Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La valutazione della compatibilità di un aiuto di Stato. Alcune riflessioni sulla discrezionalità e sui limiti della Commissione (di Cristina Schepisi)


The paper deals with the assessment of compatibility of State aidcarried out by the Commission, with the aim, on the one hand, to evaluate the relationship between the exclusive competence of the Commission under Article 108 TFEU, and the (limited) role of national authorities and courtsNotwithstanding that the TFUE end ECJ case-law clearly defines the extension and the limit of the competence of each one of the actors involved in the enforcement of State aid rules, it is not infrequent – as recent case-law well demonstrate – the risk of a partial misinterpretation of their respective roles and of an overlapping of competencesThis is due to several factors, like – among others – the difficulty to make a distinction, in some casesbetween legal elements (related to the definition of State aid, to its lawfulness or unlawfulness, etc.) and economic ones (typical of the assessment of compatibility with the market). On the other hand, the paper devotes its attention on the content and on the limits of the exercise by the Commission of its discretional power in this field, and on the (more extensivejurisdictional control assured by the EU Court of Justice.

   

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. L'evoluzione della disciplina sugli aiuti di Stato e l'approccio 'e­conomico più preciso' nella valutazione della compatibilità da parte della Commissione - 3. Segue: approccio economico più preciso, parametri generali e discrezionalità della Commissione - 4. Rapporto tra poteri della Commissione e delle autorità-giudici nazionali: valutazione di compatibilità e nozione di aiuto di Stato - 5. I regolamenti di esenzione e le conseguenze in termini di rapporto tra ruolo della Commissione e ruolo delle autorità nazionali - 6. Segue: il rapporto tra valutazione di compatibilità e poteri delle autorità nazionali riguardo alle Comunicazioni e i vincoli per la Commissione - 7. I rapporti tra la valutazione di compatibilità e il giudizio in sede nazionale - 8. La discrezionalità tecnica della Commissione e i parametri 'e­sterni' per la valutazione di compatibilità: il rispetto delle altre norme del Trattato - 9. I limiti alla discrezionalità della Commissione. Il controllo giurisdizionale sulle decisioni contenenti una valutazione sulla compatibilità degli aiuti - 10. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Introduzione

Secondo l’art. 107, par. 1, TFUE gli aiuti di Stato si presumono incompatibili. La norma dispone infatti che le misure nazionali che soddisfano le condizioni indicate dalla norma sono vietate, salvo le deroghe contemplate dal Trattato. Il riferimento è in particolare (anche se non solo) ai parr. 2 e 3 dello stesso art. 107 TFUE e la competenza a valutare se misure nazionali possano eccezionalmente essere ritenute compatibili con il mercato è, come noto, attribuita in via esclusiva alla Commissione, secondo quanto disposto dall’art. 108 TFUE. La dizione “salvo deroghe” coincide pertanto con l’ambito entro il quale la Commissione esercita tale competenza.

Il fatto che le norme del Trattato siano rivolte agli Stati e non alle imprese è una delle ragioni per le quali, a differenza della materia antitrust, la Commissione ha continuato a mantenere una competenza centralizzata e non si è dunque proceduto ad un decentramento delle funzioni di controllo e sanzione a livello nazionale. Si deve inoltre ricordare che l’esercizio di tale competenza «implica complesse valutazioni di ordine economico e sociale» [1], in un settore ritenuto di fondamentale importanza per il buon funzionamento del mercato interno.

Lo spazio di intervento di cui gode la Commissione appare certamente ampio e connotato da una certa discrezionalità. La percezione – specie in epoca più recente – può essere quella di una sensibile compressione delle competenze nazionali in materia di politica economica e di regolazione del mercato, non bilanciata dal controllo di altre istituzioni (che certamente non possono essere quelle nazionali) né da un efficace sindacato giurisdizionale. Tale sensazione ha certamente trovato conferma in alcune pronunce della Corte di Giustizia e del Tribunale che hanno infatti, nel passato, stigmatizzato in alcuni casi l’ampiezza della discrezionalità della Commissione nel giudizio di compatibilità di un aiuto di Stato e la mancanza di criteri e parametri utili ai fini di una più oggettiva e trasparente valutazione [2]. A ciò va aggiunto che a tale spazio di discrezionalità corrisponde la pressoché totale assenza di analoghi poteri a livello nazionale. Lo Stato è infatti gravato dall’obbligo di notificare alla Commissione ogni progetto di aiuto nuovo secondo quanto prescritto dall’art. 108, par. 3, TFUE, nonché dall’obbligo di recuperare senza indugio l’aiuto illegale, eventualmente anche incompatibile, senza che questo comporti alcuna possibilità di un nuovo bilanciamento, da parte dell’amministrazione nazionale, tra l’interesse generale e l’interesse privato. Potendo intervenire solo sulla corretta applicazione dell’art. 108, par. 3, TFUE, anche il giudice nazionale – come si dirà meglio in seguito – ha conseguentemente un ambito di manovra estremamente ridotto.

Se – come anche la Corte di Giustizia ha più volte avuto occasione di rimarcare – la Commissione effettivamente gode ai fini dell’applicazione dell’art. 107 TFUE «di un ampio potere discrezionale» [3], occorre tuttavia precisare che non si tratta di una discrezionalità illimitata.

Obiettivo del presente contributo è dunque quella di ricostruire – seppur in sintesi – la cornice entro cui la Commissione esercita la sua competenza, per poi svolgere qualche breve riflessione sui limiti sia sostanziali che procedurali al suo operato. Le questioni che si pongono sono infatti essenzialmente due, tra di loro interconnesse. La prima è la definizione della linea di confine tra le competenze attribuite a tutti i soggetti coinvolti nel controllo e nella corretta ap­plicazione delle norme sugli aiuti di Stato (autorità, giudici nazionali, Commissione) e la competenza (solo ed esclusiva) della Commissione. Si tratta pertanto di stabilire quello che a livello nazionale è precluso fare. La seconda questione attiene più strettamente ai limiti della discrezionalità della Commissione e ai riflessi in termini di sindacato giurisdizionale.

Alcune recenti pronunce certamente contribuiscono a fornire elementi utili ad una definizione più chiara delle questioni. Quel che preme tuttavia e subito rilevare – specie per quanto riguarda i limiti ed il controllo sul rispetto degli stessi – è che essi non traggono origine solo da regole e principi strettamente attinenti alla materia degli aiuti di Stato e/o da isolate statuizioni della Corte di Giustizia. Tali limiti invece possono anche ed ulteriormente dedursi da principi generali dell’ordinamento dell’Unione europea e dal suo sistema giurisdizionale unitariamente considerato, nei due livelli nazionale ed europeo.


2. L'evoluzione della disciplina sugli aiuti di Stato e l'approccio 'e­conomico più preciso' nella valutazione della compatibilità da parte della Commissione

Preliminare all’indagine è un breve ma necessario accenno all’evoluzione della disciplina in materia di aiuti di Stato. Benché il testo degli artt. 107 e 108 TFUE (salvo minime modifiche lessicali) sia rimasto di fatto identico alla versione originaria del Trattato di Roma del 1957, occorre infatti dar conto che l’approccio della Commissione (e il controllo da essa esercitato) ha subito un sostanziale mutamento. Ciò non solo grazie alla continua opera di precisazione della portata applicativa delle due norme del Trattato e all’arricchimento della prassi decisionale della stessa Commissione, ma anche come conseguenza dell’affinamento degli obiettivi generali dell’Unione europea in relazione al mercato interno.

A partire dal Trattato di Maastricht l’Unione europea ha iniziato, infatti, a valorizzare la dimensione sociale del mercato ponendo tra i suoi obiettivi anche valori come l’ambiente, la coesione sociale, l’occupazione e la ricerca, l’ugua­glianza, la solidarietà, la salute, ecc. La salvaguardia di tali intessi è stata resa ancor più stringente con il Trattato di Amsterdam e poi con l’attuale Trattato di Lisbona che nel nuovo art. 3 TUE inserisce, appunto, tra i suoi obiettivi quello di un’economia sociale di mercato.

Sta di fatto che da un originario periodo di scarsa incidenza dell’applica­zio­ne delle regole sugli aiuti di Stato si è passati invece passati ad una seconda fase di notevole attivismo, in cui la tutela del mercato costituiva l’elemento fon­dante dell’allora Comunità economica europea, mentre più recentemente si è invece giunti ad un riequilibrio tra il perseguimento di obiettivi marcatamente ispirati al mercato e concorrenza, da un lato, e la salvaguardia di interessi a carattere generale, dall’altro [4].

È in questa ultima fase che la Commissione ha, nel 2005, adottato lo State Aid Action Plan [5] noto come SAAP, e nel 2012 una successiva Comunicazione sulla Modernizzazione degli aiuti di Stato dell’UE [6]. Nel primo documento la Commissione ha posto l’accento su tre esigenze prioritarie, la prima delle quali è di adottare un “approccio economico più preciso” nella valutazione della compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato; vi sono infatti casi in cui l’e­rogazione di aiuti alle imprese non è unicamente vista come un’eccezione, pur giustificata, al principio della parità di concorrenza ma diventa un vantaggio vero e proprio per il mercato (specie nei casi di market failure[7]. L’ap­proc­cio che viene anticipato è dunque più sostanziale ed è volto a consentire alla Commissione di operare un bilanciamento più oculato tra gli svantaggi (alterazione della concorrenza e pregiudizio agli scambi tra Stati membri) e gli effetti positivi in termini di coesione sociale o di salvaguardia di altri interessi generali [8]. In tale ottica, l’aiuto compatibile non è solo (o tanto) quello che il mercato può “tollerare” ma è piuttosto una misura vantaggiosa (un aiuto “buono” così come lo definisce il secondo pacchetto di misure) [9]. Espressione di tale nuovo approccio è anche una serie di atti successivi di fonte secondaria, quali regolamenti di esenzione, decisioni generali e comunicazioni [10].

Con il secondo documento la Commissione ha compiuto un ulteriore passo in avanti: ha, in particolare, sottolineato l’esigenza di limitare il suo controllo ex post agli aiuti concessi dagli Stati in violazione delle regole del TFUE ed incentivare invece gli Stati ad un controllo ex ante sulle misure di aiuti, presumibilmente compatibili, che essi intendano concedere. È proprio a tale fine che la Commissione ha provveduto recentemente ad adottare un numero ancora più crescente di regolamenti di esenzione, in parte nuovi e in parte in sostituzione dei precedenti. L’intenzione non è ovviamente quella di delegare parzialmente agli Stati il potere di valutare la compatibilità degli aiuti con il mercato (delega che sarebbe contraria alle attuali norme del Trattato) ma, diversamente, di consentire agli Stati – attraverso l’applicazione di regolamenti e decisioni – di essere e­sentati dall’obbligo di notifica imposto dall’art. 108, par. 3, TFUE o, nel caso delle Comunicazioni di essere a conoscenza ex ante dei parametri e criteri utilizzati dalla Commissione per valutare la compatibilità degli aiuti notificati [11].

Va tuttavia rimarcato che, a fronte di un ampliamento dei casi di esenzione, e contestualmente di ri-orientamento degli aiuti verso obiettivi a carattere orizzontale (ambiente, formazione, occupazione, ricerca e sviluppo, ecc.), la Com­missione si è posta, per converso, l’obiettivo di disincentivare con molta più fermezza l’erogazione degli aiuti di Stato “dannosi”. La sintesi – con particolare riguardo al primo dei due documenti – è infatti contenuta nello slogan «aiuti meno numerosi e più mirati» che, se da un lato comporta una più curata analisi delle cause di incapacità del mercato di conseguire autonomamente obiettivi di interesse comune – che potrebbero pertanto essere raggiunti, nell’ottica della Commissione, solo mediante un sistema di aiuti adeguatamente strutturato [12] – dall’altro coincide con una più attenta valutazione degli elementi distorsivi degli aiuti di Stato considerati invece nocivi. E dunque con un più penetrante esercizio da parte della Commissione del suo potere di controllo.


3. Segue: approccio economico più preciso, parametri generali e discrezionalità della Commissione

Essendosi prefissata di adottare un approccio economico più preciso, la Commissione ha dunque iniziato a dotarsi di criteri e parametri specifici, il più possibile oggettivi, e a renderli trasparenti. Troviamo inizialmente tali indicazioni sia nell’Action Plan del 2005 che, più diffusamente, in un successivo documento informale denominato Princìpi comuni per una valutazione economica degli aiuti di Stato. In particolare, i fattori da cui dipendono gli effetti positivi di un aiuto sono, secondo la Commissione: i) la precisione con cui è stato individuato l’obiettivo riconosciuto di comune interesse (sia esso sociale, regionale, economico o culturale); ii) se l’aiuto di Stato costituisce uno strumento idoneo per risolvere il problema rispetto ad altri strumenti e iii) se l’aiuto crea gli incentivi necessari ed è proporzionato. Per quanto riguarda invece il livello di distorsione generato da un aiuto, occorre tenere in considerazione: i) la pro­cedura di selezione dei beneficiari e le condizioni di concessione dell’aiuto; ii) le caratteristiche del mercato e del beneficiario e iii) il tipo di aiuto e l’impor­to[13].

L’operazione, che si concentra sul bilanciamento dei fattori positivi con quelli negativi, presuppone dunque una preliminare valutazione dell’idoneità della misura di aiuto rispetto al perseguimento di obiettivi di comune interesse e, sempre in rapporto a questi, della sua necessità e proporzionalità.

In linea generale va certamente notato che tale test non è – a ben vedere – molto dissimile, nel suo schema, da quello largamente seguito dalla Corte di Giustizia nella verifica della legittimità di una normativa nazionale che restringe o ostacola una delle libertà di circolazione nel mercato interno. In tali casi infatti, riscontrata l’esistenza di una legittima esigenza imperativa, o di un interesse generale di uno Stato membro, che potrebbe giustificare una restrizione alla circolazione di un prodotto o di un servizio, la Corte valuta se la misura restrittiva non solo sia idonea al perseguimento di tale obiettivo, ma sia anche necessaria e proporzionata (sia cioè strettamente indispensabile ed il meno gravosa possibile) [14]. Inoltre, il test di proporzionalità – seppur non parametrato su condotte statali ma private – è da sempre utilizzato nel settore antitrust, così come simili rispetto a tale settore sono i fattori che indicano il livello di distorsione di una misura (ad esempio, le caratteristiche del mercato e del beneficiario, la sua posizione in rapporto a quella dei concorrenti, il vantaggio o il danno per i consumatori, ecc.).

È ben vero che tanto per quanto riguarda le libertà di circolazione che la disciplina antitrust, il controllo sul rispetto di norme e principi di diritto dell’U­nione europea è pienamente svolto – pur con ruoli evidentemente diversi – sia dalla Commissione che dai giudici nazionali (e, nel caso di rinvio pregiudiziale, anche dalla Corte di Giustizia), ai quali si affiancano le autorità. A seguito del­l’adozione del regolamento 1/2003 [15], è infatti venuto meno l’unico ambito nel quale la Commissione esercitava una competenza esclusiva, ovvero la concessione del beneficio delle esenzioni ai sensi dell’art. 101, par. 3, TFUE. Anche in tal caso, al pari dell’art. 107 (parr. 2 e specialmente 3), TFUE, la deroga (che ora si traduce nella “constatazione di inapplicabilità del divieto”) è riconosciuta all’esito di un bilanciamento delle condizioni positive con quelle negative.

Nel caso degli aiuti di Stato, invece, la valutazione della compatibilità rimane salda nelle mani della Commissione, con tutte le conseguenze che ne derivano, specie alla luce del nuovo approccio che, nell’ampliare da un lato le ma­glie della compatibilità, si prefigge, dall’altro, un più incisivo intervento nei casi di aiuti ritenuti illegali ed incompatibili, rendendo dunque più tangibile la questione dei limiti del potere discrezionale della Commissione

La stessa lettura dei Princìpi comuni per una valutazione economica degli aiuti di Stato offre, ad esempio, già il fianco a talune critiche, perché la loro formulazione potrebbe indurre a ritenere che la discrezionalità della Commissione non si limiti ad essere solo “tecnica” ma comporti invece delle valutazioni attinenti alla politica economica interna agli Stati. Il primo dei fattori elencati, ad esempio – e cioè la “precisione con cui è stato individuato l’obiettivo riconosciuto di comune interesse” (sociale, regionale, economico o culturale) – potrebbe infatti suggerire che, ad avviso della Commissione, sia essa a poter valutare quali debbano essere gli interessi comuni o quelli a cui dare la priorità. Ed è invece chiaro che non potrebbe essere quest’ultima a definire quali sono gli interessi prioritari, o comuni, né dell’Unione Europea né di uno Stato membro. In realtà, leggendo più attentamente il documento, e tralasciando qualche incertezza nella sua stesura, si evince più chiaramente che la locuzione “interessi comuni” si riferisce agli obiettivi già presenti nel Trattato (art. 107 TFUE) e ai quali gli Stati, prima ancora che la Commissione, devono attenersi nel valutare l’opportunità di erogare aiuti alle imprese. Per converso, vale la pena notare che è la stessa Commissione ad aver voluto ad esempio precisare che, ai fini della valutazione dell’entità delle distorsioni concorrenziali – non le compete «valutare i sistemi fiscali nel loro insieme o vegliare ad una gestione adeguata dell’erario pubblico» [16].


4. Rapporto tra poteri della Commissione e delle autorità-giudici nazionali: valutazione di compatibilità e nozione di aiuto di Stato

Ricostruito in termini generali l’approccio della Commissione verso la materia degli aiuti di Stato, la prima questione (accennata in premessa) riguarda dunque la delimitazione dei poteri delle autorità nazionali in rapporto alla competenza (esclusiva) della Commissione. Il confine appare formalmente netto: a livello nazionale la competenza è circoscritta alla qualificazione di una misura come aiuto di Stato (art. 107, par. 1, TFUE), all’obbligo (in caso di progetti nuovi di aiuti di Stato) di notifica e di standstill (art. 108, par. 3, TFUE), alla corretta applicazione dei regolamenti di esenzione dall’obbligo di notifica.

Il coinvolgimento delle autorità nazionali nella procedura di erogazione degli aiuti implica tuttavia lo svolgimento di operazioni talvolta complesse dovute in primis alle difficoltà che le stesse possono incontrare proprio in relazione alla qualificazione di una misura come aiuto di Stato e, in secondo luogo, alla corretta interpretazione ed applicazione dei numerosissimi atti di diritto derivato che la Commissione ha provveduto ad adottare dall’emanazione del suo Action Plan del 2005.

Riguardo al primo aspetto – oltre alle difficoltà connesse alla corretta individuazione dei singoli elementi che compongono la nozione di aiuto di Stato – occorre in particolare dar conto che non sempre la distinzione tra il concetto di aiuto di Stato (in quanto misura distorsiva) e quello della sua compatibilità con il mercato, è percepita in maniera netta [17].

La valutazione di compatibilità si fonda su un’analisi di tipo sostanzialmente economico e si differenzierebbe dunque in maniera marcata da quella – di tipo giuridico – condotta per verificare l’esistenza di un aiuto di Stato [18].

Non di meno, tra il concetto di compatibilità e quello di aiuto di Stato è possibile individuare un punto di raccordo (l’anti-concorrenzialità della misura) che impedisce di separare nettamente i confini tra l’uno e l’altro, e che in taluni casi rende difficile un corretto approccio da parte di un operatore giuridico.

L’accertamento dell’impatto anticoncorrenziale della misura è infatti un’a­na­lisi che viene svolta (seppur con un grado diverso) sia ai fini della qualificazione di una misura come aiuto di Stato, sia nell’ambito del giudizio di com­pa­ti­bilità poiché in tal caso costituisce proprio uno degli elementi oggetto di bilanciamento da parte della Commissione [19]. Del resto, è proprio tale condizione a spiegare perché una misura, una volta considerata come un aiuto di Stato – in quanto (anche) anticoncorrenziale – sia in linea di principio anche ritenuta incompatibile (e quindi vietata)[20]. Appare evidente, dunque, che la differenza tra un aiuto compatibile e uno incompatibile non è l’assenza (o il venire meno) nel primo, di un profilo di anti-concorrenzialità, ma è piuttosto il minor peso che tale ultimo aspetto assume all’esito di un bilanciamento con i (maggiori) vantaggi che contestualmente una misura è nel caso specifico in grado di produrre [21].

La tentazione nella quale potrebbe pertanto cadere l’interprete è quella di escludere che una misura costituisca un aiuto di Stato facendo (solo e direttamente) leva sui vantaggi che essa presumibilmente è in grado di produrre per il mercato, con la conseguenza di dedurre – solo per tale motivo – che la misura non sia anti-concorrenziale. Il rischio sarebbe, in conclusione, quello di far sostanzialmente coincidere la valutazione (economica) di compatibilità di un aiuto con l’assenza di un requisito atto a concorrere alla qualificazione (giuridica) della misura come un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 TFUE.

Che il confine non appaia così netto lo si evince, ad esempio, anche dalla nozione di “aiuti de minimis”. Secondo il regolamento (UE) n. 1407/2013 [22], gli aiuti «de minimis» sono gli aiuti che «non superano un importo prestabilito concessi a un’impresa unica in un determinato arco di tempo» e che dunque «non soddisfino tutti i criteri di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato e non siano dunque soggetti alla procedura di notifica» [23]. A stretto rigore pertanto, una misura di importo inferiore alla soglia stabilita difetterebbe della condizione dell’alterazione della concorrenza e non sarebbe qualificabile tout court come un aiuto di Stato. Tuttavia, oltre a constatare che tali misure – a quanto titola il regolamento – sono comunque rubricate come “aiuti” (seppur de minimis), ulteriore dubbi potrebbero risiedere nel fatto che tali misure non possono cumularsi ad altri aiuti comunque compatibili alla luce del Regolamento generale di esenzione [24], qualora tale cumulo porti a un’intensità di aiuto superiore ai livelli stabiliti al capo III dello stesso regolamento [25]. In caso di superamento dell’ammontare massimo stabilito, l’aiuto (inteso nel suo intero ammontare e non solamente riguardo alla parte eccedente) dovrebbe essere notificato. La conseguenza che allora se ne trae è l’esigenza – per l’interprete e operatore – di verificare in ogni caso la presenza anche delle ulteriori condizioni richieste dall’art. 107 TFUE (risorse statali, vantaggio e selettività). Il cumulo di due misure il cui ammontare superi il massimale indicato, ma che tuttavia non soddisfino (entrambe o una di esse) tali condizioni non farebbe, infatti, scattare l’obbligo di notifica alla Commissione.

Un ulteriore esempio può essere tratto dalla qualificazione e valutazione di una sovvenzione ad un’impresa che svolge un servizio di interesse economico generale. A seconda del rispetto di talune o altre condizioni, la sovvenzione può consistere in una compensazione di onere di pubblico servizio, o in aiuto di Stato. In questo secondo caso l’aiuto è sottoposto alla valutazione di compatibilità da parte della Commissione, in applicazione tuttavia dell’art. 106 TFUE e del cd. “Pacchetto SIEG”. L’adozione di tale nuovo pacchetto (an­ch’esso previsto nel contesto dell’Action Plan) ha avuto tra le varie finalità anche quella di rendere più chiara la differenza tra i parametri indicati nella sentenza Altmark [26] (utili come detto ai fini della qualificazione di una misura come aiuto di Stato o come compensazione di oneri di pubblico servizio) e quelli utilizzati dalla Commissione nella valutazione di compatibilità. Nel contesto della disciplina precedente, infatti, la mancata rispondenza ad una delle “condizioni Altmark” (soprattutto la quarta) conduceva spesso e volentieri a considerare tale misura anche incompatibile. Il parametro, utilizzato nel primo test (valutazione di un aiuto di Stato) era infatti il medesimo anche nel successivo test (compatibilità) [27].


5. I regolamenti di esenzione e le conseguenze in termini di rapporto tra ruolo della Commissione e ruolo delle autorità nazionali

Si è già riferito che la Commissione, nell’ambito dei suoi due programmi di modernizzazione della disciplina degli aiuti di Stato, ha provveduto ad emanare un’ingente quantità di atti a carattere generale quali regolamenti, comunicazioni e decisioni. I primi, in particolare, sono diretti a stabilire quali categorie di misure possono beneficiare dall’esenzione dell’obbligo di notifica, in quanto ri­tenute ex ante già compatibili. Come noto, sono atti direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali. È nella responsabilità delle amministrazioni verificare se talune misure rientrino nel campo di applicazione del regolamento in questione, con la conseguenza che qualora la misura di aiuto sia erogata sul­l’erroneo convincimento della loro rispondenza alle condizioni contenute nel regolamento, tali misure saranno considerate aiuti illegali. È bene infatti rimarcare che l’applicazione dei regolamenti – per loro intrinseca caratteristica – non comporta alcuno spazio di discrezionalità a livello nazionale. Un errore interpretativo non sarebbe in linea di principio scusabile e, dunque, in caso di dubbio le autorità nazionali sarebbero opportunamente tenute a notificare l’a­iuto.

Il regolamento dovrebbe pertanto indicare criteri chiari, puntuali e trasparenti, che consentano alle autorità nazionali di limitare al minimo il margine di errore [28]. In ogni caso – come precisato molto di recente dalla Corte di Giustizia – poiché l’esenzione dall’obbligo di notifica costituisce un’eccezione al sistema generale, le condizioni poste dal regolamento devono essere soggette ad interpretazione restrittiva. Tuttavia, come dimostrano diversi casi portati al­l’attenzione della Corte di Giustizia, anche disposizioni particolarmente chiare possono ingenerare taluni dubbi circa l’ambito della competenza a livello nazionale.

Nel recente caso Eesti Pagar AS [29], ad esempio, il giudice a quo aveva posto un quesito sulla corretta interpretazione da dare all’art. 8 del regolamento 800/2008. Tale norma richiede che, ai fini dell’esenzione della misura, l’au­to­rità nazionale verifichi se il beneficiario abbia effettivamente avviato i lavori per investimento/progetto in un momento successivo alla domanda di aiuti. Il regolamento prevede, infatti, che l’aiuto sia «necessario e costituisca un incentivo a sviluppare nuove attività o nuovi progetti» in maniera tale da «escludere dal­l’ambito di applicazione del medesimo regolamento gli aiuti a favore di attività che il beneficiario già intraprenderebbe alle normali condizioni di mercato» [30].

Poiché nel caso di specie, la conclusione del contratto di compravendita delle attrezzature strumentali all’attività era avvenuta prima della concessione della misura dell’aiuto da parte delle autorità nazionali, il giudice remittente si domandava se le autorità potessero comunque dimostrare in altri modi la produzione dell’effetto di incentivazione della misura di aiuto rispetto al progetto da avviare [31]. Secondo la Corte «l’anteriorità della domanda di aiuto rispetto all’avvio dell’esecuzione del progetto di investimento costituisce un criterio semplice, pertinente e adeguato che consente alla Commissione di presumere l’effetto di incentivazione dell’aiuto progettato». Inoltre «nessun elemento del regolamento n. 800/2008 tende a indicare che la Commissione, con l’adozione di tale regolamento, abbia avuto l’intenzione di trasferire alle autorità nazionali il compito di verificare l’esistenza o meno di un reale effetto di incentivazione». Questo perché, prosegue la Corte, il par. 6 dell’art. 8 del regolamento subordina espressamente l’esenzione della misura dall’obbligo di notifica al rispetto delle condizioni enunciate nei par. 2 e 3 del medesimo articolo. Pertanto «il ruolo delle suddette autorità si limita a verificare se la domanda di aiuto sia stata presentata prima dell’avvio dei lavori relativi al progetto o all’attività in questione e, per questa ragione, se l’aiuto debba o no essere considerato come avente un effetto di incentivazione». La verifica da parte delle autorità nazionali dell’esistenza o meno di un effetto di incentivazione non potrebbe, dun­que, essere considerata come un “criterio chiaro e semplice” perché imporrebbe di effettuare, caso per caso, valutazioni economiche complesse [32].

Quanto espresso dalla Corte non significa ovviamente che lo Stato – in altre circostanze – non abbia mai la facoltà di dimostrare che una misura produca un effetto di incentivazione rispetto ad una data attività sulla base di criteri diversi da quello dell’anteriorità della domanda di aiuto. Lo può, infatti, fare nel normale contesto della procedura di controllo (indagine preliminare ed indagine formale) e, in tale sede la Commissione non potrebbe invece ancorare la sua valutazione solo all’accertamento di un determinato requisito [33]. L’appli­ca­zione di un regolamento comprime invece – anche per sua stessa natura – sia lo spazio di discrezionalità di cui godrebbe altrimenti la Commissione se avviasse la procedura di controllo, sia il margine di manovra che lo Stato avrebbe nel poter argomentare la sua posizione in contradditorio con la Commissione.

Difatti la Corte, sempre nel caso di cui sopra, precisa che la conclusione raggiunta in altra sentenza [34] – e cioè che il carattere necessario di un aiuto per un progetto di investimento a finalità regionale poteva essere dimostrato sulla base di criteri diversi da quello dell’anteriorità della domanda di aiuto rispetto all’avvio dell’esecuzione del progetto – «non è trasponibile alla valutazione cui un’autorità nazionale deve procedere ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 800/2008» [35].

In sostanza, proprio per il fatto che la Commissione, ai fini dell’applicazione dell’art. 107 TFUE, gode «di un ampio potere discrezionale, il cui esercizio implica complesse valutazioni di ordine economico e sociale» [36], l’autorità nazionale, nel momento in cui intende beneficiare di un regolamento di esenzione per l’erogazione di misure di aiuto, di fatto rinuncia alla possibilità di dimostrare, per altre vie, la produzione, da parte della misura in questione, di effetti positivi per il mercato (tra cui appunto l’effetto di incentivazione) e dunque di inserirsi, in contraddittorio, con la Commissioni in più complesse valutazioni, accettando pertanto che solamente il rispetto di taluni criteri, particolarmente chiari e semplici (e non di altri più complessi) possa giustificare l’esenzione dell’obbligo di notifica della misura.


6. Segue: il rapporto tra valutazione di compatibilità e poteri delle autorità nazionali riguardo alle Comunicazioni e i vincoli per la Commissione

Il rapporto tra il giudizio di compatibilità svolto dalla Commissione e le valutazioni effettuate dalle autorità nazionali è ancora meno netto nel caso delle Comunicazioni, Linee guida e Orientamenti. La finalità di tali atti – divenuti nel tempo sempre più articolati e dettagliati – è duplice: i) assolvere ad una generale esigenza di trasparenza degli atti e di prevedibilità della valutazione di compatibilità della Commissione in caso di aiuti sottoposti ad obbligo di notifica; ii) guidare le autorità nazionali e indurle a predisporre misure di aiuto che rispondano già a tali criteri (e che dunque avranno maggiori probabilità di essere autorizzate).

Come noto atti del genere, a differenza dei regolamenti, non sono vincolanti per gli Stati membri. Tale concetto esige tuttavia una precisazione anche alla luce della nota sentenza che la Corte di Giustizia ha reso nel caso Kotnik [37] sollevato dalla Corte costituzionale slovena. Il caso era complesso e riguardava, come noto, una comunicazione in materia bancaria. Tra le varie questioni portate all’attenzione della Corte la prima riguardava gli effetti e la portata di tale comunicazione. Nella fattispecie la Commissione aveva stabilito che, ai fini di una sua valutazione positiva, l’aiuto dovesse limitarsi allo stretto necessario e che tale condizione si riteneva soddisfatta nel caso in cui lo Stato a­vesse imposto «alle banche in difficoltà, prima della concessione di qualsivoglia aiuto di Stato, di convertire in capitale i titoli subordinati o svalutarli» o «di impiegare integralmente tali titoli per assorbire le perdite (punto 44 della Comunicazione)». Ebbene, la Corte osserva che «la circostanza che una misura di aiuto di Stato rispetti i criteri enunciati al punto 44 della comunicazione sul settore bancario costituisce, in linea di principio, una condizione sufficiente perché la Commissione ne dichiari la compatibilità con il mercato interno» [38]. Lo Stato che osservi tale condizione può dunque vantare un legittimo affidamento sul successivo valutazione di compatibilità da parte della Commissione. Nel caso in cui invece lo Stato non riesca, «non si potrà [ovviamente] ritenere che l’aiuto di Stato di cui trattasi sia stato limitato al minimo necessario, come richiede il punto 15 della comunicazione sul settore bancario» [39]. Ne consegue che «lo Stato membro, come le banche beneficiarie degli aiuti di Stato di cui trattasi, si assumono il rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l’incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno»[40]. Tuttavia la circostanza che una misura di aiuto di Stato rispetti i criteri enunciati al punto 44 della Comunicazione non è «strettamente necessaria» [41] ai fini di un esito positivo della valutazione. Tali criteri infatti non dispensano «la Commissione dall’obbligo di esaminare le specifiche circostanze eccezionali che uno Stato membro invochi» [42].

La premessa, scontata, da cui parte la Corte è che una comunicazione (benché dettagliata e con la quale siano esplicitate le condizioni e criteri in base ai quali un aiuto possa essere ritenuto compatibile) non ha l’effetto di stabilire ex ante la compatibilità di un aiuto (e dunque di rendere la misura esentabile) e non ha la stessa portata normativa di un regolamento [43].

A differenza, infatti, da quanto accade nell’ambito di un regolamento, l’os­servanza dei criteri indicati dalla Commissione non costituisce pertanto una condicio sine qua non ai fini della valutazione positiva. Tale osservanza si limita solo a garantire allo Stato membro (ingenerando dunque un legittimo affidamento) che la misura sarà considerata compatibile, ma in caso contrario non preclude allo Stato membro di invocare criteri alternativi ed ulteriori e non esime la Commissione dall’esaminarli.

Quello che dunque è certo è che la Comunicazione costituisce un vincolo per la stessa Commissione piuttosto che per gli Stati membri. La giurisprudenza è costante sul punto e anche nel caso Kotnik, la Corte ha voluto ricordare che «adottando norme di comportamento ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio di detto potere discrezionale» [44].


7. I rapporti tra la valutazione di compatibilità e il giudizio in sede nazionale

Più complesso è il rapporto tra la competenza esclusiva della Commissione e i poteri dei giudici nazionali. Senza alcuna pretesa di esaustività, è opportuno tuttavia sottolinearne gli elementi principali, non senza evidenziare, a titolo esemplificativo, alcune delle questioni che denotano la difficoltà di separare nettamente i confini tra la competenza dell’una e degli altri.

Secondo una giurisprudenza consolidata, «l’attuazione del sistema di controllo degli aiuti di Stato […] incombe, da un lato, alla Commissione e, dall’al­tro, ai giudici nazionali» con «ruoli distinti ma complementari» [45]. Se la Commissione ha la competenza in via esclusiva a valutare la compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato, i giudici nazionali invece «provvedono alla salvaguardia dei diritti dei singoli in caso di inadempimento dell’obbligo di previa notifica degli aiuti di Stato alla Commissione» [46]. L’art. 107 TFUE non gode, infatti, di efficacia diretta, sicché «i singoli non possono […] in forza del solo art. 92, contestare la compatibilità di un aiuto con il diritto comunitario avanti ai giudici nazionali, né chiedere a questi ultimi di pronunciarsi, in via principale o incidentale, su un’eventuale incompatibilità»[47].

Tuttavia, se il giudice è nella posizione migliore per trarre tutte le conseguenze giuridiche, dal punto di vista interno, connesse all’illegittimità della misura di aiuto, e dunque per offrire una tutela giurisdizionale alle parti private, il suo ruolo è d’altra parte confinato entro margini abbastanza precisi.

Innanzitutto, il giudice deve rimediare concretamente agli effetti della situazione illegittima [48]. Attraverso gli strumenti a sua disposizione nell’ordinamento nazionale, egli ha l’obbligo di raggiungere il risultato voluto dal diritto dell’U­nio­ne europea e cioè il ripristino dello status quo ante [49]. In secondo luogo, il giudice nazionale, nell’ambito della propria discrezionalità, dovrà, in ogni caso, tenere conto dei principi vigenti a livello di Unione europea [50]. Infine, il giudice nazionale è vincolato dalle decisioni adottate dalla Commissione, intervenute prima o nelle more del giudizio [51].

Le competenze del giudice e della Commissione sono svolte (o dovrebbero svolgersi) in sostanziale autonomia l’una dall’altra [52]. In pendenza di un procedimento dinanzi alla Commissione il giudice non è, infatti, neppure tenuto alla sospensione del giudizio nazionale [53]. E ciò proprio in quanto il diverso oggetto (valutazione della compatibilità di un aiuto ai sensi dell’art. 107 TFUE o violazione dell’art. 108, par. 3, TFUE), oltre che evidentemente la diversa natura (l’una amministrativa e l’altra giurisdizionale) del procedimento avviato dalla Commissione rispetto a quello che si svolge dinanzi al giudice, giustifica – ed anzi impone – che il giudice prosegua autonomamente il suo giudizio al fine di assicurare una tutela immediata al ricorrente, eventualmente disponendo misure cautelari [54].

Il rischio di una parziale sovrapposizione dei giudizi certamente esiste, ma è – quanto meno all’apparenza – molto più limitata di quanto possa invece sussistere nel caso di contemporanea applicazione, da parte dell’istituzione e dei giudici interni, degli artt. 101 e 102 TFUE, dove effettivamente risulta più marcata un’eventuale interferenza delle rispettive valutazioni. Nel caso degli aiuti di Stato, e sempre che il giudice si attenga correttamente ai soli profili attinenti all’art. 108, par. 3, TFUE (e cioè il suo potere non sconfini nella valutazione di compatibilità [55]), possibili e fisiologici conflitti potrebbero (rectius: dovrebbero) unicamente prodursi in merito alla definizione di una misura di aiuto di Stato e alla sua qualificazione come aiuto nuovo od esistente.

A livello pratico, tuttavia, anche il giudice nazionale più accorto potrebbe in taluni casi rilevare delle difficoltà nella corretta delimitazione delle rispettive sfere di azione.

Il giudice ad esempio non potrebbe limitare o ampliare la portata applicativa di una decisione della Commissione con la quale quest’ultima dichiara compatibile un aiuto di Stato. Precisazioni in tal senso le troviamo nella sentenza PGE [56], adottata su rinvio pregiudiziale di un giudice polacco relativamente ad una questione riguardante le misure di sostegno nel settore dell’energia elettrica. Nella fattispecie la Commissione – conformemente ad una sua Comunicazione relativa al metodo per l’analisi degli aiuti di Stato connessi a taluni costi non recuperabili (metodo CNR) aveva ritenuto, con la decisione 2009/287, che taluni aiuti fossero compatibili. Tuttavia, il contesto di fatto preso inizialmente in considerazione dalla Commissione aveva subito nel frattempo delle modifiche. La PGE, ed una seconda società (l’«ELB»), che inizialmente non appartenevano al medesimo gruppo di imprese nel periodo durante il quale la PGE aveva assunto gli impegni il cui rimborso aveva fatto sorgere i costi non recuperabili, risultavano invece far parte del medesimo gruppo alla data di adozione della decisione 2009/287. Il giudice pertanto si interrogava sul suo potere di tenere conto dell’effettiva appartenenza dei beneficiari del programma di aiuti di stato in questione, a un gruppo di imprese che includeva altri produttori, e dunque si chiedeva se fosse comunque competente a verificare se le disposizioni nazionali riconosciute come aiuti di Stato autorizzati fossero conformi con i principi enunciati nel [metodo CNR], nonostante fosse già intervenuta la decisione della Commissione.

Anche in tal caso la Corte di Giustizia ha fermamente escluso il potere del giudice di sostituire la propria valutazione a quella effettuata dalla Commissione, nella specie nella sua decisione 2009/287 [57], perché «riconoscere a un giudice nazionale la possibilità di effettuare una tale valutazione porterebbe appunto quest’ultimo a superare i limiti della propria competenza volti a garantire il rispetto del diritto dell’Unione relativo agli aiuti di Stato» [58]. Se è pur vero che il mutamento delle circostanze di fatto potrebbero indurre al giudice a interrogarsi sulla pertinenza della decisione della Commissione al riguardo (punto 38), «non si può porre rimedio a una tale problematica attribuendo ai giudici nazionali competenze esclusive della Commissione, dovendosi, invece, cercare una soluzione nella delimitazione dei [loro] ruoli complementari, ma distinti» [59].

Secondo la Corte, l’unico rimedio di cui pertanto dispone il giudice nazionale è, nella specie, la richiesta di chiarimenti alla Commissione «che ha qualificato una determinata misura come aiuto di Stato», o un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, TFUE, per «deferire una questione pregiudiziale alla Corte vertente sull’interpretazione dell’articolo 107 TFUE» [60].

Tale ultimo inciso solleva tuttavia qualche perplessità. Il rinvio pregiudiziale – che correttamente la Corte di Giustizia esorta ad utilizzare per l’interpre­tazione dell’art. 107 TFUE (non sarebbe infatti esperibile per dubbi sulla compatibilità della misura stante la competenza esclusiva della Commissione) – non sarebbe d’aiuto ad un giudice nazionale che invece nutre dei dubbi sul corretto inserimento di un’impresa nell’ambito di un progetto valutato compatibile dalla Commissione. Ed allora, delle due dunque l’una: o si trattava di interpretare l’art. 107 TFUE (e la decisione della Commissione) e quindi anche giudice ne avrebbe avuto piena e diretta facoltà, o la questione atteneva invece ad una (nuova) valutazione della compatibilità della misura, ed allora né il giudice ma neppure la Corte di Giustizia sarebbero stati competenti. Di fatto il giudice nazionale sembrava aver chiesto chiarimenti in merito alla corretta interpretazione della decisione della Commissione. Tuttavia poiché si trattava di determinare di fatto la portata applicativa della decisione, la Corte di Giustizia ha sostanzialmente fornito al giudice taluni elementi che la Commissione aveva mancato di valutare nel (diverso) esame della compatibilità della misura [61].

I rapporti tra il giudice nazionale e la Commissione in presenza di una decisione di compatibilità sono poi ancor più complessi nel caso in cui tale decisione intervenga dopo la constatazione – da parte del primo – dell’illegalità di un aiuto di Stato. Anche riguardo a tale aspetto è possibile rilevare alcune contraddizioni. Pur riguardando – la compatibilità e l’illegalità – profili differenti, alcune interferenze tra l’una e l’altra sono inevitabili.

Uno dei principi consolidati è quello secondo cui «la decisione […] che dichiara un aiuto di Stato compatibile con il mercato comune non ha la conseguenza di regolarizzare a posteriori gli atti di esecuzione di tale aiuto, […] invalidi a causa dell’inosservanza del divieto di cui all’art. 88, n. 3, ultima frase» [62]. Ne consegue che il giudice nazionale non potrà esimersi dal trarre le conseguenze connesse all’illegittimità di una misura neppure qualora nelle more del suo giudizio sia intervenuta una decisione di compatibilità,

Tale principio è stato tuttavia ridimensionato a partire dal caso CELF. Qualora la Commissione abbia adottato una decisione di compatibilità su un aiuto illegale prima della definizione del giudizio in sede nazionale, la Corte ha, infatti, chiarito che «[il diritto comunitario] non gli impone [ndr. al giudice] un obbligo di recupero integrale dell’aiuto illegittimo […] e che l’obiettivo [che vengano attuati solo aiuti compatibili] non sarà stato contraddetto dal versamento prematuro dell’aiuto». […] Infatti «il giudice nazionale è […] tenuto ad ordinare al beneficiario dell’aiuto il pagamento degli interessi per il periodo d’illegalità».

La sentenza segna un chiaro passaggio tra un approccio formale ad uno sostanziale: l’obbligo di notifica di cui all’art. 108, par. 3, TFUE non mira ad evitare l’introduzione di aiuti non autorizzati, bensì di aiuti incompatibili. Se in termini di effetti sul mercato, la sentenza CELF adotta dunque una soluzione che potrebbe essere, per certi versi, definita equa e ragionevole [63], la pronuncia costituisce un vero e proprio revirement giurisprudenziale del principio ulteriormente chiarito nella sentenza Transalpine [64]. Pur continuando, la Corte, a negare che una decisione di compatibilità possa sanare l’illegalità della misura, è tuttavia chiaro che il compromesso raggiunto in CELF è suscettibile di produrre de facto analoghi effetti [65].

Il fatto che la Commissione abbia adottato una decisione di compatibilità dell’aiuto produce inoltre notevoli conseguenze dal punto di vista del ruolo del giudice interno, del suo margine di apprezzamento e dei suoi rapporti con la Commissione. In presenza di tale decisione, la Corte precisa, infatti, che il giu­dice, all’occorrenza, può «nell’ambito del suo diritto nazionale, […] inoltre ordi­nare il recupero dell’aiuto illegittimo, fermo restando il diritto dello Stato membro di dare nuovamente esecuzione a quest’ultimo in un momento successivo» [66].

La lettura di tale inciso induce, innanzitutto, a chiedersi se il diritto dell’U­nione addirittura vieti al giudice di disporre il recupero sulla sola base dell’art. 108.3. Nonostante la poca chiarezza di taluni passaggi, ci sembra tuttavia che il giudice sia comunque abilitato, qualora volesse, a disporre il recupero sulla base del diritto dell’Unione [67]. Una conclusione contraria (cioè il giudice nemmeno può) introdurrebbe una vera e propria rottura con il principio fondamentale secondo cui il giudice, in presenza di un aiuto illegale, deve, in linea di principio, ordinare il recupero.

Qualche perplessità – sempre in termini di rapporto tra compatibilità e illegalità – suscita inoltre il fatto che lo Stato avrebbe diritto «di dare nuovamente esecuzione a quest’ultimo in un momento successivo». Se da un punto di vista strettamente logico l’affermazione non sorprende, ci si chiede, infatti, su quale base giuridica lo Stato possa nuovamente erogare la misura. L’aiuto (compatibile) è pur sempre un aiuto illegale e la misura che lo ha istituito è dunque affetto da un vizio ab origine che la rende illegittima ex tunc. Inoltre, eventuali atti amministrativi adottati per eseguire la misura di aiuto potrebbero essere stati annullati anche dallo stesso giudice. Dalla lettura della sentenza non sembrerebbe che lo Stato abbia il dovere di notificare nuovamente la misura di aiuto (anche perché la Commissione si è già espressa sulla sua compatibilità). È innegabile, tuttavia, che concedere allo Stato di ri-erogare l’aiuto sulla base della preesistente normativa equivarrebbe, ancora una volta, ad ammettere che la compatibilità, successivamente accertata, della misura abbia, de facto, regolarizzato retroattivamente la misura altrimenti illegittima e, dunque, inutilizzabile.


8. La discrezionalità tecnica della Commissione e i parametri 'e­sterni' per la valutazione di compatibilità: il rispetto delle altre norme del Trattato

Quanto espresso nei precedenti paragrafi introduce la seconda questione, connessa alla precedente: l’individuazione dei limiti all’esercizio discrezionale della competenza da parte della Commissione. Tali limiti corrispondono in primis ai criteri che la stessa Commissione esplicita nei suoi atti a contenuto non vincolante e che, per tale ragione, è tenuta a rispettare nella sua valutazione di compatibilità. A ciò occorre evidentemente aggiungere – trattandosi di una discrezionalità tecnica – il rispetto di un obbligo generale di diligenza [68] e dei principi di proporzionalità e del legittimo affidamento (con conseguenze in termini di corretta motivazione della decisione) [69].

Ci sono tuttavia ulteriori limiti – meno evidenti – di cui tenere conto. L’art. 107 TFUE non costituisce infatti l’unica norma in riferimento alla quale la Commissione svolge il suo giudizio. Nel caso, ad esempio dei finanziamenti di servizi di interesse economico generale, l’analisi è condotta nell’ambito del­l’art. 106 TFUE (e del pacchetto di normativa derivata) e non dell’art. 107 TFUE. Ma anche nel più circoscritto ambito di tale ultima norma non è escluso che la Commissione non sia vincolata al rispetto di ulteriori disposizioni del TFUE. Nell’ipotesi di aiuti concessi mediante misure fiscali, è infatti possibile che la misura che istituisce il tributo, e contestualmente ne dispone l’esonero, sia da considerare come una misura unitaria dal punto di vista della disciplina sugli aiuti di Stato [70]. La Commissione, al termine di una indagine formale, potrebbe quindi adottare una decisione negativa su un aiuto illegale, rilevando che taluni elementi costitutivi della misura di aiuto, e strettamente collegati al suo oggetto e funzionamento, si pongono in contrasto con altre norme del Trattato – quali ad esempio gli artt. 30, 110, 49 e 56 TFUE, nonché da ultimo, l’art. 63 TFUE [71] – e dunque incidono direttamente sulla compatibilità dell’aiuto. Secondo una giurisprudenza costante, «la procedura prevista dall’art. 93 [art. 108 TFUE] non deve mai pervenire ad un risultato contrario a norme specifiche del trattato stesso. Pertanto un aiuto di Stato che, in considerazione di determinate sue modalità contrasti con altre disposizioni del trattato non può essere dichiarato dalla Commissione compatibile con il mercato comune» [72].

Tra il prelievo fiscale e il finanziamento o l’agevolazione concessa a terzi deve però sussistere una correlazione particolarmente stretta [73]. Non è ad esempio sufficiente che il vantaggio fiscale sia genericamente compensato con un aumento del tributo qualora il gettito del tributo sia utilizzato per diversi fini, e non solo per l’aiuto, e il tributo non gravi specificamente sul settore a cui l’aiuto è indirizzato [74]. Dall’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che la suddetta condizione è soddisfatta allorquando la legislazione nazionale i) preveda espressamente ed inequivocabilmente che il prelievo a carico di taluni soggetti sia direttamente utilizzato per finanziare/agevolare il beneficiario dell’aiuto e ii) determini esattamente l’ammontare o la quota parte del prelievo da destinarsi al finanziamento o all’agevolazione del soggetto beneficiario [75]. A tale categoria è da aggiungere quella riguardante i tributi asimmetrici [76].

All’esito della procedura di indagine la non conformità della misura di aiuto con altri principi del Trattato può costituire la ragione principale (o anche l’u­nica) per cui l’aiuto non sia dichiarato compatibile con il mercato [77]. Viceversa, il contrasto con altre norme del Trattato può offrire alla Commissione un elemento ulteriore per valutare la misura di aiuto come non compatibile con il mercato [78].

La contestuale contrarietà di una disposizione nazionale sia alle norme sugli aiuti di Stato che ad altre norme del Trattato produce, per inciso, ovvie conseguenze anche sulla tipologia di procedura – di infrazione ai sensi degli artt. 258-260 TFUE o di indagine formale che, secondo l’art. 108 TFUE e il Regolamento n. 1589/2015 [79], la Commissione deve seguire per l’accertamento delle suddette violazioni. La Corte di Giustizia, sin dai tempi più risalenti, ha sostanzialmente sempre difeso la discrezionalità della Commissione di avviare solo la procedura di indagine formale oppure entrambe. Da un lato, infatti, la procedura ex art. 108 TFUE non deve mai pervenire ad un risultato contrario a norme specifiche del Trattato [80]. La Commissione non è quindi impedita, nel­l’ambito della procedura sugli aiuti, di valutare la conformità della misura nazionale con altre norme del Trattato, al fine di derivarne la compatibilità o l’in­compatibilità dell’aiuto, e ciò specie nei casi in cui non è possibile valutare separatamente i vari elementi costitutivi dell’aiuto stesso. Dall’altro, ove la Commissione ne ravvisi l’opportunità, nulla vieta di avviare ambedue le procedure [81]. Quello che invece è precluso alla Commissione è l’attivazione della sola procedura di infrazione. Quest’ultima, infatti, non sarebbe idonea a rispondere alla duplice finalità di valutazione della compatibilità di un aiuto con il mercato e di accertamento della violazione di altre norme del Trattato [82].

Il fatto che la Commissione esamini la compatibilità di un aiuto anche alla luce di norme provviste di effetto diretto, ha ovviamente la conseguenza di sottrarre un ulteriore ambito di competenza al giudice nazionale [83]. L’accer­ta­mento in primis della contrarietà della misura istitutiva del tributo ad altre norme del Trattato, aprirebbe inoltre direttamente (e più agevolmente) ai privati la possibilità di agire per il rimborso dei tributi versati [84]. Tuttavia, il rispetto di altri parametri risponde anche e pienamente ad un’esigenza di coerenza – rimarcata più volte anche dalla Corte di Giustizia – dell’intero assetto normativo dei Trattati. Dall’altra, più che estendere ulteriormente le competenze della Commissione introduce un puntuale parametro giuridico nella valutazione della Commissione e dunque un ulteriore limite alla sua discrezionalità. È tuttavia innegabile che mediante tale approccio la Corte abbia di fatto introdotto una sorta di gerarchia tra talune norme del Trattato e l’art. 107 TFUE [85].


9. I limiti alla discrezionalità della Commissione. Il controllo giurisdizionale sulle decisioni contenenti una valutazione sulla compatibilità degli aiuti

Nonostante il fatto che la Commissione goda di un ampio potere discrezionale [86], le sue valutazioni sono dunque ed evidentemente suscettibili di controllo giurisdizionale. Al di là di quanto si è già detto – e di ciò che sarà ulteriormente precisato – la prima banale ragione è che il giudizio della Commissione sfocia in decisioni vincolanti (rivolte agli Stati), come tali soggette al sindacato giurisdizionale della Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 263 TFUE.

Con quale intensità può tuttavia svolgersi il controllo sulla legittimità delle valutazioni adottate dalla Commissione? La Corte di Giustizia non può certamente entrare nel merito delle questioni esaminate (né tanto meno sostituire con un suo giudizio la valutazione della Commissione). Formalmente, pro­prio in virtù dell’ampiezza della discrezionalità di tale potere, «il controllo giurisdizionale applicato all’esercizio di tale potere discrezionale si limita alla verifica del rispetto delle regole di procedura e di motivazione nonché al controllo del­l’esattezza materiale dei fatti presi in considerazione e dell’assenza di errori di diritto, di errori manifesti nella valutazione dei fatti o di sviamento di potere» [87].

Il sindacato della Corte di Giustizia non è tuttavia limitato come può sembrare, per una serie di ragioni.

Innanzitutto, la Commissione è tenuta ad un rigoroso rispetto delle regole di procedura (ad esempio del contraddittorio), regole che nel corso del tempo si sono via via sempre più affinate e che non riguardano solo la posizione dello Stato membro ma anche delle parti private. È vero, da un lato, che, a differenza ad esempio del settore antitrust, le garanzie procedurali sono molto meno stringenti (le difficoltà dell’esercizio del diritto di accesso ne costituiscono un esempio) e questo è dovuto proprio al fatto che la procedura di controllo non è svolta nei confronti di soggetti privati ma dello Stato. Tuttavia, dall’altro lato, il rafforzamento del sistema di tutela dei diritti a livello dell’Unione e in particolare i principi del giusto processo di cui all’art. 6 della CEDU e 47 della Carta europea dei diritti inducono e obbligano la Commissione ad innalzare il livello di tali garanzie, pena, in caso di lesione, l’annullamento della decisione. Secondo i giudici dell’Unione, dalla competenza esclusiva della Commissione deriva, ad esempio, il diritto di presentare ulteriori osservazioni quando quest’ultima intenda archiviare una denuncia per carenza di informazioni utili all’indagine [88].

In secondo luogo, l’indicazione di criteri e parametri sempre più dettagliati espone certamente la Commissione a un più penetrante controllo di legittimità. Come già in precedenza evidenziato, la Corte ha avuto più volte occasione di statuire che «adottando norme di comportamento ed annunciando, con la loro pubblicazione, che esse verranno da quel momento in avanti applicate ai casi a cui esse si riferiscono, la Commissione si autolimita nell’esercizio di detto potere discrezionale e non può discostarsi da tali norme, pena una sanzione, eventualmente, a titolo di violazione di principi giuridici generali, quali la parità di trattamento o la tutela del legittimo affidamento» [89]. Va da sé che l’osser­vanza dei principi generali di diritto si impone ancor più nel caso di adozione di decisioni di recupero di aiuti illegali ed incompatibili.

Va inoltre aggiunto che anche gli atti (a portata generale) con i quali la Commissione adotta norme di comportamento o stabilisce criteri e parametri per l’esenzione di talune categorie di aiuto sono soggetti al vaglio di legittimità. I regolamenti in quanto atti vincolanti, le comunicazioni nei limiti in cui – a dispetto del nomen iuris – impongano obblighi agli Stati membri o contengano criteri talmente dettagliati da impedire allo Stato la possibilità di dimostrare – in sede di controllo dinanzi alla Commissione – gli elementi utili ai fini di una valutazione positiva.

In terzo luogo si è innanzi precisato che la Commissione potrebbe essere tenuta a valutare la compatibilità degli aiuti di Stato anche sulla base di altre norme del Trattato, quali quelle sulle libertà di circolazione, generalmente provviste, tra l’altro di efficacia diretta. Va ricordato che ad essere oggetto di valutazione sono generalmente i tributi che vengono imposti/riscossi per finanziare una misura di aiuto (anche sotto forma di esenzione fiscale) a terzi soggetti. Qualora il nesso tra i tributi e la misura di aiuto sia inscindibile e i primi si pongano direttamente in contrasto con la libera circolazione delle merci, servizi, stabilimento, o con l’art. 110 TFUE, anche la misura di aiuto ad essi collegata non sarà considerata compatibile con il mercato. In tali casi dunque, anche se la competenza a valutare un eventuale contrasto è sottratta al giudice nazionale [90], l’eventuale errata applicazione di tali norme da parte della Commissione può certamente essere oggetto di sindacato da parte della Corte (sia tramite un rinvio pregiudiziale di interpretazione, qualora la causa penda dinanzi al giudice nazionale, sia mediante un giudizio di annullamento all’e­sito della decisione della Commissione).

Riscontrato che i profili di illegittimità che possono essere invocati sono di diversa tipologia, va anche evidenziato – per altri versi – un crescente riconoscimento nel tempo, da parte della Corte di Giustizia, della legittimazione ad agire delle imprese private avverso le decisioni della Commissione. Ad esempio, dal lato dei beneficiari delle misure di aiuto, la Corte ritiene, infatti, da tem­po che nel caso di impugnazione di decisioni negative su regimi di aiuti (atti dunque a portata generale) dichiarati incompatibili, le imprese possono ritenersi individualmente interessate (secondo quanto richiesto dall’art. 263 TFUE) qualora dimostrino di essere dei beneficiari effettivi in quanto destinatarie di un atto interno di recupero dell’aiuto [91].

Inoltre, anche riguardo ai concorrenti, la legittimazione si è estesa sino a ricomprendere l’impugnazione dell’archiviazione della denuncia [92].

Particolare rilievo assume infine il recente riconoscimento dell’impugnabilità delle decisioni su regimi di aiuti in quanto “atti regolamentari che non comportano misure di esecuzione interne” ai sensi del quarto comma dell’art. 263 TFUE, introdotto dal Trattato di Lisbona. L’apertura in questa direzione già poteva evincersi dalla giurisprudenza precedente ma ha avuto la sua affermazione nel recente caso Montessori [93].

Se, da un lato, lo strumento del ricorso di annullamento è in grado di offrire spazi sempre maggiori, in termini sia di motivi di legittimità che di ricevibilità, va osservato che esso non è neppure l’unico rimedio offerto alle parti private per sindacare comportamenti eventualmente illegittimi della Commissione. Il ricorso in carenza costituisce infatti lo strumento appropriato in caso di inerzia della stessa. Va infatti rimarcato che è proprio in forza della sua competenza esclusiva sulla valutazione della compatibilità di un aiuto di Stato, che la Commissione ha un vero e proprio obbligo di agire [94]. Tale competenza deve, infatti, indurre l’istituzione, nell’interesse di una sana amministrazione delle norme fondamentali del Trattato relative agli aiuti di Stato, a procedere ad un esame diligente ed imparziale di una denuncia in cui venga dedotta l’esistenza di un aiuto incompatibile con il mercato. Conseguentemente, la Commissione non può protrarre sine die il controllo su una misura di aiuto senza adottare una delle decisioni previste dal regolamento 1589/2015 [95], specie quella di avviare l’indagine formale. Né potrebbe decidere, in presenza di un aiuto illegale, di avviare invece una procedura di infrazione (non soggetta ad alcun obbligo di agire).

L’accesso a tale rimedio anche da parte dei privati è, nella materia degli aiuti di Stato, tuttavia frutto di una giurisprudenza recente. Secondo la lettera dell’art. 265 TFUE, il privato può infatti proporre ricorso contro l’inerzia di un’i­stituzione per contestare a quest’ultima di aver omesso di emanare un atto nei suoi confronti. A differenza dell’art. 263 TFUE, l’art. 265 non prevede che la legittimazione ad agire in cui l’atto, pur non essendo diretto ad un privato, lo possa riguardare “direttamente” ed “individualmente” e per lungo tempo, la Corte, adottando un approccio restrittivo, ancorato al dato letterale della disposizione, ha considerato ricevibili solo i ricorsi proposti da soggetti privati che lamentavano la mancata adozione di un atto del quale potenzialmente sarebbero stati i formali destinatari [96], con esclusione pertanto delle decisioni in materia di aiuti di Stato, che come tali sono rivolte unicamente agli Stati.

A partire dal caso T. Port, la Corte ha invece esteso, anche all’art. 265 TFUE, le medesime condizioni di ricevibilità previste, più estensivamente, nell’ambito del ricorso in annullamento di cui all’art. 263 TFUE, e ulteriormente precisate dalla giurisprudenza comunitaria [97]. Con la conseguenza – per un privato – di poter promuovere ricorso avverso la mancata adozione di atti a portata generale o le decisioni rivolte agli Stati o ad altri soggetti privati, qualora dimostri di essere direttamente ed individualmente riguardato dall’atto in questione. Nella materia degli aiuti Stato l’apertura della Corte si è dunque e di fatto tradotta nell’introduzione ex novo di tale via di ricorso [98], consentendo alle imprese che avessero denunciato alla Commissione la concessione di aiuti illegali ed incompatibili, di censurare, ad esempio, il mancato avvio dell’in­dagine preliminare o, sempre nel caso di aiuti illegali, la mancata adozione di una decisione a conclusione della stessa, o comunque l’eccessiva durata del­l’indagine [99], o la mancata adozione di una decisione al termine dell’indagine formale [100].

La Corte, attraverso una lettura coerente delle due norme e della giurisprudenza in materia di legittimazione ad agire, ha evidentemente contribuito alla completezza del sistema giurisdizionale dal punto di vista dell’azionabilità dinanzi ai giudici dell’Unione europea, dei rimedi da parte dei privati. Gli artt. 263 e 265 TFUE sono, infatti – come precisato dalla stessa Corte – espressione dello stesso rimedio giuridico [101], e questo rende le due azioni – annullamento e carenza – speculari e logicamente alternative.

Un’ultima questione – più particolare – è se la modifica introdotta dal Trattato di Lisbona nel comma 4 dell’art. 263 TFUE possa avere in futuro una qualche incidenza anche sul ricorso in carenza. Ci si chiede, in altri termini, se possa un ricorrente, che non soddisfi l’interesse individuale di cui alla formula Plaumann, attivare un ricorso in carenza avverso la mancata adozione di una decisione avente portata generale che non debba prevedere misure interne di esecuzione. La questione potrebbe principalmente interessare, da un lato, i concorrenti che abbiano fatto denuncia in merito ad un aiuto illegale, dall’altro, i beneficiari potenziali di un regime di aiuti regolarmente notificato. In ambedue i casi tali soggetti non avrebbero un atto da impugnare in sede nazionale e dunque al giudice sarebbe precluso sollevare un rinvio pregiudiziale di validità. Se gli artt. 263 e 265 TFUE sono – come precisato dalla Corte di Giustizia – espressione dello stesso rimedio giuridico [102], e se il corollario di tale affermazione è stata l’estensione anche al ricorso in carenza delle medesime condizioni di ricevibilità, espressamente indicate nell’ambito del ricorso in annullamento di cui all’art. 263 [103], si ritiene che a tale quesito possa darsi una risposta positiva.

Occorre infine ricordare che, al di là dei ricorsi in annullamento e in carenza, il Trattato offre anche un’ulteriore rimedio: il ricorso per responsabilità extracontrattuale volta ad ottenere il risarcimento dei danni causati dalle istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni. I presupposti dell’azione sono definiti dai principi generali: illiceità del comportamento dell’istituzione, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento fatto valere e il danno lamentato [104]. Tale rimedio tuttavia, essendo sottoposto a condizioni rigorose, ha in linea generale scarse possibilità di successo, ancor meno nella materia degli aiuti di Stato. Difatti – per quanto riguarda la condizione relativa all’illiceità del comportamento – la semplice trasgressione di una norma può essere considerata sufficiente solo qualora l’istituzione disponga di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente [105]. In caso contrario, la giurisprudenza esige che i) «si dimostri l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica» e che ii) la norma giuridica abbia «l’obiettivo di conferire diritti ai soggetti dell’ordina­mento» [106]. Il criterio decisivo che consente di ritenere soddisfatta la condizione di una violazione sufficientemente qualificata è quello della violazione grave e manifesta, commessa dall’istituzione, dei limiti posti al suo potere discrezionale [107]. Generalmente dunque si tratta della violazione grave del dovere di diligenza, del buon andamento dell’amministrazione, del principio di proporzio­nalità.

Come è pertanto possibile immaginare, all’illegittimità di una decisione contenente una valutazione di compatibilità/incompatibilità di un aiuto difficilmente potrebbe conseguire il riconoscimento del risarcimento del danno subito da un’impresa. L’unico caso in cui in materia di aiuti di Stato la Corte ha accolto un ricorso è con la sentenza Idromacchine [108]. Nella specie si trattava tuttavia della violazione di norme procedurali (il segreto istruttorio) mentre non erano state messe in discussione le modalità di svolgimento della valutazione da parte della Commissione.

Delineati, con questo un breve excursus i rimedi di cui possono avvalersi le imprese in via diretta dinanzi alla Corte di Giustizia, non va ovviamente, e da ultimo dimenticato, a titolo di completezza, il ruolo che svolge il rinvio pregiudiziale sia di interpretazione che di validità. Il primo è particolarmente utile ai fini della corretta interpretazione dell’art. 107, par. 1, TFUE e per definire i poteri del giudice nazionale. Il secondo costituisce uno uno strumento alternativo al giudizio di annullamento, al quale il giudice nazionale può ricorrere ogni qualvolta egli nutra dei dubbi sulla validità della decisione, ed esperibile ovvia­mente nei limiti previsti dalla sentenza TWD [109]. Pertanto, quand’anche il privato non rientrasse nella cerchia dei soggetti legittimati a proporre una delle a­zioni previste dal Trattato, egli potrebbe indirettamente avvalersi, nell’ambito di un giudizio nazionale, del meccanismo del rinvio pregiudiziale, come del resto dimostrano anche alcuni dei casi di cui si è discusso in precedenza.


10. Osservazioni conclusive

Alla luce si quanto illustrato nei precedenti paragrafi, la materia degli aiuti di Stato si conferma complessa e di non immediata sistematizzazione. La delimitazione tra la competenza (esclusiva) della Commissione e quella esercitata, con ruoli diversi, dalle autorità e dai giudici nazionali non sempre appare netta nella pratica e il rischio è chiaramente quello di una (anche non voluta) interferenza.

La discrezionalità di cui gode la Commissione nell’esercizio della sua competenza in tale settore può inoltre ingenerare il timore che l’ampiezza di tale potere debordi in un’ingerenza nelle politiche interne degli Stati membri e in ogni caso induca la Commissione a valutazioni non sempre di natura tecnica ed oggettiva.

Si è tuttavia avuto modo di illustrare che per quanto tale competenza sia ampia, il sistema giurisdizionale dell’Unione europea – che la Corte di Giustizia ha sempre indicato come completo e coerente – consente un controllo efficace, non solo in punto di legittimità (attraverso il ricorso in annullamento) ma anche con un sindacato sulla carenza e sulla responsabilità extracontrattuale.

A livello di diritto primario rimane in ogni caso salda la concezione tradizionale, di impronta internazionalistica, secondo cui la materia degli aiuti di Stato si caratterizza per un rapporto sostanzialmente riservato e bilaterale tra la Commissione e lo Stato membro, in forza del quale lo Stato è l’unico soggetto inadempiente e responsabile di fronte alle istituzioni dell’Unione europea. Aderendo a tale impostazione è evidente che anche il ruolo dei privati sia fortemente penalizzato.

Il metodo utilizzato dalla Corte per spiegare e risolvere le tensioni tra diritto dell’Unione europea e ordinamento interno (in particolare per quanto riguarda l’autonomia procedurale interna) porta, tuttavia, a risultati assai differenti nella materia degli aiuti di Stato rispetto ad altri settori che pure potrebbero essere affini, come ad esempio agli aiuti direttamente concessi dall’Unione europea.

Occorre infatti tornare a rimarcate che nella materia degli aiuti di Stato, l’o­biettivo del controllo della Commissione è precisamente quello di evitare l’al­terazione delle condizioni concorrenziali del mercato attraverso la concessione di un aiuto illegale ed incompatibile. Nel caso, invece, dell’indebito pagamento di un aiuto comunitario, la restituzione è richiesta semplicemente perché l’impresa non ha rispettato le precondizioni per ottenere tale misura. Ciò non provoca, al contrario degli aiuti statali, alcuna distorsione della concorrenza: l’obiettivo dell’Unione europea non è, in tal caso, quello di evitare le distorsioni concorrenziali, ma, al contrario, quello di interferire nelle condizioni di mercato intervenendo in alcuni settori economici, come l’agricoltura, allo scopo di riequilibrare taluni meccanismi.

Ne deriva che se, da un lato, la concessione di aiuti “comunitari” non dovuti non ha l’effetto di mettere a rischio una libertà fondamentale del mercato qual è la concorrenza, dall’altro, un aiuto di Stato illegale ed incompatibile, oltre a mettere in causa il ruolo della Commissione, minaccia invece il funzionamento e la supremazia dell’ordinamento dell’Unione europea nel suo insieme [110]. La competenza esclusiva in mano alla Commissione – e che fa degli aiuti di Stato un modello di amministrazione diretta [111] – comporta che allo spazio di discrezionalità concesso all’amministrazione nazionale nel settore degli aiuti “comunitari” si sostituisca invece l’obbligo, in termini di stretta compliance, della stessa amministrazione di dare puntuale e immediata esecuzione alla relativa disciplina. Pertanto, mentre relativamente agli aiuti “comunitari”, la tensione tra effettività del diritto dell’Unione europea e autonomia procedurale interna viene risolta operando un ragionevole bilanciamento dei diversi valori presenti (nazionali ed europei), nel campo degli aiuti di Stato la tensione tra ordinamenti è direttamente affrontata in chiave di primato (come nel caso Lucchini) con conseguente disapplicazione della norma procedurale che si ponga in contrasto con un rapido ed effettivo recupero dell’aiuto [112].

Ma vi è un’ulteriore, anche se strettamente collegata, ragione sottostante che spiega l’impossibilità di operare un corretto bilanciamento della norma nazionale con l’effettività del diritto dell’Unione europea. Tale bilanciamento non può essere effettuato perché questa operazione «presuppone evidentemente che gli interessi dell’amministrazione siano in conflitto con quelli del singolo» [113]. Quando viene accertata l’illegittimità di una decisione di concessione di un aiuto, l’interesse dell’autorità dovrebbe di regola di regola essere quello di recuperare in tempi brevi gli importi versati (mentre l’interesse del singolo sta nel trattenere il vantaggio acquisito). Nel caso in cui l’autorità statale infranga consapevolmente il diritto dell’Unione europea nel concedere l’aiuto, questa presunzione perde ogni validità. Infatti, gli interessi dell’autorità e del singolo vengono a coincidere.

In sostanza sebbene l’amministrazione nazionale si opponga al singolo pretendendo da quest’ultimo il rispetto del diritto dell’Unione, essa non si pone nei confronti di questi inequivocabilmente come garante della corretta applicazione del diritto dell’Unione, bensì come un soggetto che, trovandosi al pari del beneficiario in una situazione di soggezione nei confronti dell’ordinamento dell’Unione, è tenuto a sacrificare, in forza della disciplina sugli aiuti di Stato, anche il proprio interesse pubblico nella specie coincidente con quello privato.

Ne deriva che, non avendo l’amministrazione un interesse difforme rispetto a quello del privato che si oppone all’applicazione del diritto dell’Unione europea, il carattere imperativo delle norme sugli aiuti di Stato, e il controllo esercitato dalla Commissione, non possano lasciare spazio all’operatività di regole procedurali interne, nella misura in cui tali regole conducano la stessa amministrazione a comportarsi in maniera da porsi in conflitto con l’effettività del diritto dell’Unione europea [114]. Il che si traduce conseguentemente in una compressione anche del potere del giudice nazionale

La ricostruzione in questi termini, nella materia degli aiuti di Stato, del rapporto tra Unione europea e ordinamento interno, non potrebbe evolvere nel senso di un decentramento della competenza della Commissione a favore delle autorità nazionali, a meno di una revisione dei Trattati. Gli artt. 107 e 108 TFUE, stante il loro contenuto, non consentono infatti, a differenza delle norme antitrust, di agire per via legislativa.

Per altro lato, ci si chiede se, alla luce dell’evoluzione del settore – e in con­siderazione del fatto che interessi che prima erano solo statali (solidarietà sociale, cultura sanità ambiente, ecc.) ora sono pienamente riconosciuti come obiettivi dell’Unione europea – i tempi non siano maturi per introdurre talune modifiche nell’attuale assetto di controllo.

Non è escluso che ciò possa avvenire. Un intervento non potrebbe tuttavia essere disgiunto da una revisione generale anche di altre politiche che sono strettamente collegate alla materia degli aiuti di Stato, in primis la materia fiscale [115]. Sino a che gli Stati manterranno un ampio margine di discrezionalità nel definire le loro politiche fiscali – con conseguenti disparità di trattamento delle imprese tra uno Stato e l’altro – è abbastanza evidente che essi saranno indotti ad utilizzare anche la leva degli aiuti di Stato per tutelare le imprese presenti nel proprio territorio (siano esse nazionali o straniere), aumentarne la competitività o evitare la delocalizzazione di sedi ed impianti. Ed è dunque evidente che il controllo sulla compatibilità di un aiuto con il mercato rimanga al momento accentrato nelle mani della Commissione.


NOTE

[1] Corte Giust., 11 settembre 2008, causa C-75/05 P e C-80/05 P, Germania e a. c. Kronofrance, punto 59; 8 marzo 2016, C‑431/14 P, Grecia c. Commissione.

[2] Trib., 22 febbraio 2006, causa T-34/02, Le Levant c. Commissione, punti 123 ss.; 6 settembre 2006, Repubblica Italiana e Wam c. Commissione, cause riunite 304/04 e 316/04, punto 69; Corte Giust., 30 aprile 2009, causa C-494/06 P, Commissione c. Repubblica Italiana. Cfr. anche J.D. BRAUN-J.KÜHLING, Article 87 EC and the Community Courts: From Revolution to Evolution, in C.M.L.Rev. 2008, p. 465 ss.

[3] Corte Giust., 11 settembre 2008, Germania e a. c. Kronofrance, cit.; 8 marzo 2016, Grecia c. Commissione, cit.

[4] Cfr. G. TOSATO, La disciplina comunitaria degli Aiuti tra economia di mercato e interessi generali, in Astrid, 2009.

[5] Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato — Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009 (COM (2005) 107).

[6] COM (2012) 209.

[7] Gli altri due obiettivi erano ii) la necessità di un controllo più rigoroso da parte della Commissione sulla concessione di aiuti considerati invece “nocivi” (e quindi incompatibili); iii) l’esi­genza di rafforzare i poteri dei giudici nazionali. Per approfondimenti v. recentemente B. NA­SCIMBENE-A. DI PASCALE (eds.), The Modernization of State Aid For Economic and Social Development, Springer, 2018. Per ulteriori spunti cfr. precedentemente, C. SCHEPISI (a cura di), La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato, Giappichelli, Torino, 2011.

[8] Ai punti 21 e 22, la Commissione precisa che «Per contribuire nel miglior modo possibile alla rinvigorita strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione, la Commissione, se del caso, rafforzerà l’approccio economico all’analisi degli aiuti di Stato. […] Il maggiore ricorso ad un approccio economico più preciso consente una valutazione corretta e più trasparente delle distorsioni della concorrenza e degli scambi determinate dalle misure di aiuto. Questo approccio permette anche di analizzare le cause dell’incapacità del mercato di conseguire da solo gli o­biettivi di comune interesse auspicati e di valutare quindi i vantaggi offerti dagli aiuti di Stato per il loro conseguimento».

[9] N. PESARESI-R.PEDUZzi, State Aid Modernization, in B. NA­SCIMBENE-A. DI PASCALE (eds.), The Modernization of State Aid, cit., p. 17 ss. L’adozione dell’“approccio economico più preciso” da parte della Commissione era già emerso in alcune sue decisioni (ad es. le Decisioni della Commissione 19 luglio 2006, in G.U. L 86, p. 1; 24 gennaio 2007, in G.U. L 147, p. 1).

[10] Tali atti hanno in parte lo scopo di codificare i principi espressi dalla Corte di Giustizia e della prassi seguita dalla Commissione e di regolare in maniera più chiara e trasparente la procedura di controllo amministrativo.

[11] La conseguenza del nuovo approccio è dunque anche quella di una maggiore responsabilizzazione delle autorità nazionali.

[12] Per approfondimenti cfr. P. NICOLAIDES, A More Economic Approach to the Control of State Aid, in B. NA­SCIMBENE-A. DI PASCALE (eds.), The Modernization of State Aid, cit., p. 63 ss.; C. OSTI, La riforma degli aiuti di Stato e il nuovo approccio economico della Commissione, in C. SCHEPISI (a cura di), La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato, cit., p. 57 ss.; nonché D. HILDEBRAND-A. SCHWEINSBERG, Refined Economic Approach in European State Aid Control – Will It Gain Momentum?, in World Competition, 2007, p. 449 ss.

[13] V. anche il considerando n. 5 del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 (regolamento generale di esenzione), cit., secondo cui «Conviene definire le condizioni generali per l'applicazione del presente regolamento sulla base di un insieme di principi comuni atti a garantire che l'aiuto persegua obiettivi di interesse comune, abbia un chiaro effetto di incentivazione, sia opportuno e proporzionato, sia concesso in piena trasparenza e sottoposto a un meccanismo di controllo e a una periodica valutazione e non alteri le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse».

[14] La letteratura in materia è smisurata. Solo a titolo di esempio cfr. da ultimo, L. DANIELE, Il mercato unico europeo, Giuffrè, Milano, 2019; G. CONTALDI, Diritto europeo dell’economia, Giap­pichelli, Torino, 2019.

[15] Regolamento (CE) n. 1/2003, del Consiglio del 16 dicembre 2002 concernente l’applica­zione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, in G.U. L 1 del 4 gennaio 2003, p. 1.

[16] La nota 32 del documento recita infatti quanto segue: «Gli aiuti di Stato costituiscono un onere finanziario per i contribuenti. Le ripercussioni in termini di bilancio sono equivalenti all’im­porto degli aiuti. Oltre agli effetti sul bilancio, possono verificarsi costi aggiuntivi causati da inefficienze o spese amministrative connesse al sistema fiscale. Tuttavia, ai fini del controllo degli aiuti di Stato, non compete alla Commissione valutare i sistemi fiscali nel loro insieme o vegliare ad una gestione adeguata dell’erario pubblico. Nell’analizzare la portata dei potenziali benefici di una misura, al fine di valutare poi la distorsione della concorrenza e degli scambi, si tiene conto dell’onere finanziario gravante sui contribuenti dello Stato membro che adotta la misura». Per un commento molto più critico cfr. C. OSTI, La riforma degli aiuti di Stato e il nuovo approccio economico della Commissione, cit.

[17] Altra questione è quella dell’eccessiva “dilatazione”, in alcuni casi, del concetto di aiuto di Stato da parte della stessa Commissione. Si vedano ad esempio le sentenze Corte giust., 28 marzo 2019, causa C-405/16 P, Germania c. Commissione; e la più nota sentenza del Trib., 19 marzo 2029, cause riunite T‑98/16, T‑196/16 e T‑198/16, Italia e a. c. Commissione (“Tercas”); per alcuni spunti cfr. E. BRUTI LIBERATI, Conclusioni, in E. BRUTI LIBERATI-M. DE FOCATIIS-A. TRAVI, Gli aiuti di Stato. La tutela del consumatore, Wolters Kluver, 2019, p. 59 ss.

[18] Sull’evoluzione nel tempo del concetto (giuridico) di aiuto di Stato, cfr. J.J. PIERNAS LÓPEZ, The Concept of State Aid Under EU Law: From internal market to competition and beyond, Oxford 2015; sulla nozione di aiuto di Stato, cfr. ex multis, sempre di J.J. PIERNAS LÓPEZ, The notion of State Aid and Regulation in the EU: Drawing a Shape of a Moving Target, in Cuadernos de Derecho Transnacional, 2010, p. 173 ss., P. NEBBIA, Il concetto di aiuto di Stato, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Jovene, Napoli, 2013, p. 497 ss.A. BIONDI-P.EECKOUT-J.FLYNN (a cura di), The Law of State aid in the European Union, Oxford, 2004.

[19] Si veda ad esempio la Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in GU C 262 del 19 luglio 2016, p. 1 che al punto 187, riguardo alla condizione della “distorsione della concorrenza” precisa che «Si ritiene che una misura concessa dallo Stato falsi o minacci di falsare la concorrenza quando è in grado di migliorare la posizione concorrenziale del beneficiario nei confronti di altre imprese concorrenti». I “Principi comuni” (innanzi citati), in riferimento al­l’impatto anticoncorrenziale della misura (ai fini della valutazione della compatibilità) recitano: «Nel valutare l’entità delle distorsioni della concorrenza, la Commissione analizza essenzialmente gli effetti del cambiamento di comportamento da parte del beneficiario sui concorrenti e sui fornitori dei fattori di produzione, temendo conto inoltre degli effetti dei consumatori» (punto 51).

[20] Art. 107, par. 1, TFUE.

[21] Mentre ai fini della qualificazione di una misura come aiuto di Stato, non è dunque, e in sé determinante che l’effetto distorsivo sia più o meno marcato (purché sia sensibile), viceversa, nel contesto del giudizio di compatibilità il grado di alterazione della concorrenza assume invece maggior rilevanza. Sulla scorta della prassi decisionale e della decennale giurisprudenza della Corte di Giustizia, la Comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato, precisa infatti che: «La definizione di aiuto di Stato non richiede che la distorsione della concorrenza o l’effetto sugli scambi siano sensibili o sostanziali. L’entità esigua di un aiuto o le dimensioni modeste dell’impresa be­neficiaria non escludono, di per sé, l’eventualità che l’aiuto falsi o minacci di falsare la concorrenza a condizione tuttavia che la probabilità di una tale distorsione non sia meramente ipotetica». Sul contenuto e gli effetti della Comunicazione, cfr. A. BIONDI, The notice of the Notion of State Aid: Every Lights has its Shadow, in B. NA­SCIMBENE-A. DI PASCALE (eds.), The Modernization of State Aid, cit., p. 43 ss.

[22] Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis», in G.U. L 352 del 24 dicembre 2013.

[23] Considerando n. 1. Il Considerando n. 3 inoltre recita: «È opportuno mantenere il massimale di 200.000 EUR per gli aiuti «de minimis» che un’impresa unica può ricevere nell’arco di tre anni da uno Stato membro. Tale massimale continua a essere necessario per garantire che, per le misure di cui al presente regolamento, si possa ritenere che non incidano sugli scambi tra gli Stati membri e/o non falsino o minaccino di falsare la concorrenza».

[24] Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014 che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato, in G.U. L 187 del 26 giugno 2014, p. 1.

[25] Art. 8 del Regolamento generale di esenzione: «Gli aiuti di Stato esentati ai sensi del presente regolamento non possono essere cumulati con aiuti «de minimis» relativamente agli stessi costi ammissibili se tale cumulo porta a un’intensità di aiuto superiore ai livelli stabiliti al capo III del presente regolamento».

[26] Corte Giust., 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark.

[27] Cfr. G. CAGGIANO, La disciplina dei servizi di interesse economico generale, Giappichelli, Torino, 2018, p. 109 ss. Per un approfondito esame dell’applicazione delle condizioni stabilite nella sentenza Altmark, cfr. A. RENZULLI, Services of General Interest: The Post-Altmark Scenario, in Eur. Publ. Law, 2008, p. 399 ss., specie p. 414 ss. Su tali questioni si rinvia in dottrina a D. GALLO, Finanziamento dei servizi di interesse economico generale e aiuti di stato nel diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2007, p. 893 ss., specie, p. 911 ss.; ID., Gli aiuti di Stato, l’art. 106 par. 2 TFUE e la compensazione di obbligo di servizio pubblico, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, cit., p. 527 ss. BIONDI A., Justifying State aid: the financing of services of general economic interest, in T. TRIDIMAS-P. NEBBIA (eds.), European Union Law for the Twenty-first Century, Vol. 2, Oxford University Press, Oxford, 2004.

[28] Corte Giust. 5 marzo 2019, causa C-349/17, Eesti Pagar AS (sulla quale v. infra più diffusamente nel testo e in nota), ove la la Corte precisa che «se certo la Commissione è autorizzata ad adottare regolamenti di esenzione per categoria di aiuto, al fine di garantire una vigilanza efficace sulle regole di concorrenza in materia di aiuti di Stato e di semplificare la gestione amministrativa, senza indebolire il proprio potere di controllo in tale settore, regolamenti del genere hanno altresì come obiettivo di incrementare la trasparenza e la certezza del diritto. Il rispetto delle condizioni previste da questi regolamenti, comprese dunque quelle dettate dal regolamento n. 800/2008, permette di assicurare che i suddetti obiettivi vengano pienamente rispettati» (punto 60).

[29] Corte Giust. 5 marzo 2019, Eesti Pagar AS, cit.

[30] Punto 63.

[31] Le domande poste dal giudice del rinvio erano le seguenti: «Se l’articolo 8, paragrafo 2, del [regolamento n. 800/2008] debba essere interpretato nel senso che […] i lavori “relativi al progetto o all’attività” devono intendersi avviati quando l’attività da finanziare consiste ad esempio nell’acquisto di un impianto ed è stato stipulato il contratto di compravendita relativo a tale impianto. Se le autorità degli Stati membri siano legittimate a valutare l’esistenza di una violazione del criterio stabilito nella disposizione sopra citata sulla base dei costi di un recesso dal contratto, il quale sia contrario al requisito dell’effetto di incentivazione». Nel caso di risposta af­fermativa «in presenza di costi di quale entità (in percentuale), derivanti dal recesso dal contratto, si possa ritenere che essi siano marginali sotto il profilo del soddisfacimento del requisito dell’effetto di incentivazione».

[32] Il compito delle autorità, sulla base del suddetto regolamento, non è dunque quello di «verificare l’esistenza o meno di un reale effetto di incentivazione dell’aiuto in questione» bensì è dunque solo quello «di appurare se le domande di aiuti che vengono ad essi presentate soddisfino o no le condizioni previste dall’articolo 8 del citato regolamento e permettano di affermare che gli aiuti si considerano come aventi un carattere incentivante» (punto 64).

[33] V. ad esempio quanto specificato nei Principi comuni a proposito dell’effetto di incentivazione (par. 4.2). Al punto 45 si precisa che «affinché la Commissione possa misurare l’effetto di incentivazione preteso, è in genere necessario che lo Stato membro produca la documentazione interna del beneficiario che dimostri che l’attività interessata non sarebbe stata intrapresa in assenza di aiuti». Il documento prosegue poi elencando i documenti che possono essere utile a tali fini (piano aziendale, preventivo dei costi, calcolo della redditività, analisi finanziaria del progetto; ecc.).

[34] Corte Giust., 13 giugno 2013, cause riunite da C‑630/11 P a C‑633/11 P, E, HGA e a. c. Commissione.

[35] Punto 79.

[36] Corte Giust., 11 settembre 2008, Germania e a. c. Kronofrance, cit., punto 59, e 8 marzo 2016, Grecia c. Commissione, cit., punto 68.

[37] Corte Giust., 19 luglio 2016, causa C-526/14, Tadej Kotnik e a.

[38] Punti 99-100.

[39] Punto 100.

[40] Punto 99.

[41] Punto 99.

[42] Al punto 98 della sentenza si legge quanto segue: «Ne consegue che la comunicazione sul settore bancario non è idonea a creare obblighi autonomi in capo agli Stati membri, ma si limita a stabilire condizioni che mirano a garantire la compatibilità con il mercato interno di aiuti di Stato accordati alle banche nel contesto della crisi finanziaria, di cui la Commissione deve tener conto nell’esercizio dell’ampio margine di discrezionalità di cui essa dispone ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE».

[43] La Corte precisa infatti che «Si deve infine rilevare che, adottando la comunicazione sul settore bancario, la Commissione non ha sconfinato nelle competenze affidate al Consiglio del­l’U­nione europea dagli articoli 108 e 109 TFUE. Infatti, dal momento che tale comunicazione stabilisce unicamente norme di comportamento che limitano la Commissione nell’esercizio del potere discrezionale conferitole dall’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE, essa non incide sul potere riconosciuto al Consiglio, all’articolo 108, paragrafo 2, terzo comma, TFUE, di dichiarare un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno, su richiesta di uno Stato membro, in presenza di circostanze eccezionali, e non costituisce un regolamento ai sensi dell’articolo 109 TFUE, il quale, ai sensi dell’articolo 288, secondo comma, TFUE, esplica effetti vincolanti erga omnes».

[44] Corte Giust., 19 luglio 2016, Tadej Kotnik e a., cit., punti 40-41 e 98; v. anche Corte Giust., 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a. c. Commissione, punto 211.

[45] Corte giust, 11 luglio 1996, causa C-39/94, Syndicat français de l’Express International (SFEI) e a., punto 41; 21 ottobre 2003, cause riunite C-261/01 e C-262/01, van Calster e a., punto 47; 5 ottobre 2006, causa C-368/04, Transalpine, punto 37.

[46] Corte Giust., 11 dicembre 1973, causa 120/73, Lorenz; 11 luglio 1996, Syndicat français de l’Express International (SFEI) e a., cit.; 21 ottobre 2003, van Calster e a., cit.; 5 ottobre 2006, Transalpine, cit.; 8 dicembre 2011, causa C-275/10, Residex Capital IV. Sul ruolo del giudice nazionale e sul private enforcement in materia di aiuti di Stato, cfr. recentemente P. PIVA, Giudice nazionale e aiuti alle imprese tra public e private enforcement, Cacucci, Bari, 2018; V. KREUSCHITZ-N.BERMEJO, The Role of National Courts in the Enforcement of the European State Aid Rules, in V. TOMLJENOVIĆ, N. BODIROGA-VUKOBRAT, V.B. MALNAR, I KUNDA, (eds.), EU Competition and State Aid Rules, Springer 2018, p.221 ss.; in precedenza, ex multis, A. PISAPIA, Aiuti di Stato: profili sostanziali e rimedi procedurai, Padova, 2013; C. SCHEPISI, Il private enforcement dell’art. 108 § 3 TFUE e i rimedi in capo al giudice nazionale e F. BESTAGNO, Il risarcimento dei danni per la violazione delle norme in materia di aiuti di Stato, entrambi in L.F.PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, cit., p. 599 ss. e 649 ss.; P.F. NEMITZ (a cura di), The Effective application of State Aid Procedures, Kluver Law International, The Netherlands, 2007.

[47] Cfr. E. FONTANA, Aiuti di Stato e diretta efficacia, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007.

[48] Corte Giust., 12 febbraio 2008, causa C-199/06, CELF; 18 dicembre 2008, causa C-384/17 Wienstrom, punto 28.

[49] Tra le tante, v. Corte Giust., 8 dicembre 2011, causa C-199/06, Residex Capital IV.

[50] La valutazione, ad esempio, di circostanze eccezionali che possano ostare al recupero dell’aiuto tra le quali, in primis, il legittimo affidamento delle imprese.

[51] Il giudice nazionale è infatti vincolato non solo dalla decisione finale della Commissione, ma anche da quella di avvio della procedura di indagine formale Corte Giust., 21 novembre 2013, causa C-284/12, Deutsche Lufthansa. Cfr. C. SCHEPISI, Gli effetti delle decisioni della Commissione in materia di aiuti di Stato sui poteri del giudice nazionale, in G. TESAURO (a cura di), Concorrenza ed effettività della tutela giurisdizionale tra ordinamento dell’Unione europea e ordinamento italiano, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013, p. 393. Inoltre – secondo quanto e­spresso nel noto caso Lucchini – qualora egli adotti una sentenza in spregio ad una precedente decisione della Commissione che abbia ordinato il recupero di un aiuto illegale ed incompatibile (e che sia divenuta definitiva), il principio del primato imporrebbe la disapplicazione della regola nazionale sulla res iudicata (Corte Giust., 18 luglio 2007, causa C-392/04, Lucchini). Cfr., ex multis, G. VITALE, Il recupero degli aiuti di Stato illegittimamente erogati tra autorità di giudicato ed incompatibilità con il mercato comune in una recente sentenza della Corte di Giustizia, in Dir. Un. eur., 2008, p. 595. Sui recenti sviluppi giurisprudenziali in tema di giudicato, cfr. G. GRECO, Il rapporto particolare tra gli aiuti di Stato e il giudicato, in www.Eurojus.it,, 4 settembre 2018.; C. SCHEPISI, L’auto­no­mia del giudice nazionale e il principio del giudicato nella materia degli aiuti di Stato: un tentativo di approccio coerente e sistematico, in Dir. Un. eur. 2018, p. 745 ss.

[52] Corte Giust., 22 marzo 1977, causa 78/76, Steinike; 21 novembre 1991, causa C-354/90, Féderation national du commerce extérieur des produits alimentaires.

[53] Corte Giust., 12 febbraio 2008, CELF, cit.

[54] Corte Giust., 12 febbraio 2008, CELF, cit.

[55] Come accaduto nel noto caso Traghetti del Mediterraneo, Corte Giust., 13 giugno 2006, causa C-173/03; 10 giugno 2010, causa C-140/09, Fallimento Traghetti Mediterraneo; si veda anche la recentissima Corte Giust., 23 gennaio 2019, causa C-387/17, Fallimento Traghetti Mediterraneo su rinvio della Corte di Cassazione nell’ambito dell’azione risarcitoria promossa contro lo Stato (Cass. civ., sez. III, ord. 22 giugno 2017, n. 15539).

[56] Corte Giust., 15 settembre 2016, causa C-574/14, PGE.

[57] Punto 36.

[58] Punto 37.

[59] Punto 39.

[60] V. in tal senso, segnatamente, sentenze dell’11 luglio 1996, SFEI e a., cit., punti 50 e 51, nonché 21 novembre 2013, Deutsche Lufthansa, cit., punto 44.

[61] Al punto 56 della sentenza la Corte fornisce la risposta al secondo quesito posto dal giudice nazionale, subordinato alla risposta negativa (e cioè all’assenza del potere del giudice nazionale di valutare egli stesso la portata applicativa della decisione): «Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla seconda questione nel senso che l’ar­ticolo 4, paragrafi 1 e 2, della decisione 2009/287, letto alla luce del metodo CNR, deve essere interpretato nel senso che esso richiede, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, che, nel determinare l’adeguamento annuale della compensazione dei costi non recuperabili da versare a un produttore appartenente a un gruppo di imprese, si tenga conto di tale appartenenza e, pertanto, del risultato finanziario di tale gruppo alla data in cui tale adeguamento è effettuato».

[62] Corte Giust., 5 ottobre 2006, Transalpine, cit., punti 53-54.

[63] Cfr. V. sul punto anche F. SPITALERI, Recenti sviluppi in materia di private enforcement delle norme sugli aiuti di Stato: i casi CELF e Wienstrom, in Dir. Un. eur. 2010, p. 463. Precedentemente alla sentenza CELF, v. anche G. STROZZI, Aiuti di Stato, in G. STROZZI (a cura di), Diritto dell’Unione europeaParte speciale, p. 312 ss.

[64] Corte Giust., 5 ottobre 2006, Transalpine, cit. Anche in tale caso, l’illegittimità di un aiuto era stata fatta valere dopo che era stata emessa la decisione della Commissione che dichiarava l’aiuto compatibile con il mercato comune e la Corte aveva ribadito che la compatibilità non sana l’illegalità (punti 53-54), a prescindere dal fatto «che una domanda sia proposta prima o dopo l’adozione della decisione che dichiara l’aiuto compatibile con il mercato comune, in quanto tale domanda riguarda la situazione illegittima che deriva dalla mancata notifica» (punto 55). La pronuncia CELF introduce invece un’evidente scissione circa le conseguenze dell’illegalità della misura di aiuto a seconda che sia o meno intervenuta una decisione di compatibilità dell’aiuto e conseguentemente anche del momento in cui è stata proposta dinanzi al giudice nazionale la domanda di restituzione. Eppure, come sottolineato in dottrina, la violazione sottostante è la medesima. Per osservazioni critiche cfr. B. CHEYNEL-A. GIRAUD, New Paradigm for Recovery of Unlawful Aid in the EU – National Judges and the ‘Exception of Compatibility’, in World Competition, 2008, p. 557 ss.

[65] V. per ulteriori spunti, S. AMADEO, Il giudice nazionale e l’obbligo di recupero degli aiuti illegali, in C. SCHEPISI (a cura di), La “modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato, cit., il quale si sofferma sul confronto della sentenza CELF e la sentenza Wienstrom, p. 222.

[66] Corte Giust., 12 febbraio 2008, CELF, cit., punto 53.

[67] Secondo B. CHEYN-A. GIRAUD, New Paradigm for Recovery of Unlawful Aid in the EU, cit. La Corte non impone al giudice di non recuperare bensì tollera che il giudice non disponga tale recupero.

[68] V. ad esempio Trib., 13 settembre 2013, causa T-133/10, Animal Trading Company (ATC) e a. ove si legge: «il rispetto del dovere della Commissione di raccogliere diligentemente gli elementi materiali indispensabili all’esercizio del suo ampio potere discrezionale nonché il suo controllo da parte del giudice dell’Unione sono tanto più importanti in quanto l’esercizio del suddetto potere discrezionale è soggetto soltanto a un controllo giurisdizionale limitato al merito, esclusivamente finalizzato alla ricerca di un errore manifesto. Così, l’obbligo per l’istituzione competente di esaminare con cura e imparzialità tutti gli elementi pertinenti della fattispecie costituisce una premessa indispensabile affinché il giudice dell’Unione possa verificare se sussistessero gli elementi di fatto e di diritto da cui dipende l’esercizio di questo ampio potere discrezionale».

[69] La Corte tiene infatti a precisare che «Nel caso in cui un’istituzione dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, è tuttavia di fondamentale importanza la verifica del rispetto, nei procedimenti amministrativi, delle garanzie conferite dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Tra queste garanzie rientrano, in particolare, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie e quello di motivare la decisione in modo sufficiente» (Corte Giust., 6 novembre 2008, causa C‑405/07 P, Paesi Bassi c. Commissione, punto 56; 21 novembre 1991, causa C‑269/90, Technische Universität München, punto 14).

[70] Con la conseguenza che, in caso di illegalità dell’aiuto sarà illegittima, dal punto di vista dell’ordinamento interno, anche la riscossione del tributo in quanto modalità di finanziamento dell’aiuto stesso.

[71] Si veda molto recentemente Corte Giust., 2 maggio 2019, causa C-598/17, A-Fonds.

[72] Corte Giust., 22 marzo 1977, causa 74/76, Iannelli e Volpi. Nella già citata sentenza Van Calster e a., la Corte aveva statuito che «le modalità di finanziamento di un aiuto possono rendere incompatibile con il mercato comune il regime di aiuto complessivamente considerato che esse mirano a finanziare». V. anche Corte Giust., 22 dicembre 2008, Société Régie Networks, cit.; 19 settembre 2000, causa C-156/98, Germania c. Commissione; 15 giugno 1993, causa C-225/91, Matra SA c. Commissione; 21 maggio 1980, causa 73/79, Commissione c. Italia.

[73] Corte Giust., 21 ottobre 2003, Van Calster, cit.; 16 dicembre 1992, Lornoy, cit.; 22 dicembre 2008, Société Régie Networks, cit.; 27 novembre 2003, causa C-34/01 e C-38/01, Enirisorse. L’esistenza di un nesso particolarmente stretto il prelievo e la misura di aiuto prescinde total­mente dal fatto che i soggetti gravati dall’onere fiscale e quelli agevolati si pongano in rapporto di diretta concorrenza; cfr. sul punto M. KEKELEKIS-I.E. RUSU, Régie Networks v. Direction de contrôle fiscal Rhône-Alpes Bourgogne, cit., specie pp. 573-574.

[74] Corte Giust., 13 gennaio 2005, causa C-174/02, Streekgewest Westelijk, punto 29. In linea generale si è osservato che l’esistenza di un vincolo di destinazione tra prelievo e aiuto è un’ipotesi che si verifica più comunemente nell’ambito dei tributi parafiscali che nell’ambito delle imposte. Cfr., tra gli altri, L. CERASO, Aiuti di Stato, sulla possibilità di un singolo di chiedere la restituzione di una tassa se questa costituisce parte integrante di una misura di aiuto erogato in violazione dell’art. 88, n. 3, ultima frase, TCE, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2005, p. 981 ss.

[75] Corte Giust., 13 gennaio 2005, Streekgewest Westelijk, cit.; 15 giugno 2006, cause riunite C-393/04 e C-41/05, Air Liquide Industries; 22 dicembre 2008, Société Régie Networks, cit.

[76] Corte Giust., 7 settembre 2006, causa C-526/04, Laboratoirese Boiron. Nella fattispecie, la Corte osservava che il contributo, a differenza dei casi portati precedentemente alla sua attenzione, tutti riguardanti un’esenzione a favore di taluni operatori di un tributo avente portata generale, si presentava come ab origine imposto ad una sola delle due categorie di operatori in situazione di concorrenza e che il mancato assoggettamento al contributo dell’altra categoria costituiva un obiettivo voluto se non addirittura l’obiettivo principale della normativa nazionale. La particolarità del caso consisteva dunque nel fatto che il contributo e la presunta misura di aiuto costituivano i due elementi indissociabili di una stessa misura fiscale. Nello specifico la Corte ha ritenuto che «la misura che si asserisce costituire un aiuto è il contributo stesso sulle vendite dirette e non una qualunque esenzione separabile da questo». In tali casi la Corte ha, infatti, precisato che il nesso tra la tassa e l’aiuto appare ancora più stretto rispetto a quelli in cui il tributo sia finalizzato a finanziare l’aiuto.

[77] Corte Giust., 22 dicembre 2008, Societé Regie Networks, cit.

[78] In tali casi pertanto l’incompatibilità dell’aiuto deriverebbe già dalla mancata rispondenza della misura alle condizioni di esenzione poste dall’art. 107 La violazione di altre norme del Trattato si limiterebbe qui a rafforzare la valutazione negativa già espressa dalla Commissione a chiusura della procedura di indagine formale. Un chiaro esempio è fornito dalla sentenza Germania c. Com­missione (Corte Giust., 19 settembre 2000, causa C-156/98) nella quale la Corte ha ritenuto valida la decisione della Commissione che correttamente aveva dichiarato l’aiuto non compatibile perché (anche ed ulteriormente) in contrasto con le norme sulla libertà di stabilimento.

[79] Regolamento (UE) n. 2015/1589 del Consiglio del 13 luglio 2015 recante modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in GU n. L 248 del 24 settembre 2015, p. 9 ss. 

[80] Corte Giust., 19 settembre 2000, Germania c. Commissione, cit.; 15 giugno 1993, Matra SA c. Commissione, cit.

[81] Corte Giust., 21 maggio 1980, Commissione c. Italia, cit.

[82] Sul punto, tra gli altri, cfr. L. RAIMONDI, Osservazioni in merito ai rapporti tra procedimento di controllo degli aiuti di Stato e procedure di infrazione, in Dir. Un. eur., 2002, p. 349 ss.

[83] Corte Giust., 2 maggio 2019, A-Fonds, cit.

[84] La violazione di tali norme incide, infatti, direttamente ed automaticamente sulla legittimità del tributo con conseguente esonero del contribuente di dimostrare, ai fini della domanda di rimborso, che la riscossione del tributo è anche e strettamente vincolata alla misura di aiuto dichiarata incompatibile, prova alquanto più difficoltosa.

[85] Cfr. in tal senso anche G. BIAGIONI, Il rapporto tra l’art. 107 TFUE e le altre norme del Trattato in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, cit., p. 536 ss.

[86] Corte Giust., 24 febbraio 1987, causa 310/85, Deufil c. Commissione, punto 18.

[87] Corte Giust., 26 settembre 2002, causa C‑351/98, Spagna c. Commissione, punto 74; 13 febbraio 2003, causa C‑409/00, Spagna c. Commissione, punto 93, e 29 aprile 2004, causa C‑91/01, Italia c. Commissione, punto 43.

[88] Corte Giust., 17 luglio 2008, causa C-521/06 P, Athinaiki Techniki c. Commissione.

[89] Corte Giust., 11 settembre 2008, Kronofrance, cit. Cfr. per alcuni spunti, G. GATTINARA, La tutela giurisdizionale contro le decisioni della Commissione in materia di aiuti di Stato, in L.F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, cit., p. 685 ss.

[90] Da ultimo, Corte Giust., 2 maggio 2019, A-Fonds, cit.

[91] Riguardo alla verifica della legittimazione ad agire, da parte di un privato, per l’annul­la­mento di una decisione su regimi generali di aiuto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha avuto una certa evoluzione. In linea generale «un’impresa non può, in linea di principio, essere legittimata a proporre un ricorso di annullamento avverso una decisione della Commissione che vieta un regime di aiuti se tale decisione si presenta, nei confronti di detta impresa, come un provvedimento di portata generale che si applica a situazioni determinate obiettivamente ed è fonte di effetti giuridici nei confronti di una categoria di persone considerate in modo generale e astratto» (Corte Giust., 29 aprile 2004, Italia/Commissione, causa C‑298/00 P, punto 37, e Trib., 11 giugno 2009, Acegas c. Commissione, causa T‑309/02, punto 47). Un interesse individuale è invece riconosciuto laddove il ricorrente dimostri di essere un beneficiario effettivo dell’aiuto e di essere quindi soggetto all’ordine di recupero. Nella sentenza Comitato “Venezia vuole vivere” e a. c. Commissione (Corte Giust., 9 giugno 2011, cause riunite C-71/09, C-73/09, C-76/09 P) la Corte ha, in particolare concluso per l’esistenza di un interesse individuale dei ricorrenti, rilevando che «già l’ordine di recupero riguarda individualmente tutti i beneficiari del regime di cui trattasi, in quanto costoro sono esposti, fin dall’adozione della decisione controversa, al rischio che le agevolazioni che hanno ottenuto siano recuperate, e vedono così lesa la loro posizione giuridica. Tali beneficiari fanno quindi parte di una cerchia ristretta […] senza che sia necessario esaminare condizioni ulteriori […] Inoltre, l’eventualità che, successivamente, le agevolazioni dichiarate illegittime non siano recuperate presso i beneficiari non esclude che questi siano considerati individualmente interessati». Il medesimo approccio viene seguito anche dalla successiva sentenza ACEA (Corte Giust., 21 dicembre 2011, causa C-309/19 P). Per maggiori dettagli ci si permette di rinviare a C. SCHEPISI, Aiuti di Stato e tutela giurisdizionale, Giappichelli, Torino, 2012, p. 49 ss.

[92] Corte Giust., 17 luglio 2008, Athinaiki Techniki c. Commissione, cit. V. anche Corte Giust., 18 novembre 2010, causa C-322/09 P, NDSHT c. Commissione.

[93] Corte Giust., 6 novembre 2018, cause riunite C-622/16 P e C-624/16 P, Commissione c. Scuola Elementare Maria Montessori e a. Cfr. in dottrina, G. CAGGIANO, La legittimazione ad agire per annullamento di un atto regolamentare da parte di soggetti che dimostrino un interesse individuale: il caso Montessori/Ferracci in materia di aiuti di Stato e le esenzioni fiscali ICI/IMU agli enti ecclesiastici, in Eurojus, 2018.

[94] Trib., 15 settembre 1998, causa T-95/96, Gestevisiòn Telecinco SA c. Commissione; 3 giugno 1999, causa T-354/05, Télévision français 1 SA (TF1) c. Commissione; 22 ottobre 1997, cause riunite T-213/95 e T-18/96, SCK e FNK c. Commissione, punto 55.

[95] Regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio del 13 luglio 2015 recante modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in GU L 248 del 24 settembre 2005, che ha sostituito il regolamento (CE) 1999/659 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo 108 del trattato sul funzionamento dell’Unio­ne europea, in G.U. L 83 del 27 marzo 1999, p. 1. Nella sentenza Gestevisiòn Telecinco SA c. Commissione (Tribunale, 15 settembre 1998, cit.), il Tribunale aveva precisato che «così come la Commissione non può rinviare sine die una presa di posizione in ordine a una domanda di esenzione ai sensi dell’art. 85, n. 3, del Trattato […] così essa non può nemmeno prolungare indefinitamente l’esame preliminare di misure statali denunciate come contrarie all’art. 92, n. 1, del Trattato CE, una volta che abbia accettato, come nella specie, di avviare tale esame» (punto 73).

[96] Per una ricostruzione dei limiti del dato letterale dell’allora art. 175 TCE e per una ricostruzione della legittimazione ad agire del privato sulla base degli stessi principi che regolano il diritto della concorrenza, cfr. in dottrina, C. NORDBERG, Judicial Remedies for private parties under the State Aid Procedure, in Legal Issues of Economic integration, 1997, p. 56 ss.

[97] Corte Giust., 26 novembre 2006, causa C-68/05, T. Port; 16 febbraio 1993, causa C-107/91, ENU c. Commissione.

[98] Trib., 15 settembre 1998, Gestevisiòn Telecinco SA c. Commissione, cit.; 3 giugno 1999, Télévision français 1 SA (TF1), cit.

[99] Trib., 10 maggio 2006, T-395/04, Air One SpA c. Commissione; 15 settembre 1998, Gestevisiòn Telecinco SA c. Commissione, cit.

[100] Art. 7, par. 6, del regolamento 659/99, anche se il termine per concludere l’indagine formale, fissato in 18 mesi, non è vincolante per la Commissione, la quale, infatti, per quanto possibile, si adopera per adottare una decisione entro 18 mesi dall’avvio della procedura.

[101] Corte Giust., 18 novembre 1970, causa 15/70, Chevalley c. Commissione, punto 6; 26 novembre 2006, T. Port, cit. Perché il sistema dei rimedi possa definirsi completo, è infatti necessario, ma anche sufficiente che un soggetto privato possa sindacare l’operato delle istituzioni, o attraverso l’impugnazione di un atto che si assume pregiudizievole nei propri confronti, o mediante un ricorso avverso la mancata adozione di un atto che avrebbe, al contrario, fatto venir meno, effetti pregiudizievoli già prodottisi nella sfera giuridica del soggetto ricorrente.

[102] Corte Giust., 18 novembre 1970, Chevalley c. Commissione, cit., punto 6; 26 novembre 2006, T.Port cit.

[103] Corte Giust., 16 febbraio 1993, ENU c. Commissione, cit.; 26 novembre 2006, T.Port, cit.

[104] Corte Giust., 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei c. CEE, punto 16, e Trib., 14 dicembre 2005, causa T‑383/00, Beamglow c. Parlamento e a., punto 95. Si vedano anche le sentenze della Corte di Giustizia, 9 novembre 2006, causa C‑243/05 P, Agraz e a c. Commissione, punto 26, e del Tribunale, 2 marzo 2010, causa T‑16/04, Arcelor c. Parlamento e Consiglio, punto 139.

[105] Corte Giust., 10 dicembre 2002, causa C‑312/00 P, Commissione c. Camar e Tico, punto 54, e Trib., 12 luglio 2001, cause riunite T‑198/95, T‑171/96, T‑230/97, T‑174/98 e T‑225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe c. Commissione, punto 134; nonché Corte Giust., 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P Bergaderm e Goupil c. Commissione, punti da 42 a 44.

[106] Corte Giust., 4 luglio 2000, causa C‑352/98 P, Bergaderm e a. c. Commissione, punto 42.

[107] Trib., 16 settembre 2013, Animal Trading Company (ATC), cit., ove si legge: «A tale riguardo si deve ricordare che il presupposto di una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione è diretto, indipendentemente dalla natura dell’atto illecito in questione, ad evitare che il rischio di dover risarcire i danni addotti dalle imprese interessate ostacoli la capacità dell’istituzione interessata di esercitare pienamente le sue funzioni nell’interesse generale, tanto nell’ambito della sua attività normativa o implicante scelte di politica economica quanto nell’am­bito della propria competenza amministrativa, senza per questo lasciare a carico dei singoli l’o­nere delle conseguenze di violazioni flagranti e inescusabili» (punto 66).

[108] Trib., 8 novembre 2010, causa T-88/09, Idromacchine Per alcuni spunti sul risarcimento del danno per l’illegittimità della decisione nel caso Tercas (Trib. 19 marzo 2019, cause riunite T‑98/16, T‑196/16 e T‑198/16), cfr. D. GALLO, Risarcimento del danno e aiuti di Stato, in Eurojus, 2/2019, F. FERRARO, Il Tribunale dell’Unione europea riconsidera la decisione sul caso Tercas in tema di aiuti (non) di Stato alle banche, in Post AISDUE, I (2019).

[109] E cioè sempre che la parte che era certamente legittimata ad impugnare la decisione abbia presentato ricorso nel termine di due mesi oppure si tratti di decisioni aventi portata generale (Corte Giust., 9 marzo 1994, causa C‑188/92, TWD).

[110] Cfr. anche P. NEBBIA, Do the rules on State aids have a life of their own? National procedural autonomy and effectiveness in the Lucchini case, in Eur. Law Rev., 2008, p. 427 ss.

[111] G. RAIMONDI, Atti nazionali inoppugnabili e diritto comunitario tra principio di effettività e competenze di attribuzione, in Dir. Un. eur, 2008, p. 773 ss., specie pp. 774 e 818.

[112] E. CANNIZZARO, Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione europea, in Dir. Un. eur., 2008, p. 447 ss.

[113] Conclusioni dell’Avv. Gen. JACOBS del 12 novembre 1996, causa C-24/95, Alcan Deutsch­land.

[114] Come ad esempio, lasciare scadere il termine di decadenza per chiedere indietro il quantum concesso a titolo di aiuto o non paventare al privato il rischio che la misura, essendo illegittima, possa essere recuperata.

[115] Ex multis, G. TESAURO-M. INGROSSO (a cura di), Agevolazioni fiscali e aiuti di Stato, Jovene, Napoli, 2009; nonché M. ORLANDI, Le discriminazioni fiscali e gli aiuti di Stato nel diritto del­l’Unione europea, Aracne, Roma, 2018; L. SALVINI (a cura di), Aiuti di Stato in materia fiscale, Cedam, Padova, 2007.