CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA, SEZ. I, 6 GIUGNO 2019, N. 467 – CAUSA C-58/18 – MICHEL SCHYNS CONTRO BELFIUS BANQUE – CAUSA C-58/18
«L’articolo 5, paragrafo 6, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale impone ai creditori o agli intermediari del credito l’obbligo di ricercare, nell’ambito dei contratti di credito che essi offrono abitualmente, il tipo e l’importo del credito più adatti, tenuto conto della situazione finanziaria del consumatore alla data della conclusione del contratto e dello scopo del credito.
L’articolo 5, paragrafo 6, e l’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale impone al creditore di astenersi dal concludere il contratto di credito qualora non possa ragionevolmente ritenere, al termine della verifica del merito creditizio del consumatore, che quest’ultimo sarà in grado di rispettare gli obblighi derivanti dal contratto di cui trattasi».
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1. Introduzione - 2. I fatti di causa e il procedimento di fronte alla Corte di Giustizia - 3. La posizione della Corte di Giustizia sul 'credito adeguato' - 4. Verifica del merito creditizio del consumatore e 'prestito responsabile': un rapporto dai contorni incerti - 5. Sull'obbligo di astensione del finanziatore nei confronti del consumatore 'immeritevole' - 6. La gestione del rischio di credito, tra sana e prudente gestione e tutela dal sovraindebitamento - 7. Valutazione di merito creditizio e piattaforme di marketplace lending: alcuni spunti a mo' di conclusione - NOTE
La sentenza in commento verte sull’interpretazione della direttiva 2008/48/CE del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori (di seguito anche “CCD”).
La CCD persegue l’obiettivo di garantire un elevato livello di tutela dei consumatori e di porre le condizioni per un autentico mercato interno del credito al consumo. La CCD ha sostituito la direttiva 87/102/CEE, che conteneva solo disposizioni di base a tutela dei consumatori e si fondava espressamente su un livello minimo di armonizzazione. Negli anni successivi quasi tutti gli Stati membri sono andati, in diversa misura, al di là delle norme poste dalla prima direttiva, ostacolando in tal modo l’istituzione di un mercato unico [1].
Per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo si poneva quindi la necessità di prevedere un quadro comunitario armonizzato in talune materie, al fine di assicurare un sufficiente livello di tutela dei consumatori, rafforzandone la fiducia [2].
La CCD ha proceduto quindi alla piena armonizzazione di cinque moduli essenziali, vale a dire: le informazioni precontrattuali e contrattuali, il tasso annuale effettivo globale (TAEG), il diritto di recesso e il diritto di rimborso anticipato [3]. In tal modo il legislatore europeo ritiene di aver contribuito in modo sostanziale all’istituzione di un mercato unico del credito al consumo, evitando ai creditori di adattare i loro prodotti alle diverse legislazioni nazionali degli Stati membri [4] e, d’altro canto, garantendo a tutti i consumatori di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi [5].
La CCD non procede però all’armonizzazione massima con riferimento a tutti gli aspetti relativi al credito ai consumatori. Il legislatore europeo dichiara, ad esempio, che gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni nazionali sulla responsabilità solidale del venditore o prestatore di servizi e del creditore o sull’annullamento del contratto di vendita di merci o di prestazione di servizi se il consumatore esercita il diritto di recesso dal contratto di credito [6].
Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice nazionale oggetto della sentenza in commento si inquadrano proprio in materie (diverse peraltro da quelle appena ricordate) per le quali il legislatore europeo ha concesso margini di manovra agli Stati membri ovvero che risulterebbero addirittura estranee rispetto all’ambito di applicazione della CCD.
La Corte si sofferma quindi sugli obiettivi generali della direttiva al fine di valutare la compatibilità con questi ultimi della legislazione nazionale da applicarsi nel procedimento principale: in tal modo la Corte prende posizione su temi particolarmente significativi della disciplina del credito ai consumatori, quali la consulenza sul prodotto più adatto per il cliente, la verifica di merito creditizio del consumatore e, infine, l’astensione dal concludere un contratto di credito con un consumatore “immeritevole”.
Al fine di finanziare l’acquisto di pannelli fotovoltaici e l’installazione di questi ultimi ad opera della Home Vision, nel maggio 2012 il sig. Schyns ha sottoscritto presso la Dexia Banque Belgique, cui è subentrata la Belfius, un prestito decennale di importo pari a circa 40.000 euro, rimborsabile a rate mensili di 427,72 euro. Il suddetto importo è stato erogato a favore del sig. Schyns, il quale, a sua volta, l’ha versato alla Home Vision. Il contratto concluso tra il sig. Schyns e la Home Vision prevedeva che quest’ultima si impegnasse a installare i pannelli fotovoltaici, di valore pari all’importo erogato con il prestito, retrocedendo al sig. Schyns l’intero importo mediante il versamento di rate mensili di EUR 622,41 euro. In cambio, per dieci anni il sig. Schyns avrebbe dovuto cedere alla Home Vision i certificati verdi inerenti alla produzione di elettricità risultante dall’utilizzo di detti pannelli.
Poco più di un anno dopo, nel dicembre 2013, la Home Vision è stata dichiarata fallita, senza aver mai installato i pannelli fotovoltaici di cui trattasi.
Il sig. Schyns ha pagato le rate mensili del prestito per 4 anni, fino al 21 dicembre 2016, data in cui ha adito la Justice de paix du canton de Visé (Ufficio del giudice di pace del cantone di Visé, Belgio) chiedendo, in via principale, la risoluzione del contratto di prestito per causa imputabile alla Belfius e l’esonero da qualsiasi obbligo di rimborso. In subordine, egli ha chiesto la modifica di tale contratto al fine di ridurre il suo debito totale a 20.000 euro, da rimborsare con rate mensili di 150 euro.
Il sig. Schyns contesta in particolare alla Belfius di avergli prestato un importo troppo elevato rispetto ai suoi redditi, violando gli artt. 10 e ss. della legge belga sul credito al consumo. A tal riguardo, il sig. Schyns ricorda che, alla data della conclusione del contratto di prestito contestato, i suoi redditi mensili non superavano 1.900 euro mensili; sottolinea altresì che egli doveva rimborsare, oltre al credito suddetto, due mutui ipotecari per un importo mensile complessivo di 421,67 euro.
La banca si oppone alle domande del sig. Schyns, sostenendo che le disposizioni nazionali invocate da quest’ultimo non sono compatibili con l’art. 5, par. 6, della CCD, secondo la quale l’onere di valutare l’opportunità del credito graverebbe sul consumatore, non imponendo al creditore un obbligo generale di ricercare il credito più adatto.
Il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni nazionali applicabili, in particolare l’art. 15 della legge sul credito al consumo, impongono al creditore di valutare l’opportunità del credito, costringendolo ad astenersi dal concludere il contratto qualora ritenga che il consumatore non sia in grado di rimborsare il prestito.
Nel caso di specie, tenuto conto dell’entità dei suoi redditi e dei mutui ipotecari già assunti, il giudice del rinvio ritiene che la capacità di rimborso del sig. Schyns generasse dubbi alla data di conclusione del contratto.
Ciò premesso, la Justice de paix du canton de Visé ha deciso di sospendere il procedimento e formulare domanda di pronuncia pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia circa l’interpretazione dell’art. 5, par. 6, della CCD.
In particolare, si chiede in primo luogo alla Corte se tale norma osti all’art. 15, comma 1, legge del 12 giugno 1991 sul credito al consumo (di seguito anche “legge belga sul credito al consumo”), laddove dispone che il creditore e l’intermediario del credito sono tenuti a ricercare, nell’ambito dei contratti di credito che essi offrono abitualmente o per i quali essi intervengono abitualmente, il tipo e l’importo del credito più adatti, tenuto conto della situazione finanziaria del consumatore al momento della conclusione del contratto e dello scopo del credito, in quanto viene imposto al creditore o all’intermediario del credito un obbligo generale di ricercare il credito più adatto al consumatore, che non è previsto dal testo della CCD.
In secondo luogo, si chiede se l’art. 5, par. 6, della CCD osti all’art. 15, comma 2, della legge belga sul credito al consumo, nella parte in cui dispone che il creditore può concludere contratti di credito soltanto se, tenuto conto delle informazioni di cui dispone o dovrebbe disporre, in particolare sulla base della consultazione della Centrale dei crediti ai privati e sulla base delle informazioni sulla situazione finanziaria del consumatore, sulle possibilità di rimborso del credito e sugli impegni finanziari in corso, egli deve ragionevolmente ritenere che il consumatore sia in grado di rispettare gli obblighi derivanti dal contratto, in quanto da esso consegue che il creditore deve valutare, al posto del consumatore, l’opportunità di concludere eventualmente il contratto di credito.
In caso di risposta negativa, il giudice belga chiede infine se la CCD debba essere interpretata nel senso che essa impone sempre al creditore e all’intermediario del credito di valutare al posto del consumatore l’opportunità di concludere eventualmente il contratto di credito.
Conformemente alle conclusioni dell’Avvocato generale, la Corte di Giustizia ha stabilito che non contrasta con la CCD una normativa nazionale (quale quella belga vigente all’epoca dei fatti) che impone al finanziatore l’obbligo di ricercare il contratto di credito più adatto al consumatore nonché di astenersi dal concludere il contratto qualora, all’esito della verifica di merito creditizio, non sia ragionevole ritenere che il consumatore sia in grado di rispettare gli obblighi rivenienti dal contratto di credito.
Il procedimento principale, rispetto al quale sono sottoposte alla Corte le due questioni pregiudiziali sopra ricordate, verte su di una controversia regolata dal diritto belga.
In particolare, l’art. 15, comma 1, della legge belga sul credito al consumo prevedeva che: «Il creditore e l’intermediario del credito sono tenuti a ricercare, nell’ambito dei contratti di credito che essi offrono abitualmente o per i quali essi intervengono abitualmente, il tipo e l’importo del credito più adatti, tenuto conto della situazione finanziaria del consumatore al momento della conclusione del contratto e dello scopo del credito» [7].
Il Giudice del procedimento principale chiede in primo luogo alla Corte se tale norma sia (fosse) compatibile con la CCD, laddove (art. 5, par. 6) quest’ultima dispone che «Gli Stati membri provvedono affinché i creditori e, se del caso, gli intermediari del credito forniscano al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria, eventualmente illustrando le informazioni precontrattuali che devono essere fornite conformemente al paragrafo 1, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento. Gli Stati membri possono adattare le modalità e la portata di tale assistenza e stabilire chi la fornisce, tenendo conto del contesto particolare nel quale il contratto di credito è offerto, del destinatario e del tipo di credito offerto».
La formulazione dell’art. 5, par. 6, della CCD si muove in una logica diametralmente opposta rispetto all’art. 15, comma 1, della legge belga sul credito al consumo. Mentre quest’ultima norma obbliga il creditore e l’intermediario del credito a individuare il prodotto di finanziamento più adatto al consumatore, prestando a suo favore, in ultima analisi, una consulenza personalizzata basata sulla sua situazione finanziaria e sullo scopo specifico del credito [8], secondo la CCD spetta al consumatore decidere quale sia il prodotto a lui più adatto, avvalendosi all’uopo dell’assistenza del creditore e dell’intermediario del credito. In sintesi, la CCD non prevede a carico dei professionisti un obbligo di consulenza bensì un mero obbligo di fornire chiarimenti, lasciando al consumatore la responsabilità della scelta, oltre che la decisione finale sulla conclusione del contratto [9].
Tale conclusione è coerente con il disposto dell’art. 5, par. 1, della CCD.
Nella fase precontrattuale [10], infatti, il creditore o l’intermediario del credito, basandosi sulle preferenze espresse e sulle informazioni fornite dal consumatore, devono a questi fornire, per mezzo del documento standard denominato “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori” (di seguito anche “IEBCC”), «le informazioni necessarie per raffrontare le varie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito». Tanto il par. 6 quanto il par. 1 dell’art. 5 confermano dunque che spetta al consumatore scegliere il prodotto di credito, sia pur nel contesto di un ampio supporto informativo dei professionisti nella fase precontrattuale.
Non può trascurarsi, inoltre, che l’obbligo di fornire chiarimenti al consumatore giunge al termine di un percorso legislativo della direttiva che vedeva, nella prima fase, la proposta di inserimento di un obbligo a carico dei professionisti di ricercare il prodotto più adatto al consumatore, alla luce della situazione finanziaria, della finalità del credito e della ponderazione tra vantaggi e svantaggi del prodotto proposto [11].
Tale proposta venne radicalmente rivista nel 2005, quando, accogliendo una richiesta del settore bancario e di alcuni Stati membri, la Commissione volle modificare il concetto di obbligo di consulenza, riducendolo all’attuale obbligo di fornire spiegazioni, funzionale all’assunzione di una decisione consapevole sulla conclusione del contratto di credito da parte del consumatore. Nel contempo, agli Stati membri veniva lasciato un più ampio margine di manovra, consentendo loro di adattare la normativa di attuazione alla situazione del loro mercato [12].
Nella versione definitiva della CCD, dunque, l’obbligo di fornire consulenza sul prodotto lascia il posto all’obbligo di fornire chiarimenti sul prodotto. La differenza non pare di poco momento, in quanto potrebbe lasciar credere che l’offerta di credito da parte dei professionisti sia svincolata da qualsiasi valutazione di merito su esigenze, preferenze e situazione finanziaria del consumatore.
Con la decisione in commento la Corte di Giustizia, in proposito, afferma che la CCD «non impone agli Stati membri di prevedere un obbligo generale per i creditori di proporre ai consumatori il credito più adatto» [13]. D’altro canto, la Corte riconosce che, per quanto la CCD si muova in un’ottica di armonizzazione completa e imperativa in una serie di settori fondamentali [14], in relazione ai doveri di assistenza al consumatore il legislatore europeo ha concesso agli Stati membri la facoltà di adattarne modalità e portata, nonché di individuare il soggetto tenuto all’obbligo.
Posto che gli Stati membri devono utilizzare tale margine di manovra in modo conforme alle disposizioni della CCD [15], la Corte precisa che l’identificazione del prodotto più adatto da parte del creditore o dell’intermediario del credito tende a completare l’informazione del consumatore per consentirgli di prendere la decisione finale di concludere il contratto con piena cognizione di causa, non mettendo in discussione il principio secondo il quale il consumatore è responsabile della scelta tra i contratti che gli sono presentati dal creditore nella fase precontrattuale [16].
Di conseguenza, la Corte conclude che «una normativa nazionale che impone ai creditori o agli intermediari del credito di ricercare e di presentare al consumatore il credito più adatto alle sue esigenze non eccede il margine di manovra accordato agli Stati membri dalla direttiva 2008/48 nel rispetto delle disposizioni armonizzate di quest’ultima» [17].
Ciò detto, resta però aperta la fondamentale questione circa la presenza o meno di limiti all’attività di offerta da parte del creditore o dell’intermediario del credito.
In altre parole, occorre chiedersi se la disciplina introdotta dalla CCD consenta che al consumatore possa essere offerto qualsiasi prodotto di finanziamento, anche non adatto, purché sussista un’informativa adeguata prima di concludere il contratto, oppure preveda che l’offerta debba essere comunque tarata sulle esigenze e sulla situazione finanziaria del consumatore, pur senza arrivare ad identificare il prodotto più adatto.
Alla luce dell’art. 5, par. 6 e dei considerando 24 e 27 della CCD, la Corte di Giustizia [18] ha chiarito, in altra occasione, che le informazioni precontrattuali previste all’art. 5, par. 1 (fornite con l’IEBCC) non esauriscono gli obblighi informativi del creditore, che deve comunque fornire ulteriore assistenza al consumatore sui prodotti che offre, in modo tale che il consumatore sia informato in modo completo prima di concludere il contratto di credito.
Per individuare l’ambito effettivo di tutela del consumatore garantito dalla CCD e, nel contempo, porre le basi per affrontare la seconda questione pregiudiziale posta alla Corte nell’ambito del procedimento in commento (che, lo ricordiamo, attiene all’obbligo di astensione del creditore), occorre però tracciare i contorni dell’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore da parte del creditore previsto dall’art. 8, par. 1, della CCD [19].
L’art. 8, par. 1, della CCD dispone che «gli Stati membri provvedono affinché, prima della conclusione del contratto di credito, il creditore valuti il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando la banca dati pertinente. Gli Stati membri la cui normativa prevede già una valutazione del merito creditizio del consumatore consultando una banca dati pertinente possono mantenere tale obbligo» [20].
La valutazione di merito creditizio misura la capacità di rimborso del debitore e può essere intesa come apprezzamento del grado di rischio connesso all’operazione di prestito, nella duplice accezione di rischio economico derivante dall’insolvenza del debitore, che comporti una perdita definitiva sul capitale prestato, e di rischio finanziario (di liquidità), collegato al mancato rimborso alla scadenza convenuta, pur con ragionevoli aspettative sul rientro in un momento successivo [21].
Alcuni autori hanno sottolineato che nell’ipotesi di concessione di credito ad un consumatore la valutazione di merito creditizio è ontologicamente diversa rispetto a quella effettuata nei confronti di un’impresa, essendo pacifica la destinazione del capitale (il consumo) e, quindi, non rilevando la valutazione di meritevolezza dell’impiego che invece è dovuta laddove si dia credito ad un imprenditore (che dovrebbe essere anche capace di investire correttamente e fruttuosamente il denaro prestatogli) [22].
In realtà, per quanto in una logica semplificata, anche nel caso del consumatore la banca deve valutare le fonti di reddito e le voci di spesa, attuali e prospettiche, al fine di determinare la probabilità di rimborso integrale e tempestiva del capitale mutuato e degli interessi. Ciò per dire che, nella prospettiva del finanziatore, non pare possano ravvedersi differenze ontologiche nella valutazione sulla base della natura del soggetto scrutinato, se non in termini di complessità tecnica e di quantità e qualità delle informazioni necessarie allo scopo [23].
Occorre invece soffermarsi sulle modalità di valutazione del merito creditizio, chiedendosi se il finanziatore debba focalizzarsi sulla mera probabilità di recupero del credito ovvero, anche e prima di tutto, sulla capacità del consumatore di rimborsare il finanziamento.
La differenza non è di poco conto, in quanto la determinazione del valore di recupero tiene conto, tra l’altro, del valore di pronto realizzo delle garanzie [24], nonché delle eventuali coperture assicurative a garanzia del rimborso del credito [25].
La CCD propende inequivocabilmente per la seconda opzione, in linea con quanto in generale auspicato dalla dottrina [26] e dalle autorità di vigilanza [27], disponendo che sia valutato il merito creditizio «del consumatore». Il legislatore europeo del 2008 precisa altresì che tale obbligo va oltre le disposizioni relative al rischio di credito a cui sono soggette le banche e gli intermediari finanziari, in quanto «i creditori dovrebbero avere la responsabilità di verificare individualmente il merito creditizio dei consumatori» [28].
Va rilevato altresì che la direttiva 2014/17/UE sul credito immobiliare ai consumatori è molto più precisa sul punto, disponendo che la valutazione di merito creditizio sia approfondita e tenga adeguatamente conto dei fattori pertinenti ai fini della verifica delle prospettive di adempimento da parte del consumatore degli obblighi stabiliti dal contratto di credito, non potendo basarsi prevalentemente sul valore attuale o prospettico del bene immobile residenziale [29]. Tali fattori pertinenti sono rappresentati dalle informazioni sul reddito e sulle spese del consumatore, nonché da altre informazioni sulla situazione economica e finanziaria necessarie, sufficienti e proporzionate [30].
Per quanto i principi della MCD non possano applicarsi de plano nella valutazione di merito relativa alla concessione di credito al consumo, non può negarsi che anche le «informazioni adeguate» sul consumatore che il creditore è tenuto ad assumere ai sensi dell’art. 8, par. 1, della CCD dovrebbero essere funzionali alla verifica delle prospettive di adempimento e, dunque, inerenti alla situazione finanziaria (reddituale e di spesa) del consumatore.
Tale conclusione consente di rispondere sinteticamente al quesito posto al termine del paragrafo precedente: l’offerta di prodotti di credito di parte del creditore o intermediario del credito non deve obbligatoriamente essere ristretta al prodotto più adatto, ma deve comunque tener conto delle informazioni assunte dai professionisti sulle esigenze e sulla situazione finanziaria del consumatore [31]. L’intermediario non è tenuto ad offrire il prodotto più adatto ma dovrà assicurare, prevenendo pratiche di misselling, che il cliente non sia indirizzato verso prodotti evidentemente inadeguati rispetto alle sue esigenze finanziarie [32].
Appurato che il finanziatore deve valutare il merito creditizio del consumatore, ci si è chiesti poi se tale valutazione sia funzionale alla sola tutela delle ragioni del creditore o se la finalità debba individuarsi nella prevenzione dal sovraindebitamento del consumatore.
Il dibattito sulla tematica del “prestito responsabile” al consumatore è decisamente vivace, e divide la dottrina tra coloro che tendono a vedervi, con lettura massimalista, la nascita di un nuovo rapporto all’insegna della funzione sociale del credito e coloro che, al contrario, sono propensi a ridurre tale obbligo ad una declinazione del precetto di sana e prudente gestione del finanziatore, negando una specifica funzione protettiva delle ragioni del consumatore [33].
Dal punto di vista legislativo la genesi della norma depone per la seconda opzione piuttosto che per la prima.
Nella Proposta di direttiva del 2002 la Commissione prevede che, quando il creditore conclude un contratto di credito o ne aumenta l’importo, si deve presumere che questi abbia stimato preventivamente, con ogni mezzo a sua disposizione, che il consumatore sia in grado di rispettare gli obblighi derivanti dal contratto [34].
La norma proposta è intitolata “prestito responsabile” e, secondo la Commissione, mira a stabilire un principio già esistente negli ordinamenti di alcuni Stati membri (quali i Paesi Bassi e il Belgio) [35], secondo il quale nell’esercizio del credito il finanziatore deve esercitare prudenza o agire da “buon creditore”. Tale principio non è posto nell’interesse del solo consumatore ma anche in quello di tutti i creditori, che vedono diminuita la solvibilità dei loro clienti quando sono erogati contratti di credito dai loro concorrenti in circostanze che mettono a grave rischio la solvibilità del consumatore [36]. Per tale motivo si prevede che i finanziatori siano anche tenuti a consultare le banche dati centralizzate sui rischi di credito e a prestare consulenza sul tipo di contratto di credito più adatto [37].
Nelle successive Proposte di direttiva del 2004 e del 2005 la disciplina sul “prestito responsabile”, espressamente finalizzata al contenimento del sovraindebitamento dei consumatori, viene progressivamente ridimensionata [38], riducendosi ai già citati art. 5, par. 6 e art. 8, nonché al considerando 26, ove tra l’altro si afferma che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito, tenendo conto delle specificità del proprio mercato creditizio», dato che «in un mercato creditizio in espansione (…) è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio».
Come ha efficacemente avvertito l’Avvocato generale nelle conclusioni presentate in occasione della sentenza in commento, «il modello di riferimento cui si ispira la direttiva 2008/48 è quello di un consumatore adulto e ben informato che, sulla base delle informazioni ricevute, se del caso, integrate da chiarimenti adeguati, è in grado di decidere a favore di o contro un vincolo contrattuale» [39].
L’art. 5, par. 6, della CCD prevede infatti, come ampiamente abbiamo già ricordato, che il creditore sia tenuto a prestare ulteriore assistenza al consumatore per rendere più agevole e consapevole la scelta di quest’ultimo circa l’eventuale conclusione del contratto di credito. L’art. 8, par. 1, della CCD, poi, non indica alcun comportamento che il creditore dovrebbe osservare allorquando nel corso della verifica di merito creditizio sorgano (o avrebbero dovuto sorgere) dubbi ragionevoli circa la capacità futura del consumatore di adempiere regolarmente agli obblighi derivanti dal contratto proposto [40].
Nell’affrontare la seconda questione pregiudiziale posta, circa l’eventuale contrasto tra la CCD e la norma belga secondo la quale il finanziatore può concludere un contratto di credito solo nel caso in cui possa ragionevolmente ritenere che il consumatore sia in grado di rispettare gli obblighi del contratto, la Corte di Giustizia conferma che la CCD «non contiene alcuna disposizione relativa al comportamento che il creditore deve adottare in caso di dubbi sul merito creditizio del consumatore» [41]. Per tale ragione la determinazione degli obblighi che possono essere imposti al creditore in seguito all’esame del merito creditizio rimane nella competenza degli Stati membri [42].
Da una parte, dunque, non può che condividersi l’opinione di chi sostiene che sia rimasta senza seguito l’iniziale opzione europea di introdurre formalmente nella disciplina del credito ai consumatori il principio del prestito responsabile [43], ossia «un formale e penetrante complesso di doveri di protezione a carico del finanziatore, con il superamento dei tradizionali principi fondamentali della materia in questione: da un lato l’autoresponsabilità del consumatore; dall’altro la marginalità degli obblighi di informazione e l’assenza di doveri di consulenza e assistenza» [44].
Se questo è lo stato dell’arte della normativa europea, la Corte di Giustizia ha già però avuto modo di affermare, facendo leva sul considerando 26, che l’obbligo di verifica di merito creditizio del consumatore «mira a responsabilizzare i creditori e ad evitare la concessione di prestiti a consumatori non solvibili» [45], in considerazione del fatto che sia l’art. 5 che l’art. 8 della CCD «sono volti a tutelare e a garantire a tutti i consumatori dell’Unione un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi» [46].
La Corte ha poi aggiunto che, conformemente al considerando 44 della CCD, «ai fini della trasparenza e della stabilità del mercato e in attesa di una maggiore armonizzazione, gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che vigano misure appropriate di regolamentazione o controllo nei confronti dei creditori» [47].
Vi è dunque da chiedersi se l’obbligo di valutare la capacità di rimborso del debitore a cui sono soggetti gli intermediari finanziari nell’ottica della gestione sana e prudente (quindi sul piano della vigilanza) possa rappresentare un meccanismo al contempo idoneo a tutelare i consumatori dai rischi di sovraindebitamento e di insolvenza, come indicato anche dalla sentenza della Corte di Giustizia in commento [48].
Sul punto è particolarmente interessante l’opinione dell’Avvocato generale, secondo il quale occorrerebbe impegnarsi per garantire coerenza tra le norme in materia di tutela dei consumatori e quelle poste in materia di vigilanza con riferimento all’adeguata gestione del rischio di credito da parte dei finanziatori. Ciò sarebbe possibile, secondo l’Avvocato generale, proprio promuovendo la concessione responsabile del credito, alla stregua di quanto avviene con l’art. 18, comma 5, lett. a), della MCD [49].
Alla questione la Corte di Giustizia può dare evidentemente una risposta nei soli limiti della questione pregiudiziale posta.
Nel valutare se un obbligo di astensione dal concludere il contratto di credito con il consumatore immeritevole contrasti con la CCD, la Corte osserva dapprima che il legislatore europeo ha già dato prova di voler responsabilizzare i creditori, prevedendo una norma analoga nella disciplina in materia di prestiti immobiliari ai consumatori [50].
Ciò detto, la Corte conclude che un obbligo siffatto non è idoneo a pregiudicare l’obiettivo dell’art. 8, par. 1, della CCD né a mettere in discussione la responsabilità di principio del consumatore di vigilare sui propri interessi [51].
Le motivazioni della Corte mettono in luce le difficoltà di conciliare un dato normativo basato sull’autoresponsabilità del consumatore con le tendenze legislative in atto in materia di prestito responsabile.
La chiave di volta del sistema, almeno per il credito ai consumatori, pare essere rappresentata proprio dalle norme di vigilanza previste per la valutazione del merito creditizio della clientela.
Il dibattito sui contenuti dell’art. 8 della CCD dimostra la delicatezza della questione.
Secondo una prima opinione, l’art. 8 della CCD deve essere attuato principalmente, se non esclusivamente, sul piano della vigilanza, senza particolare rilievo sul piano intersoggettivo [52]. Altri hanno messo in luce la portata della norma in questione nella dimensione pubblicistica della tutela del mercato del credito, con lo scopo di perseguire una corretta allocazione delle risorse ai soli creditori meritevoli in quanto capaci di restituire quanto loro prestato [53]. Vi è chi infine ha osservato che l’art. 124-bis TUB (attuativo dell’art. 8 della CCD in Italia) è norma “anfibiologica”, in cui si intrecciano pubblico e privato, tutela civilistica e misura di vigilanza [54].
Il regolatore italiano, in realtà, pare decisamente convinto che l’esigenza di tutela da pratiche creditizie irresponsabili sia assorbita nel principio di sana e prudente gestione degli intermediari, fissato dall’art. 5 TUB.
L’art. 6 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze n. 117 del 3 febbraio 2011 specifica che, «al fine di evitare comportamenti non prudenti e assicurare pratiche responsabili nella concessione del credito», gli intermediari assolvono all’obbligo di verificare il merito creditizio del consumatore ex art. 124-bis applicando le procedure, le metodologie e le tecniche relative alla valutazione e al monitoraggio del merito creditizio previste ai fini della sana e prudente gestione del soggetti vigilati dagli artt. 53, 67, 108, 109 e 114-quaterdecies TUB e dalle relative disposizioni di attuazione.
Il provvedimento di Banca d’Italia del 9 febbraio 2011, con il quale è stato integrato il Provvedimento in materia di trasparenza bancaria del 29 luglio 2009 per recepire le previsioni della CCD, conferma che le banche assolvono all’obbligo previsto dall’art. 124-bis TUB applicando le istruzioni di vigilanza relative alla gestione del rischio di credito [55].
Come in precedenza osservato, la circostanza che il merito creditizio del consumatore debba essere valutato secondo la disciplina dettata per la gestione ed il controllo del rischio di credito non esclude affatto che l’attenzione del finanziatore debba essere posta sulla capacità del debitore di rimborsare il credito conformemente al contratto: a tale fine assume infatti importanza determinante la situazione patrimoniale e, soprattutto, reddituale del consumatore, mentre nessun rilievo è assegnato alle garanzie, personali o reali, anche di terzi e ad eventuali assicurazioni sul credito, significative per la sola determinazione del valore di recupero del credito in caso di deterioramento della posizione.
In altre parole, laddove il finanziatore rispetti scrupolosamente le regole di sana e prudente nell’erogazione del credito non dovrebbe esserci spazio per un affidamento irresponsabile di un consumatore: l’eccessivo indebitamento in rapporto alle fonti di reddito sarebbe infatti rilevato dalle procedure interne e dovrebbe indurre l’intermediario a rifiutare il credito, essendo eccessivamente alta la probabilità che quest’ultimo non venga regolarmente rimborsato.
Non vi è dubbio, però, che un credito rischioso, quale quello sopra ipotizzato, sarebbe in via astratta anche più redditizio, dovendo la banca remunerare adeguatamente il rischio assunto con un maggiore tasso di interesse. Per tale motivo, laddove il finanziatore rilevasse la presenza di eventuali garanzie o assicurazioni a tutela del recupero integrale del credito in caso di insolvenza del debitore, potrebbe avere convenienza a non ritenere ostativa una situazione precaria del consumatore in termini di capacità di rimborso, concedendo comunque il credito.
Occorre a questo punto ricordare che il principio di gestione sana e prudente della banca costringe gli intermediari ad adottare, tra l’altro, policies e procedure interne che, anche nella gestione del credito, consentano la massima esplicazione del diritto di iniziativa economica compatibilmente con un’assunzione di rischio consapevole e una condotta operativa improntata a criteri di correttezza [56].
Trattandosi di clausola generale [57], la declinazione di tale principio è assegnata alla Banca d’Italia, quale autorità di vigilanza, che ai sensi dell’art. 5 TUB deve tenere in considerazione altre finalità concorrenti, quali la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario, l’osservanza delle disposizioni in materia creditizia e, nella materia specifica del credito al consumo, anche la trasparenza delle condizioni contrattuali e la correttezza dei rapporti con la clientela, come prevede l’art. 127, comma 1, TUB.
Se è vero dunque che la presenza di garanzie o assicurazioni sul credito può consentire alla banca che abbia finanziato un consumatore “immeritevole” di recuperare integralmente il proprio credito, preservando la solidità patrimoniale dell’intermediario e, grazie ad un premio al rischio maggiore, incrementandone anche la redditività, è però difficile sostenere che tale comportamento possa considerarsi rispettoso del principio di correttezza nel rapporto con il cliente consumatore.
Vi è allora da chiedersi quali siano le conseguenze sull’intermediario “irresponsabile”.
La Corte di Giustizia in passato ha ritenuto in contrasto con l’art. 23 della CCD – secondo il quale le sanzioni in caso di violazione delle norme nazionali di attuazione devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive – una norma nazionale (francese) che prevedeva l’applicazione degli interessi legali, anziché convenzionali, al finanziamento concesso in dispregio dell’obbligo precontrattuale del finanziatore di valutare la solvibilità del debitore consultando una banca dati pertinente: per la Corte, infatti, tale sanzione non risulterebbe effettivamente dissuasiva [58].
Occorre ricordare, al proposito, che secondo la CCD gli Stati membri dovrebbero evitare che i creditori concedano prestiti in modo irresponsabile o emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio, effettuando la necessaria vigilanza per evitare tale comportamento e determinando i mezzi necessari per sanzionare i creditori qualora ciò si verificasse [59].
Venendo al problema del credito concesso senza una corretta verifica del merito creditizio, vi è chi ritiene che l’art. 124-bis TUB (riproduttivo dell’art. 8 della CCD) fonderebbe un vero e proprio diritto soggettivo del consumatore alla valutazione, speculare all’obbligo del finanziatore. Di conseguenza, eventuali violazioni legittimerebbe il consumatore a far valere nei confronti del finanziatore un diritto al risarcimento del relativo danno [60]. La dottrina, pur con alcune incertezze [61], tende invece ad escludere la possibilità di invocare la responsabilità del finanziatore per concessione abusiva del credito, in ragione del rilievo dell’autoresponsabilità del consumatore danneggiato [62].
Le incertezze sui profili rimediali non mettono però in discussione il fatto che l’intermediario sia esposto alle pesanti sanzioni amministrative pecuniarie previste dal TUB per la violazione delle norme in materia di organizzazione e controlli [63]: tali sanzioni non conseguono direttamente alla violazione del disposto dell’art. 124-bis TUB (che, a ben vedere, è sprovvisto di sanzione specifica), bensì alla violazione degli artt. 53, 67, 108, 109 e 114-quaterdecies, applicabili a seconda della natura del soggetto finanziatore.
In conclusione, non possiamo mancare di accennare ad una questione dai contorni ancora più sfumati, che sta assumendo significativa rilevanza proprio negli anni più recenti in conseguenza dell’entrata nel mercato finanziario di operatori non tradizionali, quali le piattaforme di marketplace lending [64].
Laddove tali piattaforme operino come veri e propri intermediari finanziari, erogando direttamente credito ai consumatori, non si ravvisano problemi nell’inclusione nella categoria dei “creditori” definita dalla CCD, ossia delle persone fisiche o giuridiche che concedono o s’impegnano a concedere un credito nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale [65]. Di conseguenza, i prestiti accordati da tali piattaforme a consumatori saranno sottoposti alla disciplina della CCD e, dunque, all’obbligo di verifica di merito creditizio che, vista la natura di intermediari vigilati, dovrà anche conformarsi alle regole poste dall’autorità di vigilanza competente.
Il problema nasce allorquando – e molto spesso nella prassi ciò accade – tali piattaforme si limitano a svolgere attività funzionali al soddisfacimento dei bisogni finanziari in una logica di mercato [66], non finanziando direttamente i soggetti in deficit ma mettendoli in contatto con possibili prestatori, perlopiù non professionali. Tali attività spaziano dalla fornitura di servizi di abbinamento tra proposte di finanziamento e di indebitamento a servizi di scoring, ossia di valutazione del merito creditizio dei potenziali debitori [67].
Le piattaforme operano sulla base di algoritmi che, in primo luogo, elaborano le informazioni fornite dal prenditore di fondi al fine di valutarne il merito di credito. Nel modello diretto (ossia quando il prestatore sceglie sulla piattaforma i prestiti da concedere) questi può utilizzare tale giudizio (o scoring) per le proprie decisioni di finanziamento. Nel caso del modello diffuso, ossia laddove la piattaforma utilizza sistemi automatici di diversificazione sulla base della classe di rischio/rendimento scelta dall’offerente il credito, lo scoring ha un ruolo ancor più pregnante, costituendo il presupposto per l’abbinamento automatico tra offerte e richieste di credito, che nei sistemi più evoluti è realizzato con un’attenta diversificazione del rischio tra più prenditori.
Tali piattaforme non concedono o s’impegnano a concedere direttamente credito ai consumatori che lo richiedono, per cui non rientrano a pieno titolo nella categoria “creditori” prevista dalla CCD. Tale circostanza impedisce l’applicazione della relativa disciplina, che non necessariamente potrebbe peraltro gravare sui prestatori partecipanti alla piattaforma, sovente privati non operanti a titolo professionale. Inoltre, in quanto non autorizzate alla concessione di finanziamenti, tali piattaforme non sarebbero soggette alle regole di vigilanza in materia di gestione del rischio di credito.
L’assenza di controlli esterni sul processo di valutazione del merito di credito non consente di assicurare che sia dato adeguato rilievo alla qualità del richiedente il finanziamento, con particolare riferimento ai profili patrimoniali e reddituali. Ciò getta ombre sulla corretta valutazione del rischio di credito, restando a tal fine irrilevante il fatto che tale valutazione sia effettuata nell’interesse di terzi (i crowd-investor) e non della piattaforma stessa.
L’applicazione di sistemi automatizzati (algoritmici) di credit scoring può impattare, tra l’altro, sui profili privatistici dei rapporti tra prestatori e debitori, incidendo sulla capacità di credito dei soggetti finanziati e sul premio al rischio richiesto per la conclusione dei contratti, nonché sul livello di indebitamento del consumatore. A livello sistemico potrebbe anche essere minata l’efficienza e la stabilità del mercato finanziario, nella misura in cui i volumi transatti dalle piattaforme operanti con applicazioni automatizzate di credit scoring crescano di dimensione. In tale prospettiva deve porsi anche un problema di concorrenza con gli operatori tradizionali, costretti a sostenere i costi di compliance ed i vincoli operativi posti dalle autorità di vigilanza e a rischio di spiazzamento, quanto meno nel medio-lungo termine, da certi settori del mercato del credito (primo fra tutti, appunto, il credito ai consumatori).
[1] Commissione Europea, Parere, COM(2008) 117 definitivo, 2002/0222 (COD), 25 febbraio 2008.
[2] Cfr. considerando 7 e 8, CCD.
[3] Commissione Europea, Parere, cit.
[4] Come precisano il considerando 9 e, soprattutto, l’art. 22, par. 1, della CCD, «nella misura in cui la [presente] direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite». Sul tema cfr. Corte Giust. UE, 12 luglio 2012, n. 443, causa C-602/10, SC Volksbank România, punto 38.
[5] Cfr. considerando 8 e 9, CCD. In questo senso v. anche Corte Giust. UE, 21 aprile 2016, n. 683, causa C-377/14, Radlinger e Radlingerová, punto 6.
[6] Cfr. considerando 9, CCD.
[7] La legge belga sul credito al consumo è stata abrogata a decorrere dal 1° aprile 2015, per lasciare posto al Codice di diritto economico. Il testo dell’art. 15, comma 1, di detta legge è stato ripreso all’articolo VII.75 del Codice.
[8] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale, causa C-58/18, punto 35.
[9] Sul punto cfr. anche la Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai contratti di credito ai consumatori, che modifica la direttiva 93/13/CE, COM (2005) 483 def., punto 5.4 della relazione della Commissione, p. 6.
[10] «(…) in tempo utile prima che [il consumatore] sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, (…)».
[11] Cfr. art. 6, par. 3, della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’armonizzazione delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito ai consumatori, COM (2002) 443 def..
[12] Cfr. ancora la Proposta modificata di direttiva, cit., COM (2005) 483 def., punto 5.4 della relazione della Commissione, pag. 6.
[13] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 26.
[14] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 28.
[15] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 32.
[16] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 34.
[17] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 35.
[18] Cfr. Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, n. 2464, causa C-449/13, CA Consumer Finance, punto 41.
[19] Sul punto ricordiamo che, sebbene il giudice del rinvio belga menzioni unicamente l’art. 5, par. 6, della CCD, le altre questioni pregiudiziali sollevate si riferiscono, essenzialmente, alla verifica del merito creditizio del consumatore da parte del creditore, prevista all’art. 8, par. 1, di tale direttiva. La Corte ha dunque provveduto ad integrare tale disposizione tra gli strumenti del diritto dell’Unione di cui il giudice del rinvio chiede alla Corte di fornirgli un’interpretazione. Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 38, in adesione alle Conclusioni dell’Avvocato Generale, causa C-58/18, punto 66. In questo senso già Corte Giust. UE, 10 settembre 2014, n. 2189, causa C-34/13, Kušionová, punto 45.
[20] Il secondo paragrafo della norma suddetta contempla l’obbligo del creditore di aggiornare le informazioni finanziarie sul consumatore e rivalutarne il merito creditizio in caso di aumento significativo dell’importo totale del credito dopo la conclusione del contratto.
[21] Il tema del merito creditizio è trattato tradizionalmente dai tecnici bancari. Si rinvia, per tutti, a G. FORESTIERI-B. ROSSIGNOLI, I prestiti, in P. MOTTURA (a cura di), La gestione della banca, Giuffrè, Milano, 1986, p. 217 ss. Circa il merito creditizio del consumatore, nella dottrina giuridica si è parlato (A. SIMIONATO, Prime note in tema di valutazione del merito creditizio del consumatore nella direttiva 2008/48/CE, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), La nuova disciplina europea del credito al consumo, Giappichelli, Torino, 2009, p. 183 ss.) di oggettiva e attuale capacità di rimborso, misurata sul reddito, sul patrimonio aggredibile e sugli esiti circa il rispetto degli impegni debitori pregressi. Nello stesso senso sostanzialmente L. MODICA, Concessione «abusiva» di credito ai consumatori, in Contratto e Impresa, n. 2, 2012, p. 493. Sul merito creditizio v. anche E. CATERINI, Controllo del credito, tutela del risparmio e adeguatezza nel finanziamento «finalizzato», in V. RIZZO-E. CATERINI-L. DI NELL-L. MEZZASOMA (a cura di), La tutela del consumatore nelle posizioni di debito e credito, Esi, Napoli, 2010, p. 49 ss.; E. MINERVINI, Il sovraindebitamento del consumatore e la direttiva 2008/48/CE, ivi, p. 65 ss., S. LAROCCA, L’obbligo di verifica del merito creditizio del consumatore, ivi, p. 233 ss.; M. MAZZEO, La verifica del merito creditizio, in Obbl. e contr., 2010, 860; S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori (d.lg. 13.8.2010, n. 141), in Obbl. e contr., 2011, p. 133.
[22] A. SIMIONATO, La valutazione del merito creditizio del consumatore nella direttiva 2008/48/CE, in Riv. dir. bancario, giugno 2010.
[23] La relativa semplicità di valutazione del consumatore ha spinto da tempo gli intermediari finanziari ad utilizzare sistemi di credit scoring, non solo in termini di ausilio della decisione di affidamento ma anche come processi esaustivi, le cui risultanze determinano in via autonoma la concessione del credito. Per una recente analisi del fenomeno, anche alla luce degli sviluppi tecnologici nei mercati finanziari, si veda F. MATTASSOGLIO, Innovazione tecnologica e valutazione del merito creditizio dei consumatori, EDUCatt, Milano, 2018, p. 93 ss.
[24] In questo senso cfr. anche le disposizioni di vigilanza sul rischio di credito e di controparte dettate da Banca d’Italia (Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte I, Titolo IV, Capitolo 3, Allegato A).
[25] Come avverte la dottrina aziendalistica (sul punto cfr. S. CENNI-R. CORIGLIANO, I prestiti e la funzione allocativa della banca, in M. ONADO (a cura di), La banca come impresa, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 393 ss.), la valutazione dei fidi non è altro che l’analisi del rischio economico e del rischio finanziario inerente al credito, effettuata con criteri statici o dinamici a seconda delle informazioni di base considerate o disponibili e a seconda che si privilegi il contenuto patrimoniale piuttosto che reddituale dell’affidato. «Terminata l’istruttoria, l’eventuale concessione del prestito può essere vincolata alla presentazione di garanzie, reali o personali. La presenza di queste ultime non modifica le condizioni di rischio dell’operazione, ma può contribuire a rendere più facile il recupero del capitale e a superare i limiti connessi alla situazione di imperfetta informazione gravante sulla banca (corsivo nostro)».
[26] Per lunga tradizione, le prassi di valutazione dei fidi bancari si discostano sensibilmente dal principio di efficienza allocativa, sopravvalutando le garanzie reali e personali fornite dall’imprenditore o da terzi, che in verità rilevano solo al momento del recupero coattivo del credito. Vengono dunque trascurati diversi presupposti informativi (ad esempio, con riferimento al settore ed al mercato ove opera l’impresa), che invece sarebbero indispensabili in una logica di distribuzione del credito in base alla capacità di reddito. Sul punto cfr. ancora G. FORESTIERI-B. ROSSIGNOLI, I prestiti, cit., p. 240 ss. In senso conforme al testo A. SIMIONATO, La valutazione, cit.; M. GORGONI, Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. e prev., n. 4, 2011, p. 764 ss.
[27] Le disposizioni di Banca d’Italia (Circolare n. 285, cit.), ad esempio, prevedono che «nella fase istruttoria, le banche acquisiscono tutta la documentazione necessaria per effettuare un’adeguata valutazione del merito di credito del prenditore, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, e una corretta remunerazione del rischio assunto. La documentazione deve consentire di valutare la coerenza tra importo, forma tecnica e progetto finanziato; essa deve inoltre permettere l’individuazione delle caratteristiche e della qualità del prenditore, anche alla luce del complesso delle relazioni intrattenute». Come è evidente, nessun rilievo è dato alle garanzie, che sono prese in considerazione solo per la determinazione del valore di recupero dei crediti deteriorati.
[28] Cfr. considerando 26, CCD.
[29] Cfr. art. 18, direttiva 2014/17/UE del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (di seguito anche “MCD”).
[30] Cfr. art. 20, MCD. Sul punto cfr. anche EBA, Orientamenti sulla valutazione del merito creditizio, EBA/GL/2015/11 del 19 agosto 2015, ove, in linea generale, si precisa (Orientamento 1) che «il creditore dovrebbe svolgere indagini ragionevoli e adottare misure ragionevoli per verificare la capacità di reddito attuale e pregressa del consumatore ed eventuali andamenti irregolari nel corso del tempo», tenendo anche conto dell’impatto sui redditi riveniente dallo svolgimento di un’attività autonoma del consumatore o dal carattere stagionale o saltuario dell’occupazione.
[31] Non manca la dottrina (L. STANGHELLINI, Il credito «irresponsabile» alle imprese e ai privati: profili generali e tecniche di tutela, in Società, 2007, p. 402) che, diversamente, richiamando il modello di adeguatezza adottato per la prestazione dei servizi di investimento, sostiene che il principio del prestito responsabile sembrerebbe delineare un obbligo di fornire al consumatore un prodotto che gli sia adeguati. Critica sul punto L. MODICA, Concessione «abusiva», cit., p. 496 ss. Per una visione generale cfr. R. NATOLI, Il contratto “adeguato”. La protezione del cliente nei servizi di credito, di investimento e di assicurazione, Giuffrè, Milano, 2012.
[32] Sul punto cfr. anche BANCA D’ITALIA, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti, 29 luglio 2009 e successive modifiche e integrazioni, sez. XI, par. 2. Le disposizioni ora ricordate prevedono altresì che gli intermediari adottino procedure organizzative «che evitino modalità di commercializzazione oggettivamente idonee a indurre il cliente a selezionare prodotti manifestamente non adatti», preferibilmente mediante «l’introduzione di strumenti, anche informatici, che consentano di verificare la coerenza tra il profilo del cliente e i prodotti allo stesso offerti».
[33] Cfr. L. MODICA, Concessione «abusiva», cit., p. 492. La letteratura sull’art. 8 della CCD e sull’art. 124-bis del d.lgs. n. 385/1993 (di seguito anche “TUB”), con il quale è stato recepita nel nostro Paese la disposizione europea, è ormai sterminata. Si veda, per tutti, G. CARRIERO, Nuova disciplina comunitaria del credito al consumo: linee d’indirizzo, questioni irrisolte, problemi applicativi, in Riv. dir. civ., n. 5, 2009, p. 509 ss.; G. CARRIERO, La riforma del credito ai consumatori e le nuove policies di tutela del risparmiatore nel settore bancario, in Europa e diritto privato, n. 2, 2011, p. 504 ss.; G. DE CRISTOFARO (a cura di), La nuova disciplina europea, cit.; M. DE POLI, Le regole di comportamento dei "creditori" nella direttiva 2008/48/CE in materia di credito al consumo, in Dir. banc., n. 1, 2009, p. 33 ss.; G. FALCONE, “Prestito responsabile” e valutazione del merito creditizio, in Giur. comm., n. 1, 2017, p. 147 ss.; A. MIRONE, L’evoluzione della disciplina sulla trasparenza bancaria in tempo di crisi: istruzioni di vigilanza, credito al consumo, commissioni di massimo scoperto, in Giur. comm., n. 5, 2010, p. 557 ss.; G. PIEPOLI, Sovraindebitamento e credito responsabile, in Giur. comm., n. 1, 2013, p. 38 ss.
[34] Cfr. art. 9, Proposta di direttiva, cit., COM(2002) 443 def., presentata dalla Commissione l’11 settembre 2002.
[35] Sulle soluzioni adottate da vari ordinamenti nazionali europei si rinvia, per tutti, a U. REIFNER, Verso i Principi del credito responsabile in Europa, in A. SARCINA (a cura di), Il sovraindebitamento civile e del consumatore, in Dialogi Europae, n. 3, 2014, p. 9 ss.
[36] Ibidem, p. 12.
[37] Cfr. artt. 8 e 6, Proposta di direttiva, cit., COM(2002) 443 def..
[38] Cfr. Proposte della Commissione COM(2004)747 definitivo e COM(2005) 483 definitivo.
[39] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale, causa C-58/18, punto 72.
[40] Così anche Conclusioni dell’Avvocato Generale, causa C-58/18, punto 68.
[41] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 42.
[42] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 43.
[43] Cfr. G. PIEPOLI, Sovraindebitamento, cit., p. 44.
[44] Ibidem, p. 46.
[45] Cfr. Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, n. 2464, causa C-449/13, CA Consumer Finance, punti 35 e 43.
[46] Cfr. Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, n. 2464, causa C-449/13, CA Consumer Finance, punto 44.
[47] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 44.
[48] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punto 41 e, in precedenza, Corte Giust. UE, 18 dicembre 2014, n. 2464, causa C-449/13, CA Consumer Finance, punto 43.
[49] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale, causa C-58/18, punti 77 e 78.
[50] Ai sensi dell’art. 18, par. 5, lett. a), della MCD gli Stati membri assicurano che «il creditore eroghi il credito al consumatore solo quando i risultati della valutazione del merito creditizio indicano che gli obblighi derivanti dal contratto di credito saranno verosimilmente adempiuti secondo le modalità prescritte dal contratto di credito».
[51] Cfr. Corte Giust. UE, 6 giugno 2019, n. 467, causa C-58/18, Schyns, punti 47 e 48.
[52] Cfr. A. MIRONE, L’evoluzione, cit., p. 593. L’Autore precisa (p. 592) che l’obbligo di valutazione del merito creditizio del consumatore rileva nell’ambito delle procedure interne dell’intermediario, afferenti ai requisiti organizzativi, regolati dalla sez. XI del Provvedimento di Banca d’Italia in materia di trasparenza bancaria del 29 luglio 2009 e successive modifiche e integrazioni.
[53] Cfr. M. GORGONI, Spigolature, cit., p. 69.
[54] Cfr. G. PIEPOLI, Sovraindebitamento, cit., p. 62. Sull’art. 124-bis TUB si vedano anche, tra gli altri, R. COSTI-F. VELLA (a cura di), Commentario breve al testo unico bancario, Cedam, Padova, 2019, p. 813 ss.; R. DE CHIARA, Commento sub art. 124-bis, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da F. Capriglione, Cedam, Padova, 2018, p. 2160 ss.
[55] Si tratta, in particolare, delle Istruzioni di Vigilanza per le banche, circ. n. 229 del 21 aprile 1999, tit. IV, cap. 11, sez. II, par. 2.1. Le predette Istruzioni sono state sostituite dalle disposizioni di cui alla circ. n. 263 del 2006, a sua volta sostituite dalla circ. n. 285 del 17 dicembre 2013, Parte I, Titolo IV, Capitolo 3, Allegato A.
[56] Sul punto si consenta il rinvio a G.L. GRECO, Commento sub art. 5, in F. BELLI-M. PORZIO-M. RISPOLI-V. SANTORO, Commentario al testo unico bancario, Giuffrè, Milano, 2010, p. 52.
[57] Così anche TAR Lazio, 9 agosto 2005, n. 6157, in Giur. it., 2005. X, p. 2421.
[58] Cfr. Corte Giust. UE, 27 marzo 2014, n. 190, causa C-565/12, LCL Le Crédit Lyonnais SA, punto 53. La sentenza è stata commentata dal T. DELLA MASSARA, Obbligo del creditore di valutare la solvibilità del debitore: la Corte di Giustizia sulla sanzione della decadenza dagli interessi convenzionali prevista nell’ordinamento francese, in Diritto Civile Contemporaneo, n. 3, 2014.
[59] Cfr. considerando 26, CCD.
[60] Cfr. G. PIEPOLI, Sovraindebitamento, cit., p. 63.
[61] Cfr. L. MODICA, Concessione «abusiva», cit., p. 509 ss.
[62] Cfr. M. GORGONI, Spigolature, cit., p. 70; A. MIRONE, L’evoluzione, cit., p. 592; F. DI MARZIO, Sulla fattispecie “concessione abusiva di credito”, in Banca, borsa, tit. cred., n. 3, 2009, p. 382 ss. In questo senso, con riferimento al finanziamento alle imprese, cfr. A. NIGRO, La responsabilità delle banche nell’erogazione del credito alle imprese in “crisi”, in Giur. Comm., n. 3, 2011, p. 309, a cui si contrappone B. INZITARI, La responsabilità della banca nell’esercizio del credito: abuso nella concessione e rottura del credito, in Banca, borsa, tit. cred., n. 3, 2001, p. 295 ss.
[63] Cfr. artt. 144 ss. TUB.
[64] Sul tema si consenta il rinvio a G.L. GRECO, L’impatto del FinTech credit nella regolazione dei mercati finanziari, in S. DOMINELLI-G.L. GRECO (a cura di), I mercati dei servizi fra regolazione e governance, in corso di pubblicazione.
[65] Cfr. art. 3, CCD.
[66] Cfr. A. SCIARRONE ALIBRANDI, Conclusioni, in A. SCIARRONE ALIBRANDI-G. BORELLO-R. FERRETTI-F. LENOCI-E. MACCHIAVELLO-F. MATTASSOGLIO-F. PANISI, Marketplace lending. Verso nuove forme di intermediazione finanziaria?, Consob, Quaderni FinTech, n. 5, luglio 2019, p. 246.
[67] In argomento cfr. in particolare F. MATTASSOGLIO, Innovazione tecnologica e valutazione del merito creditizio dei consumatori, EDUCatt Università Cattolica, Milano, 2018, p. 93 ss.