cessa di essere una funzione propria per divenire una funzione conferita. Per i Comuni viene meno, dunque, la discrezionalità nell’an circa la scelta dell’assunzione del servizio, e, conseguentemente, circa lo svolgimento dei compiti di affidamento e regolazione. Il fenomeno, invero, non è nuovo. Sin da tempi non recenti il legislatore statale si è infatti premurato, tramite l’imposizione ai Comuni di servizi obbligatori, che fosse indistintamente garantita su tutto il territorio nazionale l’offerta di servizi pubblici locali primari ed essenziali, specie nel settore dell’igiene pubblica. Basti pensare, ad esempio, che già il testo unico della legge comunale e provinciale del 1934, qualificando come spese obbligatorie per i Comuni quelle, tra l’altro, per la «nettezza delle vie e piazze pubbliche» e per la «costruzione, manutenzione ed esercizio delle opere di provvista di acqua potabile [e] delle fognature» [8], presumeva l’obbligatorietà [continua ..]


5. Il principio di sussidiarietà orizzontale, in chiave sinergica o astensionista, e i limiti, per i Comuni, alle facoltà di autoproduzione o di assunzione di servizi pubblici

Laddove invece assumano rilevanza, nel contesto delle discipline di settore, gli altri due presupposti cui queste – come sopra si è detto – danno corpo (ossia, si ripete, il principio di sussidiarietà orizzontale e il principio di sussidiarietà verticale nel suo aspetto ascendente), ciò implica, all’opposto, una vera e propria sottrazione ai Comuni della funzione di organizzazione dei servizi pub­blici da esse contemplati. Partendo dal principio di sussidiarietà orizzontale, uno dei campi di sua attuazione più intensa, nel presente momento storico, è proprio quello dei servizi pubblici (non solo locali). Del resto, il settore dei servizi pubblici è naturalmente portato, più di altri, a essere coinvolto in dialettiche pubblico-privato (conflittuali o collaborative che siano), trattandosi di un ambito d’attività rivolto alla soddisfazione dei bisogni materiali della persona e nel quale il potere autoritativo della pubblica amministrazione – come già si è accennato – non viene in rilievo, se non marginalmente. Nella più recente legislazione sui servizi pubblici, anche locali, il principio di sussidiarietà orizzontale – a prescindere da come debba leggersi l’enunciazio­ne che ne dà il comma 4 dell’art. 118 Cost. – ha trovato espressione sia nella sua accezione “astensionista”, ossia con il riconoscimento prioritario di spazi di libertà di iniziativa privata e l’imposizione di corrispondenti doveri di arretra­mento della pubblica amministrazione da interventi diretti o, quanto meno, in esclusiva, sia nella sua accezione “sinergica”, con la previsione di forme di co­involgimento gestionale, spesso obbligatorio, dei privati. Nella seconda accezione, la sussidiarietà orizzontale in chiave sinergica attiene al momento dell’individuazione della forma di gestione dei servizi pubblici (già assunti), allorché la legge ne preveda (o ne imponga) l’affidamento a operatori terzi rispetto all’ente affidante. In questo caso, invero, la titolarità pubblica della funzione di organizzazione del servizio non viene meno, ma può risultare eliminata, o quanto meno condizionata, la facoltà di autoproduzione del servizio stesso, in via diretta o a mezzo di entità c.d. in house. Nel campo dei [continua ..]


6. Il moto ascendente del principio di sussidiarietà verticale applicato alla funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali

Come anticipato, il superamento della titolarità comunale della funzione di organizzazione del servizio pubblico per effetto delle discipline di settore si ha anche qualora tali discipline, pur confermando il regime di servizio pubblico di esercizio di una data attività, sottraggano ai Comuni la relativa funzione amministrativa di organizzazione per conferirla a un livello di governo superiore. Ciò in applicazione – lo si ripete – del “rovescio” del principio di sussidiarietà verticale, ossia per la ravvisata sussistenza di «esigenze di esercizio unitario» ai sensi dell’art. 118, comma 1, Cost. che inducono il legislatore di settore a preferire un’organizzazione (e dunque una gestione) di area più vasta del servizio pubblico considerato. Spesso, anzi, è proprio l’occasione della sottoposizione di un determinato servizio pubblico a una disciplina di settore a spingere il legislatore, nel contesto della nuova regolazione della materia, alla riallocazione verso l’alto della titolarità della funzione di organizzazione del servizio stesso. Anche questo fenomeno non è nuovo ed è ricorrente nella storia dei servizi pubblici: basti pensare, ad esempio, che nella lista dei servizi pubblici municipalizzabili di cui all’art. 1 della sopra ricordata legge c.d. Giolitti del 1903 compariva anche l’attività di «costruzione e esercizio di reti telefoniche nel territorio comunale», ma già nel 1923 il servizio venne riservato allo Stato (r.d. 8 febbraio 1923, n. 399). Nel periodo più recente, tuttavia, il fenomeno ha conosciuto un incremento così ingente, da potersi affermare – come si vedrà – che, almeno nel settore dei servizi pubblici a rilevanza economica, ormai non esistono più, o quasi più, servizi di titolarità (mono)comunale. Le ragioni sottese alle scelte legislative di riallocazione verso l’alto della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali sono molteplici. Spesso si tratta della naturale e inevitabile conseguenza della crescita del­l’attività economica di esplicazione di un dato servizio pubblico, il quale, se anche trae origine da iniziative isolate di impianto in singole realtà locali, con la maturazione tecnologica e la diffusione sul territorio si consolida in una dimensione [continua ..]


7. Segue: a) statalizzazioni e regionalizzazioni

La riallocazione verso l’alto della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali, seguendo il moto ascendente del principio di sussidiarietà verticale, ha talora portato, come già si è accennato, al superamento stesso del carattere locale del servizio, con la sua statalizzazione o regionalizzazione. Un caso abbastanza recente di statalizzazione di un servizio pubblico locale ha riguardato il servizio di distribuzione dell’energia elettrica. All’epoca della nota statalizzazione coattiva delle attività di produzione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica, assegnate ex lege in via riservata all’ente pubblico Enel in veste di titolare e gestore del relativo servizio pubblico (legge 6 dicembre 1962, n. 1643), erano state salvaguardate le attività svolte dalle esistenti imprese elettriche dei Comuni, sino ad allora affidatarie di un servizio pubblico assunto in sede locale. Era stato, invero, previsto che i Comuni proprietari di tali imprese divenissero concessionari dell’Enel [16], ma la norma rimase inattuata, sicché le imprese in questione continuarono a operare, di fatto, in regime di servizio pubblico locale. A seguito della liberalizzazione del settore, disposta con il d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, è rimasta assoggettata a regime di servizio pubblico, mediante concessioni, la sola attività di distribuzione dell’energia elettrica (oltre all’attivi­tà di trasmissione). Il potere concessorio è stato tuttavia attribuito allo Stato, per il tramite del Ministero oggi denominato dello sviluppo economico [17]: in tal modo, si è operata la definitiva statalizzazione della titolarità del servizio pubblico in questione, con la soppressione di ogni residua competenza, anche solo fattuale, dei Comuni. Un altro significativo caso di superamento della titolarità comunale di un servizio pubblico – estendendo l’analisi anche oltre la sfera dei servizi di tipo più strettamente industriale – è rappresentato dal servizio sanitario. Come è noto, al momento della sua istituzione (legge 23 dicembre 1978, n. 833), per la gestione del servizio furono create strutture operative dei Comuni, singoli o talora associati – le unità sanitarie locali (usl) – connotando pertanto il servizio come di titolarità comunale. A seguito della [continua ..]


8. Segue: b) forme associative pluricomunali obbligatorie per am­biti territoriali ottimali

Meno drastico, rispetto al superamento dello stesso carattere locale del ser­vizio pubblico, è invece il caso in cui la disciplina di settore confermi tale carattere, ma preveda che i Comuni esercitino la funzione di organizzazione del servizio in forma associata per ambiti territoriali “ottimali”, e cioè ambiti che rappresentino la dimensione spaziale più adeguata in vista della gestione maggiormente proficua del servizio stesso, in termini di efficienza, efficacia ed economicità. Non ci si riferisce, ovviamente, ai casi in cui la messa in atto di forme di aggregazione tra Comuni per l’organizzazione di servizi pubblici locali derivi da loro decisioni spontanee: in simili circostanze, infatti, la scelta è compiuta dai Comuni volontariamente, quale modo di esercizio discrezionale di funzioni loro “proprie” nel senso già sopra precisato. Le ipotesi prese in considerazione sono, invece, quelle in cui l’esercizio associato sia prescritto (e perciò imposto) da norme di settore, e cioè ipotesi in cui, pur rimanendo (formalmente) salvaguardata la natura locale del servizio, il Comune singolo risulti spogliato dell’esercizio individuale della relativa funzione di organizzazione, che transita per legge in capo alla forma associativa cui viene intestato dalla disciplina di settore. Si tratta di un caso emblematico di applicazione, da parte del legislatore, del principio di sussidiarietà verticale secondo i canoni di «differenziazione ed adeguatezza» espressamente indicati dall’art. 118, comma 1, Cost.: difatti, l’esercizio della funzione amministrativa viene allocato su ambiti che possono essere variamente dimensionati, e per ciò tra di loro opportunamente “differenziati” in ragione della rispettiva “adeguatezza” al perseguimento delle esigenze di interesse generale sottese all’assunzione del servizio pubblico. Al riguardo, possono essere prese in considerazione anche le previsioni che impongono ai Comuni di minori dimensioni la gestione associata di tutte le loro funzioni fondamentali [18]: queste previsioni riguardano, infatti, anche la fun­zione di organizzazione dei servizi pubblici locali, perché questa – già lo si è detto – è stata espressamente qualificata come funzione fondamentale dal legislatore statale. Peraltro, di rilevanza [continua ..]


9. Le difficoltà e i limiti delle forme associative pluricomunali ob­bligatorie per l'esercizio della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali

Questo excursus normativo dimostra – come già si è accennato – che il fenomeno della riallocazione obbligatoria dell’esercizio delle funzioni amministrative di organizzazione dei servizi pubblici locali a livello sovracomunale, vuoi presso enti di governo d’ambito vuoi mediante delega a un ente capofila, riguarda ormai pressoché tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica presi in considerazione da norme di settore. E infatti, se si tiene conto che, come detto, a tale fenomeno sono interessati, specificamente ed espressamente, il servizio idrico integrato, il servizio di gestione dei rifiuti urbani e il servizio di distribuzione del gas naturale nonché, in quanto servizio “a rete” agli effetti del citato art. 3-bis, comma 1, d.l. n. 138/2011 [30], il servizio di trasporto pubblico locale, il solo servizio pubblico locale di rilevanza economica regolato da leggi di settore sottratto (per ora) a questa evoluzione appare essere quello delle farmacie comunali. La gestione associata nelle forme sin qui descritte preserva, almeno formalmente, il ruolo dei Comuni, benché – come detto – non più singolarmente, ma solo in quanto aderenti alla forma associativa imposta. In proposito, anche la Corte costituzionale ha evidenziato che i Comuni non sono menomati nella loro autonomia da moduli organizzativi di questo tipo, i quali si limitano a «razionalizzarne le modalità di esercizio» delle funzioni, attraverso l’imputazione delle stesse a un ente di governo cui essi obbligatoriamente partecipano [31]. Nella sostanza, tuttavia, non si può mancare di rilevare come, nel contesto delle forme associative, la posizione dei Comuni singoli, specie se minori, non sia tale da consentire loro di esercitare un’influenza effettiva sulle scelte da assumere. Ciò specie laddove nelle leggi regionali le circoscrizioni degli ambiti siano state delineate in maniera ampia [32]. Questo esito è per tanti aspetti inevitabile e la stessa Corte costituzionale non ha mancato di sottolineare come l’ente di governo della forma associativa debba disporre della «potestà di decidere in via definitiva, operando una sintesi delle diverse istanze e dei concorrenti, e in ipotesi divergenti, interessi» dei Comuni singoli, i quali sono «portatori di istanze potenzialmente [continua ..]


10. Il principio di attribuzione alle Province della funzione di organizzazione dei servizi pubblici locali già affidati a forme associative pluricomunali obbligatorie

Quanto ora evidenziato induce a considerare maturi i tempi per giungere a un distacco ancor più netto dell’esercizio delle funzioni in discorso rispetto ai Comuni, prendendo atto del dato, ormai ineludibile, che i servizi pubblici a rilevanza economica oggi organizzati attraverso forme associative pluricomunali obbligatorie hanno perso il loro carattere autenticamente locale. E invero, sembra di poter dire che tali funzioni, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale in senso ascendente, ben possano oggi risultare più adeguatamente gestite, in modo unitario, a un livello istituzionale più elevato, in cui la maggiore dimensione dell’ente meglio corrisponda all’attuale natura degli interessi da perseguire. In questo senso, del resto, è già chiaramente orientata una significativa disposizione di principio della più recente fonte organica di riforma dell’ordina­mento degli enti locali, e cioè la legge 7 aprile 2014, n. 56 (c.d. Delrio). Ci si riferisce all’art. 1, comma 90 di tale legge, relativo, secondo l’espres­sione testuale usata dalla norma stessa, proprio allo «specifico caso» qui in esame, e cioè all’ipotesi in cui «disposizioni normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l’attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o agenzie» operanti «in ambito provinciale o sub-provinciale». In tale circostanza, la norma pone, per il competente legislatore di settore, statale o regionale, il principio – qualificato come principio fondamentale della materia e principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost. – di attribuire le funzioni in questione alle Province, sopprimendo gli enti o le agenzie già titolari delle funzioni stesse; ciò, ovviamente, ferme restando le attribuzioni delle autorità indipendenti di regolazione. Questa previsione sancisce, in diritto positivo, quanto sopra rilevato, e cioè che, ogniqualvolta il legislatore di settore abbia superato la dimensione (mono)comunale di organizzazione di un dato servizio pubblico, prevedendo per l’esercizio della relativa funzione una forma associativa obbligatoria tra i Comuni, a base provinciale o anche [continua ..]


11. Segue: l'incerta attuazione del principio

Il principio di cui ora si è detto non è stato smentito dalla legislazione successiva; questo appare già di per sé un dato significativo, tenuto conto della rapida mutevolezza e dell’instabilità che connota la produzione normativa degli ultimi anni in materia di servizi pubblici locali. Si noti, al riguardo, che la legge di stabilità di pochi mesi successiva alla legge n. 56/2014, e cioè la già ricordata legge n. 190/2014, pur introducendo – come si è illustrato – norme volte a rendere ancora più stringente l’obbligo per i Comuni di aderire agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali, e cioè pur operando per mettere in atto un assetto organizzativo che il principio suddetto intende superare, mantiene comunque espressamente fermo, in prospettiva, il principio stesso [40]-[41]. Tuttavia, a più di quattro anni dall’entrata in vigore della norma, il principio anzidetto risulta privo di significative applicazioni [42]. Solo alcune delle leggi regionali di riordino delle funzioni a seguito della legge n. 56/2014 ne tengono conto, ma unicamente per rinviarne l’attuazione a futuri disegni di legge, di cui non consta l’avvenuta approvazione [43]; in un caso, poi, la stessa norma che effettuava il rinvio a un futuro disegno di legge è stata successivamente abrogata [44]. Certo, l’innovazione è di impatto significativo, se si considera che – come si è detto – la funzione di organizzazione dei servizi pubblici in questione è sempre tradizionalmente appartenuta ai Comuni, ancorché, nei tempi più recenti, obbligatoriamente da esercitarsi in forma associata. Inoltre, l’esitazione nell’attuazione del principio è stata senz’altro comprensibile nel periodo in cui era in corso l’approvazione di un progetto di revisione costituzionale che mirava alla soppressione delle Province. Peraltro, una volta preso atto, con l’esito negativo del referendum confermativo della riforma costituzionale del 2016, che le Province continuano a fare parte dell’assetto dei poteri locali, il trapasso alle Province (o alle Città metropolitane) delle funzioni dei Comuni in attuazione del principio suddetto risulta indubbiamente agevolato, rispetto al passato, per la circostanza che, in forza della stessa legge n. [continua ..]


NOTE