Rivista della Regolazione dei MercatiCC BY-NC-SA Commercial Licence E-ISSN 2284-2934
G. Giappichelli Editore

La legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti: un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo? (di Luca Belviso)


The essay deals with standing of Independent Administrative Authorities. First of all, the research highlights the objective nature of Indipendent Authorities standing and its effects on the assessment of the administrative judge. Moreover, it describes the genesis of these standing provisions, highlighting its compromising logic. Subsequently, it focuses on the aptitude of these standing powers to change the features of the administrative judicial proceedingThe analysis of the specific powers of standing for each Independent Authority is then conducted on the basis of the most recent judgements of the administrative judgeFinally, in the conclusions, the study intends to verify if these powers mark a return to the ancient objectivity of the administrative judicial proceedings.

   

SOMMARIO:

1. Un'introduzione a partire dalla legittimazione a ricorrere nel pro­cesso amministrativo - 2. La genesi di tali attribuzioni fra logica compromissoria e veste suppletiva - 3. Il lato oscuro dei processi fra pubbliche amministrazioni - 4. Le singole ipotesi di legittimazione processuale: fattispecie con pochi punti fermi e ancora in cerca di regole - 5. Un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo? - 6. Riflessioni conclusive in punto di legittimità costituzionale - NOTE


1. Un'introduzione a partire dalla legittimazione a ricorrere nel pro­cesso amministrativo

La legittimazione ad agire è nell’attuale processo amministrativo al centro di ripensamenti e rivisitazioni.

Basti pensare ai recenti scritti dottrinali [1] e decisioni del Consiglio di Stato [2] che hanno ricondotto tale condizione dell’azione alla titolarità affermata della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, focalizzando l’accer­tamento del giudice al piano delle mere prospettazioni del ricorrente.

Un orientamento, questo, che contrasta con la tradizionale tesi [3] dell’effet­tiva titolarità della posizione sostanziale dedotta in giudizio, e che avvicina il processo amministrativo a quello civile [4], evitando che siano anticipati alla fase preliminare profili che appartengono invece alla trattazione della causa nel merito.

Lo sguardo all’evoluzione storica del nostro sistema mostra del resto come l’orientamento più tradizionale sia sorto in tempi diversi, quando altri erano i fondamenti teorici che sorreggevano il giudizio amministrativo: quando l’inte­resse legittimo veniva inteso come strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa [5] e il processo amministrativo era «centrato» sulla sola azione di annullamento [6]. La nuova impostazione merita pertanto speciale attenzione soprattutto sotto il profilo della sua recezione da parte della dottrina e della giurisprudenza amministrativa.

L’accertamento della legittimazione ad agire sembra tuttavia cambiare ancora di fisionomia laddove sia la legge a costituirne fonte diretta di riconoscimento, come nel caso della legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti.

Infatti, in tali ipotesi di legittimazione oggettiva [7], ove quindi la norma e­spressamente investe determinati soggetti della legittimazione ad agire a tutela di interessi pubblici, ci si domanda se il giudice amministrativo debba limitarsi ad accertare l’esistenza della previsione ordinamentale ai fini di ritenere integrata la legittimazione ad agire [8], o debba invece andare oltre ad essa, al fine rinvenire, sempre e comunque, la titolarità (affermata o effettiva che sia) di una situazione giuridica soggettiva in capo al ricorrente.

Inoltre, il carattere oggettivo della legittimazione induce a riflettere persino su quanto debba essere intenso, da parte del giudice amministrativo, il controllo sulla sussistenza dell’altra condizione dell’azione, e cioè sull’interesse a ricorrere. Infatti, a fronte di un legislatore che espressamente autorizza, con la norma, l’accesso alla giustizia, non è chiaro se il giudice amministrativo debba come di consueto accertare che l’azione promossa dal ricorrente sia idonea (là dove accolta) a fargli conseguire, direttamente o indirettamente, il bene della vita; domandandosi, dunque, se tale condizione dell’azione sfumi, in quanto assorbita dalla legittimazione a ricorrere di stampo oggettivo [9], o invece mantenga il proprio tono, resiliente alla forza d’assorbimento della legittimazione ex lege.

Quand’anche si ritenga che l’interesse a ricorrere mantenga la propria consistenza, non può comunque negarsi l’influenza che l’oggettività della legittimazione è destinata ad avere su tale condizione dell’azione. Molte legittimazioni ex lege, infatti, attribuiscono al ricorrente individuato dalla norma il potere di impugnare, in presenza di certi presupposti sostanziali, non solo provvedimenti puntuali, ma anche regolamenti e atti amministrativi generali, atti che, proprio per la loro generalità e incapacità di arrecare immediato pregiudizio, non sono di consueto immediatamente impugnabili. In tali ipotesi, l’interesse a ricorrere sorge quindi in anticipo rispetto a quello di tutti gli altri soggetti del­l’ordinamento (ad esempio, dei diversi attori del mercato nel caso delle legittimazioni processuali delle autorità amministrative indipendenti). Questi ultimi, infatti, potranno adire il giudice amministrativo solo successivamente, per impugnare quegli atti che, dando esecuzione ai regolamenti e agli atti amministrativi generali, concretizzano la lesione alla loro sfera giuridica.

Riguardo ai quesiti posti, appare di maggior logicità l’idea che la legittimazione oggettiva possa avere un effetto, per così dire, di “semplificazione” sul­l’accertamento da parte del giudice delle condizioni dell’azione, specialmente con riferimento alla legittimazione ad agire. A contrario opinando, infatti, il giudice dovrebbe ricercare una situazione giuridica soggettiva alla base dell’a­zio­ne, essendo però paradossalmente vincolato nell’esito di tale accertamento, costretto a trovare detta posizione sostanziale se non vuole dichiarare inammissibile un ricorso che invece la legge, espressamente, autorizza.

Tale effetto di semplificazione appare del resto coerente con l’idea, che sarà ripresa nella parte finale del presente studio, in base alla quale il giudizio amministrativo possa anche prescindere da una situazione giuridica di ordine sostanziale, non per questo perdendo la propria soggettività.


2. La genesi di tali attribuzioni fra logica compromissoria e veste suppletiva

L’accesso alla giustizia amministrativa delle autorità amministrative indipen­denti si fonda, oggi, su tre previsioni di legge, che legittimano al ricorso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) [10], l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) [11] e l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) [12].

La prima è legittimata ad agire in giudizio al fine di impugnare gli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. La seconda può ricorrere al giudice amministrativo per richiedere l’annullamento di atti adottati dai Comuni che siano espressione di adeguamento dei livelli di prestazione del servizio taxi. La terza, infine, può accedere alla giustizia amministrativa per impugnare taluni atti, che si inseriscono nella procedura ad evidenza pubblica, adottati dalle stazioni appaltanti.

In ciascuno di questi casi ci troviamo di fronte a prerogative di iniziativa processuale, la cui genesi è connessa alla volontà di proteggere interessi pub­blici di cui le Autorità sono già istituzionalmente guardiane, che sono di matrice euro-unitaria e che sono ritenuti tanto rilevanti da meritare una maggiore protezione da parte dell’ordinamento [13]. Il loro fondamento costituzionale va dunque ricercato in questi interessi, che sono tutelati direttamente o tramite norma di apertura al diritto europeo dalla nostra Carta fondamentale.

Le vicende particolari che hanno accompagnato la genesi di tali prerogative mostrano come esse siano sorte, in ciascun caso, da logiche compromissorie, contestualmente rivelando una loro incidenza tardiva – in quanto traslata al momento del giudizio – sulla protezione di quell’interesse pubblico rilevante che ne giustifica la previsione.

Con riguardo all’AGCM, infatti, la legittimazione processuale è sorta, come ha rilevato attenta dottrina, «dall’esigenza di superare in qualche modo la prassi poco soddisfacente relativa ai poteri di segnalazione e consultivi attribuiti all’Autorità […] che in molti casi restano senza seguito da parte delle am­ministrazioni destinatarie» [14], ma anche, a dire il vero, dagli organi politici, che poco recepiscono le proposte di modifiche normative espresse dall’Auto­rità, soprattutto quando intervengono in ambiti caratterizzati da alto tasso di politicità e rilevanti conflitti di interesse [15].

Tale potere di iniziativa processuale trova pertanto la sua origine nel fallimento di quei poteri, aumentati nel corso del tempo [16], riconducibili alla competition advocacy [17] e al ruolo pro-active [18] rivestito dall’Autorità, e che sono di primaria importanza se si considera che, in Italia, le distorsioni della concorrenza derivano, oltre che da pratiche anticoncorrenziali realizzate dagli operatori economici, soprattutto da discipline legislative, regolamentari e regolatorie [19].

Sotto un profilo prettamente giuridico, la contestazione da parte dell’Au­to­ri­tà di profili di anti-concorrenzialità in atti già emanati non è infatti vincolante per i suoi destinatari, in quanto non crea in capo ad essi obblighi di adeguamento, ma si limita a produrre, nei loro confronti, un solo effetto di moral suasion, che consente alle amministrazioni e ai pubblici poteri di non dare recepimento alle indicazioni dell’Autorità [20]. Anche l’ultima relazione annuale del­l’AGCM mostra del resto che, sul totale degli interventi annuali di advocacy, il tasso di ottemperanza rimane appena superiore alla metà [21].

Sicché, a fronte di poteri rivelatisi nel tempo incapaci di condurre all’effet­tiva promozione dell’assetto concorrenziale dei mercati, il legislatore ha deciso di rafforzare le attribuzioni dell’Autorità, tanto che alcuni Autori [22] hanno affermato che l’interesse pubblico alla tutela della concorrenza goda di primazia rispetto a tutti gli altri. Tale lettura non sembra in realtà persuasiva, ritenendosi, specie alla luce degli ultimi interventi della Consulta [23], che si tratti solo di un’illusoria prevalenza.

Nell’ottica di tale incremento di poteri, il legislatore ha trovato poi un compromesso, scartando l’idea di riconoscere uno speciale potere di annullamento di atti amministrativi – prerogativa che sarebbe risultata lesiva delle autonomie regionali e locali [24] – e optando per l’introduzione, nella legge n. 287/1990, del­l’attuale art. 21-bis, ove l’Autorità, a fronte di un atto che viola le norme a tutela della concorrenza e del mercato, prima instaura un dialogo preliminare con l’amministrazione che l’ha adottato, poi, a fronte di una crisi di cooperazione, può adire il giudice amministrativo, delineando una peculiare struttura che ha indotto la dottrina a ricondurre anche tale disposizione nel­l’ambito della competition advocacy [25].

Anche con riferimento alla legittimazione processuale dell’ART, la scelta di affidarle il potere di ricorso, che opera con riferimento alla disciplina in materia di servizio taxi, è stato il frutto di un compromesso [26].

Nell’originaria versione dell’art. 37, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214, infatti, l’Autorità non era dotata di alcun potere con riferimento alla mobilità urbana non di linea, a fronte di un ruolo regolatorio che si estendeva invece ad ogni comparto del trasporto [27].

Tale lacuna ha indotto l’Autorità a ricercare da sempre poteri in tale settore [28], fino a reclamarli espressamente di fronte agli organi politici. Al riguardo è comprova ciò che è avvenuto, in un’audizione parlamentare, in merito all’ac­quisizione dei poteri di regolazione pro-concorrenziale [29], da sempre ambiti dall’Autorità anche nell’ottica di rendere massima la trasversalità della sua funzione in materia di trasporti.

A tale aspirazione, si è tuttavia contrapposta la volontà degli enti locali, attuali titolari ed organizzatori del servizio [30], restii a cedere anche parte della loro “signoria” in materia.

Fra le due opposte volontà, il legislatore ha fatto propria una soluzione di compromesso. Infatti, con l’art. 36, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in legge 24 marzo 2012, n. 27, modificando l’originaria disposizione istitutiva, in un’otti­ca di rafforzamento di poteri, ha deciso di attribuire all’Autorità la legittimazione attiva in materia, senza però riconoscerle la tanto agognata veste regolatoria.

Per ultimo, una visione di compromesso si rileva anche nella previsione della legittimazione processuale dell’ANAC, prevista dai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).

Tale attribuzione non ha trovato fin da subito ospitalità nel Codice dei contratti pubblici, che prevedeva, di contro, il potere dell’Autorità di adottare le cd. raccomandazioni vincolanti. Tale ultimo strumento le consentiva di sollecitare l’esercizio del potere di autotutela della stazione appaltante, in riferimento ad atti della procedura di gara ritenuti illegittimi, al fine di ottenere l’eliminazione dell’atto e la rimozione dei suoi effetti, a pena d’inflizione di una sanzione pecuniaria [31].

Su tale attribuzione si è pronunciato, in ben tre occasioni, il Consiglio di Stato in sede consultiva [32], evidenziando, fra i diversi rilievi, come si trattasse di un potere incompatibile con il sistema delle autonomie [33], nonché di difficile inquadramento sistematico laddove configurasse un atipico modello di autotutela doverosa [34], altresì suscettibile di moltiplicare il contenzioso in un settore già caratterizzato da alta litigiosità [35]. A fronte di tali criticità, il Consiglio di Stato ha consigliato di sostituire tale potere, di «vigilanza dinamica», con quello, di «vigilanza collaborativa», di legittimazione processuale, chiaramente ispirato all’art. 21-bis della legge n. 287/1990 [36].

Tale suggerimento è stato accolto dal legislatore. Dapprima, infatti, è stato soppresso il potere di adottare raccomandazioni vincolanti [37], poi, dopo solo cinque giorni, è stata attribuita all’Autorità la legittimazione processuale in materia di contratti pubblici, potere volto a proteggere la legalità dell’agire amministrativo nelle procedure di gara e ridurre i fenomeni corruttivi all’insegna di una maggiore concorrenzialità [38].

Certo è che la raccomandazione vincolante – al di là del fatto che l’ANAC, con buon senso, mai ne abbia fatto utilizzo, a causa dei nodi problematici che la attanagliavano – costituiva un’arma di vigilanza particolarmente forte. Pertanto, all’indomani della sua espunzione, è sorto il timore, manifestato dal Consiglio dei Ministri, di aver pregiudicato il ruolo dell’Autorità quale garante della legalità in materia di contratti pubblici [39].

Conseguentemente non è un caso, ma risponde ad una chiara logica compromissoria, o restitutoria, che, a distanza di così poco tempo dall’abrogazione di tale potere, l’Autorità sia stata dotata della seppur meno incisiva prerogativa di iniziativa processuale [40].

Alla luce di quanto descritto, pare potersi ritenere che la legittimazione processuale di ciascuna Autorità sia discesa da un compromesso, e quindi dalla volontà di compensare poteri scarsi o inesistenti, come nei casi dell’AGCM e del­l’ART, o, al contrario, di restituire poteri a seguito dell’abrogazione di attribuzioni precedentemente riconosciute e ritenute esorbitanti, come nel caso dell’ANAC.

Così facendo, la macchina processuale pare aver assunto contestualmente anche una veste suppletiva, consentendo alle Autorità di recuperare, sebbene solo in fase giurisdizionale, l’efficace tutela della mission a loro propria, a fronte di una legislazione che non recepisce i loro suggerimenti, o che non conferisce loro poteri regolatori in grado di tutelare l’interesse protetto prima che venga leso, o, ancora, che non consenta alle medesime di salvaguardare l’in­teresse pubblico perseguito con penetranti poteri destinatati ad operare in fase procedimentale.


3. Il lato oscuro dei processi fra pubbliche amministrazioni

Nel corso della trasformazione che sta interessando la parte statica del pro­cesso amministrativo, testimoniata non da ultimo dal cd. processo a parti invertite di cui la Consulta ha riconosciuto la legittimità costituzionale [41], si inseriscono anche i giudizi che sorgono dai poteri di iniziativa processuale delle autorità amministrative indipendenti.

Anche tale contenzioso, infatti, è espressione della rottura del tradizionale schema delle parti, dato che i poteri di iniziativa processuale in esame mutano la «geografia classica del diritto processuale amministrativo, con un giudice amministrativo chiamato a decidere su conflitti non più tra una parte privata ricorrente e una parte pubblica resistente, bensì tra parti esclusivamente pubbliche» [42].

L’emergere di un contenzioso che vede l’amministrazione contestualmente rivestire i “panni” di ricorrente e resistente non è del tutto inedita nel nostro sistema di giustizia amministrativa – si pensi alle legittimazioni processuali dei vari Ministeri previste a partire dalla fine degli anni Ottanta del XX secolo – sebbene appaia perlomeno atipica. Allo stesso tempo costituisce però anche una tendenza dell’odierno legislatore, e peraltro non solo di quello italiano, rilevandosi sviluppi analoghi anche in altre esperienze europee continentali (come quella francese [43], quella tedesca [44] e quella spagnola [45]), conformemente a quel lento ma progressivo processo di europeizzazione dei diritti processuali amministrativi nazionali.

Anche l’attuale contesto sociale, politico e culturale condiziona e sostiene tale tendenza, inducendo ad una pluralizzazione e frammentazione dei diversi interessi pubblici di cui le amministrazioni sono portatrici, con l’inevitabile affiorare di conflitti fra i loro interessi diversificati [46].

Quel che appare discutibile è però la scelta del legislatore nazionale di consentire alle amministrazioni di rivolgersi solo al giudice per proteggere i propri interessi [47]. Sarebbe infatti certamente più razionale ed efficiente, oltre che rispondente ad un’esigenza di accountability democratica, che i contrasti fra le pubbliche amministrazioni fossero risolti, in prima istanza, all’interno dell’amministrazione medesima, con devoluzione della decisione ad un’istan­za di governo più elevata [48].

Una discutibile scelta di sistema, questa, che è solo temperata dalla circostanza che il giudice possa talvolta essere adito soltanto all’esito di una crisi di cooperazione. L’assenza di stanze di compensazione a livello politico-ammini­strativo rimane infatti, anche in questi casi, un elemento di disfunzione [49]. È abbastanza evidente, del resto, che demandare la risoluzione del conflitto ad un soggetto di natura amministrativa esterno alle due parti in contesa sia altra cosa dal realizzare un (pur apprezzabile) momento di collaborazione e interlocuzione preventiva fra le stesse amministrazioni interessate dal conflitto.

A tale assenza si ricollega anche il dibattito sul fondamento costituzionale delle previsioni di legittimazione processuale in esame, oltre che dei giudizi da esse derivanti. Qualche Autore [50] ha infatti ricondotto tali poteri e processi al principio costituzionale di effettività della tutela giurisdizionale, ritenendo che essi sorgano proprio per l’assenza di qualsiasi altra alternativa pratica di tutela di interessi pubblici lesi da un certo provvedimento amministrativo.

Tale lettura, come è stato condivisibilmente osservato, rischia però di offrire un pericoloso giustificativo ad ogni disposizione di legge che decida di attribuire il potere di ricorso ad una qualsiasi pubblica amministrazione affidataria della cura di un interesse pubblico [51]. E che sarebbe pericoloso proprio perché tali disposizioni – da ricondurre piuttosto agli interessi rilevanti e di matrice euro-unitaria tutelati dalla Costituzione, direttamente o tramite disposizioni di apertura al diritto dell’Unione europea – non dovrebbero costituire una regola, quantomeno per la loro difficile sistematizzazione nel complessivo sistema di giustizia amministrativa.

Ma forse non solo per questo. Oltre alla fisionomia delle parti, infatti, muta in questi giudizi anche il ruolo del giudice, investito di una funzione nuova e di­versa: non più giudicare su questioni nelle quali si contrappongono un interesse privato e un interesse pubblico, bensì trovare la composizione di interessi pubblici fra loro confliggenti.

Il luogo di cura in concreto degli interessi in gioco si trasla, cioè, dalla sede amministrativa a quella giurisdizionale, e cioè dal procedimento al processo. Quest’ultimo, quindi, «diviene il luogo privilegiato di composizione non solo dei conflitti ma anche degli interessi in gioco» [52], venendo a rappresentare «una sorta di rimedio al fallimento del procedimento o del coordinamento amministrativo, quale ideale ambito di composizione del conflitto» [53] fra gli interessi coinvolti. Conseguentemente, il giudice finisce per fare quanto di consueto è compito dell’amministrazione, curando in concreto gli interessi pubblici.

Una traslazione di sede e di ruolo, quella che si verifica, che però realizza una contaminazione della funzione giudicante, che rischia di ledere il principio di separazione dei poteri, svuotare la riserva di amministrazione e, infine, compromettere il funzionamento del processo decisionale pubblico, anche data la lunghezza dei tempi della giustizia [54]. Tali timori rappresentano il lato oscuro dei processi fra pubbliche amministrazioni e suggeriscono l’adozione di un cauto approccio all’eventuale estensione generalizzata di tali poteri di legittimazione processuale.


4. Le singole ipotesi di legittimazione processuale: fattispecie con pochi punti fermi e ancora in cerca di regole

Le singole ipotesi di legittimazione processuale delle autorità ammnistrative indipendenti si inseriscono in fattispecie con ancora pochi punti fermi e in cerca di regole.

Con riferimento alla legittimazione processuale dell’AGCM, prevista dall’art. 21-bis della legge n. 241/1990 [55], giurisprudenza e dottrina sono state fin da subito assorbite nel cercare di risolvere numerose questioni problematiche, anche in virtù di un dettato normativo che non brilla per chiarezza ed esaustività. Ma, al di là dell’applicazione che ha caratterizzato tale strumento [56], pochi sono ancora i punti fermi. E molti sono, invece, i problemi rimasti insoluti.

Una questione di natura preliminare pressoché risolta dalla giurisprudenza amministrativa [57] (e costituzionale [58]) attiene alla struttura della fattispecie medesima. Tali giudici hanno infatti ritenuto che il comma 2 dell’art. 21-bis non sia autonomo rispetto al comma 1, sicché il parere dell’Autorità costituisce presupposto processuale previsto a pena di inammissibilità del successivo ricorso al giudice e l’azione giurisdizionale rappresenta l’extrema ratio per tutelare l’interesse pubblico alla concorrenza. Detta interpretazione ha negato di converso la facoltà dell’Autorità, cui la stessa ambiva [59], di poter esercitare anche direttamente lo strumento giurisdizionale. Fra le diverse ragioni a sostegno di tale tesi [60], i giudici hanno valorizzato soprattutto l’esigenza del precontenzioso, di un momento previo al giudizio di cooperazione e interlocuzione preventiva fra le amministrazioni, di loro leale collaborazione, in grado, da un lato, di realizzare la tutela dell’interesse pubblico alla concorrenza all’interno della stessa pubblica amministrazione [61], dall’altro, di deflazionare il contenzioso [62].

Si segnala tuttavia che, su tale orientamento, la dottrina [63] ha manifestato perplessità, ritenendo che sia opportuno ammettere, specie per i casi d’urgen­za, anche il ricorso diretto al giudice. Tale soluzione, infatti, consentirebbe al­l’Autorità di agire in maniera più rapida, avvalendosi, in via anticipata, della tutela cautelare.

Sono pochi i punti fermi ad oggi posti dal giudice amministrativo. Costante appare ad esempio l’orientamento del giudice amministrativo di ritenere perentori il termine di sessanta giorni attribuito all’Autorità per emettere il parere [64] e quello di trenta giorni relativo al successivo ricorso giurisdizionale [65]. Altrettanto ferme risultano le affermazioni del giudice amministrativo nel sostenere che il ricorso giurisdizionale debba avere ad oggetto l’originario atto anti-com­petitivo, con la conseguenza che eventuali atti di cattiva conformazione adottati dalla pubblica amministrazione possono essere impugnati solo congiuntamente al primo [66].

Al di là di questi pochi tasselli, irrisolte paiono essere tutte le altre questioni.

Si discute, ad esempio, sul dies a quo per l’emissione del parere da parte dell’Autorità, ove non è chiaro se l’«esatta conoscenza» dell’atto anti-com­pe­ti­tivo adottato [67] da cui tale termine decorre sia ricollegabile, per gli atti non sog­getti a pubblicazione, alla notifica o all’avvenuto ricevimento dell’atto stesso (o, eventualmente, di una specifica comunicazione contenente gli elementi rilevanti dell’atto). Sembra tuttavia prevalere, condivisibilmente, in seno alla giurisprudenza amministrativa, la tesi che valorizza il momento della recezione [68], in conformità al principio secondo cui il dies a quo «deve essere individuato in modo tale che la sua durata sia effettivamente utilizzabile per l’eserci­zio del potere di iniziativa al quale accede» [69]; al contrario, «prescindere dal­l’effettiva conoscenza da parte dell’AGCM dei provvedimenti contestati, a­vrebbe l’effetto di circoscrivere, se non di paralizzare, l’azione di quest’ultima, incidendo così sulla reale applicabilità dell’istituto» [70]. E la stessa soluzione pare debba valere anche per il dies a quo relativo all’attività di conformazione, che sembra dover decorrere dall’effettiva recezione del parere da parte dell’amministrazione [71].

Altra questione su cui si discute è se l’Autorità, qualora abbia maturato il sospetto che un atto sia anti-concorrenziale, abbia l’obbligo di attivarsi e aprire il procedimento amministrativo per emettere il parere. E se, inoltre, a fronte della mancata o cattiva conformazione da parte dell’amministrazione, l’Au­to­rità abbia l’obbligo di adire il giudice amministrativo. L’inquadramento della fattispecie fra i poteri di advocacy [72] e le esigenze connesse al principio di buon andamento [73] inducono a ritenere che l’Autorità possa scegliere circa il se, i tempi e le modalità degli interventi, potendo liberamente decidere sia se formulare il parere, sia se, a seguito della mancata o cattiva conformazione, proporre il ricorso giurisdizionale.

Incertezze vi sono altresì sulla natura del parere emesso dall’Autorità. Que­st’ultimo, infatti, sembra divergere dai tradizionali atti consultivi, al di là del suo nomen iuris, caratterizzandosi per una spaccatura fra forma e sostanza. Sotto il profilo formale, è infatti chiaramente un parere. Sotto quello sostanziale, diversamente, pare trattarsi di un atto di diffida [74], che fa sorgere, in capo all’am­ministrazione destinataria, quegli obblighi conformativi dalla cui inottemperanza può aver luogo il ricorso al giudice amministrativo.

Anche sugli effetti di tale parere vi sono ancora incertezze. Non è infatti chiaro se, a seguito della sua adozione, sorga, in capo all’amministrazione, la facoltà o l’obbligo di intervenire per rimuovere l’atto anti-competitivo precedentemente adottato. Nel primo caso, l’autotutela sarebbe discrezionale e il parere verrebbe a configurarsi quale invito all’esercizio dei poteri di autotutela; nel secondo caso, l’autotutela sarebbe doverosa e il parere rappresenterebbe un ordine di intervento in autotutela. La tesi che ha prevalso, in giurisprudenza [75] e in dottrina [76], nega che l’autotutela sia qui discrezionale, rivestendo, di contro, l’atipico carattere della doverosità: è stato pertanto affermato che «di fronte al parere-diffida non è corretto parlare di autotutela in capo all’ammini­stra­zione destinataria, dal momento che manca nel caso di specie proprio quel­l’apprezzamento discrezionale tipicamente sotteso a questo potere di secondo grado» [77].

Altro interrogativo sorto in dottrina e collegato ai precedenti quesiti riguarda la diretta o indiretta impugnabilità del parere da parte della pubblica amministrazione. A tal fine occorre ricordare che tale atto, come osservato, a dispetto del nomen iuris, non è un atto interno ad una serie procedimentale ove di nor­ma solo l’atto conclusivo è lesivo e impugnabile. Diversamente, il parere assume, qui, i caratteri sostanziali di una diffida, non essendo seguito da alcun atto conclusivo, ponendo lui fine alla fase procedimentale, incidendo, direttamente, nell’imporre un obbligo conformativo, nella sfera giuridica dell’ammini­strazione che ha adottato l’atto. Ricostruito così il parere, dunque, si ritiene che l’amministrazione possa immediatamente impugnarlo di fronte al giudice amministrativo [78].

Altro problema irrisolto attiene al dies a quo per la proposizione del ricorso da parte dell’Autorità, in particolare quando l’amministrazione, già prima della scadenza del termine di conformazione di sessanta giorni, esprima volontà negativa all’adeguamento. In tal caso, infatti, ci si chiede se il termine di impugnazione decorra dall’effettiva recezione da parte dell’Autorità del rifiuto a conformarsi o dalla parentesi dei sessanta giorni attribuiti all’amministrazione per la conformazione. La questione rimane aperta in dottrina [79] e in giurisprudenza [80].

Spostandoci infine sul profilo oggettivo del ricorso, che è individuato dalla legge nelle «norme a tutela della concorrenza e del mercato», se da una parte sembra abbastanza consolidata l’idea che l’Autorità possa impugnare anche le disposizioni volte a promuovere la competizione (fra cui quelle di liberalizzazione e di regolazione pro-concorrenziale) [81], dall’altra non appare ancora così chiaro se il riferimento alle «norme» sia suscettibile di essere allargato anche alla generica tutela della concorrenza intesa quale principio o valore [82].

Spostando l’attenzione sulle legittimazioni processuali dell’ART e del­l’ANAC, occorre mettere in evidenza come esse non abbiano ancora avuto applicazione, trattandosi pertanto di fattispecie prive di punti fermi di natura giurisprudenziale e ancora in cerca di regole. Le poche indicazioni certe ad esse applicabili, su cui si baserà la ricostruzione di seguito proposta, sono pertanto solo quelle dettate dal legislatore e dalle stesse Autorità, con atti di diversa natura ed effetti.

Per quanto concerne il potere di iniziativa processuale dell’ART, previsto dalla lett. n), comma 2, art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 [83], esso opera in materia di servizio taxi, con particolare riferimento alla disciplina dettata dalla lett. m) dello stesso comma.

Quest’ultima disciplina presuppone che siano i Comuni [84] a fissare con regolamento i livelli (qualitativi, quantitativi, economici) delle prestazioni ritenuti adeguati, determinando il numero di veicoli da adibire al servizio, le modalità di svolgimento, i criteri per la determinazione delle tariffe, nonché le condizioni per il rilascio delle licenze. Fissati dagli enti locali nel momento di organizzazione del servizio, i livelli adeguati delle prestazioni devono però essere controllati nel tempo, attraverso un periodico monitoraggio, una verifica d’adegua­tezza e, infine, un’eventuale rideterminazione di tali livelli, che deve avvenire in base alle esigenze del contesto urbano, secondo i canoni di ragionevolezza e proporzionalità, al fine di tutelare le esigenze di mobilità dell’utenza.

Quanto ai diversi compiti svolti dai Comuni e dall’Autorità, preziose sono le indicazioni fornite dalla legge e dall’Autorità medesima [85]. Da queste ultime emerge, in particolare, che il monitoraggio e la verifica, da intendersi quali compiti da assolvere in maniera continuativa [86], spettano non solo all’Autorità, ma anche e soprattutto ai Comuni [87]. Quanto invece all’adeguamento, e cioè alla rideterminazione dei livelli delle prestazioni a fronte di un servizio ritenuto inadeguato, si evince che esso avvenga attraverso un procedimento amministrativo in cui tali soggetti svolgono compiti diversi. In particolare, il Comune apre d’ufficio il procedimento (eventualmente su segnalazione dell’Autorità [88]), richiede il parere all’Autorità corredando la richiesta con lo schema di adeguamento che vorrebbe adottare [89], infine emette il provvedimento finale potendo disporre alcune misure tipizzate dalla legge (come ad esempio, l’in­cre­mento del numero delle licenze). L’Autorità, dal canto suo, deve pronunciarsi con proprio parere, su richiesta dell’ente locale, circa l’opportunità e la forza delle misure proposte nello schema di adeguamento, offrendo cioè il suo punto di vista sull’an, ed eventualmente sul quantum, di tali misure.

Tale atto consultivo, come ha affermato qualche Autore [90], rappresenta un parere in senso proprio, tale sotto il profilo formale e sostanziale, e si caratterizza per essere preventivo, obbligatorio e non vincolante. È preventivo, in quanto si inserisce nella fase istruttoria e precede l’adozione del provvedimento finale di adeguamento. È obbligatorio, non potendo l’ente locale provvedere senza prima richiedere il rilascio di tale atto. Infine, è un parere non vincolante, potendo l’ente locale discostarsi da quanto espresso dall’Auto­rità, benché motivando.

Il ricorso giurisdizionale dell’Autorità avanti al TAR Lazio, sede di Roma, sorge, come ha ipotizzato la dottrina [91] in una situazione di ancora totale assenza di contenzioso, proprio quando il Comune adotta il provvedimento finale senza aver preventivamente richiesto il parere obbligatorio, o quando l’ente locale, pur ottenendo il parere, se ne discosti, adottando un provvedimento privo di motivazione, mal motivato, o semplicemente non conforme al punto di vista espresso dall’Autorità. Quest’ultima, infatti, alla pari dell’ente locale, si fa interprete delle esigenze di mobilità del territorio di riferimento.

Con riguardo invece alla legittimazione processuale dell’ANAC [92], utili indicazioni interpretative per risolvere le questioni problematiche sorte all’indo­mani della sua previsione sono state offerte dal Consiglio di Stato in sede consultiva [93] e dall’Autorità medesima in sede regolamentare [94].

Risolvendo una prima questione preliminare, Consiglio di Stato e ANAC hanno affermato l’autonomia dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 211 del Codice dei contratti pubblici, ritenendo che essi disciplinino, rispettivamente, il «ricorso diretto» e il «ricorso previo parere motivato» [95]: il primo, quale strumento di tutela snello e rapido, a fronte di situazioni di più grave pericolo per l’interesse pubblico al corretto svolgimento delle procedure di gara; il secondo, quale strumento di extrema ratio, destinato ad operare in caso di violazioni, pur gravi, che possano però essere salvaguardate dall’intervento in autotutela della stazione appaltante, sollecitata dall’Autorità mediante il parere motivato [96]. Tale lettura, che si contrappone a quella tesi che sosteneva la presenza di un coordinamento fra i due commi in forza dell’analogia strutturale con l’art. 21-bis della legge n. 287/1990 [97], ha prevalso per diverse ragioni, fra cui la più persuasiva risulta essere la diversità dei presupposti sostanziali fra i due commi [98].

Le due fattispecie, che sono dunque distinte, presentano, però, alla luce del regolamento dell’Autorità, anche punti in comune, attinenti in particolare ai legittimati passivi e all’oggetto del giudizio.

Quanto ai primi, in entrambi i casi, si deve trattare di atti adottati da una stazione appaltante, con rinvio alla definizione offerta dal Codice dei contratti pubblici.

In relazione all’oggetto del giudizio, in entrambi i casi [99], l’Autorità può impugnare regolamenti, atti amministrativi generali (quali bandi, atti di programmazione, atti d’indirizzo e direttive che stabiliscono modalità partecipative alle procedure di gara e condizioni contrattuali, ecc.) e provvedimenti puntuali (quali delibere a contrarre, ammissioni ed esclusioni degli operatori economici dalla gara, aggiudicazioni, nomine del RUP, nomine della commissione giudicatrice, ecc.), purché inseriti nella procedura ad evidenza pubblica.

Cambiano, tuttavia, fra le due fattispecie, come già rilevato, i presupposti sostanziali e la struttura.

Con riferimento ai presupposti sostanziali, in relazione al comma 1-bis, gli atti impugnati devono essere idonei a violare qualsiasi norma in materia di contratti pubblici, ancorché non contenuta nel Codice, e relativi a «contratti di rilevante impatto», individuati dal regolamento dell’ANAC sulla base di specifici criteri [100]. Con riguardo invece a quelli del comma 1-ter, gli atti impugnati devono essere caratterizzati da «gravi violazioni» del solo Codice dei contratti pubblici, casi che sono stati tipizzati nel regolamento dell’ANAC (come l’affi­da­mento di contratti pubblici laddove non vengano rispettati gli oneri di pubblicazione previsti dal Codice) [101].

Per ciò che concerne infine la diversa struttura, solo nel caso di cui al comma 1-ter il ricorso è necessariamente preceduto da una previa fase procedimentale, con l’emissione di un parere motivato contenente i vizi di legittimità riscontrati e i rimedi da adottare per eliminarli. Solo in questo caso, cioè, come anche chiarisce il Consiglio di Stato, il parere rappresenta un presupposto processuale previsto a pena di inammissibilità dell’azione giurisdizionale, configurandosi non solo quale strumento di vigilanza collaborativa, alla pari della fattispecie di cui al comma 1-bis, ma anche, per il tramite della preventiva fase di collaborazione fra le amministrazioni, di deflazione del contenzioso [102]. Un parere, questo, che, secondo il Consiglio di Stato, è da intendersi quale mero invito all’autotutela, che non priva di discrezionalità decisoria la stazione appaltante, libera di non conformarsi al parere dell’ANAC [103]. Conseguentemente, esso è inidoneo a produrre direttamente effetti pregiudizievoli, non risultando immediatamente impugnabile da parte della stazione appaltante.

Conclusa tale analisi, di cui si è voluto offrire intenzionalmente soltanto uno scorcio, si intende riflettere, ora, sull’eventuale ritorno all’oggettività della giurisdizione amministrativa e sulla specialità [104] di tali legittimazioni processuali, di cui è incerto l’ancoraggio ad una situazione giuridica soggettiva sottostante.


5. Un ritorno all'oggettività del giudizio amministrativo?

Per comprendere se i poteri in esame segnino il ritorno all’oggettività del giudizio amministrativo, pare indispensabile prendere le mosse dagli studi [105] condotti da due maestri della procedura civile e che attengono al più profondo significato di “processo a contenuto oggettivo”.

La (condivisibile) idea portata avanti in questi studi, ripresa anche da diversa dottrina processual-amministrativistica [106], è che l’oggettività di un giudizio debba essere misurata sull’intera struttura processuale: «il proprium di tali pro­cessi – e cioè la loro natura o essenza – va cercato nel loro interno, nella loro struttura formale, insomma nel loro contenuto e non invece in qualcosa posto al loro esterno, come avviene quando si preferisca considerare i fini che essi sono chiamati a realizzare» [107].

Occorre cioè separare, secondo tale tesi, “natura” e “finalità” del giudizio: la prima, che ne costituisce l’essenza, da cogliersi sulla base del suo contenuto e della sua struttura formale, con un’indagine che si muove sul terreno del diritto processuale; la seconda, diversamente, individuata in forza di interpretazioni sostanzialistiche esterne al processo, coincidendo con la tutela dell’inte­resse sostanziale del promotore del giudizio o della legalità ordinamentale, in base a se la domanda esprima direttamente la protezione di un interesse giuridicamente tutelato di colui che attiva la macchina processuale o il solo rispetto della legge.

In altre parole ancora, si rifiuta l’idea che la natura del giudizio discenda dalla qualificazione dell’interesse a fondamento dell’azione giurisdizionale, per coglierla invece dall’intera struttura processuale, osservando alcuni “marcatori”, come la natura della legittimazione (se soggettiva o oggettiva), le modalità di avvio del processo, la disponibilità del giudizio già instaurato alle parti coinvolte, i poteri istruttori del giudice, la possibilità dello stesso giudicante di e­stendere l’oggetto del giudizio, e via dicendo.

Concentrandoci, ora, sul processo amministrativo, si rileva che all’indomani della legge Crispi, e fino ad una prima parte del XX secolo, era particolarmente diffusa la configurazione del processo amministrativo come giudizio attento, nella sua struttura, ad assicurare il rispetto del diritto oggettivo ancor prima che gli interessi dei singoli [108]. Trattandosi, perciò, di un giudizio ben lontano dall’attuale “processo di parti”.

L’evoluzione del processo amministrativo ha però rovesciato la prospettiva originaria, con una progressiva maggiore apertura verso una prevalente tutela di diritto soggettivo, ove l’interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento che fa capo al ricorrente è divenuto, da mera occasione per l’attivazione del rimedio giurisdizionale, il fulcro della protezione del giudizio amministrativo medesimo. In un sistema, perciò, retto dal principio dispositivo in tutte le sue accezioni, con la «garanzia di un giudice che non venga ad espandersi sino a farsi interprete delle esigenze di legalità al di là della domanda di giustizia», impedendo che lo stesso «possa eventualmente dimenticarsi di essere solo chiamato ad esercitare una funzione, anziché essere investito di una missione» [109].

La Costituzione testimonia tale sviluppo, consolidando, agli artt. 24, 103 e 113, l’idea di un ricorso giurisdizionale e di un giudizio amministrativo volti a perseguire, come finalità prevalente, la tutela di situazioni giuridiche soggettive di cui l’ordinamento fornisce protezione (e, per tale via, seppur non in via automatica, anche l’idea di un processo improntato alla soggettività). Tale assetto è confermato, ed anzi reso ancora più evidente dal Codice del processo amministrativo, che rende l’attuale giudizio conforme a molti di quei caratteri che, tipicamente, connotano un processo di diritto soggettivo.

In tale contesto, sorge l’interrogativo del presente studio: ovverosia se, data l’esistenza delle peculiari regole di legittimazione processuale osservate, si possa affermare un ritorno all’oggettività della giurisdizione amministrativa. Come è stato chiaramente sintetizzato, «il rischio è che, partiti da una giurisdizione di diritto oggettivo, approdati ad una giurisdizione di diritto soggettivo, attualmente vi siano germi di oggettività potenzialmente dirompenti dal punto di vista sistematico» [110].

Della questione giuridica posta va subito ridimensionato l’ambito. Il ritorno all’oggettività di cui si discute, infatti, riguarda gli specifici processi che prendono vita da quelle regole che attribuiscono poteri di iniziativa processuale alle autorità amministrative indipendenti, non attenendo, di converso, al giudizio amministrativo complessivamente inteso, di cui la prevalente soggettività non pare potersi mettere in discussione. Le regole di accesso alla giustizia succitate, infatti, che modificano l’ordinario atteggiarsi della legittimazione processuale, realizzano – come si è affermato in dottrina – «particolari modelli processuali – che sono tali nella misura in cui particolare è proprio l’accesso alla giustizia – che si aggiungono – e in tal senso derogano, senza alcun effetto di predominanza – al modello tradizionale di tipo soggettivo» [111].

Delimitato l’ambito dell’interrogativo sotteso all’indagine, occorre ora verificare se tali giudizi amministrativi possano, a fronte di tali prerogative di iniziativa processuale, ricondursi ad un modello di giurisdizione di diritto oggettivo.

Secondo un indirizzo dottrinale [112], le Autorità agirebbero per l’interesse pubblico al mero rispetto della legge, tramite un potere di legittimazione speciale che trasforma ipso facto il giudizio in un processo dalla natura obiettiva. Sicché, ad esempio, con riferimento all’AGCM, l’Autorità verrebbe a trasformarsi in una sorta di «Pubblico Ministero della concorrenza», non attivando la macchina processuale per un interesse giuridicamente tutelato riconducibile all’interesse legittimo, diversamente perseguendo l’interesse alla legalità del­l’azione amministrativa, di cui costituirebbe mera espressione la tutela della concorrenza: interesse, questo, che è pubblico, ma non differenziato e qualificato, coincidente con una sommatoria di interessi di mero fatto ascrivibili alla collettività, sì da configurare un’inedita «azione senza posizione soggettiva» [113].

L’automatismo fra legittimazione speciale e oggettività del giudizio fatto proprio da tale tesi non può tuttavia, alla luce della differenziazione fra natura e finalità del giudizio, essere accettato, non potendosi cogliere il proprium del processo da disposizioni che sembrano già indicare l’interesse dedotto in giudizio. Diversamente – valutando l’intera struttura del processo – i giudizi che prendono vita dalle legittimazioni processuali delle autorità amministrative indipendenti non sono per nulla intrisi di oggettività; al di là che muti l’accesso alla giustizia, infatti, «non cambia […] la struttura del processo amministrativo» [114], che invece «resta la medesima; come processo di parti […] ci troviamo di fronte allo stesso tipo di processo, non ad un processo diverso. Una volta che il soggetto, a tutela dell’interesse generale di cui è portatore e del quale ha la cura, ha scelto la via del processo amministrativo […] si assoggetta alle regole di quel processo. Esse restano quelle previste in via generale dal Codice» [115].

Il giudizio amministrativo sopravvive, dunque, anche in siffatte ipotesi, nella sua configurazione di “processo di parti”, non acquisendo maggiore officiosità, in sicura conformità al modello processuale delineato dagli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione. Del resto, anche nel giudizio civile vi sono numerose ipotesi di legittimazione oggettiva ed eccezionale al fine di promuovere la tutela di un interesse pubblico espressamente indicato dal legislatore, ma mai si è messa in dubbio la natura di diritto soggettivo della giurisdizione, valorizzando la rilevante circostanza che il regime processuale non venga a mutare [116].

Eppure, l’equivoco metodologico che identifica natura e finalità della giurisdizione non pare vivere solo nelle riflessioni di certa dottrina. Anche la giurisprudenza amministrativa [117], infatti, pare aver fatto propria quell’idea secondo cui l’essenza della giurisdizione consista nel solo scopo del giudizio, da cogliersi in base all’interesse sottostante all’azione.

I giudici amministrativi, infatti, con riguardo all’AGCM e all’ANAC, hanno rigettato l’idea di una neo-oggettivizzazione del giudizio amministrativo, ritenuta di più incerta compatibilità con l’assetto costituzionale, per intraprendere la diversa strada ermeneutica volta ad individuare, anche in tali casi, la natura soggettiva del giudizio. Tuttavia, il modo in cui i giudici amministrativi sono giunti ad affermare la soggettività di tali processi desta alcune perplessità. Tale essenza, infatti, è stata dagli stessi ricavata – si badi bene – non valorizzando la struttura formale del giudizio e l’immutato regime processuale, bensì cogliendola proprio dalla sua finalità, con il grande e a tratti eccessivo sforzo di ricercare, nell’interesse al buon funzionamento del mercato, nonché in quello al corretto svolgimento delle procedure di gara, un interesse riconducibile lato sensu all’interesse legittimo.

Con riguardo all’AGCM, il giudice amministrativo ha affermato che tale ricorso «più che come potere di agire nell’interesse generale della legge […] di difficile riconduzione all’interesse legittimo», viene a configurarsi, per scelta del legislatore, quale «strumento volto a garantire l’attuazione dell’interesse pubblico, ma pur sempre particolare e differenziato, alla migliore attuazione del valore della concorrenza, cui è specifica destinataria l’Autorità» [118]. L’inte­resse alla salvaguardia della concorrenza non rappresenterebbe, cioè – per il giudice amministrativo – il solo rispetto della legge e della legalità dell’azione amministrativa, quale interesse pubblico estraneo e trascendente a se stesso, incarnando diversamente i connotati di un autonomo “bene della vita”, un interesse che assume una propria dimensione sostanziale distinta rispetto all’in­te­resse pubblico alla reintegrazione del diritto oggettivo. Per questa via, il giudice scorge lo schema proprio dell’interesse diffuso [119], ove l’ordinamento giuridico, che intende tutelare quell’interesse originariamente adespota e sfornito di tutela, individua un ente esponenziale legittimato a proteggerlo in giudizio, soggettivizzandolo, rendendolo differenziato e qualificato, trasformandolo in una variante super-individuale dell’interesse legittimo.

L’orientamento giurisprudenziale in esame desta però perplessità, realizzando alcune discutibili forzature concettuali.

L’interesse alla concorrenza, infatti, non è facilmente riconducibile ad un interesse diffuso, dato che si riscontrano, rispetto al tradizionale modello di protezione di tali interessi, due varianti. La prima è che l’ordinamento attribuisce qui il potere di accedere al giudice, non ad un qualunque ente associativo rap­pre­sentativo, bensì all’AGCM, soggetto pubblico preposto istituzionalmente alla tutela della concorrenza [120]. La seconda si basa sulla circostanza che la legittimazione processuale dell’Autorità non si relaziona, in tal caso, al venir meno del carattere adespota dell’interesse alla tutela della concorrenza, posto che essa non rende giustiziabile un interesse che altrimenti non lo sarebbe stato, aggiungendosi soltanto alle iniziative già esercitabili dagli operatori economici [121].

Inoltre, la lettura succitata sembra realizzare anche una forzatura del concetto di “bene della vita” tradizionalmente accolto [122]. Per “bene della vita”, infatti, «si intende usualmente un’utilità sostanziale concreta protetta da una norma che il titolare di una situazione giuridica soggettiva mira a conservare o ad acquisire. Essa è suscettibile di misurazione ed è risarcibile nel caso in cui subisca una lesione. La nozione di bene della vita non può essere estesa fino a farla coincidere con quella generica di interesse pubblico affidato alla cura di un’autorità amministrativa. Se così fosse tutti gli apparati amministrativi finirebbero per essere portatori di una situazione giuridica costituita dall’interesse pubblico per il perseguimento del quale sono stati istituiti», con la conseguenza paradossale di poter adire l’autorità giurisdizionale a fronte di qualsiasi violazione di detto interesse.

Lo stesso orientamento pretorio e le stesse forzature concettuali si rilevano anche nel caso della legittimazione processuale dell’ANAC.

La giurisprudenza amministrativa ha infatti rinvenuto, in alcuni obiter dicta, un interesse giuridicamente tutelato, differenziato e qualificato, nell’interesse pubblico al corretto svolgimento delle procedure di gara. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha in particolare asserito che il riconoscimento della legittimazione processuale attribuita all’Autorità è indice della consapevole attenzione riservata dal legislatore nazionale alla «concorrenza per il mercato», quale interesse pubblico di rango costituzionale ed europeo direttamente perseguito attraverso il giudizio. Affermando, altresì, che non sembra che tale strumento «si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo del­l’in­teresse – avendolo, come avviene negli interessi diffusi – subiettivizzato in capo all’Autorità» [123].

Anche in questa ipotesi, però, l’interesse sostanziale sottostante fa fatica ad essere perfettamente riconducibile ad un classico interesse diffuso: da un lato, perché la soggettivizzazione avviene, in tal evenienza, a favore di una pubblica autorità; dall’altro, perché la disposizione che fonda la legittimazione processuale dell’ANAC non ha reso giuridicamente tutelato un interesse prima adespota, posto che il suo potere d’iniziativa processuale si affianca all’inizia­tiva del singolo partecipante alla gara [124]. Inoltre, anche in questo caso, viene snaturato il tradizionale concetto di “bene della vita”.

Alla luce di quanto espresso, si ritiene che la via preferibile sarebbe quella di limitarsi ad affermare la natura soggettiva dei giudizi che prendono linfa vitale dalla legittimazione processuale delle autorità amministrative indipendenti – ricavandola dalla struttura formale del processo – senza confondere natura e finalità della giurisdizione e senza intraprendere percorsi ermeneutici che, per ricavare un interesse sostanziale sottostante, forzano i confini delle tradizionali categorie del diritto amministrativo (nel caso di specie, quella di “interesse diffuso” e quella di “bene della vita”).

Del resto, come è stato affermato in dottrina [125] – e pienamente corrispondente ad una lettura che guarda al contenuto del giudizio – «riconoscere un’im­postazione squisitamente soggettiva al processo amministrativo non significa ritenere indispensabile sempre e necessariamente la presenza di una situazione giuridica soggettiva di tipo sostanziale correlata al processo instaurato». Basti pensare, ancora una volta, a quanto si manifesta nel diritto processuale civile, per esempio in materia di intermediazione finanziaria, ove le «legittimazioni ex lege della Banca d’Italia e della Consob non hanno posto la questione se le autorità di settore investite del potere di impulso processuale siano titolari di una situazione giuridica sostanziale autonoma, desumibile in qualche modo dalle finalità di interesse pubblico individuate dall’art. 5 TUIF per l’esercizio dei poteri ad esse attribuiti (salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario, tutela degli investitori, ecc.)».


6. Riflessioni conclusive in punto di legittimità costituzionale

Accingendoci al termine di tale studio, con l’intenzione di “tirarne le fila”, occorre rilevare che, nell’equivoco di partenza, basato sull’identità fra natura e finalità del giudizio, sembrano essere cadute sia parte della dottrina sia la giurisprudenza amministrativa, pur con esiti addirittura opposti.

La prima, che ha sostenuto l’oggettività di tali giudizi sulla sola base di una legittimazione che trovasse un riconoscimento nel diritto positivo e che individuasse espressamente, quale fine perseguito, un interesse pubblico; la seconda, che, per far salva la natura soggettiva di tali giudizi, ha forzato talune categorie del diritto amministrativo, come quella degli “interessi diffusi” e del “bene della vita”, al fine di individuare – potrebbe dirsi, “costi quel che costi” – un interesse sottostante all’azione che fosse differenziato e qualificato.

In tale contesto – se si vuole invece evitare di confondere l’essenza dallo scopo del giudizio – occorre guardare al processo in una dimensione più ampia, osservare le sue regole e la sua struttura, procedere con un’analisi che si muova sul terreno del diritto processuale.

Via, questa, che ci consente di affermare che il giudizio amministrativo, anche là dove prenda vita su impulso delle autorità amministrative indipendenti, rimanga, immutato nelle proprie regole di stretta procedura, un “processo di parti”. Tutto ciò, al di là di quale sia la qualificazione dell’interesse sostanziale che muove la macchina processuale, che neppure sembrerebbe corretto far risalire, a rigor di logica, da una norma di tipo processuale [126].

Dubbi potrebbero a questo punto sorgere in punto di legittimità costituzionale di tale modello. Il quesito è in realtà già stato posto in un’occasione alla Consulta. In un giudizio sorto in via principale, infatti, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale di una di tali previsioni – in particolare quella relativa all’AGCM – per contrasto (anche) con l’art. 113 Cost. [127]. La censura promossa dalla Regione Veneto era fondata, nel caso di specie, su una rigida interpretazione del testo costituzionale, in base alla quale tutto ciò che devia dall’ordinario modello di legittimazione soggettiva (e, dunque, indirettamente, di giurisdizione soggettiva) è suscettibile di incostituzionalità. La Consulta non si è invero pronunciata su tale specifica doglianza. Sembra perciò opportuno riflettere su tale questione, che potrebbe anche riproporsi nel prossimo futuro.

Quel che si ritiene è che non vi sia alcuna incostituzionalità di tali previsioni, anche là dove le si sganci – come si è sostenuto – da un interesse differenziato e qualificato sottostante. Ritenere incostituzionali tali disposizioni stride, infatti, primariamente, in un ordinamento che è pervaso, in qualsiasi ramo del diritto processuale, da legittimazioni di stampo oggettivo. Ma, al di là di tale rilievo – che potrebbe non rilevare in punto di legittimità costituzionale – la stessa interpretazione delle norme costituzionali sulla giustizia amministrativa dovrebbe essere diversa, dovendosi considerare che le stesse «sono state formulate in funzione garantistica: il costituente ha voluto che ai titolari degli interessi legittimi […] fosse garantita la possibilità di adire il giudice amministrativo. Ma, come tutte le norme di garanzia, essa impone un minimo, non preclude un di più […] non vieta al legislatore di disciplinare tale processo in modo tale che esso assicuri la protezione anche di altri interessi» [128].

Se così è, allora, tali previsioni, che pur danno vita a processi di cui è già stato posto in risalto il lato oscuro, possono certamente permanere nel nostro ordinamento, nell’ambito di una giurisdizione che può essere chiaramente soggettiva, come già è, ma che può essere anche diversamente strutturata dal legislatore: in altre parole ritenendosi che la tradizionale organizzazione in senso soggettivo del processo costituisca, sotto il profilo strettamente costituzionale, strutturazione necessaria ma non esclusiva.

Alla luce di quanto osservato rimane perciò invariata la soggettività di tali giudizi, fintantoché, perlomeno, non venga a mutare anche il regime processuale di detto contenzioso all’insegna di una maggiore officiosità: solo in tal e­venienza potrà riproporsi, e a quel punto anche con maggiore vigore, l’inter­rogativo sotteso alla presente indagine.


NOTE

[1] Fra tali recenti studi, cfr. M. DELSIGNORE, L’amministrazione ricorrente. Considerazioni in tema di legittimazione nel giudizio amministrativo, in corso di pubblicazione; della stessa Autrice, M. DELSIGNORE, La legittimazione a ricorrere nel giudizio amministrativo: alcuni spunti di riflessione, in P. CERBO (a cura di), Il processo amministrativo a (quasi) dieci anni dal Codice – Atti del Convegno del 28 settembre 2018 organizzato dall’Ordine degli avvocati di Pavia, Libellula, Lecce, 2019, pp. 37-56 (p. 39); F. SAITTA, La legittimazione a ricorrere: titolarità o affermazione?, in Dir. pubbl., 2019, n. 2, pp. 511-547; C. CUDIA, Legittimazione a ricorrere e pluralità delle azioni nel processo amministrativo (quando la cruna deve adeguarsi al cammello), in Dir. pubbl., 2019, n. 2, pp. 393-437; S. MIRATE, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo, Franco Angeli, Milano, 2018, che cerca altresì di ricomporre la legittimazione a ricorrere in un’unica nozione in grado di adeguarsi a tutte le ipotesi di ricorso al giudice amministrativo.

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2018, n. 3321, che ha affermato che «la legittimazione a proporre ricorso va valutata in relazione alla posizione affermata, mentre costituisce disamina di merito il vaglio sull’effettiva sussistenza di tale interesse»; Cons. Stato, sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3657.

[3] Cfr. fra gli altri, A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2019, p. 194; oltre che la nota voce di R. VILLATA, voce Legittimazione processuale (diritto processuale amministrativo), in Enc. giur., XVIII, Roma, 1990, secondo cui l’accertamento dell’interesse sostanziale è, nel giudizio amministrativo, preliminare e distinto dall’accertamento della fondatezza della domanda, che invece consiste nella verifica dell’illegittimità dell’esercizio del potere amministrativo: come afferma l’Autore, «la differenza rispetto al processo civile deriverebbe […] dal fatto che là il riconoscimento della titolarità del diritto coincide con la verifica della fondatezza della domanda, mentre nel giudizio amministrativo l’esito non è determinato dalla titolarità della posizione giuridica sostanziale, sibbene dall’illegittimità del provvedimento impugnato».

[4] Nel giudizio civile è infatti da tempo consolidata l’idea che la verifica della legittimazione ad agire abbia ad oggetto la titolarità affermata del diritto soggettivo, a prescindere che l’attore ne sia poi effettivamente titolare. In dottrina, fra i tanti, F.P. LUISO, Diritto processuale civile – Principi generali, vol. I, Giuffrè, Milano, 2019, pp. 220-223; oltre che, già, A. ATTARDI, voce Legittimazione ad agire, in Nss. Dig. it, IX, Torino, 1963, p. 722; E. ALLORIO, Diatriba breve sulla legittimazione ad agire, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1955, p. 130. In giurisprudenza, fra le numerosissime pronunce, cfr. Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951; Cass. civ, sez. III, 10 luglio 2014, n. 15759; Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11284.

[5] In questo senso, G. MANNUCCI, voce Legittimazione e interesse a ricorrere (diritto amministrativo), in www.treccani.it, 2018, p. 6.

[6] In questo senso, cfr. C. CUDIA, Legittimazione a ricorrere e pluralità delle azioni nel processo amministrativo (quando la cruna deve adeguarsi al cammello), cit., p. 395.

[7] Sull’oggettività della legittimazione, cfr. V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, n. 2, pp. 341-342, che tuttavia ne estende la nozione per ricomprendervi anche le ipotesi di legittimazione ad agire riconosciute da consolidata giurisprudenza (p. 369).

[8] In tal senso, V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, cit., p. 379, ove afferma che «in questi casi, la rilevanza dell’interesse alla stregua dell’ordinamento […] è riconosciuta ex ante e non necessita di accertamento da parte del giudice».

[9] A sostenere che l’interesse a ricorrere sfumi, V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, cit., p. 380; F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, in www.federalismi.it, 2012, n. 12, p. 16.

[10] Cfr. art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dall’art. 35 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv., con modif., in legge 22 dicembre 2011, n. 214.

[11] Cfr. le lett. m) e n), comma 2, art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 36, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. in legge 24 marzo 2012, n. 27.

[12] Cfr. i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), introdotti dall’art. 52-ter del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, conv., con modif., in legge 21 giugno 2017, n. 96.

[13] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323, nonché Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. In dottrina, cfr. A. CARBONE, Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenza del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, in Dir. proc. amm., 2014, n. 2, p. 436.

[14] Così, M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. n. 287/1990, in Conc. e merc., 2013, p. 866 (si veda anche p. 870).

[15] In questo senso, P. LAZZARA, Legittimazione straordinaria ed enforcement pubblico del­l’Au­torità Garante della Concorrenza e del Mercato. Dai compiti di segnalazione all’impugna­zione degli atti contrari alle regole della concorrenza e del mercato, in Conc. e merc., 2018, p. 68.

[16] Per un elenco, si veda M. RAMAJOLI, La legittimazione a ricorrere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, in Conc. e merc., 2018, p. 86, che ne rileva un aumento all’insegna dell’estemporaneità.

[17] Su tale nozione si veda M. D’ALBERTI, I poteri di advocacy delle autorità di concorrenza in prospettiva comparata, in Conc. e merc., 2013, p. 872.

[18] Cfr. S. CASSESE, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel “sistema” delle autorità indipendenti, in Giorn. dir. amm., 2011, p. 102 ss.; M. RAMAJOLI, Attività amministrativa e disciplina antitrust, Giuffrè, Milano, 1998, p. 412 ss.

[19] Su tale rilievo, cfr. M. RAMAJOLI, La legittimazione a ricorrere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 86. Sui poteri di advocacy dell’AGCM, cfr. fra gli altri, L. PISCITELLI, Artt. 21-24, in V. AFFERNI (a cura di), Concorrenza e Mercato – Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287 e al decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74, Cedam, Padova, 1994, pp. 572-599.

[20] Cfr. M. RAMAJOLI, La legittimazione a ricorrere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 89.

[21] Cfr. Relazione dell’Autorità sull’attività svolta nel 2018, p. 65, ove l’Autorità afferma che «i risultati hanno fatto registrare un tasso di ottemperanza, considerata la totalità degli strumenti utilizzati, pari al 53%».

[22] Cfr. M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. n. 287/1990, cit., p. 866. Tale primazia sembra emergere anche da talune decisioni del giudice amministrativo: Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246, ove gli si riconosce la «natura di speciale interesse pubblico»; in primo grado, TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720, ove si fa riferimento alla «primazia della tutela della libertà di concorrenza».

[23] Cfr. Corte Cost., sent. 31 gennaio 2019, n. 13, decisione in cui la Consulta ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’AGCM, che aveva ritenuto di poter adire il giudice delle leggi auto-qualificandosi quale giudice a quo. In dottrina, cfr. fra gli altri, F. APERIO BELLA, Riflessi dell’organizzazione sul rapporto tra le Istituzioni: l’AGCM quale giudice a quo del giudizio di legittimità costituzionale?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2019, n. 1, pp. 211-240.

[24] Su questo rilievo, cfr. Corte Cost., sent. 14 febbraio 2013, n. 20.

[25] Cfr. M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica am­ministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, in Conc. e merc., 2018, p. 102; M. RAMAJOLI, La legittimazione a ricorrere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 89; P. LAZZARA, Legittimazione straordinaria ed enforcement pubblico dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Dai compiti di segnalazione all’impugnazione degli atti contrari alle regole della concorrenza e del mercato, cit., p. 67.

[26] Come afferma M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. n. 287/1990, cit., p. 865, tale legittimazione processuale «è stata frutto di un compromesso tra chi voleva accentrare in capo all’Autorità i poteri di regolazione in materia e chi mirava invece a salvaguardare le prerogative regionali e comunali».

[27] A tal fine, si ricorda che l’ART, con l’unica eccezione relativa al trasporto pubblico locale non di linea, ha diretti poteri regolatori in ciascun comparto della mobilità, conformemente alla scelta italiana di concentrare tutta la regolazione dei trasporti in un’unica autorità avente competenza trasversale sul settore. Sul modello della trasversalità, anche detto modello orizzontale, cfr. M.L. MAGNO, La regolazione dei trasporti negli Stati membri, in F. BASSAN (a cura di), La regolazione dei trasporti in Italia. L’ART e i suoi poteri alla prova dei mercati, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 23-38, che contrappone ad esso il modello verticale, più diffuso in Europa, in cui vi è un’autorità diversa per ogni comparto della mobilità.

[28] A fronte di una legge istitutiva che non le riconosceva espressamente alcun potere nel mercato della mobilità urbana non di linea, l’Autorità ha cercato di auto-attribuirseli, facendo in particolare leva sulla sua natura di autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità e sulla conseguente applicazione della legge 14 novembre 1995, n. 481. In tal senso, C. CARUSO, L’Au­torità di Regolazione dei Trasporti nell’ordinamento amministrativo e costituzionale, in Forum di Quaderni Costituzionali, 2018, p. 4, che ricollega a tale estensione il potere di segnalazione al Governo e al Parlamento in merito a specifiche criticità presenti nei diversi settori regolati (potere di cui ha fatto uso, ad esempio, in relazione ai problemi connessi alla diffusione delle nuove piattaforme tecnologiche di mobilità).

[29] Cfr. Audizione dei rappresentanti dell’ART del 2 luglio 2015, disponibile su you tube.

[30] In particolare tale servizio è di titolarità dei Comuni, che, nel rispetto delle previsioni statali e regionali, provvedono, con propri regolamenti, ad organizzare la mobilità urbana non di linea. Cfr. legge quadro 15 gennaio 1992, n. 21.

[31] Cfr. l’oramai abrogato comma 2 dell’art. 211 del Codice dei contratti pubblici.

[32] In particolare, cfr. Cons. Stato, Comm. Spec., 1° aprile 2016, n. 855, ove si è espresso sul comma 2 dell’art. 211 della (ancora) bozza del Codice dei contratti pubblici («schema di d.lgs. approvato dal Consiglio dei Ministri n. 107 del 3 marzo 2016»); Cons. Stato, Comm. Spec., 28 dicembre 2016, n. 2777, ove si è pronunciato, all’indomani dell’adozione del Codice, su uno schema di regolamento d’attuazione da parte dell’ANAC (schema successivamente approvato come «Regolamento sull’esercizio dell’attività di vigilanza in materia di contratti pubblici», in vigore dal 1° marzo 2017); infine, Cons. Stato, Comm. Spec., 30 marzo 2017, n. 782, ove si è espresso con riferimento allo schema correttivo al Codice (schema che, dopo tale atto consultivo, ha condotto all’approvazione del primo decreto correttivo, il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56).

[33] Nel parere n. 855/2016, il Consiglio di Stato ha rilevato che tale potere non fosse compatibile con il sistema delle autonomie, introducendo un controllo statale sugli atti degli enti regionali e locali, un potere di «annullamento mascherato» che esorbita dai meccanismi collaborativi ammessi dalla Consulta (cfr. Corte Cost., sent. 14 febbraio 2013, n. 20).

[34] Nel parere n. 2777/2016, il Consiglio di Stato mette in luce l’ambiguità del configurato modello di «autotutela doverosa». Il Consiglio di Stato ha asserito, infatti, che tale potere configurasse una fattispecie complessa, bifasica e a formazione progressiva, ove è possibile distinguere due fasi: la prima, rappresentata dall’adozione da parte dell’Autorità della raccomandazione vincolante, atto inteso quale provvedimento a carattere autoritativo e decisorio in grado di tradursi in un sostanziale ordine di revisione degli atti di gara; la seconda, basata sulla rimozione in autotutela doverosa di tale atto di gara da parte della stazione appaltante, che rimaneva formale titolare del potere di eliminazione. In tale contesto, la raccomandazione veniva a configurare un atto ambiguo, vincolante – quasi un ossimoro a detta del Consiglio di Stato – e per tale ragione divergente, in spregio al suo nome, dalla tradizionale raccomandazione, per sua natura non dotata di efficacia vincolante. In dottrina, cfr. M. DELSIGNORE, Gli istituti del precontenzioso nel nuovo Codice dei contratti pubblici, in Dir. proc. amm., 2017, n. 2, pp. 749-770; F. GOISIS, La breve esperienza delle raccomandazioni vincolanti dell’ANAC ex art. 211, comma 2, d.lgs. n. 50/2016: doverosità e funzione di giustizia nella autotutela decisoria, in PA persona e amministrazione, 2017, n. 1, pp. 421-439.

[35] Nel parere n. 2777/2016, il Consiglio di Stato mette in guardia sul rischio di moltiplicazione dei giudizi in materia di contratti pubblici, posto che, alla già cospicua litigiosità fra stazioni appaltanti e operatori economici, si sarebbero aggiunte le nuove controversie fra l’Autorità e le stazioni appaltanti.

[36] Tale suggerimento è contenuto nel parere n. 855/2016. Per una lettura critica della «vigilanza collaborativa», termine che sarebbe stato utilizzato in modo improprio dal Consiglio di Stato, E. ROMANI, La legittimazione straordinaria dell’ANAC: un frammento di giurisdizione oggettiva nel processo di parti. Riflessioni a margine del parere del Consiglio di Stato del 26 aprile 2018, n. 1119, in Dir. proc. amm., 2019, n. 1, pp. 268-270.

[37] Il comma 2 dell’art. 211 del Codice è stato abrogato dall’art. 123 del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 (cd. decreto correttivo, o anche primo correttivo al Codice, recante «disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50»).

[38] In particolare, l’art. 52-ter del d.l. 24 aprile 2017, n. 50 (cd. Manovrina, recante «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo»), conv., con modif., in legge 21 giugno 2017, n. 96, ha introdotto, all’interno dell’art. 211 del Codice, i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater.

[39] Tale timore è stato espresso dal Consiglio dei Ministri, che ha annunciato, subito dopo la firma del decreto correttivo, ma ancora prima che lo stesso venisse pubblicato, l’introduzione di un potere capace di ripristinare quello abrogato.

[40] A sostenere l’oggettivo indebolimento dell’Autorità a seguito dell’abrogazione del potere di adottare raccomandazioni vincolanti, M. LIPARI, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dell’ANAC, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017, p. 15. Come si vedrà, infatti, nella nuova attribuzione dell’Autorità – con un focus relativo a ciò che si è andato perdendo – non si realizza alcuna autotutela doverosa, non si verifica alcun anomalo spostamento del momento valutativo tipico dell’annullamento d’ufficio, non si impone all’amministrazione alcun intervento di rimozione dei propri atti, non si sanziona la stessa laddove non si adegui spontaneamente alle prescrizioni dell’Autorità.

[41] Cfr. Corte Cost., sent. 15 luglio 2016, n. 179.

[42] Così, M. RAMAJOLI, Tutele differenziate nei settori regolati, in questa Rivista., 2015, n. 1, p. 7.

[43] Cfr. S. DELIANCOURT, Lè règlament du contentiuex entre personnes publiques, in Droit Administratif, 2017, nn. 8-9, p. 69, ove l’Autore rileva l’esistenza di un contenzioso sempre crescente fra soggetti pubblici, sebbene in mancanza di regole specifiche contenute nel Code de justice administrative.

[44] Sul contenzioso fra soggetti pubblici in Germania, si veda V. FERRARO, La legittimazione al ricorso degli enti pubblici nel diritto tedesco tra l’influenza europea e l’evoluzione giurisprudenziale interna, in M. MACCHIA (a cura di), Quando lo Stato fa causa allo Stato. La legittimazione attiva delle pubbliche amministrazioni, Editoriale Scientifica, Napoli, pp. 279-307.

[45] Cfr. art. 19 della Ley 29/1998, de 13 de julio, Reguladora de la Jurisdicción Contencioso-Administrativa (LJCA), che contempla diverse ipotesi di litigios inter-administrativos. La tendenza del legislatore di prevedere ipotesi di contenzioso fra soggetti pubblici è altresì testimoniata dalla più recente legittimazione a ricorrere introdotta dall’art. 27 della Ley 20/2013, de 9 de diciembre, a favore della Comisión Nacional de los Mercados y la Competencia a tutela della unidad de mercado. In dottrina, cfr. fra gli altri, J.A. SANTAMARÍA PASTOR, El contencioso de la unidad de mercado, in Revista Andaluza de Administración Pública, 2013, n. 87, pp. 51-93.

[46] Cfr. M. MACCHIA, La legittimazione giudiziale delle pubbliche amministrazioni, in M. MACCHIA (a cura di), op. cit., p. 30.

[47] Per qualche rilievo, cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451.

[48] Così, M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, in Conc. e merc., 2018, p. 10 (e in particolare la nota n. 17).

[49] In questi termini, M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., p. 101.

[50] Sul legame di tali legittimazioni con il principio di effettività, cfr. M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, cit., p. 10 (e in particolare la nota n. 17).

[51] In questo senso, M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., pp. 101-102.

[52] Così, M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 93.

[53] Così, M. MACCHIA, La legittimazione giudiziale delle pubbliche amministrazioni, cit., p. 31.

[54] Cfr. M. MACCHIA, La legittimazione giudiziale delle pubbliche amministrazioni, cit., pp. 30-33.

[55] L’art. 21-bis della legge n. 287/1990, che fonda la legittimazione processuale dell’AGCM, si articola in tre commi: il comma 1 dispone che «l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato»; il comma 2 prevede che «l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle nor­me a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni»; il comma 3 stabilisce che «ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1, si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104».

[56] L’Autorità ha, fin dal 2011, attivato lo strumento di cui all’art. 21-bis. Le relazioni annuali dell’Autorità rivelano che il parere è stato emesso: 1 volta nel 2011, 18 volte nel 2012, 23 volte nel 2013, 7 volte nel 2014, 19 volte nel 2015, 14 volte nel 2016, 42 volte nel 2017, 56 volte nel 2018. L’adeguamento a tali pareri si attesta complessivamente intorno al 48 % dei casi (cfr. Relazione sull’attività svolta nel 2018). Per quanto riguarda i ricorsi dell’AGCM dinanzi al giudice amministrativo (sia di primo che di secondo grado), essi mai hanno superato il numero di dieci all’anno.

[57] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. In primo grado, cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 27 maggio 2015, n. 7546; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720. Tuttavia, tale soluzione vale solo con riguardo al ricorso introduttivo, non anche in relazione alla proposizione dei motivi aggiunti. Cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 8 luglio 2016, n. 1356; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[58] Cfr. Corte Cost., sent. 14 febbraio 2013, n. 20.

[59] Cfr. Relazione annuale sull’attività realizzata nel 2012, ove si afferma (p. 127) che «l’Auto­rità ritiene che valutazioni di carattere pragmatico, sorrette peraltro dalla lettera dell’articolo 21-bis, inducano a legittimare, in taluni casi specifici, l’impugnazione diretta degli atti. Tale ipotesi interpretativa […] muove soprattutto dall’esigenza di poter all’occorrenza adire d’urgenza il giudice, in particolare in quei casi in cui la misura cautelare rappresenta l’unico strumento idoneo a garantire l’efficacia dell’impugnativa».

[60] Tale lettura è suffragata, oltre che dall’opportunità di un momento di precontenzioso riportata nel testo, da: l’esigenza di procedimentalizzazione, quale ordinario modus agendi di ogni pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246); la collocazione sistematica dell’istituto, posto fra poteri di segnalazione e consultivi, ove il minimo comune denominatore pare essere l’espressione, da parte dell’Autorità, indipendentemente che si tratti di segnalazione o di parere, di un suo “punto di vista”, che invece mancherebbe ove il ricorso giurisdizionale fosse direttamente esperibile (TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451); la perfetta corrispondenza dei presupposti dell’impugnazione fra i commi 1 e 2 dell’art. 21-bis (TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451).

[61] Tale finalità è ben illustrata in TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720, ove si afferma che la fase procedimentale assicura un centrale momento di interlocuzione preventiva fra l’AGCM e l’amministrazione che ha adottato l’atto, in un contesto ove «la configurazione della legittimazione dell’Autorità al ricorso giurisdizionale si pone come extrema ratio [...] in considerazione del fatto che dà luogo a un giudizio fra pubbliche amministrazioni, privilegiando piuttosto il legislatore modalità preventive di perseguimento dell’obiettivo di garanzia della libertà concorrenziale riconducibili, nella specie, al rapporto di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni». Cfr. altresì, Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246; nonché, TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264.

[62] Detta finalità è illustrata più ampiamente in TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451, in cui si è asserito che «la fase precontenziosa costituisce un significativo strumento di deflazione del contenzioso», ove è «ragionevole ritenere che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgono direttamente e solo al giudice per la tutela di un interesse pubblico primario – che dovrebbe essere – comune ad entrambe». Cfr. anche qui, Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246; nonché, TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264. Ad esprimere perplessità sulla finalità deflattiva, M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 90.

[63] Cfr. M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica am­ministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., p. 105; M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, cit., pp. 13-14. L’idea sottesa è che la previsione di una diretta impugnazione potrebbe sortire effetti positivi al fine di tutelare la concorrenza, nella misura in cui si valorizzerebbe la rapidità di intervento, specie con la tutela cautelare, che il giudice amministrativo potrebbe accordare a fronte dell’attivazione di tale prerogativa processuale. In realtà, la giurisprudenza amministrativa pare già aver risposto efficacemente a tale rilievo. Al fine di confutare la necessità di un ricorso diretto, infatti, il Consiglio di Stato ha affermato che deve trovare applicazione, nelle more della fase procedimentale di cui all’art. 21-bis, la tutela cautelare ante causam, con la conseguenza che, ricorrendo i presupposti di tale tutela, l’AGCM potrà chiedere al giudice di adottare tali misure eccezionali e provvisorie. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2236.

[64] Cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373; TAR Veneto, Venezia, sez. I, 26 giugno 2015, n. 737; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264. Contra, per la natura ordinatoria, soltanto TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[65] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583; TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676; TAR Veneto, Venezia, sez. I, 26 giugno 2015, n. 737; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1 settembre 2014, n. 9264.

[66] Così, TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720, secondo cui gli atti di cattiva conformazione potranno essere impugnati solo congiuntamente all’atto anti-competitivo originario, eventualmente anche con motivi aggiunti: infatti, «la determinazione adottata dall’ammini­strazione entro il termine di sessanta giorni successivi al parere non assume valenza provvedimentale autonoma, e non comporta la consumazione di un potere – considerato che – è ben possibile che, anche a seguito dell’adozione di una determinazione negativa, nel termine di sessanta giorni possano intervenire ulteriori diverse determinazioni della stessa amministrazione». Nello stesso senso, pur riferita al caso di inerzia dell’amministrazione, TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676.

[67] Il giudice amministrativo ha infatti asserito che «il decorso del termine di sessanta giorni per l’emissione del parere è riferito alla conoscenza dello specifico atto ritenuto anticoncorrenziale» e non, invece, dalla conoscenza di generiche criticità concorrenziali. Così, TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720. Cfr. in tal senso, anche quanto espresso dall’AGCM nella Relazione annuale sull’attività realizzata nel 2012, p. 127.

[68] Con riferimento agli atti non soggetti a pubblicazione, il momento dell’«esatta conoscenza» del provvedimento da parte dell’Autorità decorre dal ricevimento, da parte dell’AGCM, del­l’atto o di una specifica comunicazione recante gli elementi rilevanti dell’atto, «giacché soltanto a partire da tale momento essa sarebbe nella reale condizione di esercitare la propria competenza». Così, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373. Nello stesso senso: Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2294, nonché Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171; in primo grado, TAR Toscana, Firenze, sez. I, 7 dicembre 2017, n. 1521. Contra, TAR Veneto, Venezia, sez. I, 26 giugno 2015, n. 737, secondo cui il momento di esatta conoscenza è individuato, non nella recezione, bensì nella notificazione della comunicazione, al­l’AGCM, degli elementi rilevanti dell’atto anti-concorrenziale.

[69] Così, Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171.

[70] Così, TAR Toscana, Firenze, sez. I, 7 dicembre 2017, n. 1521.

[71] Cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. IV, 3 marzo 2014, n. 676, secondo cui deve valere il generale principio in base al quale il termine iniziale per chi invia l’atto decorre dal momento della “spedizione”, mentre quello per chi riceve è relazionato alla “recezione” dell’atto. Pertanto, con riguardo al termine iniziale per la conformazione, si avrà riguardo alla data di effettiva recezione del parere.

[72] In questo senso, cfr. fra gli altri, M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., p. 103; M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 91, che peraltro rileva, per testimoniare il carattere propositivo del parere, come l’Autorità abbia ampliato, con il placet del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323), il contenuto dell’atto di sua competenza, indicando non solo gli specifici profili delle violazioni riscontrate, ma anche i rimedi per eliminarle.

[73] In questo senso, cfr. fra gli altri, M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., p. 103; M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, cit., p. 12.

[74] In questo senso, cfr. M. DELSIGNORE, La legittimazione a ricorrere nel giudizio amministrativo: alcuni spunti di riflessione, cit., pp. 51-52; M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 90; M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 868.

[75] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720, secondo cui l’amministrazione destinataria del parere-diffida non è libera nel «decidere di non rimuovere o di non modificare l’atto originariamente adottato in ragione di un asserito difetto dei presupposti di cui all’art. 21-nonies della l. 241/1990».

[76] In dottrina, si vedano: M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 90 (e in particolare la nota n. 20); B.G. MATTARELLA, I ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2016, n. 3, p. 296; M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 868.

[77] Così, M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 90 (e in particolare la nota n. 20).

[78] Cfr. P. LAZZARA, Legittimazione straordinaria ed enforcement pubblico dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Dai compiti di segnalazione all’impugnazione degli atti contrari alle regole della concorrenza e del mercato, cit., p. 78; M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 868. Contro l’immediata impugnabilità del parere, ritenuto atto non immediatamente lesivo, cfr. B.G. MATTARELLA, I ricorsi del­l’Autorità antitrust al giudice amministrativo, cit., p. 296, secondo cui l’amministrazione non avrebbe comunque interesse ad impugnare autonomamente il parere, considerato che può ancora conformarsi ad esso nei termini stabiliti e, qualora non lo faccia, spetti all’AGCM, per legge, il ruolo di promotore del giudizio.

[79] La prima tesi è sostenuta da P. LAZZARA, Legittimazione straordinaria ed enforcement pubblico dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Dai compiti di segnalazione all’impugnazione degli atti contrari alle regole della concorrenza e del mercato, cit., pp. 77-78; in senso contrario, cfr. fra gli altri, B.G. MATTARELLA, I ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice amministrativo, cit., p. 298, secondo cui «la dichiarazione di non volersi conformare non è un provvedimento, dal quale debba farsi decorrere un termine per impugnare – oltre al fatto che – nulla esclude che l’amministrazione, dopo aver dichiarato di non volersi conformare, si conformi comunque entro il termine di sessanta giorni». Del resto, secondo tale Autore, il termine dei sessanta giorni è assegnato all’amministrazione per conformarsi, non per fornire la risposta al parere. E la conformazione, oltretutto, gode del favor del legislatore, dovendosi preferire rispetto al giudizio stricto sensu.

[80] Per la prima tesi, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323; TAR Lazio, Roma, sez. III, 6 maggio 2016, n. 5335. Per la seconda tesi, attualmente prevalente in giurisprudenza, cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, sez. giur., 9 ottobre 2017, n. 428; Cons. Stato, sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2294; TAR Lazio, Roma, sez. III-bis, 27 maggio 2015, n. 7546; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[81] In dottrina, cfr. fra gli altri, M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, cit., p. 11; B.G. MATTARELLA, I ricorsi dell’Autorità antitrust al giudice amministrativo, cit., pp. 291-292; F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle Autorità Indipendenti, cit., pp. 20-34, che valorizza il richiamo alle norme a «tutela del mercato» (dando rilievo al fatto che non si faccia riferimento solo alle norme a «tutela della concorrenza»), alla rubrica dell’art. 21-bis (relativo, più genericamente, alle «distorsioni della concorrenza»), oltre che ai lavori preparatori. In senso contrario, A. HEIMLER, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e i decreti del Governo Monti, in merc. Conc. Reg., 2012, n. 2, p. 370 ss. In giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 323; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. In primo grado, cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 8 luglio 2016, n. 1356; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264. Cfr. anche Corte Cost., sent. 20 luglio 2012, n. 200.

[82] La tesi estensiva si rinviene soprattutto nella recente dottrina. Cfr. M. CLARICH, Il “public enforcement” del diritto antitrust nei confronti della pubblica amministrazione ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287/90, cit., p. 102; M. LIBERTINI, Brevi note sui poteri dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, cit., p. 11. In senso contrario militano alcune decisioni del giudice amministrativo: Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[83] La lett. m), comma 2, art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 dispone che l’Autorità provvede «con particolare riferimento al servizio taxi, a monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti. Comuni e regioni, nell’ambito delle proprie competenze, provvedono, previa acquisizione di preventivo parere da parte dell’Autorità, ad adeguare il servizio dei taxi, nel rispetto dei seguenti principi: 1) l’incremento del numero delle licenze ove ritenuto necessario anche in base alle analisi effettuate dalla Autorità per confronto nell’ambito di realtà europee comparabili, a seguito di un’istruttoria sui costi-benefici anche ambientali, in relazione a comprovate ed oggettive esigenze di mobilità ed alle caratteristiche demografiche e territoriali [...]; 2) consentire ai titolari di licenza d’intesa con i comuni una maggiore libertà nell’orga­niz­za­zione del servizio [...] per fronteggiare particolari eventi straordinari o periodi di prevedibile incremento della domanda e in numero proporzionato alle esigenze dell’utenza [...]; 3) consentire una maggiore libertà nella fissazione delle tariffe, la possibilità di una loro corretta e trasparente pubblicizzazione a tutela dei consumatori, prevedendo la possibilità per gli utenti di avvalersi di tariffe predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti; 4) migliorare la qualità di offerta del servizio, individuando criteri mirati ad ampliare la formazione professionale degli operatori con particolare riferimento alla sicurezza stradale e alla conoscenza delle lingue straniere, nonché alla conoscenza della normativa in materia fiscale, amministrativa e civilistica del settore, favorendo gli investimenti in nuove tecnologie per l’efficientamento organizzativo ed ambientale del servizio e adottando la carta dei servizi a livello regionale». La lett. n) del medesimo comma sta­bilisce che «con riferimento alla disciplina di cui alla lettera m), l’Autorità può ricorrere al tribunale amministrativo regionale del Lazio».

[84] La disposizione prevede che anche le Regioni possano essere destinatarie del parere del­l’Autorità. Tuttavia, dalla legge n. 21/1992 emerge che sono i Comuni ad essere titolari del servizio pubblico e ad assumerne la responsabilità politica, fissando i livelli adeguati delle prestazioni.

[85] Cfr. FAQ-autoservizi pubblici non di linea, pubblicato sul sito dell’Autorità.

[86] Ci si domanda, in relazione al monitoraggio sul servizio da parte dell’ART, se sia un’attività che prescinde dalla richiesta del parere da parte dell’ente locale o venga effettuato solo all’indo­mani della richiesta di parere da parte del Comune. La risposta preferibile è che si tratti di un controllo che non sia una tantum (come avverrebbe laddove si ritenesse che tale potere venga esercitato solo a seguito della richiesta di parere), bensì continuativo nel tempo. Se del resto il legislatore avesse voluto concepire l’attività di controllo come un potere episodico, si sarebbe limitato a fare riferimento alla verifica della corrispondenza dei livelli concretamente erogati con quelli ritenuti adeguati, senza menzionare e far precedere, ad essa, l’attività di monitoraggio.

[87] L’attività di monitoraggio da parte degli enti locali non è invero contemplata dalla disposizione. Tuttavia è da ritenersi implicita. Infatti, l’attività di adeguamento dei livelli delle prestazioni da parte dell’ente locale, con l’avvio del procedimento di adeguamento, presuppone che il Comune monitori il livello delle prestazioni, parimenti a quanto compiuto dall’Autorità. Cfr. FAQ-autoservizi pubblici non di linea, pubblicato sul sito dell’Autorità.

[88] Il procedimento amministrativo è avviato d’ufficio, quand’anche sorga su segnalazione dell’Autorità di regolazione. Cfr. FAQ-autoservizi pubblici non di linea, pubblicato sul sito del­l’Autorità.

[89] Cfr. FAQ-autoservizi pubblici non di linea, pubblicato sul sito dell’Autorità.

[90] Sui caratteri di tale parere, cfr. F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Au­torità Garante della Concorrenza e del Mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle Autorità Indipendenti, cit., pp. 40-42 Si tratta, come segnala l’Autore, di un atto molto diverso da quello previsto dall’art. 21-bis, per almeno tre ragioni: primariamente, perché è un parere in senso proprio, non un parere con contenuto sostanziale di diffida; secondariamente, perché è privo di efficacia vincolante, ben divergendo rispetto al parere di cui all’art. 21-bis, ove l’ammi­ni­strazione destinataria deve conformarsi a tale atto per eliminare le specifiche violazioni delle norme a tutela della concorrenza e del mercato; infine, perché, differentemente da quanto osservato con riguardo all’art. 21-bis, l’autotutela non viene qui in rilievo, posto che, al momento dell’adozione del parere, appunto preventivo, manca ancora il provvedimento amministrativo di adeguamento su cui incidere con eventuali provvedimenti di ritiro.

[91] Cfr. F. SPANICCIATI, La legittimazione speciale del MIUR, del MEF e dell’ART, in M. MACCHIA (a cura di), op. cit., pp. 114-117; F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale del­l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle Autorità Indipendenti, cit., pp. 40-42.

[92] Il nuovo art. 211, riportato qui nella sua interezza, dispone: al comma 1-bis, che « l’ANAC è legittimata ad agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture»; al comma 1-ter, che «l’ANAC, se ritiene che una stazione appaltante abbia adottato un provvedimento viziato da gravi violazioni del presente Codice, emette, entro sessanta giorni dalla notizia della violazione, un parere motivato nel quale indica specificamente i vizi di legittimità riscontrati. Il parere è trasmesso alla stazione appaltante; se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, comunque non superiore a sessanta giorni dalla trasmissione, l’ANAC può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo. Si applica l’articolo 120 del Codice del processo amministrativo di cui all’alle­gato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104»; infine, al comma 1-quater, che «l’ANAC, con proprio regolamento, può individuare i casi o le tipologie di provvedimenti in relazione ai quali esercita i poteri di cui ai commi 1-bis e 1-ter».

[93] Cfr. Cons. Stato, Comm. Spec., 4 aprile 2018, n. 1119.

[94] L’ANAC, infatti, facendo utilizzo del potere di cui al comma 1-quater dell’art. 211 del Codice, ha adottato, previo parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Comm. Spec., 26 aprile 2018, n. 1119), in data 13 giugno 2018, il «Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del d.lgs. 50/2016».

[95] In tal senso si pone il «Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del d.lgs. 50/2016».

[96] In questo senso, Cons. Stato, Comm. Spec., 4 aprile 2018, n. 1119.

[97] Secondo tale tesi, i due commi sarebbero a tal punto coordinati da far sorgere un’unica fattispecie, ove l’Autorità può impugnare le categorie di atti indicate al comma 1-bis (bandi, altri atti generali, provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto), pur in presenza dei presupposti e nel rispetto del procedimento di cui al comma 1-ter (e, cioè, rispettivamente, in presenza di gravi violazioni del Codice dei contratti pubblici e con la previa adozione di un parere motivato nei confronti della stazione appaltante cui le stesse non si sono adeguate nei termini perentori stabiliti dalla disposizione). Ad illustrare le due diverse tesi, prima degli interventi chiarificatori, M. LIPARI, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dellANAC, cit., pp. 22-24.

[98] Il Consiglio di Stato ha infatti affermato, nel suo parere, che non vi sarebbe alcun elemento, né letterale, né sistematico, per ammettere che le espressioni usate dal legislatore nel comma 1-bis, laddove fa riferimento a violazione di «norme in materia di contratti», e nel comma 1-ter, laddove si riferisce a gravi violazioni «del presente Codice», siano identiche quanto al loro effettivo contenuto.

[99] In tal maniera è stata realizzata una corrispondenza fra gli atti impugnabili con ricorso diretto e ricorso mediato, di guisa che il riferimento generico al «provvedimento viziato», contenuto nel comma 1-ter, finisce per riferirsi a tutte le tre categorie di atti impugnabili ai sensi del comma 1-bis (e cioè «bandi», «altri atti generali» e «provvedimenti»).

[100] A tal fine, l’Autorità ha individuato l’impatto rilevante del contratto facendo riferimento ad alcuni criteri, indicando, in particolare: i contratti che riguardano, anche potenzialmente, un ampio numero di operatori (criterio del numero di operatori coinvolti); i contratti relativi ad interventi in occasione di grandi eventi di carattere sportivo, religioso, culturale o a contenuto economico, ad interventi disposti a seguito di calamità naturali o per la realizzazione di grandi infrastrutture strategiche (criterio della rilevanza dell’oggetto); i contratti riconducibili a fattispecie criminose, situazioni anomale o sintomatiche di condotte illecite da parte delle stazioni appaltanti (criterio dell’anomalia o dell’illiceità); i contratti relativi ad opere, servizi o forniture aventi particolare impatto sull’ambiente, il paesaggio, i beni culturali, il territorio, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale (criterio dell’incidenza su alcuni interessi super-protetti); i contratti aventi ad oggetto lavori di importo pari o superiore a 15 milioni di euro ovvero servizi e/o forniture di importo pari o superiore a 25 milioni di euro (criterio del valore economico del lavoro, servizio o fornitura). Secondo il Consiglio di Stato, tali criteri sono da ritenersi tassativi e proprio tale carattere si sarebbe dovuto esplicitare nel regolamento di attuazione dell’ANAC.

[101] A puro scopo esemplificativo, vi rientrano, oltre che l’affidamento di contratti pubblici laddove non vengano rispettati gli oneri di pubblicazione previsti dal Codice, anche: l’affidamento mediante procedura diversa da quella aperta e ristretta fuori dai casi consentiti, quando questo abbia determinato l’omissione di bando; la modifica sostanziale del contratto che avrebbe invece richiesto una nuova procedura di gara.

[102] Cfr. oltre che il parere del Consiglio di Stato, M. RAMAJOLI, Il precontenzioso nei contratti pubblici tra logica preventiva e tutela oggettiva, in Dir. proc. amm., 2018, n. 2, p. 580; R. DE NICTOLIS, I poteri dell’ANAC dopo il correttivo, in www.giustizia-amministrativa.it, 2017, p. 19.

[103] È di tutta evidenza, allora, la differenza con l’autotutela che veniva ad emergere sia nella precedente raccomandazione vincolante, sia nella fattispecie di cui all’art. 21-bis della legge n. 287/1990.

[104] Sul carattere di specialità (o eccezionalità), cfr. M. LIPARI, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dell’ANAC, cit., p. 10.

[105] Gli studi a cui si fa riferimento sono, ponendoli in ordine cronologico crescente: E. ALLORIO, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, Giuffrè, Milano, 1957, p. 116 ss.; F. TOMMASEO, I processi a contenuto oggettivo, in Riv. dir. civ., 1988, n. 1, p. 500 ss.

[106] Per ultimo, tale tesi è sostenuta da M. DELSIGNORE, L’amministrazione ricorrente. Considerazioni in tema di legittimazione nel giudizio amministrativo, in corso di pubblicazione; M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 94; e, ancor prima, da V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, cit., p. 342, che – riferendosi alle ipotesi di legittimazione previste dalla legge – afferma che «piuttosto che di giurisdizione di diritto oggettivo, si tratta, in questi casi, di legittimazione oggettiva, che è un concetto diverso, e di ben più limitate implicazioni».

[107] Così, F. TOMMASEO, I processi a contenuto oggettivo, cit., p. 500.

[108] In dottrina, cfr. fra i tanti, A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, I, Cedam, Padova, 2000, p. 47 ss.; V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Utet, Torino, 1994, p. 127 ss.; A. ROMANO, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa e la loro evoluzione, in Dir. proc. amm., 1994, n. 4, p. 670 ss.; E. GUICCIARDI, La giustizia amministrativa, Cedam, Padova, 1957, p. 72 ss.; F. D’ALESSIO, Istituzioni di diritto amministrativo italiano, vol. II, Utet, Torino, 1934, pp. 377-390; G. CHIOVENDA, Principii di diritto pro­cessuale civile, Jovene, Napoli, 1923, p. 358 ss.

[109] Per i virgolettati, si veda F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, cit., p. 5.

[110] Così, M. RAMAJOLI, Legittimazione a ricorrere e giurisdizione oggettiva, in V. CERULLI IRELLI (a cura di), La giustizia amministrativa in Italia e in Germania. Contributi per un confronto, Giuffrè, Milano, 2017, p. 157.

[111] Così, A. CARBONE, Modelli processuali differenziati, legittimazione a ricorrere e nuove tendenza del processo amministrativo nel contenzioso sugli appalti pubblici, cit., p. 436.

[112] Cfr. F. CINTIOLI, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e sulla legittimazione a ricorrere delle autorità indipendenti, cit., pp. 1-9.

[113] Tale espressione si rinviene in alcune decisioni del giudice amministrativo. Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[114] Così, M. RAMAJOLI, Legittimazione a ricorrere e giurisdizione oggettiva, cit., p. 148.

[115] Così, V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, cit., p. 381.

[116] Cfr. M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 866. L’Autore cita, in particolare, l’art. 69 c.p.c., che legittima l’azione civile del Pubblico Ministero, che (ove non agisce per far valere un diritto altrui) persegue la tutela di un interesse pubblico, nonché l’art. 14, comma 7, T.U.I.F., che attribuisce alla Banca d’Italia e alla Consob il potere di impugnare le delibere o altri atti adottati da titolari di partecipazioni di una Sim o di una Sicav privi dei requisiti di onorabilità.

[117] Cfr. in secondo grado, Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1171; Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. In primo grado, cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, 8 luglio 2016, n. 1356; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 29 giugno 2016, n. 1373; TAR Veneto, Venezia, sez. I, 26 giugno 2015, n. 737; TAR Lazio, Roma, sez. II, 1° settembre 2014, n. 9264; TAR Lazio, Roma, sez. II, 6 maggio 2013, n. 4451; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[118] Per i virgolettati, TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[119] In relazione alla giurisprudenza relativa alla soggettivizzazione dell’interesse diffuso, cfr. fra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 11 novembre 2011, n. 5986, nonché Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2011, n. 3107.

[120] Cfr. per tale rilievo, TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, 15 marzo 2013, n. 2720.

[121] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246. Ad evidenziare come la legittimazione processuale si aggiunga, in questi casi, all’iniziativa dei privati, M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., pp. 93-97.

[122] Così, M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 867.

[123] Così, Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4. Nello stesso senso, cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 11 maggio 2018, n. 6. Tale impostazione volta a qualificare l’interesse al corretto svolgimento delle gare come interesse diffuso, peraltro, si rinviene non solo nella giurisprudenza amministrativa, ma anche nella relazione illustrativa del regolamento di attuazione adottato dall’ANAC, ove si afferma che i commi 1-bis e 1-ter dell’art. 211 del Codice «sviluppano l’impo­stazione concettuale e le finalità che sono alla base dei numerosi esempi di apertura alla legittimazione di soggetti pubblici e di associazioni che possono agire per la tutela – si badi bene – di interessi superindividuali». Così, Relazione illustrativa del «Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter del d.lgs. n. 50/2016» adottato dall’ANAC.

[124] Cfr. M. LIPARI, La soppressione delle raccomandazioni vincolanti e la legittimazione processuale speciale dall’ANAC, cit., p. 12; M. RAMAJOLI, Il precontenzioso nei contratti pubblici tra logica preventiva e tutela oggettiva, cit., p. 583. Secondo tali Autori, nel settore dei contratti pub­blici, ove nota è l’alta litigiosità, sarebbe veramente difficile ipotizzare l’esistenza di numerosi in­teressi totalmente adespoti.

[125] Per i virgolettati, M. CLARICH, I poteri di impugnativa dell’AGCM ai sensi del nuovo art. 21-bis della l. 287/90, cit., p. 866. Il legislatore ha infatti riconosciuto, da più tempo, la legittimazione ad agire delle autorità amministrative indipendenti nel giudizio civile, specie in materia di intermediazione finanziaria. Cfr. artt. 14, comma 7, 62, 110 comma 1, 121, comma 6 e 157, comma 2, d.lgs. n. 58/1998 (TUIF).

[126] Così, M. RAMAJOLI, Il potere d’azione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato come strumento di formazione della disciplina antitrust, cit., p. 94, ove afferma che «non pare corretto far risalire una qualificazione sostanziale da una norma di tipo processuale».

[127] Cfr. Corte Cost., sent. 14 febbraio 2013, n. 20.

[128] Così, A. ROMANO, Il giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi cd. diffusi, in Rilevanza e tutela degli interessi diffusi: modi e forme di individuazione e protezione degli interessi della collettività – Atti del XXIII Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione (Varenna, 22-24 settembre 1977), Giuffrè, Milano, 1978, p. 33. Cfr. altresì V. CERULLI IRELLI, Legittimazione “soggettiva” e legittimazione “oggettiva” nel processo amministrativo, cit., p. 375 (in particolare nota n. 20); C. CUDIA, Gli interessi plurisoggettivi tra diritto e processo amministrativo, Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2012, p. 139, ove l’Autrice afferma che il vincolo costituzionale in ordine alla giurisdizione è solo nel senso dell’illegittimità costituzionale di una norma che privasse del diritto di azione chi sia titolare di una situazione rilevante.